Ho dieci anni, ma per come
sono stata creata ne dimostro molti di più. Almeno quindici. Gli uccelli
crescono in fretta, o almeno è ciò che sostengono i Camici Bianchi.
Conosco poco del mondo, oltre
la mia scatola di vetro un po’ fredda. L’odore di disinfettante, il tintinnare
degli strumenti, il cigolare dei carrelli, sono parte del mio mondo.
Anche le parole della mente
lo sono. Anche le immagini. Ed è guardando nelle menti che mi circondano che ho
appreso quello che so dell’esterno.
Non è facile guardare negli
occhi qualcuno, vedervi un sorriso d’affetto, e scoprire che dietro quello
sguardo sta immaginando il momento in cui potrà sezionarmi a piacimento su un
tavolo operatorio.
Il mio nome è Sarah e sono
una Nike di Samotracia.
Quando chi mi ha creata mi
guarda, è questo che vedo nella sua mente. Jeb produce l’immagine di una
scultura greca, senza braccia, con grandi ali spiegate.
Ed è vero…ha ragione.
Sono una creatura di quelle
che chiamano ricombinanti. Nel mio DNA vi è una piccola parte appartenente ad
un uccello, un rapace, credo un falco pellegrino.
Non è molto, ma quanto basta
per non definirmi più umana. È ciò che fa la Itex, l’Istituto per la ricerca
sulla vita superiore.
Sono davvero una Nike di
Samotracia. Non ho braccia per stringere, mani per accarezzare. Le mie spalle
sono leggermente curvate all’indietro, ho poderosi muscoli sulla schiena e sul
petto, una cassa toracica ampia e carenata. Le mie ossa sono leggere, porose,
come quelle degli uccelli, e ho sacche d’aria lungo i fianchi.
Al posto delle braccia, ho un
paio d’ali coperte di piume bianche.
Lo so, un falco pellegrino è
tutt’altro che bianco, ma purtroppo temo di essere un esperimento totalmente
fallito.
Jeb mi chiama Sarah, gli
altri mi chiamano “Esperimento 1.0” o “Prototipo”.
Sono il primo ricombinante
sopravvissuto abbastanza da crescere. Sono servita a sviluppare esperimenti
successivi. E no.. non sono perfetta.
Sono albina. E sono cieca. So
cos’è il mondo attorno a me grazie alle menti che mi circondano, ma se fossi
sola non sarei in grado di distinguere altro che ombre. Purtroppo è un problema
ricorrente anche negli esperimenti successivi.
Iggy, uno dei nuovi
esperimenti che sono seguiti al mio, è cieco come me.
Oggi, sono rimasta sola. Jeb
ha portato fuori, nel mondo, gli altri sei ragazzi.
Loro hanno le braccia e
possono ritrarre le ali e farle scomparire. Possono passare inosservati.
Io no.
Sono una Nike di Samotracia
spezzata e inutile, che vive in una scatola di vetro o in una gabbia per cani
che non spiegherà mai le proprie ali. Sono l’esperimento fallito, il prototipo
da sezionare per comprendere gli errori e modificare gli equilibri.
Max, Fang, Iggy, Nudge,
Gassman e Angel sono là fuori. Loro chiamano questo posto “La Scuola”. Io
preferisco non chiamarlo affatto.
Qui sono rimasta solo io.
Nessuno si è mai chiesto se anch’io avrei potuto volare, con queste mie ali
bianche e avorio. Qualcuno si chiede se non sia il caso di ritirarmi e fare
spazio, qualcun altro immagina di studiare il mio cervello.
Io prego e spero che si
dimentichino di me. Non voglio morire.
Non così.
Ci sono altri esperimenti in
corso, ma purtroppo nessuno sembra destinato a sopravvivere a lungo. Oltre agli
alati, ci sono gli Eliminatori. Ibridi d’uomo e di lupo. Tendono a diventare violenti,
col tempo, e vivono poco… cinque o sei anni, non di più. È difficile
distinguerli dagli umani, finchè non prendono la loro forma completa.
