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Autore: MedOrMad    11/05/2014    13 recensioni
Med ha 24 anni e non ne fa una giusta. Porta avanti una relazione di sesso con un soggetto di discutibile fascino, è 2 anni fuori corso ad una facoltà che non ha intenzione di terminare, è sovrappeso ed è pure stronza. O forse è solo socialmente inadeguata.
Ma più di tutto è persa: nella collana di errori che l’hanno portata a questo punto, ha dimenticato chi voleva essere.
Con Med ci sono Bet e Jules, le persone che di lei sanno tutto. Un trio improbabile, con l’eleganza oratoria di un gruppo di scaricatori di porto, che passa la metà del tempo a prendersi in giro e parlare di sesso. L’altra metà del tempo, però, si completano a vicenda.
All’apice della stronzaggine di Med, arriva lui: un po’ arrogante, impiccione e con un’ossessione - a quanto pare - per il grosso culo di lei.
Una storia di affetti, ridicoli avvenimenti, sesso e parolacce: perché a 24 anni la vita è anche quello.
E anche le ciccione, stronze e infelici fanno sesso. A volte.
Dal Testo:
“Che...che...che cosa vuol dire?” balbetto inebetita.
“Vuol dire che da oggi io e te avremo tantissimo tempo per fare l’amore in ogni stanza della casa.” mi risponde lui, facendomi l’occhiolino.
Questo mi manda ancor più fuori di testa.
“Tu sei tutto scemo! Io starò con la Amish che non si lava, non con uno la cui priorità è il proprio pisello!”
Lui mi fissa smarrito e, suppongo, anche un po' divertito.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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A twist in the night


A Twist in the night

AN: Previously on TuttoTondo

Med, Bet e Jules, in un poco professionale On Th Road, hanno raggiunto la meta del week-end fuori porta precedentemente organizzato, in attesa di essere raggiunte da J, Roby, Leo e Alex il giorno successivo. Nelle atmosfere di collina Jules confessa di aver interrotto la sua relazione con Cucciolo.
All'arrivo dei ragazzi Med viene a sapere che Alex è stato messo al corrente della sua cotta passata per Leo e il simpatico americano, noto per il suo carattere un pelo possessivo e da maschio Alfa, di fatto si incazza come un biscio. Geloso si confronta con Med e, dopo una sana pomiciata di montagna, definisce la loro relazione come esclusiva.





Awkward
. In inglese è possibilmente la mia parola preferita. Si scrive con un sacco di lettere che una accanto all’altra sembrano fare a pugni e si pronuncia in modo completamente diverso:ˈɔːkwəd.  Okuord, praticamente. Awkward. Cosa significa? Significa un sacco di cose in italiano: imbarazzato, goffo, problematico, scomodo, complicato e via dicendo.
Insomma, strano. Impacciato. A disagio.
Alex non è mai impacciato. Tranne oggi.

Oggi è chiaramente fuori dal suo mondo: sorride quasi a comando e, di ora in ora, sembra aver assunto una posizione più tesa. I suoi occhi si muovono un po’ assenti, cercando di seguire le conversazioni che si susseguono.

Awkward da morire.
La cosa ha dell’incredibile, visto che ho sempre pensato che Alex fosse naturalmente a suo agio con la gente. Almeno, lo è stato ogni volta che l’ho visto incontrare qualcuno di nuovo.
Sono passate più di ventiquattro ore da quando i ragazzi ci hanno raggiunto e, se all’inizio il mio coinquilino sembrava integrarsi abbastanza, da un po’ si è fatto silenzioso e ha assunto un’aria tesa.

Il primo segno di imbarazzo si è palesato a colazione quando - tazza di caffè in mano - si è avvicinato al tavolo un paio di volte, muovendo lo sguardo su di noi alla ricerca di un posto dove sedersi: supponendo che la posizione naturale sarebbe stata accanto a me, questa possibilità è stata scartata all’istante, essendo io seduta tra Roby e Leo.
Fingerò di non aver gongolato quando gli occhi di Alex si sono inchiodati sulla testa di Leo qualche secondo di troppo e hanno mentalmente inviato saette d'ira.

Ah, ‘sticazzi: ho gongolato eccome.

Alex, preso atto del fatto che il suo regal sederino non poteva posarsi sulla seggiola vicino alla mia, ha fatto dietrofront in modo impacciato, tornando in prossimità dei fornelli e cercando di mascherare il suo dilemma.
Pochi secondi più tardi è tornato alla carica, apparentemente armato di un coraggio che si è polverizzato dopo pochi passi: ho visto il suo viso rattristarsi mentre sospirava sconfitto, appena prima di appoggiarsi allo sportello del frigorifero e rassegnarsi a fare colazione lì.

Awkword, assolutamente.

Il secondo momento di dubbio è giunto quando Bet e Jules lo hanno scacciato dal divano su cui eravamo seduti, ordinandogli di andare a giocare coi maschietti perché “le donne dovevano parlare male di lui”.

Jules l’ha sollevato per un braccio come se pesasse quattro chili e l’ha gentilmente accompagnato sotto il portico, dove i ragazzi si stavano sfidando a briscola: si è subito scoperto che l’americano a briscola non sapeva giocare e l’ho osservato dalla finestra starsene seduto una decina di minuti con gli occhi grandi e l’aria disorientata.

L’ennesimo sospiro e il suo prolungato silenzio hanno confermato i miei sospetti.

La cosa strana è che non mi ha cercato: non ha tentato di isolarsi dagli altri e appartarsi con me. È rimasto sempre nel gruppo, ascoltando e osservando.

A cena i suoi tentativi di mostrarsi a suo agio sono lentamente diminuiti: piano piano i sorrisi di circostanza sono diventati rari e ha smesso di cercare di capire pezzi di conversazioni su fatti che non conosceva o di intervenire e si è accomodato in un tranquillo mutismo.

Awkward, appunto, conoscendo Alex.

Non è che sono una stronza cronica: l’ho soccorso in più di un’occasione, cercando di dargli attenzione ma, fino ad ora, lui ha preferito fare il fico e respingere le mie premure.

Ho capito che aveva smesso di fingersi a suo agio quando ha finalmente abbassato la facciata e ha cercato la mia mano: una lieve pressione per farmi avvicinare a lui e le sue labbra sulla mia tempia.

“Come va?” gli ho sussurrato piano spostando l’attenzione su di lui.
“Mi sento un pesce fuor d’acqua…” ha ammesso ridacchiando sui miei capelli e lasciando che mi appoggiassi alla sua spalla.
“Mi chiedevo giusto quando ti saresti deciso ad ammetterlo.”
“Lo sospettavo,” ha brontolato pizzicandomi un fianco, “ma non volevo darti la soddisfazione.”
“Quindi hai preferito soffrire in silenzio?”
Non ha risposto alla domanda, ma l’ho sentito sbuffare piano, borbottando qualcosa che suonava come “I don’t wanna be socially awkward like you.
“A stare con lo zoppo si impara a zoppicare…” ho sogghignato allontanandomi da lui senza aspettare risposta.

Non so bene se il nostro scambio di battute abbia aiutato, ma da quel momento mi è parso più rilassato: ancora a disagio e poco incline a contribuire alle conversazioni, ma indubbiamente più sollevato.

Prima di andare a letto c’è stato l’ultimo piccolo attimo di stranezza che ho potuto osservare solo da lontano. Okay, non è vero: avrei potuto avvicinarmi ad origliare, ma non ero sicura di voler sentire.

Rientrando dal portico l’ho visto in cucina, appoggiato al bancone con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo basso che si muoveva lentamente dal pavimento al volto di Leo.
Non potevo vedere il viso del mio amico perché mi dava le spalle, ma quello di Alex era sufficiente per lasciarmi intuire che non fosse una conversazione divertente.

