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Autore: A r l i e    04/05/2014    2 recensioni
Due Nazioni alle prese con i ricordi: America e Inghilterra
Ricordi belli e brutti.
Ricordi che fanno parte del passato oscuro di una Grande Nazione.
Ricordi che fanno parte del glorioso trascorso di un Regno ormai caduto.
Ma sopratutto, ricordi che nonostante tutto, legano Arthur e Alfred ad una parte consumata della loro vita immortale.
Ogni attimo è destinato a diventare un lontano ricordo, ma non tutti i ricordi nascono per cadere nel dimenticatoio.
Dal testo:
La porta dell'ufficio di Arthur si spalancò sbattendo bruscamente contro la parete.
Alfred era furioso.
Inghilterra alzò il capo dai documenti che stava revisionando prima di spedirli alla sua nazione, inarcando un sopracciglio.
-Il mio popolo è in rivolta!- esclamò l’americano sbattendo i pugni sulla scrivania dell'altra nazione.
Alcuni fogli scivolarono sul pavimento.
-L'ho notato...- tagliò corto Arthur con freddezza.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Allied Forces/Forze Alleate, America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'ℛadici'
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Premessa: Caro lettore ti stai imbattendo in una delle storie più ridicole e insensate di EFP. Mi scocciava cercare un titolo figo, e alla fine ne ho sparato uno seguendo il teorema Ahlla Kaz deh kan.
Diciamo che questa FF è una sorta di esperimento, che per vostra sfortuna ho deciso di pubblicare. La storia si dividerà in non più di 5 capitoli, diciamo che è un modo per tornare a rompere su EFP, prima di cimentarmi su una storia originale sulla quale sto lavorando da tempo (solo mentalmente, purtroppo).

Siccome sono un'autrice pigra e fraccomoda, gli aggiornamenti potrebbero tardare.
Buona lettura.
Arlie
P.S. Spero che questo scritto possa comunque piacervi, se sono presenti imperfezioni, incoerenze, se i personaggi vi risultano fin troppo OOC o se non capite qualcosa, non esitate a segnalare. Accetto ogni tipo di parere, specie se costruttivo!
P.P.S. La parte incorsivo è un ricordo di Alfred.

I’m in the basement, you’re in the sky
 
Un sorriso non ricambiato, tra due grandi potenze, può portare alla guerra e alla distruzione.
(Desmond Morris)
 