E lo fanno a piacimento.
Sono venuti spesso ad
annusarmi, negli ultimi tempi.
Immagino che lo Stormo abbia
un odore simile al mio e li stiano addestrando alla caccia.
Mi fanno paura…
* * *
C’è un bimbo biondo, seduto
accanto alla mia scatola di cristallo con i buchi per respirare.
So chi è. E so anche perché
piange.
È Ari, il figlio di Jeb. Jeb
se n’è andato e non c’è più nessuno a prendersi cura di lui. Di me.
Non gli ha mai prestato molta
attenzione, come del resto ne ha prestata poca a me, dopo il successo insperato
dello Stormo. Sono cresciuta più in fretta di Max, significa che probabilmente
invecchierò anche più in fretta. Non quanto gli ibridi Uomo-Lupo, ma… non credo
molto di più. La percentuale di geni aviari nel mio DNA è troppo alta e ha
infranto l’equilibrio del mio corpo. Il mio cuore è debole. Non sosterrebbe il
ritmo del volo, non all’altitudine che può raggiungere Max, non alla sua
velocità, non per tutto quel tempo.
I Camici Bianchi mi guardano
e scuotono la testa. Mandano gli Eliminatori a guardarmi, ad annusarmi. A volte
mi lasciano uscire dalla gabbia per
qualche test, soprattutto sulle mie capacità telepatiche. Pensano di usarmi per
coordinare futuri stormi, ma si sbagliano. Ho il potere di toccare una sola
mente per volta.
Anche Ari mi guarda, con
quegli occhi scuri, sgranati. Ha tre anni, ma ha già capito tutta la brutalità
del mondo in cui è cresciuto finora. A volte, quando mi lasciano all’esterno
per un po’, per sgranchirmi le gambe, mi siedo a terra e lascio che mi si
arrampichi in grembo, che si stringa a me. A differenza di altri esperimenti o
prototipi, mi hanno concesso dei vestiti, anche se quasi sempre sono abiti
leggeri stile impero, gli unici che possa indossare perché non hanno maniche.
Ari apprezza la morbidezza del tessuto, e la carezza delle mie ali bianche.
Il dolore degli altri
esperimenti falliti a volte è troppo nebuloso per esser percepito, ma quello
del piccolo è forte, netto.
Mi spezza il cuore e tutto
quello che vorrei adesso sarebbe lenirlo. Posso accarezzarlo con le ali, e con
i piedi, che mi hanno spinta ad usare al posto delle mani che la mia “natura”
–loro, maledetti i loro giochi! – mi ha negato. Ma non posso rendergli un padre
che non prova nulla per lui.
Ari sente la mancanza di Max.
E’ sua sorella, ma nessuno dei due lo sa. Jeb cela bene i suoi segreti, ma… io
vedo oltre le maschere e le finzioni. Vuol bene a lei, ma Ari è soltanto un
errore.
E questo Ari lo sa.
* * *
Ari è sparito. Non lo vedo da
giorni.
Nessuno di coloro che si
occupa di me sa nulla. Comincio ad essere nervosa.
Mi hanno fornito una stanza,
invece della solita gabbia, e non so se esserne felice o temere il peggio. Non
è nulla di speciale, tutto grigio e bianco, ma posso distendere le ali per
tutta la loro lunghezza, finalmente, e posso dormire su un letto, sdraiata,
come un essere umano, invece di acciambellarmi in un angolo di una gabbia
gelida, come un cane.
C’è un altro letto oltre al
mio. Cercheranno di mettermi in contatto con qualcuno?
Non lo so.
Sarà sicuramente soltanto un
altro test.
* * *
Ari… oh, Ari…
Cosa ti hanno fatto?