Il capo del mio coinquilino è rimasto chino quasi immobile tutto il tempo: l’unica cosa che si muoveva erano i suoi occhi, fastidiosamente intensi e concentrati sulle parole di Leo.
Quando sollevava lo sguardo per scrutarlo da sotto le ciglia, ammetto che le mie zone private trovavano quell’espressione lievemente pericolosa e, di conseguenza, iniziavano a cantare cori Gospel per comunicarmi il loro apprezzamento, ma la curiosità era molto più forte.
Alex ha annuito poche volte, un solo sospiro e poi l’ho visto allungare un palmo verso il mio amico: si sono stretti la mano come se avessero appena concluso un affare e un angolo della bocca dell’americano si è mosso verso l’alto nell’istante in cui Leo ha gesticolato nell’universale movimento del “Ti tengo d’occhio.”.

È in quel momento che Alex si è accorto di me e, fingendo indifferenza, prima mi ha sorriso, poi ha indicato il corridoio con un lieve cenno.
Ora, a distanza di una mezz’ora, mi sto dirigendo verso la camera che divido con Alex combattuta tra la curiosità di sapere cosa si sono detti e la voglia di limonare tutta notte e basta.
In fondo non approfitto di lui da un’intera giornata, visto che non mi pare troppo educato esplorare le tonsille di Alex quando i miei amici stanno seduti attorno a noi a parlare della nostra gioventù.

Entro in camera legandomi i capelli in una coda distratta e, per un secondo, sento il respiro incagliarsi nella gola.
Alex è già nel letto, seduto con la schiena appoggiata al capoletto e le gambe distese, leggermente coperte dal lenzuolo; ha addosso un paio di boxer e una maglietta di cotone grigia che gli avvolge in modo piuttosto piacevole le spalle.

La nuca appoggiata pesantemente contro il bordo della testata e un libro dalla copertina rigida tra le mani, mentre gli occhi scorrono sulle parole delle pagine: i capelli disordinati e un po’ troppo lunghi cominciano ad arricciarsi sulle estremità e ricadono leggermente sulla sua fronte, mostrando la loro vera natura.
Alex è riccio. Cioè, forse non proprio riccio, ma c'è un'onda mossa nei suoi capelli di cui io ignoravo l'esistenza. Non me ne ero resa conto fino ad ora. Non mi ero accorta che in questi mesi in cui si è insinuato nella mia vita i suoi capelli si erano allungati tanto e, ogni volta che ho passato le dita tra quelle ciocche, ho probabilmente contribuito a rompere quei riccioli appena accennati.

Non so decidere se lo preferisco con i capelli più corti o meno, ma so ammettere che il particolare successivo mi strapperebbe un sospiro se non mi stessi controllando: gli occhiali. Porta gli occhiali quando legge.

Siamo onesti: gli occhiali su un uomo che legge hanno un non so che di film porno, di intellettuale sensuale e sensibile, di erotico.
Sì, sono consapevole del fatto che ultimamente i miei pensieri hanno la tendenza a trasformare Alex in un oggetto del sesso, ma sfido chiunque a non trovare sexy Alex a letto, con un libro in mano, il viso rilassato, le difese abbassate e degli occhiali birichini che gli fanno brillare gli occhi.

A me fa un effetto “fuochi d’artificio nelle tube di Falloppio”.
E più lo guardo, più fa caldo.
Insomma, non è bello in senso stretto, ma toglie il fiato. Almeno, lo toglie a me.

"Med, ti vieto categoricamente di indossare di nuovo quella roba nel mio letto." la sua voce mi risveglia dal mio temporaneo stato di calore e mi sorprendo nello scoprire che i suoi occhi non si sono spostati dalle pagine su cui ancora si muovono piano.
"Tecnicamente è il letto di Bet, quindi non hai alcun potere." rispondo avvicinandomi e sollevando la coperta per sdraiarmi accanto a lui, cercando di mascherare tutto quello che mi ha attraversato mentre lo spiavo poco fa.

Alex lascia cadere il libro sulla sua pancia e si sfila gli occhiali, fissandomi.

"Non sapevo portassi gli occhiali..." dico una volta preso possesso della mia metà del letto, ma mi astengo dal fargli sapere quanto bene gli stiano.
Non parla quando mi rotolo ripetutamente per trovare una posizione confortevole. Rimane seduto e immobile a osservarmi; poi, quando intuisce che ho finito di agitarmi come un'anguilla obesa, mi scopre e ordina:

"Scintilla, togliti quel pigiama."

"Non farò le cose zozze con te mentre i miei amici dormono con le porte aperte."
"In realtà l'idea ora mi stimola ancora di più," sorride chinandosi per schioccare un bacio sulle mie labbra, "vorrei verificare se è vero che dormi senza mutande."
Oh, avanti! Il suo testosterone è sicuramente invitante, ma io sono una rompipalle e voglio chiacchierare. Voglio sapere di più e voglio che lui sia curioso di scoprire me, di notare l'effetto degli eventi recenti su di me. Il mio fallimento è stata la cosa più potente degli ultimi anni e, poco a poco, cresce il mio desiderio di mostrare a me stessa chi sono.

"Aleman, mettiti a cuccia: l'aria di montagna mi ha stimolato per un do ut des."
Lui si lascia cadere contro il suo cuscino sbuffando e borbotta: "Way to kill the mood."
“Che è successo, Alex?”

Gli angoli delle sue labbra si increspano lievemente verso l’alto in un sorriso appena abbozzato mentre inforca nuovamente gli occhiali e porta lo sguardo sul libro che ha in grembo. Passa qualche secondo in silenzio, lisciando il bordo di una pagina tra l’indice e il pollice e tenendo gli occhi fissi sulle prime righe del foglio.
Decisa a scoprire cosa frulli nella sua testa biondiccia, mi sposto finché non sono a cavalcioni sulle sue ginocchia, coprendo le parole che attirano la sua attenzione con il palmo della mano e scrutando li sue iridi dietro le lenti.
Ora, facciamo una piccola pausa. Nelle ultime ore ho scoperto due cose davvero sensuali: le caviglie dei maschi - o meglio, le caviglie di Alex in jeans senza scarpe e calze - e Alex con gli occhiali. Non è che in genere abbia l’aria da imbecille, ma la montatura scura che ricalca le sue sopracciglia chiare e le lenti trasparenti sembrano delineare ancora di più i suoi occhi e, sui suoi lineamenti in genere divertiti, conferiscono un’aria seria e riflessiva.
“Aleman? Mi dici che è successo?”

Sospira, trattenendo l’ossigeno qualche secondo e poi soffiando con tanta forza, al punto da far oscillare una ciocca dei miei capelli.

“Stai osservando troppo in queste ore…”
“Rispondi, Alex.”
“Prima quando?”
“Lo sai. Prima, quando eri in cucina con Leo. Mi dici cosa è successo? Do ut des.”

Sì, sono una stronza e sfrutto tutto quello che posso a mio vantaggio. Denunciatemi. Brucerò all’inferno?

Cerca di nascondere un sorrisino compiaciuto, mantenendo la testa china e fingendo di ignorarmi.
“Alex, non puoi non rispondere al Do ut des.”
“Posso eccome.”
“Se non me lo dici, non te la darò più.”

“Ancora con i tuoi inutili e poco credibili ricatti.” ribatte allungando le dita sul mio collo e seguendole con lo sguardo.
Il suo viso è sereno, molto di più di quanto lo sia stato tutto il giorno e la cosa mi provoca un pizzicore in prossimità dell’ombelico: non mi ero accorta di quanto mi dispiacesse vederlo teso e di quanto, al contrario, mi rincuori che sia rilassato ora.

Però mi dispiace sapere che a metterlo a disagio sia stata la presenza dei miei amici; è con quella consapevolezza che una domanda mi balena sulle labbra.

“Perché non ho mai visto i tuoi amici?”

Lui sussulta impercettibilmente, in modo così lieve che non me ne accorgerei se le sue mani non fossero sulla mia pelle e non fossi a cavalcioni su di lui.

“Ultimamente non ho molto tempo per i miei amici.”
“Che cosa orribile da dire.” rispondo aggrottando la fronte, “è qualcosa che potrei dire io.”
Alex tossisce una risata e sposta gli occhi fino ai miei.
“Ce li ho gli amici. Non sono asociale.”

Non ne sono così sicura. Non ha mai nominato un solo amico. Tanto normale non è come cosa.
Scuote la testa e ride, ricominciando a parlare.
“Non sto mentendo. Non ho molti amici, ma ho amici che contano.”

