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Autore: Ystava    03/05/2014    1 recensioni
Veronica non era una ragazza normale, sotto molti punti di vista.
Veronica credeva nelle favole.
Veronica voleva volare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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{Veronica voleva volare}

   Veronica non era una ragazza normale, sotto molti punti di vista.
   Veronica amava il cioccolato. Possedeva un’intera scorta di tavolette di contrabbando del più raffinato cioccolato fondente in commercio, nascosta in un angolo remoto dell’armadio dove sua madre non guardava mai. Eppure era magra e senza l’ombra di un brufolo.
   Veronica considerava uno spreco le pareti bianche. Non che fosse una graffitara, ma lì dove c’era un po’ di spazio, la ragazza disegnava, colorava o scriveva. Ne erano una prova le pareti della sua stanza, ricoperte di foto e citazioni: tutte assurde, profonde, divertenti.
   Non credeva nell’amore. Che cosa sciocca, ripeteva alle amiche. Non pensate, però, che fosse senza cuore. Era buona, gentile e affidabile. Solo, non si era mai innamorata. Non ancora.
   Veronica pensava che cogliere al volo qualunque tipo di occasione la vita ti offra sia d’obbligo. Può confermarlo quell’incauto giovanotto che aveva deciso di assecondarla quando la ragazzina aveva decretato che voleva imparare a sciare, oppure la povera signora del secondo piano che se l’era vista rotolare ai piedi dopo ben tre rampe di scale, seguita a ruota da uno skateboard. Per non parlare di quella volta che era sicura di poter praticare surf in salotto. Il gatto di casa non era mai stato più lo stesso.
   Possedeva un intero armadio stracolmo di jeans, t-shirt azzurre e felpe blu. E basta. Solo numerosi jeans, molteplici t-shirt azzurre e svariate felpe blu. E non dimentichiamoci della biancheria intima, delle cinture, degli orecchini e delle borse. Tutto rigorosamente color del cielo, a parte le scarpe, sempre bianche e da ginnastica. La madre ringraziava di continuo il Signore che almeno quelle tonalità le donassero.
   Veronica aveva una tartaruga che chiamava ogni giorno con nomi diversi. La monotonia uccide, ribadiva alle amiche, e siccome non può cambiare il guscio, le cambio perlomeno il nome. Qualcosa da obbiettare?
   Le piaceva suonare la batteria. Non ne possedeva una, ma ogni tanto strimpellava con quella di un suo vicino di casa. Oramai nel quartiere erano tutti armati di cuffie insonorizzanti. Solo il suo migliore amico, JJ, che poi era anche il famoso vicino di casa, trovava il coraggio di dirle che faceva veramente schifo e che prima o poi qualcuno sarebbe morto a causa del frastuono. Lei non ci badava affatto.
   Veronica era certa che i giochi di società nocessero alla salute quasi quanto il fumo e la droga, se non di più. Il motivo? Nascosto a chiunque non fosse JJ, ma se volete, potete provare a indovinare. Una volta il padre le aveva comprato un Monopoli, che era finito dritto dritto nella spazzatura, ancora sigillato. Quel pover’uomo non avrebbe mai scordato le urla indignate della figlia. E nemmeno il gatto.
   Beveva sempre una tazza di caffé alle quattro in punto del pomeriggio, ovunque si trovasse. Il caffé non le piaceva neppure, ma secondo lei doveva pur avere un vizio, visto che non considerava tale mangiarsi le unghie. Era una questione estetica, ripeteva. Lunghe o ben limate non le stavano proprio bene; mangiucchiate, invece, le donavano. Si sentiva se stessa, mentre sorseggiava quella tazza di caffé e si mordicchiava le unghie.
   Veronica amava la musica rock. Non musica qualunque, però. Melodia senza parole. Sosteneva che la maggior parte dei testi delle canzoni fosse banale, davvero privo di originalità e particolarmente sciocco. E poi quasi tutte parlavano d’amore. Lei odiava le canzoni che parlavano d’amore. Un assolo di batteria valeva molto più di centinaia di quei testi senza un vero e proprio significato.
   Aveva un debole per le matite. Le collezionava. Più strane, usate, stemperate e mordicchiate erano, più affascinanti le parevano. Le raccoglieva per strada, le “prendeva in prestito” dagli astucci dei suoi compagni di classe, le comprava oppure aspettava che piovessero dal cielo. Un paio di volte era capitato. Sul serio. Non sto scherzando.
   Veronica dormiva al contrario, con i piedi sul cuscino e il viso sul materasso duro e scomodo. È con i piedi che cammino tutto il giorno, spiegava. Meglio che siano loro a riposare comodamente.