Ecco chi occuperà l’altro
letto. Questa mattina, quattro Camici Bianchi hanno portato nella mia stanza
una creatura che ho stentato davvero a riconoscere, attraverso i loro occhi.
Ari.
Dimostra otto, nove anni,
adesso. Dorme, non si è ancora svegliato, ma la sofferenza che strazia il suo
piccolo corpo infrange anche il sonno drogato causato da una massiccia dose di
sedativi. Riesco a sentirla, come riesco a vedere la smorfia che gli contrae le
labbra.
Mi siedo accanto a lui. Vorrei abbracciarlo, stringerlo per dargli
conforto, per fargli avvertire la mia presenza, ma posso soltanto coprirlo con
le mie piume bianche, premendo il mio corpo contro il suo. Istintivamente, nel
sonno, sembra riconoscere il contatto di un tempo, e mi posa la testa in
grembo, circondandomi i fianchi con le braccia troppo muscolose per un bambino
della sua età.
Ari…
Vorrei piangere, come non
avevo mai desiderato fare prima, ma scopro una nuova beffa. La mia bizzarria
genetica mi ha tolto anche lo sfogo delle lacrime.
* * *
Ari continua a crescere. I
suoi capelli si sono fatti più scuri, sfiorano le spalle ampie e nodose di un
quattordicenne dalla muscolatura compatta e formata. Eppure, c’è qualcosa che
non va. Il suo viso si è fatto spigoloso, le labbra si stirano in una piega
innaturale su canini troppo lunghi.
Comincio a capire, a mettere
assieme i frammenti di chi si occupa di noi. L’hanno trasformato in un
Eliminatore. Non avevo mai visto fare una cosa del genere ad un individuo che
non fosse un embrione. Un nuovo esperimento, senza dubbio.
Si è svegliato da poco. E’
spaventato, sente dolore. La sua mente è confusa, rallentata dai sedativi, che
non bastano in ogni caso ad attenuare la sofferenza delle ossa e dei muscoli
che cambiano.
Normalmente gli Eliminatori
sono del tutto umani, se non mutano.
Ari… anche ora… ha qualcosa
di animalesco.
Non riesco a comprendere cosa
stia accadendo alla sua mente. I pensieri di un bambino di tre anni sono
semplici, ma i suoi si fanno di ora in ora più complessi, in qualche modo più
dolorosi. Dove un tempo trovavo la speranza che Jeb tornasse, ora trovo
soltanto il senso d’abbandono.
Mi hanno fatto molte domande
su ciò che prova Ari.
Capisco perché ci hanno messi
insieme nella stessa stanza. Vogliono che spii i cambiamenti dentro di lui.
Come faccio a spiegare loro
che dove c’era un bambino felice, ora c’è un adolescente che è un nodo di
dolore e frustrazione?
Non parla ancora. Non ha
parole per esprimere ciò che sente. Eppure, sento in lui il desiderio pressante
di comunicare, di dare forma al dolore, per poterlo affrontare.
-Ari…-
Lo sento sussultare alle mie
parole. Mi stringe ancora i fianchi, nascondendo il viso contro il mio grembo.
Solleva verso di me gli occhi scuri, quasi imploranti.
Fa male… fallo smettere…ti prego…
Ari non ha parole.. ma
pensieri molto netti, questo è certo. E io posso soltanto accarezzargli la
schiena nuda e sussultante per gli spasmi muscolari con le ali, cercando di
aiutarlo a rilassarsi almeno un poco.
Bello…
* * *
Ari ha smesso di crescere. Ha
il corpo di un giovane uomo di vent’anni. Sono passati tre mesi da quando è
cambiato. E’ silenzioso, seduto sul letto a fissare il muro grigio. Il dolore
si è smorzato, ma si fa lancinante quando tenta di imitare i suoi simili,
mutando nella forma da combattimento. Anche in quelle sembianze è diverso. Mai
del tutto umano, mai del tutto lupo.