Contano. Oddio: non è che è in qualche gang?

“Contano in che senso?”
“Nel senso che contano per me.”
“E perché non hai tempo per loro se contano?”

Sospira, come fa ogni volta che andiamo troppo sul personale: è istintivamente chiuso come una cozza, ma si sta sforzando. Da un po’ si sta sforzando di parlare si sé, anche se lo fa sempre con una nota malinconica nello sguardo e un po’ la cosa mi disturba.
“Devo lavorare.”

Sì, d’accordo, ma anche il resto del mondo lavora e riesce a intrattenere rapporti con i propri amici.

È così faticoso far parlare Alex di sé che la stanchezza si diffonde lentamente nelle mie vene: vorrei non dovergli cavare una parola alla volta come se fosse un segreto di Stato.
Io sono strana e stronza, ma lui ha una paura patologica di esporsi.

Quindi provo con una tecnica nuova: sto zitta.

Il suo respiro è regolare e sento i polpastrelli tornare a muoversi in modo distratto sulla mia pelle, ma senza malizia. Allontana lo sguardo da me, studiando l’area attorno al mio collo. Poi, inaspettatamente, parla.

“Ho mentito.” inspira profondamente “Li vedo ogni settimana. Li ho sempre visti.”

Istintivamente gli darei un pugno sul naso e lo manderei a farsi benedire per la balla, ma sembra che lasciargli spazio e tempo porti frutti migliori della mia precedente insistenza.

“Non mi andava di farli venire a casa, però…” la frase resta in sospeso e alimenta per un po’ la paura che non l’abbia fatto per non fargli conoscere me, i miei sbalzi d’umore e i miei modi poco, ehm, eleganti.
“Loro sono molto diversi da me. Sono più chiacchieroni… soprattutto quando si tratta di parlare di me.”

Insomma, sono esattamente come i miei amici.

“Voglio bene a ognuno di loro, ma per una volta mi andava di farmi conoscere… senza intromissioni. Insomma…” tentenna, indeciso e potrei giurare di vedere un lieve rossore salire dal suo collo verso il viso “... volevo che vedessi me, non l’idea che hanno gli altri di me. Non il mio passato.”

Glielo devo dire che per ora di lui so pochissimo? O è giusto che mi accontenti? In fondo io devo vivere il presente con Alex, non quello che lui è o è stato con gli altri.
Però è più facile a dirsi che a farsi: io vorrei poter immergere la sua testa in un pensatoio e guardare dentro per sapere tutto. Oltretutto noi siamo anche il risultato del nostro passato: posso conoscere davvero Alex senza che lui condivida con me ciò che ha visto e fatto prima? Come faccio a sentirlo davvero se non so cosa l'ha reso la persona che è oggi? Si può conoscere qualcuno solo con il presente?

“C’è un’altra ragione…” sospira e i suoi occhi si fanno chiari di divertimento quando tornano a posarsi su di me, “... i miei amici hanno tutti una predilezione per le tette grandi.”
Sto immobile qualche secondo, le labbra schiuse per lo stupore e gli occhi spalancati; poi lui si lecca le labbra e ride pianissimo, studiando la mia reazione e aspettando che io dica qualcosa.

Dovrei essere offesa perché è stato possessivo o lusingata? Dovrei dirgli che non sono di sua proprietà? Perché io sono proprietà solo di me stessa e lui questo lo deve sapere, ma la verità è che comincio a provare quello stesso istinto primordiale verso di lui.
Chiaramente lui questo non lo può ancora sapere e, non di meno, va punito per il suo solito atteggiamento da maschio Alfa.

Faccio uno sforzo sovrumano per mostrarmi indignata e per dargli una leggera sberla sulla nuca, ma questo scatena solo la sua ilarità: mi afferra i polsi e li blocca dietro la mia schiena, abbracciandomi e ridendo, cercando di strapparmi un bacio prima di spingermi contro il materasso.

“Sono una bestia, lo so.” sussurra ancora ridendo e strofinando il naso contro la mia clavicola.
“Prepotente e arrogante. Ecco cosa sei.” ribatto tirandogli i capelli “Hai bruciato ogni mia chance con i tuoi amici!”
Lui, con la bocca contro il mio collo, emette un suono che somiglia molto ad un ruggito soffocato.

Alza il viso e mi guarda, lasciandosi sfuggire in un sussurro:
“Non l’ho fatto per nasconderti…”

Oh, avanti!

“Non fare il sentimentale. Potrei vomitarti un arcobaleno nell’occhio.”

Fa un sorriso così grande che su una guancia sembra comparire una fossetta mai vista, ma è solo una piccola ruga. Alex ha le rughe?

“Il problema è che sono un po’ territoriale a volte. E sono un po’ istintivo.”
“Sì, ne ero già consapevole.” ridacchio cercando di spostarmelo di dosso, ma le mie mani sono ancora intrappolate sotto di me e, per la cronaca, siccome non siamo molto leggeri, comincio a non sentirle più.

“Credi di essere in grado di educarti da solo o ci devo pensare io?”
“Te l’ho detto che non sono pratico di relazioni. Posso provarci, ma se faccio disastri cerca di essere clemente.”
Mi limito ad annuire, perché so che anche io farò un sacco di cose sbagliate se andremo avanti: vivi e impara, dicono.
“Ora che le tue ridicole manie di possessione e le tue insicurezze sono state esternate, posso avere l’onore di conoscerli?”
“I miei amici? Non sono così simpatici.”
“Alex…”

Scivola già dal mio corpo, finalmente liberando i miei poveri polsi e sdraiandosi sul fianco per guardarmi.
“Se gli dici che sono una pappamolla con te, giuro che ti lascio.”
“Se sono più carini di te, ti lascio io.”

Lo tiro contro di me e lo bacio lentamente, con pazienza: cerco di parlare con lui ancora in po’, solo in modo diverso.

A volte lo guardo e penso che da un momento all’altro esploderemo: ho paura di discutere con Alex perché in questa coppia non c’è la persona razionale. Siamo fuoco contro fuoco. In tutto quello che facciamo, che sia litigare o toccarci e baciarci. A me e Alex manca l’equilibrio, manca la ragione.

Eppure non so se questo sia un bene o un male: insomma, dove sta scritto che c’è un modo giusto per stare con qualcuno? Non c’è uno schema definito, esiste solo il sistema che ci permette di funzionare nel modo che va bene a noi.

Di regole ne abbiamo tante, ma non sono sicura che servano davvero.
Quando esploderemo, perché prima o poi esploderemo per qualche stupidaggine, forse non ci scotteremo troppo.
Magari avrei dovuto scegliere per me qualcuno che pensa, che riflette, che non si fa annebbiare dal sangue. Ma ho scelto lui: lui, così complesso, così difficile da scoprire, così viscerale. Così diverso eppure simile a me.

L’ho scelto e, onestamente, più lo vivo e più lo voglio tenere.

C’è qualcosa che sto scoprendo di me da qualche settimana: una volta messa da parte la paura, sotto sono viva. Voglio di più per me di quello che avevo.
Posso avere di meglio degli scarti affettivi che mi concedeva L e posso scegliere che direzione dare a me e al mio futuro. L’ho sempre saputo, ma per un po’ il timore di prendermi quello che volevo mi ha annebbiato e mi ha nascosto da me stessa.

Non è Alex che mi ha fatto scoprire che posso avere di più: sono stata io. Liberandomi di L, liberandomi del peso dell’università, liberandomi della paura di non essere quello che gli altri volevano.

E prendendomi chi voglio e cosa voglio. Alex. E soprattutto, me stessa.

Dopo non so bene quanto tempo, abbandono il suo viso per spegnere la luce e tirare le coperte su di noi: lui rotola a pancia in giù, affondando le mani sotto il cuscino e con il viso rivolto verso l’esterno del letto. Io faccio esattamente la stessa cosa dalla parte opposta e sprofondo più che posso sotto le lenzuola.
Niente abbracci per noi di notte. Niente arti addormentati sotto il peso del corpo dell’altro, niente caldo e niente paura di muoversi per evitare di svegliare l’altro. Grazie a Dio Alex sembra avere le mie stesse necessità di indipendenza durante il sonno.