-Capitolo 1-
La promessa
 
Percorreva quel corridoio ogni mattina, ma mai come quella volta gli era sembrato così lungo.
A passi lenti e appesantiti Inghilterra, si trascinava a fatica verso la sala conferenze degli alleati, stringendo sotto braccio alcuni documenti da presentare ai suoi compagni di battaglia.
Era passata circa una settimana dal bombardamento di Londra da parte di Germania; Arthur ancora non si era ripreso da quel brutto colpo, ma aveva saltato fin troppe riunioni, e non poteva permettersi di starsene a letto mentre gli altri prendevano decisioni anche per lui.
La voce squillante di America che copriva quelle altrettanto acute delle altre tre nazioni arrivò all'orecchio dell'inglese, fastidiosa e irritante come sempre. Echeggiava all'interno dell'intero palazzo con una prepotenza degna del rappresentante degli Stati Uniti, facendosi sempre più forte e vicina man mano che si avvicinava alla sala riunioni.
Appena aprì la porta, quella voce, e il vociare causato dalle frasi insensate che pronunciava, cessarono di torturare le sue orecchie.
Gli sguardi increduli dei presenti si posarono tutti sull'inglese, il quale li osservava dal ciglio della porta, corrugando la fronte imperlata di sudore, segno che la febbre ancora non aveva intenzione di scendere.
«Inghilterra...?!» mormorò Alfred, sorpreso.
La nazione, strinse la morsa del suo pugno stretto attorno alla maniglia della porta e la spinse verso il basso in modo da chiudere l'infisso.
«Scusate il ritardo...» borbottò prendendo posto di fronte a Cina «...continuate pure.» disse poi, sistemando i suoi documenti sul tavolo, cominciando a sfogliarli con finto interesse.
Dopo alcuni istanti d'e
sitazione, America riprese a parlare questa volta con meno entusiasmo, o almeno così parve alle orecchie di Inghilterra: sembrava quasi serio.
Doveva sentirsi proprio male per pensare cose così assurde, pensò poi scuotendo la testa.
Come al solito la riunione passò tra i vari battibecchi, e tra le proposte assurde e inverosimili di America. Inghilterra restò in silenzio, sorseggiando la tazza di té caldo che si era fatto portare da un'inserviente, rispondendo sgarbatamente ogni qualvolta Francis provava a chiedergli come stava.
«Angleterre, ti vedo ancora un po' deboluccio.» commentò il francese, appena finì la riunione.
Erano rimasti soli e Francia ne approfittò per mostrare all'inglese la sua apprensione e preoccupazione.
«Sto bene, stupid french frog -sbottò Arthur avviandosi verso la porta- altrimenti non sarei venuto fin qui.» concluse una volta varcata la soglia. Chiuse bruscamente la porta alle sue spalle, e dopo aver lanciato uno sguardo prima a destra e poi a sinistra, cominciò a correre velocemente lungo il corridoio, sfruttando quel po' di forza che gli restava in corpo.
«Stai tranquillo Lituania, lui è Tony, esiste davvero non è un allucinazione!» America, seduto sul davanzale di una finestra di quel corridoio, parlava con il povero lituano al telefono, il quale aveva appena avuto l'onore di conoscere Tony.
Prima di partire, Alfred aveva lasciato a Toris un biglietto con il numero di telefono dello stabile, raccomandandogli di chiamare nel caso avrebbe avuto qualche problema. Dal canto suo Lituania, era convinto che non avrebbe mai avuto bisogno di chiamare l'americano, ma non appena si ritrovò un alieno in cucina, che lo indicava ripetendo senza sosta "fucking", non poté far altro che afferrare il telefono e chiamarlo, non sapendo cosa fare. «Nahahahah, è un alieno di razza grigia, è il mio migliore amico. Sono sicuro che andrete d'accordo» spiegò il biondo, cercando di tranquillizzare la nazione baltica che dall'altra parte del telefono cercava di socializzare con quell'esserino grigio.
America avrebbe continuato a parlargli di come avesse conosciuto Tony, e di come bisognava rapportarsi con lui, se solo non avesse visto Arthur sfrecciargli davanti agli occhi. «Scusami Lituania, devo chiudere, hanno bisogno di me, sai come sono no?» salutò Toris, decidendo di rimandare la discussione sugli alieni una volta tornato a casa, e seguì l'inglese, senza farsi scoprire.
Quando Arthur voltò l'angolo, Alfred si fermò premendo la sua schiena contro la parete, affacciandosi quanto bastava per poterlo seguire con lo sguardo: i suoi passi si facevano sempre più lenti fino a fermarsi davanti la porta del bagno. Appena entrò dentro, America, riprese a camminare normalmente, fermandosi davanti l'entrata.
Sentì Inghilterra tossire, inizialmente a distanza di un determinato lasso di tempo, poi ripetutamente senza dargli tregua e tempo di riprendere fiato.
Al che il gesto di Alfred fu istintivo, afferrò la maniglia e spalancò la porta permettendo alla luce solare che illuminava il corridoio, di penetrare anche in quella piccola sala da bagno priva di aperture all'esterno.
Inghilterra non si accorse della sua presenza; rimase ricurvo sul lavandino, stringendo i bordi con le mani tremanti. Il suo corpo convulso e esile sembrava essere arrivato allo stremo, tossiva e rigettava continuamente, e proprio quando Alfred fece un passo verso lui, quella tortura terminò.
Un gemito disgustato, uscì dalla bocca dell'inglese appena riprese fiato; aprì il rubinetto e lasciò che il getto a pressione dell'acqua, portasse via tutto quello che aveva appena vomitato. «Non avrei dovuto fare colazione.» borbottò.