Adesso, quando mi abbraccia
per cercare calore, rischia di spezzarmi le ossa, eppure si sforza di essere
delicato. Piange, a volte, quando torna dagli allenamenti. Non sono teneri con
lui.
Eppure, dentro è solo un
bambino.
* * *
Ci hanno trasferiti. Dalla
Death Valley a New York. Mi hanno chiusa in una cassa di legno come un animale.
Il panorama non è cambiato.
Luci azzurre, odore di disinfettante. Mi hanno messa in gabbia. Il mio compito
è finito e sono tornata l’Esperimento Fallito 1.0.
Non vedo più tanto spesso
Ari. È in missione per ritrovare e
catturare Max. Ha preso una brutta batosta l’ultima volta. È stato ferito.
Ho sentito per la prima volta
qualcosa di diverso in lui.
Rabbia. Furia cieca. Desidera
annientare Max con tutto sé stesso. Non è difficile capire perché… a volte mi
sento esattamente nello stesso modo nei confronti dello Stormo.
Noi siamo gli esperimenti mal
riusciti, raffazzonati. Lui, il primo Eliminatore creato da un bambino
interamente umano, io il primo ibrido avio-umano.
Ari non vivrà più degli
altri. Io non sopravviverei ad un volo in alta quota.
Jeb è tornato. Con lui sono
tornate un po’ d’attenzioni per me e qualche ora d’aria.
* * *
Sto correndo nelle fogne. Le
mie gambe sono deboli per la forzata immobilità di tanti anni.
Lo Stormo è penetrato
nell’Istituto, in cerca di informazioni, e ha liberato tutti noi Esperimenti.
Max non mi ha riconosciuta. Non credo mi abbia nemmeno vista. Non importa. Non
voglio vederla, non voglio parlarle. Non ha bisogno di me. Non ha bisogno di
una Nike di Samotracia.
Sono io che ho bisogno di
Ari. È per questo che li seguo, dai sotterranei ai condotti di smaltimento.
Li vedo combattere, là, in
fondo al tunnel, dagli occhi del mio lupo. I colpi di Max sono violenti. Fanno
male. Ari colpisce per ferire, con rabbia, con soddisfazione. Max colpisce per
vincere.
Lo schiocco delle vertebre di
un collo che si spezza. Max ha vinto, e il corpo di Ari si affloscia a terra,
infranto.
Lo Stormo fugge nei tunnel.
Io… io non posso.
Ari.
Ari.
Mi trovano china su di lui, i
camici bianchi, troppo sconvolta per parlare.
Ari.
Tutto quello che ho avuto, in
questi anni. Il suo calore, il suo bisogno di me. I suoi rari sorrisi, il suo
dolore. I suoi pensieri, colmi di una passione che io, creatura da gabbia, da
acquario, non potrò mai provare.
Ari.
Metà del mio cuore.
Ignoro le mie ali che
ricandono flosce, fradice della lordura delle fogne. Ignoro Jeb, chino sul
corpo del figlio, mentre sento la paura del mio lupo pervadermi l’anima come
fosse mia. La rabbia, la passione di un giovane uomo, assieme all’innocenza e
al terrore devastante di un bambino.
Vorrei piangere, ma posso
soltanto urlare. Le mie grida riempiono di echi il tunnel, finchè due Camici
Bianchi non mi afferrano per le spalle e i fianchi, tirandomi in piedi. Si
rendono immediatamente conto che non ho nessuna intenzione di scappare. Senza
Ari, niente ha senso. Lo portano via su una barella, di corsa, come se ancora
potessero fare qualcosa per salvarlo.
Uno degli scienziati mi guida
verso il laboratorio. Ha poca dimestichezza con creature delicate, la sua presa
sulla spalla fa male, le ossa leggere scricchiolano. Lo fisso, con tutta la
disperazione che non riesce a sgorgare da me in altro modo che con un impeto
autentico di furia. E per una volta, non sono io a ricevere pensieri.