Un punto a noi!

Quando sto per addormentarmi borbotto a voce alta:
“Alex.”
“Mmhh?”

“Mi dici cosa è successo con Leo?”
“No.”
“Stronzo.”
“Se non stai zitta mi troverò costretto a sculacciarti.”
“Promesse, promesse…”



Inviatiamo il lettore, come nostro solito, ad allontanarsi dallo schermo per: mangiare, bere, fumare, portare il cane a fare pipì e, se necessario, usufruire della pausa per andare in bagno.




Quando apro gli occhi è ancora notte: la casa è cullata dal silenzio che cola sui vetri delle finestre e striscia sotto le porte come nuvole sottili, leggere e cariche di sogni. Alcuni belli, altri terribili, e altri ancora dimenticabili. I miei da un po' di tempo hanno perso consistenza, colore, azione.
Rotolo su un fianco e faccio sgusciare all’esterno i piedi da sotto le coperte, sperando di trovare un po’ di refrigerio, ma tenendo il resto del corpo al sicuro sotto il piumone.

Mi stropiccio gli occhi con un pugno e scruto l’ambiente attorno a me, chiedendomi che cosa mi abbia svegliato. L’orologio sul comodino segna le tre di notte e lo spazio accanto a me sul letto è vuoto. Mi ci vuole un attimo per registrare le informazioni e, passato qualche minuto, decido di andare alla ricerca dell’Alex Perduto.
Il buio e il silenzio della casa mi fanno accapponare la pelle e i pensieri si mescolano per dare vita ad un horror terrificante in cui la casa è accerchiata da membri di sette misteriose le cui vittime sacrificali sono giovani maschi fighi di origine statunitense e delle chiappe di marmo.

Cercando di fare meno rumore possibile mi alzo e abbandono la stanza a piccoli passi. Restando con la schiena adesa al muro - perché di film dell’orrore ne ho visti una marea, e alle spalle c’è SEMPRE qualcuno che ti frega - guardo dentro la camera in cui dorme Jules, la cui porta è stranamente aperta: è vuota.

Non vorrei e non voglio ammetterlo, ma la cosa mi strozza il cuore nel petto per un brevissimo momento.
Non lascio che lo stupido pensiero prenda forma nella mia mente e mi dico che c’è una ragione se Alex e Jules sono scomparsi. Insieme. Tutti e due.

È ridicolo, giusto? Giusto.
C’è una spiegazione molto più sensata: la setta che ci circonda non è così selettiva e cerca vittime con un terribile senso dell’umorismo. Mi aggrappo a questa certezza e , muovendomi a tastoni nel buio, comincio a preoccuparmi: non c’è una sola luce accesa nella casa e il silenzio fa da padrone.

Mentre avanzo nell’oscurità in attesa che i miei occhi si abituino al nero della notte, col dorso della mano batto accidentalmente sul legno di una porta, facendo molto più rumore del previsto.
Nel fondo della gola impreco: quelli della setta con me hanno vita facile. Faccio anche rumore per attirarli. Che inetta.
Dieci secondi dopo la figura di Leo, in boxer e maglietta, con i capelli spettinati e gli occhi scintillanti di sonno, sbuca da dietro la porta contro cui ho sbattuto.

Il mio amico mi fissa come se fossi pazza, inarca un sopracciglio e con fare curioso mi domanda:
“Che diavolo stai facendo?”
Una ridicola smorfia compare sulle mie labbra mentre cerco di ricompormi e rispondo fiera:

“Ho sbattuto.”
“Questo l’avevo capito.”

“La tua maledetta porta è sempre in mezzo alle palle. Come te.” mi lamento spingendo in fuori le labbra e facendo ridere Leo.
“Posso sapere che cosa stai facendo, oltre a bussare sulle porte altrui e svegliare gli altri?” domanda incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi allo stipite  della porta.
Per qualche secondo rifletto su cosa rispondere al mio amico e mi perdo nelle fantasie di messe nere, vittime sacrificali e cerchi infuocati.
“Ho perso Jules.” dico improvvisamente, ricordandomi cosa stavo realmente facendo in giro per casa. Poi aggiungo a denti stretti: “E Alex.”

Il viso del mio amico non si scompone di una virgola: forse lui sa che il mio pensiero è stupido o, molto peggio, sa che me lo dovevo aspettare. O magari è di questo che parlavano lui ed Alex prima: e se Alex si volesse fare Jules?

Dio mio, qualcuno lobotomizzi il mio cervello bacato. Cazzo, L mi ha davvero rovinata, eh?
“In che senso li hai persi?” chiede confuso e divertito dalla mia espressione imbronciata.

“Non so dove siano. Mi sono svegliata e lui non c’era e ora non trovo neppure lei. Dio, non è che quella cretina è sonnambula e mi si è addentrata nel bosco?” balbetto entrando nel panico e volontariamente escludendo Alex dalla frase.
Leo mi guarda dubbioso e, facendo un passo nel corridoio, domanda: 

“Hai provato in cucina?”
“Non ho provato, ma senti che silenzio! Se fossero in cucina sentiremmo rumori, no?”

Insieme. Se fossero da qualche parte insieme sentiremmo.
Il sangue mi ribolle: lui lo sbatto fuori di casa e a lei la cauterizzo. Poi la sbatto fuori da casa sua.
Leo mi sta guardando con curiosità, cercando probabilmente di capire cosa mi stia attraversando il cervello.

“Sei diventata tutta rossa e stai allargando le narici. Sei incazzata. Cosa non mi stai dicendo?”
Faccio un respiro profondissimo e mi vergogno di me stessa: come posso pensare una cosa del genere di Jules?! La mia Jules! Sono vera merda.

Alex, beh, Alex non lo conosco a sufficienza, di lui posso dubitare: ma di Jules? Dio mio, no!

“Niente. Solo un piccolo momento di irrazionalità.”
Leo non dice nulla e sembra poco convinto. Quando comincio a muovermi come se fossi in un episodio di Criminal Minds, la sua voce mi raggiunge profonda e terrificante:

“Chi lo sa, magari in questi boschi fanno riti strani...”
Subito dopo, l’idiota, canticchia la musica di Profondo Rosso: non lo ammetterò mai, ma l’immagine di Jules e Alex appesi a testa in giù in un pentacolo infuocato mi è balenata in testa.

“Sei un imbecille. Forza, aiutami a cercarli.” ordino riprendendo a camminare verso il salotto.
“Ma io ho sonno!” brontola puntando i piedi e lanciandomi uno sguardo avvelenato.

“Poco male, ormai sei sveglio, quindi aiutami. Prima li troviamo, prima puoi tornare a letto.”
Dopo qualche metro aggiungo in un sussurro impercettibile: “E se le palle di Alex sono visibili, tu mi aiuterai a falciarle.”

Lo sento ribollire come una pentola di fagioli alle mie spalle mentre, a grandi passi, mi segue e si addentra con me nel buio del corridoio.
Dopo qualche passo sentiamo il pavimento scricchiolare alle nostre spalle e ci fermiamo allarmati. Poi, in un sussurro, la voce di Alex ci chiede:

“Che sta succedendo? Che ci fate in giro per casa come due ladri?”
Alex. Senza Jules. C'è di meglio?

Io e Leo tiriamo una sospiro di sollievo e io mormoro: “ Che spavento.”
Leo mi tira uno scappellotto leggero e mi risponde:
“Chi credevi fosse? Il fantasma di Canterville?”
“Magari! Ho sempre avuto un debole per i fantasmi della letteratura!”

“Oh, e chi è la tua ultima cotta ectoplasmatica?” domanda ironico, ma io decido di ignorare il sarcasmo e rispondere comunque con aria trasognata:
“Nick Quasi senza testa!”
“Chi?!” chiede Leo confuso e la cosa mi disgusta.

Sono in procinto di ribattere, ma mi rendo conto che la mia rabbia verso Alex si è dissipata ed è stata sostituita dal senso di colpa: quanto merda sono ad aver pensato male di lui e di Jules?
Non lo confesserò mai.