   Ah, ma non dimentichiamo le famose cene la vigilia di Natale. Un tormento, per la nostra ragazza! Una ventina di parenti di sua madre, pettegoli e perfidi, riuniti nella stessa stanza, incoraggiati nel malignare da un bicchiere di vino di troppo. Credetemi, nessuno, e dico proprio nessuno, avrebbe voluto passare anche solo un Natale in balia di certa gente. Figuriamoci tutti gli anni! La ragazza detestava quasi tutte quelle persone. Soprattutto le zie. Oh, Veronica odiava le zie! Fu per questo, si pensa, che un anno si presentò alla fatidica cena con indosso una maglia blu con la scritta in verde fosforescente PARENTI SERPENTI. La madre svenne, quando Veronica si sbottonò la felpa che portava per nascondere quello che poi definì “uno scherzo”. Il padre, invece, scoppiò a ridere e quell’anno le raddoppiò la paga settimanale. Anche il gatto si divertì un mondo schizzando via tra le gambe dei parenti inorriditi.
   Per rimanere in tema, Veronica aveva una teoria tutta sua sull’esistenza di Babbo Natale. Babbo Natale esisteva, ma andava solo dai bambini che non avevano una famiglia che potesse far loro un regalo, e che credevano ciecamente nella sua esistenza. Lei stessa ammetteva che Babbo Natale negli ultimi decenni aveva ben poco lavoro da svolgere, ma meglio così. Non le piaceva l’idea che le renne si ammazzassero di lavoro trainando su e giù quel ciccione. Con tutto il rispetto per Babbo Natale, una bella dieta avrebbe anche potuto seguirla, visto che non aveva niente da fare per tutto l’anno.
   La nostra ragazza non andava molto d’accordo con i suoi compagni di classe. Una classe è un po’ come la famiglia, non puoi sceglierla e ti tocca accontentarti. I suoi migliori amici, infatti, frequentavano scuole diverse, tranne JJ, che era il suo compagno di banco e non condivideva la filosofia “classe uguale famiglia uguale rompiscatole”, ma forse perché a lui andavano a genio tutti. Forse per i maschi è più facile, pensava Veronica. Loro hanno un “codice”. Fatto sta che le discussioni erano pane quotidiano, e poco mancò che un giorno scoppiasse una vera e propria rissa da strada. Veronica sarebbe stata contenta di mettere in pratica quel po’ che sapeva di arti marziali. Nonostante questo, voleva a tutti un bene dell’anima. Insieme ne avevano passate tante, e qualche piccola scaramuccia non basta a far dimenticare anni di risate.
   Inoltre Veronica vantava una collezione di romanzi da far invidia alla biblioteca del paese. Dovete ammettere che intimare ai propri genitori di eliminare il televisore dalla camera da letto per far posto ai libri non è da tutti gli adolescenti. In cima alla libreria capeggiavano in bell’ordine quattro o cinque volumi scritti da James M. Barrie, evidentemente i suoi preferiti.
   Veronica credeva nelle favole. Ma non in tutte. Solo nelle più bizzarre e magiche, naturalmente. E credeva in Peter Pan, ma non come ci credono i bambini di cinque anni. Non era stupida. Molte persone sostengono di credere in una certa religione, nell’oroscopo o nei tarocchi, ma sono pochi quelli che lo fanno con il cuore, oltre che con la mente. Se Veronica credeva in Peter Pan, c’era un motivo, ed era anche un motivo validissimo.
   Nessuno, a parte JJ, ne era a conoscenza, ma Veronica vedeva le fate. Sul serio. All’inizio credeva di avere le allucinazioni, o di essersi fatta influenzare dalla sua passione per l’Isola Che Non C’è, ma quando quelle cominciarono a rivolgerle la parola, non poté più ignorare la cosa. Le fate esistevano. Il più delle volte pronunciavano semplicemente il suo nome, le svolazzavano intorno e sparivano fuori della finestra, altre volte le facevano compagnia mentre leggeva o parlava al telefono con JJ.
   Fu così che un bizzarro sogno, un desiderio, le si insinuò pian piano nel cuore. JJ era felice per lei, e la incoraggiava a non arrendersi, anche se avrebbe significato perdere la sua migliore amica. Veronica credeva nell’Isola Che Non C’è, e JJ aveva fiducia in lei.
   Quasi tutte le sere, Veronica sedeva vicino alla finestra della sua camera da letto, e guardava fuori. In alto, cercava con gli occhi le stelle, soffermandosi sulla seconda a destra. Una strana determinazione si faceva largo nella sua mente, e la ragazza sorrideva all’idea.
   Combatteva una piccola battaglia, e non si sarebbe mai arresa. Mai.
   Perché? Perché c’era una cosa che la strana ragazza vestita di blu desiderava più di ogni altra.
   Veronica voleva volare.
   E ci sarebbe anche riuscita.
   
 
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