LASCIAMI
Il Camice Bianco allenta la
stretta. Si limita a sostenermi quando scivolo sul liquame delle fogne.
Angel ha un potere simile, ma
è piccola e ingenua. E soprattutto, non gronda dolore.
Ari.
Vengo accompagnata in una
stanza piastrellata di bianco. Qualcuno mi lava con una canna di plastica
flessibile e del disinfettante e gentilmente mi fornisce un altro abito pulito.
Meccanicamente, prendo
possesso delle loro menti, silenziosamente. Ogni volta, scopro quanto sia
semplice spingere questi cervelli a compiere ciò che mi serve.
Se non posso vivere nel mondo
esterno, farò in modo che questo mondo diventi mio.
I miei occhi, le mie braccia.
Quanto basta perché non mi sia fatto del male.
Ma adesso, voglio soltanto
vedere Ari.
* * *
Non è stato difficile
ottenere un’altra stanza. Se posso evitarlo, non dormirò in una gabbia per
cani.
Ari è in una sala operatoria,
adesso. Non so cosa vogliano fargli. Avevano in mente altro oltre la
riparazione delle vertebre cervicali.
Sono venuti a misurare le mie
ali e se ne sono andati scrollando la testa.
Ari.
* * *
Hanno gettato Ari in una
gabbia per cani.
E no, non lo lascerò solo,
per quanto apprezzi il letto morbido e la moquette grigia sotto i piedi. Non adesso
che Jeb sembra più interessato a seguire gli spostamenti dello Stormo che a
stare accanto a suo figlio.
Mi hanno accompagnata da lui.
Quando prendo possesso delle loro menti, i Camici Bianchi prendono uno sguardo
vacuo, smorto.
Ari.
Non posso crederci.
Avanzo nella gabbia, che mi
viene chiusa alle spalle con uno scatto metallico.
È lì, sotto una coperta di
lana marrone, che non basta a coprirlo del tutto. Trema, di freddo, di
debolezza, le mani serrate sul tessuto a sfogare il dolore che mi martella nella
testa come fosse mio. Le sue mani, ridotte ad artigli, nervose, crudeli.
Apre gli occhi appannati
dalla sofferenza. Mi guarda, e mi ritrovo a guardarmi con i suoi stessi occhi
ora giallastri, come quelli di un lupo. Sento le lacrime sul suo viso.
Fa male… ti prego… fallo smettere…
-Vorrei poterlo fare…-
Tanto freddo…
Mi siedo accanto a lui, come
tante volte in passato, e di nuovo, come quando non era che un cucciolo umano
di pochi anni di vita, mi posa la testa in grembo.
-Max…mi ha ucciso…-bisbiglia
– Mi ha fatto male… tanto.
La mia voce è un caldo
mormorio. Di solito non la uso, è più facile e diretto sfiorare la mente di
qualcuno, eppure sento che Ari ha bisogno di sentirsi ancora umano tra gli
umani. Di nuovo, vorrei avere braccia per stringerlo al seno. Le sue lacrime
sono roventi, nell’incavo tra il collo e la spalla dove ha affondato il viso
ora. Le sue braccia mi stringono, premendo il suo corpo riforgiato in quella
forma innaturale contro il mio. Istintivamente, sfioro la sua schiena ampia con
le piume e sussulto, sentendolo soffocare un grido di dolore contro la mia
pelle.
-Fa male, Sarah… tanto…-
Ali. Ali nere. Sono ancora
visibili le suture che le uniscono alla sua schiena. Giacciono sotto la
coperta, semiaperte, flosce, come paralizzate. Riesco a scorgere lo spazio in
cui potrebbe ritrarle, ma forse ancora non può farlo, o più probabilmente gli
causerebbe troppo dolore.
-Scusami…non… non lo
sapevo..-
Lo sento sorridere, tra i
singhiozzi.