“È uno dei fantasmi di Harry Potter.” risponde Alex al mio posto e, se non fosse sconveniente, mi inginocchierei di fronte a lui e farei ammenda. Il resto lo lascio alla vostra immaginazione.

“Harry Potter è un libro per bambini.” biascica il mio quasi ex-amico (perché rifiutare Harry è un’ottima ragione per rompere un’amicizia di anni).
“La saga di J.K. Rowling è un classico. È praticamente il capolavoro dell’ultimo decennio! Successo mondiale!”
“Ma non dire cazzate!” sussurra Leo mentre Alex mi fissa compiaciuto e in quel momento sento la mia voce domandargli:

“Dove cazzo eri finito?!”
Oh, guarda, quella che riverbera nella mia voce sembra rabbia. Pensavo mi fosse passata. Se non mi riesco dare una regolata qui finisce male.

“In bagno.” ribatte candidamente lui.

“Tutto questo tempo? Hai la vescica di un elefante?”
"Non so come sia la vescica di un elefante, ma... ecco..." arrossisce.
Non sto scherzando, è davvero diventato rosso come l'interno di un'anguria.
"Cosa?" incalzo con la gola arida e assetata di informazioni.
"Non puoi capire." borbotta mentre sposta gli occhi un istante su Leo, il quale risponde allo sguardo con comprensione.

"Qualcuno vuole parlare? Sto pensando malissimo... E, visti i miei precedenti, ne ho tutto il diritto."

È in quel momento che la faccia di Alex passa dal rosso al grigio perla, mentre Leo scoppia in una sorta di grugnito soffocato che - immagino - sia una risata silenziosa.
"What the fuck are you talking about?!" Alex non fa nulla per nascondere l'indignazione: è confuso, imbarazzato e incazzato perché non capisce.

Il mio amico, forse mosso da pietà o, più probabilmente, dal desiderio di tornare a letto, si intromette sorridendo come un bambino in un negozio di Micro Machines.
"Ma voi due come cazzo fate a stare insieme? La vostra capacità comunicativa è terribile. E se lo dico io, vuol dire che fa proprio pena."

Vorrei ribellarmi, ma ha ragione su entrambi i fronti. Forse dovremmo parlare in inglese, perché in italiano io e Alex siamo come un grosso punto di domanda fluttuante.

Leo, assumendo un tono da maestrina, si rivolge ad Alex:
"Alex, Med insinuava che io e te ci stessimo conoscendo su un piano più intimo."
Io taccio, mentre Alex sopprime una risata: "Sei gay?"
"Non mi risulta. Tu?"
"No, mi sento eterosessuale al cento per cento."
"Sei più tranquilla ora?"

Si stanno divertendo come due matti di fronte alle mie paranoie: va bene, sono irrazionali, ma l'esperienza insegna!
Annuisco mostrando un'espressione impassibile e aspetto che qualcuno ora spieghi a me perché Alex ha fatto una pipì di venti minuti.
Indico il mio coinquilino: "E lui? Cosa cercava di blaterare prima?"

Alex diventa di nuovo rosso papavero e Leo di schiarisce la voce per mascherare una risata:
"Mai fatto pipì con un'erezione notturna, Med?"

Mai avuto un'erezione. Mai avuto un pene, anche se mi affascina l'idea di sapere cosa si prova.
"No, ovviamente."
Loro stanno zitti, scrutandomi. Alex si mordicchia il labbro e Leo mi fissa con gli occhi speranzosi di non dover chiarificare oltre. Deve, purtroppo per lui.
"Quindi?!"
"Fare pipì con un'erezione non è una cosa facile, piacevole e, soprattutto veloce."

Interessante, molto. Ne parlerò col mio diario segreto.

"L'amico Alex aveva un durello." conclude il mio amico.

OH. MIO. DIO. Perché l'ho chiesto? Perché non l'ho capito? Perché mi sto chiedendo tutte queste cose: 'sti cazzi. Ma soprattutto, dove cazzo è Jules?!

D’accordo, d’accordo, mi sto lasciando trasportare dalla mia isteria ma, mentre lui parla, un ricordo affiora nella mia memoria. Il ricordo di L che si fa altre quaranta persone.
Gli occhi di Alex bruciano dentro ai miei e ora l’ira si è trasferita da me a lui:

“Dove cazzo pensavi fossi?”

Ehm. Non posso rispondere.
Certo, qualche sciocca insicurezza e reticenza alla fiducia è ancora bella attiva nel mio inconscio, ma non è facile liberarsi di certe brutte abitudine. Non è esattamente una passeggiata imparare a fidarsi di qualcuno. Non dopo L. Non dopo anni di pippe mentali. Non quando me la faccio con un bocconcino come Alex.

“Pensava fossi con Jules.” chiarifica Leo al posto mio.
Se lo lincio è reato? Posso rispedirlo in camera? Non sono più contenta che mi faccia da interprete.
Un’ombra rabbiosa passa velocemente sul viso di Alex, alimentando il mio senso di colpa.

Ci sono un sacco di parole che mi ribollono in gola e non so se siano parole di scuse o di difesa, ma non ho modo di dare voce ai miei pensieri perché, quando schiudo le labbra per parlare, la porta della stanza di Bet e J si spalanca.
“Avete finito di fare casino?” ci rimprovera la mia amica bionda battendo impazientemente un piede a terra e fulminandoci con lo sguardo.

Alex, con un’aria veramente incazzata, tiene lo sguardo fisso su di me e borbotta:
“Ne riparliamo.”
“Non c’è niente di cui parlare.” biascico sperando di tirare fuori da questa scomoda situazione.
“Io non sono L.” la voce di Alex somiglia ad un ruggito silenzioso mentre pronuncia queste parole a denti stretti e sono convinta che se fossimo a casa nostra da soli, a questo punto i toni si sarebbero alzati. Parecchio.

Mi mordo il labbro inferiore per evitare di rispondere, mentre mantengo ben saldi gli occhi sul suo viso: forse sono dalla parte del torto o forse no. Non lo so, ma so che non posso abbassare lo sguardo in segno di resa.
Ho fatto così tutta la vita: c’è sempre stato un momento in cui non sapevo più come proseguire le mie “lotte” e mi arrendevo, diventando ciò che gli altri si aspettavano. Forse Alex ha ragione a sentirsi incazzato perché ho pensato male, ma io ho le mie ragioni. Certo, sono del tutto irrazionali, ma proprio per questo non le posso controllare.

L’interazione rabbiosa tra me e il mio coinquilino viene interrotta quando J, con voce delicata, domanda:
“Perché siete in corridoio?”
“Jules è sparita e Med ha paura che diventi il pasto di qualche creatura mostruosa della notte.” riassume Leo sospirando.
“È demenziale!” esclama Bet fissandomi basita e innervosita per essere stata svegliata. Proprio quando sono sul punto di ribattere, un rumore sordo, che somiglia tanto ad un lamento, si libera alle nostre spalle. Le nostre bocche si serrano e tutti e cinque ci voltiamo a fissare la porta di Roby.

C’è una brave pausa e poi un tonfo, seguito da uno scricchiolio che ci fanno rabbrividire.
“Che cazzo sta succedendo?” sussurra J stringendo la mano di Bet.

Leo apre le danze e si incammina verso la porta la Roby, incurante delle proteste di Bet. Sento il gelo nelle ossa e, complice il buio che fa apparire tutto più minaccioso e pericoloso, allungo una mano verso quella di Alex e la faccio sgusciare nella sua. Con la coda dell’occhio lo vedo ammiccare e tenere lo sguardo fisso sulla schiena di Leo; poi lentamente, fa un passo nella sua direzione e lo segue, portandosi dietro un peso morto che oppone resistenza: me.

Bet agita violentemente la testa quando J le fa segno di unirsi a noi, ma alla fine si arrende e me la ritrovo attaccata a una manica.

Una volta di fronte al legno della porta i rumori sospetti si intensificano e diventano più nitidi: Leo poggia le dita sulla maniglia e si volta verso il gruppo, in attesa di un gesto di assenso.  Respirando a fondo, abbassa lentamente la maniglia e socchiude quando basta la porta, permettendoci di scrutare dentro la camera di Roby.
Alex accanto a me è teso e realizzo stupita che i ragazzi sembrano aver tutti assunto una posizione di attacco, pronti a scattare in caso di necessità.
Ma l’immagine che ci si presenta davanti agli occhi richiede tutto tranne un confronto corpo a corpo.
Anche perché più corpo a corpo di così si muore.