Dal canto suo, Alfred rimase in silenzio, osservando l'altra nazione intenta a sciacquarsi la bocca «Perché non sei rimasto a casa?» quelle parole quasi sussurrate, uscirono automaticamente dalla sua bocca, senza pensarci troppo. Evidentemente non si era accorto di pensare ad alta voce, fatto sta che Inghilterra solo in quel momento si accorse dell'americano.
Chiuse il rubinetto, e asciugò con il palmo della sua mano guantata, un rivolo d'acqua all'angolo della bocca «Perché avrei perso solo tempo inutile, America» rispose voltandosi verso l'interlocutore.
«Stai male»
«E da quando ti preoccupi per me?»
Un silenzio imbarazzante, rotto dal ritmico gocciolare del rubinetto del lavandino,calò impedendo ai due di continuare il discorso.
«Non ho detto questo!» sbottò dopo alcuni istanti Alfred, a tono alto e rosso in volto «Hai capito male! Non mi sto preoccupando!» continuò cominciando a riprendere il suo colorito normale «La tua presenza è stata inutile oggi, dato che in queste condizioni rendi peggio di quando stai bene»
L'inglese lo guardò inarcando un sopracciglio poi avanzò davanti a lui.
Il suo viso era ad un palmo di distanza da quello dell’altra nazione quando si fermò. Alfred rimase immobile, fissando quegli occhi smeraldini ridotte in due finissime fessure che lanciavano saette «Tu...American Idiot...» mormorò minaccioso, puntando con forza un indice sul petto dell’americano «...detto da te, non saprei se prenderla sul ridere, sinceramente» disse prima di oltrepassarlo e uscire dal bagno, lasciando America solo e amareggiato.
Non c’era l’ombra di un sorriso sul volto dell’inglese, le sue labbra tirate in una linea dritta sembravano non conoscere più espressione: era freddo.
Nulla di cui sorprendersi, avrebbe pensato qualsiasi nazione al suo posto, d’altronde non stava neanche passando un bel periodo considerando cosa stava succedendo nella sua capitale, e poi da quando Inghilterra, la nazione più cupa e uggiosa di tutte, sorrideva?
Eppure Alfred ricordava il suo sorriso.
Arthur sorrideva sempre.
A dire la verità sorrideva sempre solo nei ricordi di Alfred, così lontani dal presente, che alle volte si stupiva di come riuscisse a non dimenticare ogni singolo secondo, particolare ed emozione dei momenti passati insieme a lui.
Quella mattina il piccolo America si era svegliato urlando.
Erano appena passate le cinque, e la tiepida luce dell'alba penetrava tra le fessure delle tapparelle disegnando sul pavimento lunghi fasci di luce fioca.
Non era la prima volta che la nazione si svegliava così presto la mattina, questo succedeva sempre quando aveva gli incubi.
Scese dal letto e uscì dalla sua stanza; percorse il lungo corridoio della casa strofinandosi gli occhi inumiditi dalle lacrime con i polsi, e raggiunse la porta della camera di Arthur.
Doveva accertarsi che lui stesse bene.
Si alzò in punta di piedi e afferrò la maniglia, aprendo la porta lentamente in modo da non farla cigolare.
La stanza era immersa nel buio, ma nella penombra riuscì a notare il letto sfatto del suo fratellone vuoto.
«Arthur» sussurrò, prima di correre verso l'uscita e scappare fuori.
Non poteva crederci. No, non poteva essere vero. Arthur non se n'era andato, non lo aveva lasciato solo per sempre.
America ne era sicuro.
Correva sotto la pioggia scrosciante, a piedi scalzi, incurante del freddo e del vento che gli gelavano mani e viso.
Quello che lo aveva fatto svegliare con il cuore che martellava in petto, e la fronte imperlata di sudore era solo un incubo, non poteva succedere anche nella realtà. «Arthur! ARTHUR!» urlava ripetutamente quel nome in preda alla disperazione.
Solo quando raggiunse il porto dove solitamente Imghilterra faceva  attraccare la sua nave, si calmò.
Arthur non era andato via senza dirgli niente, la sua nave, mossa dalle onde del mare agitato, era ancora lì. Ma allora dov'era finito?
Qualcosa di caldo e morbido, si posò sulla sua testa, poi avvolse le sue spalle riparandolo dalla pioggia. Era una giubba rossa, e aveva il profumo di Arthur.
«My God! Sei tutto bagnato Alfred!» esclamò la voce preoccupata dell'inglese alle sue spalle. L'americano si voltò verso lui, stringendosi tremante nella giubba, incontrando lo sguardo smeraldino del suo fratellone, il quale si era chinato alla sua altezza «Come ti è venuto in mente di uscire fuori con questo tempaccio?» borbottava strofinando la stoffa rossa su capelli biondi del bambino «Ti verrà sicuramente il raffreddore» disse prima di voltare il capo e starnutire.
«Credevo che fossi andato via per sempre» spiegò America abbassando lo sguardo «Sono venuto a cercarti, perché avevo paura di restare solo, senza te»
Silenzio.
Una coltre di nubi scure sprigionava saette e ruggiti cosi rumorosi da far tremare la terra sotto i piedi di Alfred e Arthur.
La pioggia, continuava a scendere copiosamente, inzuppando la giubba di Inghilterra.
«Alfred» la nazione più grande poggiò una mano sulla guancia fredda e umida della più piccola «Non ti abbandonerò mai»
America sgranò gli occhi e sollevò il capo.
Arthur era bagnato fradicio ma sorrideva, sorrideva a lui. «Non devi neanche pensarla una cosa del genere, hai capito?» continuò socchiudendo gli occhi e poggiando la sua fronte contro quella della sua colonia, la quale annuì incurvando le labbra in un dolce sorriso.
«Te lo prometto.»
   
 
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