-Adesso… posso volare come
Max… come te…-
No Ari… io non posso seguirti
in cielo. Ma non te lo dirò, piccolo mio, mio cuore, mia ragione di vita. Posso
solo restare così, a donarti il mio calore, la morbidezza del mio corpo, la
vicinanza e la carezza delle mie ali.
Non sei solo, Ari.
* * *
I mostri amano? Non lo so.
Anagraficamente, non ho più
di quattordici anni. Ma il mio corpo è ormai quello di una donna adulta, e i
miei pensieri e le mie esperienze non sono quelle di una bambina. Nemmeno Ari
lo è più. Se fosse un lupo completo, sarebbe un maschio nel fiore degli anni.
Eppure non lo è. Ha la passione di un giovane uomo, ma la fragilità di un
bambino di sette anni. I suoi stessi sentimenti lo feriscono, e il suo amore
per Max è più un desiderio di attenzioni che un vero e proprio desiderio.
E un bambino, quando
desidera, è sempre crudele. Odia e ama, Ari, con un intensità e una complessità
che non riesce a gestire.
È un nodo di dolore,
solitudine, orrore per sé stesso, gelosia e rabbia verso ciò che gli è stato
fatto.
Per non parlare del dolore
fisico.
Ero con lui, oggi, quando ha
spiegato le ali per alzarsi in volo, come ero con lui la prima volta che nel
giardino della Scuola si è sollevato nel cielo, faticosamente.
Come tutte le sere, nella
gabbia, Ari si toglie il giubbotto di cuoio perché con i miei piccoli piedi
possa massaggiargli le spalle, là dove continua a fargli male, dove le ali
impiantate gli ricordano costantemente di non essere nato per volare. Non ho
mani neppure per questo.
Siamo strani, orrendi,
insieme. Innaturali incroci di uomini e animali, curiosi ibridi di adulti e
infanti. Nel mondo, provocheremmo disgusto, forse pietà. Leggo negli occhi di
Ari cosa il mondo pensa di lui, lo leggo nelle ferite sanguinanti che a morsi
si infligge per arginare con il dolore fisico quello mille volte più forte
dell’anima.
Dormiamo abbracciati, in
questa gabbia per cani, soffocando la sofferenza l’uno nel cuore dell’altra.
-Sarah…almeno tu.. mi vuoi
bene? –
-Sì, Ari. Qui con me…sei
sempre al sicuro.-
-Fa meno male, se ci sei tu.-
* * *
Oggi Ari è felice, anche se l’attacco contro lo Stormo è andato male. È stato a Disneyworld. I suoi occhi brillano, mentre mi racconta che un ragazzino l’ha scambiato per un personaggio dei fumetti e l’ha guardato con ammirazione. Gli premo le labbra sulla fronte, con affetto, con dolcezza. So quanto si senta orrendo.
Ma per me resta sempre
bellissimo. Era tanto felice che ha voluto cercare di rendere felice anche me.
Mi ha presa tra le braccia e
mi ha portata fuori, nel cortile. Ormai sa che nessuno mi ferma mai. Una
ragazza innamorata allaccerebbe le braccia attorno al collo del proprio
cavaliere, ma io non ho braccia per farlo, e mi fido delle grandi mani di Ari,
che ormai bastano quasi a circondarmi la vita.
Lo vedo stringere i denti,
nel dolore delle ali dispiegate. Si leva faticosamente, nel cielo, goffo, ma
abbastanza potente da portare entrambi tra le nuvole.
Il mio cuore accelera
pericolosamente per l’emozione, quando con gli occhi di Ari guardo giù,
nell’ebbrezza del vento sulle guance, della velocità.
Grazie, piccolo mio.
* * *
Non vedo Ari da giorni.
Sta di nuovo seguendo Max. E
il clone di Max.