Seconda pausa perché la prima era prestino nel capitolo, ma non vorremmo che qualcuno cadesse in coma prima della fine.
Se non avete seguito le precendenti istruzioni, vi invitiamo a farlo ora. Fatto? D'accordo allora potete proseguire.




Le urla che riempiono la casa nella frazione di secondo successiva all’apertura di quella dannata porta suonano più o meno come lo starnazzare di cornacchie che vengono calpestate da una mucca. Le esclamazioni si susseguono all’incirca così, non necessariamente in questo ordine:

Alex: “ Wow, quello è davvero strano!”
Bet: “Oh, merdosissima! Come fa a stare sulle mani?!”.
Leo, con gli occhi spalancati e una mano che gli massaggia la fronte: “ Cazzo, ho subito danni permanenti al pisello!”
Io: “ Ma come fai a mettere le gambe così, Jules?!”.

J, bocca aperta stile pesce rosso, domanda a Bet: “Amore, perché noi non lo facciamo mai così? Anche io voglio fare...beh, quella così lì.” conclude additando la complicata immagine che riusciamo a cogliere dall’apertura della porta.
“Non riuscirò mai, mai, mai più a fare sesso.” si lagna Bet, soddisfatta quando sente me aggiungere:
“Nemmeno io. Non voglio più sentirne parlare.”

Alex e J emettono dei suoni di protesta, spostando lo sguardo su di noi.
Sono passati solo infinitesimali frazioni di secondi da quando Leo ha socchiuso la porta della stanza che, da oggi, verrà definita “la camera degli orrori”, quando Bet allunga una mano e chiude di colpo la porta.
Restiamo qualche secondo fermi dove siamo fino a quando J non sussurra:

“Ma secondo voi quella... cosa è legale?”
“Sembrava pericolosa.” mormora Alex in risposta.
“Io credo che andrò a cavarmi gli occhi e a sbattere la testa contro il muro finché non mi provoco una commozione cerebrale che mi fa dimenticare tutto.” comunica Leo facendo qualche passo verso la sua stanza, con un’andatura che può essere paragonata solo a quella di uno zombie.

Ma la sua fuga verso la salvezza viene interrotta dalle figure di Jules e Roby che emergono improvvisamente dalla camera da letto: i loro visi rivelano una certa confusione, oltre che un chiaro fastidio per essere stati interrotti. E, contrariamente a ciò che mi era parso di notare dalla fessura della porta, sono ampiamente vestiti.

“Che cazzo di problema avete?” domanda Jules incrociando le braccia e fissandoci inquisitoria.
“L’immagine di voi due che trombate come due antilopi, ecco che problema abbiamo.” rispondo io disgustata.
I miei due amici si scambiano uno sguardo disorientato prima di scoppiare in una fragorosa e gustosa risata.
“Loro ridono. Io sono in procinto di vomitare e loro sghignazzano!” esclama Leo dalla sua posizione, lasciando trapelare una certa intolleranza per gli eventi che si stanno susseguendo durante la nottata.

Ancora in preda agli spasmi dell’ilarità che sembra essersi diffusa solo tra Jules e Roby, quest’ultimo si sforza di placare il proprio divertimento, riconquistando una certa compostezza, prima di schiarirsi la voce e rispondere:
“Ma di che state parlando?!”

A questo punto l’indecisione e la confusione rimbalza da un volto all’altro dei presenti finché Jules, recuperato controllo della propria risata, spalanca la porta della camera di Roby, accende la luce e afferma con voce secca:
“Stavamo giocando a Twister!”
La scena si gela per un attimo, fino al momento in cui tutti i nostri occhi non si dirigono verso il pavimento all’angolo del letto di Roby, ora illuminato dalla luce della potente alogena accanto alla finestra, dal quale spunta chiaramente il tappeto bianco con grossi cerchi colorati del famoso gioco.
“Alle tre di notte?!” esclama ad un certo punto Alex, rompendo il silenzio attonito che avvolgeva la casa e dando voce alla domanda che tutti stavamo pensando.
“Non avevamo sonno!” si difendono Roby e Jules all’unisono.

Noi restiamo tutti attoniti a fissarli per qualche secondo, stupiti dall’assurdità dell’idea stessa, fino a quando Bet, con voce chiaramente scocciata, non domanda:
“E perché non ci avete invitato?”

J scuote la testa sogghignando, poi gira sui tacchi e si dirige verso la cucina, annunciando la propria intenzione di gustarsi una camomilla. Con l’attenzione ancora fissa su Bet, un dopo l’altro lo seguiamo, abbandonando sola e dubbiosa in corridoio la mia bionda amica.

A questo punto necessitiamo tutti di essere ricondotti nella dimensione notturna e di trovare il modo di recuperare il sonno.
In un silenzio confortevole, trascorriamo una buona mezz’ora accoccolati sugli enormi cuscini del salotto di Bet, scambiandoci qualche battuta sulla strana piega che questa nottata ha assunto e sfottendo senza troppe remore Jules e Roby per la bizzarria della loro idea. Io, però, con la testa sono sul mio senso di colpa.
Non tanto per aver pensato male di Alex; lui avrà anche il diritto di incazzarsi, ma il mio senso di colpa è decisamente più forte nei confronti della mia migliore amica.
Se non ho bisogno di andare in terapia, ho probabilmente necessità di essere presa a sberle finché non rinsavisco.

I minuti si susseguono in tranquillità e lentamente, complici la quiete e le tenui luci del soggiorno, le palpebre di tutti si fanno più pesanti: presto i miei amici cominciano a congedarsi per tornare al tepore del proprio letto.

Bet è la prima a crollare e a portare con sé un barcollante J, seguiti da Roby che si trascina lentamente verso la sua stanza.

Me ne sto raggomitolata nell’angolo destro del divano e osservo Jules e Leo discutere mentre si incamminano verso le rispettive stanze. Con gli occhi che pizzicano per la stanchezza osservo Alex immobile di fronte ad una delle finestre: la sua schiena immobile ricambia il mio sguardo, una mano stringe la tazza ormai tiepida di camomilla e l’altra se ne sta appoggiata contro il muro per reggere il suo peso.

Si volta piano verso di me con il viso scuro ma evitando di guardarmi e si viene a sedere accanto a me sul divano. Sto in silenzio per un paio di minuti, incerta sul da farsi e su cosa si potrebbe aspettare lui da me, ma il sonno inizia a reclamarmi con prepotenza e, sbadigliando, stringo le dita attorno al suo polso mentre mi alzo: “Andiamo a letto.”
Lui sembra in procinto di seguirmi ma, appena mi volto, mi tira a sé: il viso serio con uno sguardo duro e al contempo indeciso negli occhi.
Do ut des.

Oh, questa è una novità: Alex non usa mai il do ut des.
“Tu ti fidi me?”

Ah, merda. Grazie Leo.
“Tu?”
E lì sarebbe naturale sentirgli rispondere qualcosa tipo: “Certo che mi fido!
Ecco, però non succede e la cosa fa un po’ male.
“Alex, non ti fidi di me? Pensi che sia una che tradisce?!”

Le sue dita si muovono distrattamente lungo le mie braccia e il gesto affettuoso stona con l’argomento della conversazione.
Il nostro silenzio si espande e si fonde con il buio della notte. Mi dispiace che non si fidi di me: non dopo tutta la storia di L, non dopo le incomprensioni che abbiamo dovuto superare per arrivare qui. Credevo che avesse imparato a conoscermi, a capire cosa è importante per me.
Forse ho peccato di presunzione e mi sono convinta di essere trasparente; o forse è lui che non ha saputo apprendere. O forse tutti questi forse sono solo stupidaggini e per conoscere qualcuno e fidarsi ci vuole tempo.
Il suoi occhi si muovono, scrutando nei miei: poi mi guarda con più attenzione, come se il suo sguardo stesse per anticipare le sue parole.
“Come ti fa sentire sapere che non mi fido di te?”
“Di merda!” rispondo senza neppure inspirare. “Mi fa male.”

Inarca un sopracciglio e l’ombra di un sorriso compare lentamente sugli angoli delle sue labbra.
“Vero? È brutto quando la persona con cui stai pensa che tu sia scorretta e ti tradisca, giusto?”

Una fiammella di emozione divampa nel mio stomaco quando lui pronuncia la parola “stai” e, benché la mia attenzione dovrebbe essere focalizzata sul problema più evidente, non riesco a sopprimere il nodo piacere che mi rimbalza nello stomaco all’idea.

Alex mi riduce ad una quindicenne, ormai non ci sono dubbi.

“Med, guardami…”
“Non trattarmi con superiorità, Alex. Non c’è niente di assurdo nell’essere un po’ gelosi.”
“No, di assurdo no. Anche io sono geloso. Però, c’è una bella differenza tra l’essere possessivi e il pensare che mi scoperei la tua migliore amica.” poi si zittisce un attimo, “O il tuo migliore amico.”

Per un secondo sono tentata di chiedergli se c’è una possibilità che preferisca Leo a Jules, ma l’ombra seria che si riflette sul suo viso mi ferma. Per fortuna.

“È un pensiero irrazionale, Alex. Non si controllano queste cose.”
“Beh, non posso pagare per gli errori di un altro. Puoi essere insicura, lo capisco, ma se non provi almeno a fidarti, questa relazione diventerà un incubo.”

Lo osservo e provo ad immaginare cosa succederebbe: io che non credo a ogni messaggio in cui mi dice che fa tardi al lavoro. Lui che si stanca di giustificarsi. Io che insisto per avere prove di qualcosa che non c’è. Lui che perde la pazienza. Io che lo lascio, perché non mi fido. Lui che mi lascia, perché non c’è più nulla di positivo.

Sì, ho drammatizzato un po’, ma direi che è uno scenario più che plausibile: la gelosia è terribile, lo sappiamo. E ancora peggio è la mancanza di fiducia. Una relazione basata sull'insicurezza e sul controllo non è una relazione sana. E Dio solo sa quanto vorrei avere almeno un rapporto sano con un ragazzo, visti i miei squallidi precedenti. Ma la verità è che il cambiamento, come sempre, deve nascere in me: l'incertezza è un problema mio e sono io a dover trovare il modo di controllarla. In particolar modo perché Alex, fino ad ora, non mi ha dato ragione di dubitare della sua fedeltà: anzi, a dirla tutta è stato proprio lui a voler chiarire che questo doveva essere un rapporto esclusivo.

“Alex, ma è normale che ogni due giorni siamo qui a discutere qualcosa di serio?”
“Non ne ho idea.” sospira abbandonandosi al divano e premendo i pugni sugli occhi.
Mentre non mi può vedere, mi muovo dal mio posto sul divano e mi siedo a cavalcioni su di lui: nell’istante in cui le nostre gambe si toccano, le sue mani si spostano sui miei fianchi e i nostri occhi si incontrano.
Il suo corpo è immobile mentre attende che io parli.

“Tu hai dubitato di me la sera del ristorante.”
“E guarda dove ci ha portato. Se ho già fatto un casino io, non è il caso che tu ripeta i miei errori.”
“Lo pensi davvero o lo dici solo perché oggi i ruoli sono invertiti?”
“Non lo so, ma dobbiamo trovare il modo di fidarci.” gli accarezzo il collo e lui si strofina contro il mio palmo come farebbe un gatto.
“Tutti e due.” sussurro in un sospiro.

“Med, è Jules. Come cazzo hai potuto pensarlo?”
“Mi dispiace.”

Mi dispiace davvero.

Chinandomi su di lui, appoggio il mento sulla sua spalla.
Immaginavo che stare in una relazione fosse complicato, ma non mi ero mai resa conto di quanto ancora dovessi crescere da questo punto di vista: con L non mi sono mai trovata a parlare di ciò che mi turbava e, in tutta onestà, la certezza che non avremmo mai affrontato certi discorsi mi faceva stare tranquilla.
C’è una sorta di comodità nelle relazioni di solo sesso, una specie di sicurezza che ti fa sentire in diritto di cullarti nell’insoddisfazione senza interrogare te stessa: alla fine puoi sempre pensare che lo stronzo sia lui.

Ma questa volta non posso fare la vittima, come non la può fare lui.
“Non sono una che tradisce.”
“Neanche io.”

Almeno, non credo di esserlo. Forse sono solo un po’ a disagio perché le cose con Alex stanno andando parecchio velocemente sul piano emotivo.
Sono a mio agio e baciarlo e sentirlo mio sembra la cosa più naturale del mondo: devo rallentare. Dobbiamo rallentare.

“Sei mai stata innamorata?” sussurra posando le labbra sulla mia spalle e, santo cielo, non posso fare a meno di irrigidirmi.

Ecco, appunto.

Sono mai stata innamorata? Pensavo di sì: l’ho pensato almeno un paio di volte nella mia vita da adulta, ma ora non so rispondere.
“No.” ribatto senza riuscire a fermarmi e trattengo il respiro, attanagliata dall’ansia di sentirgli dire qualcosa che è troppo presto per dire.
“Tu?” sussurro con un enorme groppo in gola.

“Neppure io, credo.”

I miei muscoli si sciolgono come crema al mascarpone e tutto il mio peso si abbandona a lui mentre un sospiro di sollievo scappa dai miei polmoni. Lo sento ridere e borbottare sulla mia pelle: “Cagasotto.”

E sorrido. Sorrido perché lui ha capito. Sorrido perché lui sa parlare davvero col mio corpo. E sorrido perché, nonostante le mie elucubrazioni mentali, saperlo mi fa stare bene.
“Non era una dichiarazione.”
“Lo so…”
No, balla gigante. Ho davvero temuto che mi stesse colpendo con una Avada kedavra: non è che non mi piacerebbe sentirlo dire in generale, è che… beh, non lo so, ma so che non c’è bisogno di affrettare le cose.
“No, non lo sai.”
“Perché me l’hai chiesto?”
“Perché sono geloso.” ride tirandomi i capelli finché non sollevo il viso dal suo collo. “Perché volevo sapere se eri stata innamorata di Leo o di quello stronzo.”
“Ma non ti senti minacciato, vero?”
“No. Non penso che siano rilevanti adesso.”
“E di cosa sei geloso, allora?”
I suoi occhi sembrano spostare l'attenzione su qualcosa di lontano dietro di me, come a riflettere con cautela su quello che vuole dire e su come dirlo:

“Non sono geloso del fatto che ci sia stato qualcuno prima di me. In fondo anche io ho avuto le mie esperienze.” deglutisce e rende più significativa la pausa che intervalla le sue parole.
“Diciamo che è più l'idea che qualcuno sia stato importante per te.”

Vorrei sentirmi indignata perché il mio passato sentimentale non ha nulla a che fare con il mio presente con lui, ma credo di capire l'origine della sua riflessione.
“Perché pensi che potrei tornare indietro?”
“No.” la risposta è secca e decisa, “No, perché vorrei essere più importante io.”

Ancora con i desideri irrazionali: non riesco a soppesare bene il valore di quello che sta confessando o a capire se dovrei fargli una ramanzina o meno.

“Non posso cancellare quello che ho provato per qualcuno prima di te, Alex.”

Lui annuisce, lasciando che lo costringa a incrociare il mio sguardo.
“Non posso e non lo voglio fare. Ma posso dirti che ora le mie attenzioni sono tutte per te, a prescindere dal mio passato.”
“Non sto dicendo che non vorrei che avessi provato qualcosa per qualcuno. Sto dicendo che spero che quello che provi per me sia...”
“Che cosa?”
“Non lo so.” serra le labbra in una linea sottile, cercando le parole giuste per farmi capire. “Non lo so nemmeno io.”
“Di più?” provo a suggerire, anche se non ho ben chiaro cosa gli attraversi la mente.