E io sono qui, in una gabbia,
da sola. E penso che Ari non vivrà ancora a lungo. Il suo termine non è
lontano.
E penso che non resterò da
sola.
E penso che vorrei volare per
sempre, anche se il mio cuore non basta.
* * *
E’ l’inizio della fine. Stanno “ritirando” gli Eliminatori. Decretati esperimento fallito. E poco a poco, stanno ponendo fine alla vita di noi ibridi. Ovunque sento giungere grida di morte, sento le menti spegnersi, lasciate a morire o stroncate con violenza. Ciò che l’istituto ha messo in moto sta giungendo al suo culmine, anche se le informazioni di chi si occupa di noi sono troppo vaghe perché possa estrapolare qualcosa di utile.
Ma in fondo, non me ne
importa nulla. È Max che deve salvare il mondo… non io.
Io voglio soltanto morire di
mia scelta, nel modo che voglio.
Ari l’ha capito. Del resto,
anche la sua ora non è lontana. Ha un marchio sulla nuca, comparso da qualche
giorno. La sua data…di scadenza. Ciò significa che tra pochi giorni morirà
comunque.
-Sarah… ho paura.-
-Anche io, Ari…- la mia voce
trema. –Ho paura di vivere senza di te. E ho paura di morire macellata come gli
altri..-
- Sarah… vuoi… volare ancora?
Un’ultima volta?-
-Sono io la prossima? È per
questo che me lo chiedi? È a te che l’hanno ordinato?-
Lo vedo annuire e distogliere
il suo viso spigoloso, animalesco, che per me è sempre bellissimo, bagnato di
lacrime. Sa che non riuscirò a fermarli, questa volta. Sono troppo esaltati, e
hanno imparato a farmi maneggiare dagli Eliminatori artificiali su cui non ho
alcun potere. E sanno che non forzerei mai la mente di Ari. Ma non voglio morire come una farfalla
trafitta in una teca.
Portami tra le nuvole, Ari.
Portami nel blu.
* * *
In volo, tra le sue braccia, nel silenzio della mente. Non servono parole, tra noi. Non sono mai servite. Basta il contatto, caldo, familiare, delle sue braccia, quello spinoso e dolente della sua mente gonfia di tristezza. Basta il flusso costante dei miei pensieri e dei suoi, a dirci cosa siamo stati l’uno per l’altra in questi anni di prigionia, mostruosa e predestinata.
-Qui va bene,
Sarah?-sussurra, la voce rotta dai singhiozzi.-
- Lasciami andare..Ari.. e
vola con me, fino alla fine. Sii i miei occhi, dopo essere stato per tanto
tempo la mia anima…-
Premo le labbra sulle sue,
ignorando le zanne di lupo, in quel bacio rimasto inespresso. Puro. Casto.
Le sue braccia si aprono, e
le mie ali per la prima volta catturano il vento, nell’istinto del falco
pellegrino.
Io, viaggiatrice prigioniera,
dispiego le mie piume bianche, cavalcando le correnti.
Ari è con me, il battito
costante delle sue ali, in questo primo, ultimo viaggio.
Mi fa male il petto.
E’ il mio cuore che cede,
finalmente?
O sono soltanto le lacrime
che non posso piangere?
Fa male, Ari.
Non riesco più a respirare.
Resta con me.
Alla fine, noi siamo liberi.
Non piangere…continua a
volare.. per entrambi.
* * *
Fine
NOTA:
Avrei tanto voluto salvare
Ari, in questa fan fiction. Dargli un po’ di felicità. Ma purtroppo è più forte
di me, non riesco a modificare le storie così tanto. Il destino di Ari è
segnato, e così quello di Sarah. Chiedo perdono per eventuali incongruenze
temporali che mi possono essere sfuggite, purtroppo non mi è stato possibile
controllare in tempi recenti l’esatta scansione delle sequenze.
Grazie per essere giunti a
leggere fino a qui.