“Non di più in senso stretto... Tipo, non lo so.” fa un sospiro pesante e poi ride leggermente. “Forse ho solo paura che non proverai qualcosa per me. E allora sapere che hai provato qualcosa per qualcuno ma non per me mi...”
“Lo provo.”
“Che cosa?”
“Non lo so. Qualcosa. Cerchiamo di non andare troppo di fretta, okay? Mi importa di te, Alex. Sei più di quello che mi aspettavo. Può bastare?”
Lui sorride in modo quasi puro mentre ascolta le mie parole.
C’è qualcosa di adorabile nel modo in cui si sente in competizione con le figure maschili del mio passato e, nell’istante in cui gli sento pronunciare quelle parole, capisco che anche io mi irrito al pensiero che lui sia stato di qualcun altro.

Fuoco contro fuoco. Siamo due geyser.
“Fai in modo di non parlarmi mai delle tue donne precedenti, okay?”
“Tutta questa gelosia un po’ mi eccita.” sussurra premendo forte le labbra sulle mie.
“Ti eccita, eppure prima eri incazzato come un bufalo.”
“Perché mi sta sul cazzo la mancanza di fiducia. Ma mi piace l’idea che tu sia una femmina alfa e che mi reclami.”
“C’è qualcosa di passivo in te di cui non ero a conoscenza?”
“No. Anche io sono un maschio Alfa.”
“E la cosa eccita me in modo incredibile.”

“Andiamo a letto?” suggerisco facendo sgusciare le braccia attorno al suo collo e lo sento annuire.

Appena chiusa la porta alle mie spalle lo spintono fino al materasso e attacco le sue labbra con baci e morsi.

Femmina alfa al vostro servizio. Ho sempre pensato di essere una femmina omega, altro che beta. Dio, quanto mi sbagliavo.
“Cosa ti fa pensare di poter fare il capo?” ansima Alex succhiandomi il labbro inferiore.
“Devo farmi perdonare.” mormoro sfilandogli la t-shirt con cui lui pensava di dormire, “e c’è una sorpresa per te.” continuo portandomi le sue mani sui fianchi e esortandolo a intrufolare le dita nell’elastico dei miei pantaloni.

Come le sue trovano la pelle nuda, sopprime un gemito gutturale di piacere e sussurra:
Fuck. No panties.

Che, per chi non lo sa, significa che ha avuto la conferma del fatto che dormo senza mutande.

“Sono perdonata per aver pensato male?”
“No. Ma siccome l’ho fatto anche io, siamo pari.” ride spostandomi i capelli dal viso “Abbiamo imparato la lezione?”

“Io sì.”
“Anche io…” ridacchia quando sente le mie unghie strisciargli sul petto e poi giù, fino all’ombelico. “Ora fammi apprezzare la mia scoperta.”

È quasi l’alba quando il sonno sguscia sotto le mie palpebre e sento la voce stanca di Alex sussurrarmi:
“Come va la ricerca di te stessa?”

Sorrido, perché è una domanda importante, ma è pronunciata in modo così delicato e in un momento così tranquillo, da privarla del suo carico emotivo.
“Sono a un punto morto.”
“Se hai bisogno di una mano…”
“Posso chiedere a te?”

Non risponde e, un secondo dopo, il suo respiro è pesante e regolare. Rassicurante.
Non mi deve aiutare nessuno: ho passato troppo tempo a seguire i pensieri degli altri. Ora scegliere è compito mio, ma non è facile: potrei andare in qualunque direzione e il pensiero di sbagliare di nuovo è sempre lì. Non so bene perché, ma ho la sensazione di non potermi permettere un’altra scelta sbagliata. Ho quasi venticinque anni.
Per mesi ho lasciato che L decidesse per me cosa potevo avere e la codardia mi ha spinta a restare nascosta all'università: oggi, invece, voglio mostrare a me stessa cosa sono.

A partire da me: non lo dovrei ammettere, ma quando ripenso al pranzo a casa dei miei e a come ho finalmente ammesso tutto, mi sento un po’ fiera. Lo stesso vale per quando ho chiuso con L.
Ero titubante entrambe le volte, ma non saprò scordare il senso di sollievo e appagamento che ho provato una volta che ho affrontato le cose.

Alex si muove accanto a me, infilando un braccio sotto il suo cuscino e l’altro sotto il mio, invadendo parte del mio spazio e costringendomi a spostarmi un po’ verso l’esterno del letto.

Cosa sono? Una disoccupata senza direzione. Già, non è un grande passo avanti dalla studentessa fuori corso senza volontà di finire.
E mentre ascolto Alex dormire e penso a me e al mio futuro, la parola "disoccupata" mi si infiltra nei polmoni. Allora realizzo una cosa che mi terrorizza e inorgoglisce allo stesso tempo: mi ci vorrà tempo per capire cosa voglio fare, ma mio padre si sbagliava. Non posso prendermi il tempo di cui ho bisogno per comprenderlo, perché devo essere responsabile di me: devo trovarmi un lavoro di cui campare mentre scopro cosa vorrò essere.
Se non lo faccio subito, resterò lì a coccolarmi nella mia confusione, a tergiversare, a farmi mantenere dai miei: ho rubato loro anni e soldi a sufficienza.
Se davvero voglio ricostruire me stessa, devo cominciare da qui.

Quando l’indomani mattina vengo svegliata dall’insopportabile suoneria del cellulare di Alex, penso che per ricostruire me stessa, forse, devo uccidere prima lui e il suo telefono. Sopprimo un gemito di disapprovazione quando il mio coinquilino si rotola su un fianco, spostando tutto il calore che i nostri corpi hanno prodotto e rispondendo alla chiamata con voce eccessivamente alta.
Qualche attimo di silenzio prima che un’imprecazione sfugga alle labbra del ragazzo accanto a me.
“Ah, cazzo!”

Che delicatezza.

“Grazie mille per la chiamata. Un paio d’ore e dovrei essere lì, d’accordo?”

CosaCosaCosa? Improvvisamente sono sveglissima.
Sollevo la testa dal cuscino proprio mentre Alex si volta verso di me:
“Dobbiamo andare.”
“Dove?”
“A casa…” e si solleva dal letto in cerca dei suoi vestiti.
“Perché?”

Ha un attimo di esitazione: quando mi guarda i suoi occhi sono cauti e la sua voce cristallina.
Don’t freak out, okay?”

Che vuol dire che non devo dare di matto. Il che significa che è qualcosa per cui qualcuno può dare di matto. Ragion per cui comincio a dare di matto subito, ma interiormente .
“Qualcuno ha scardinato la porta del nostro palazzo. Non si sa in che appartamenti siano entrati. Dobbiamo tornare a casa.”

Sono disoccupata: e se qualcuno si è fregato i pochi oggetti di valore che ho? Sono così nervosa che, mentre mi infilo i vestiti e lascio un biglietto ai miei amici, non mi rendo conto dell’atteggiamento silenzioso e dell’ombra agitata che è colata sul viso di Alex. Non me ne accorgo finché non insiste per guidare e, una volta saliti in macchina, lui resta zitto e con lo sguardo fisso sulla strada. Le nocche bianche per quanto stringe il volante e le spalle rigide.



AN: Applausi scroscianti per tutti quelli che sono riusciti a giungere alla fine. Spero che, pisolini a parte, il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Come sempre ringrazio di cuore la Beta per essersi sorbita i miei ormai noti orrori di battitura e pasticci vari che, immancabilmente, sfuggono alla mia attenzione.
Un grazie enorme a tutte le TuttoTondine che ancora mi tollerano: continuo ad esservene incredibilmente grata.
Infine un grazie speciale va a quelle meravigliose donne che ho avuto l'onore e il piacere di conoscere negli ultimi mese grazie ai Read Along organizzati dal blog "Please another book" (se ancora non lo seguite, ve lo consiglio fortemente!): siete state una scoperta meravigliosa e un sostegno essenziale in ogni momento, sia della vita vera che di quella virtuale... Per non parlare dell'aiuto e dell'incoraggiamento che avete saputo darmi nei momenti di crisi e panico durante la stesura del capitolo.
Okay, ho davvero finito.
Grazie a chi ancora legge la storia, a tutte le nuove persone arrivate e a chi trova il tempo e la voglia di lasciare un commento.



   
 
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