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Autore: Katie Who    15/05/2014    0 recensioni
«Fossi in te mi laverei bene le mani.» - le disse ridendo e poi mettendo in moto. Effettivamente la mano con cui aveva aperto lo sportello la sentiva umida ed appiccicosa, ma era una sensazione con cui stava imparando a convivere da quanto trascorreva ore con Nick. - dal terzo capitolo.
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Post prima stagione.
[NickXNuovo Personaggio] [Accenni: ElenaXClay]
Rating provvisorio.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Ci sono sempre due scelte nella vita: accettare le condizioni in cui viviamo o assumersi la responsabilità di cambiarle.”
D
enis Waitely.








«Ce l’ho! L’ho comprato appena uscito.» - rispose lei e lui sorrise.
«Prendilo lo stesso. La parte importante era quella dopo.» - le disse infilandole nella borsa l’album. Emily era sveglia in tante cose, ma non in quell’ambito. Ci mise qualche minuto a capire che le aveva dato il suo CD per avere una scusa e rivedersi. Lo appoggiò sulla scrivania della sua camera e tirò fuori il suo. Quello di Gabriel aveva la case tutta rigata, mentre il suo sembrava appena uscito dal negozio. Adorava i suoi CD, li teneva in rigoroso ordine nell'apposito scomparto della sua libreria. Era una delle sue tante fissazioni, come quella per i libri che dovevano essere ordinati cronologicamente.
Un paio di giorni più tardi il professor Baer riportò i test, la A rossa posizionata nell’angolo in alto a destra sul suo compito e su quello degli altri suoi amici era una piacevole costante. Il suo sguardo volò subito verso Nick, da quando aveva smesso di incontrarlo per le ripetizione le sembrava di nuovo lontano anni luci. Aveva il compito appoggiato sul banco, ma continuava a parlare con Rebekah ignorandolo completamente. Non sembrava interessargli molto, o sicuramente non abbastanza da catturar e la sua attenzione più dei lunghi e lucenti capelli biondi della ragazza. Gabriel era venuto tutti i giorni a prenderla, tornare con lui era decisamente molto più divertente che farlo da sola, avevano scoperto una inusuale affinità di gusti musicali. Era un ragazzo simpatico, un tipo apposto, non lo avrebbe mai detto. Se non avesse rischiato di scatenare una rissa ogni volta che si presentava davanti all’entrata della scuola, non lo avrebbe costretto ad aspettarla in una delle vie limitrofe, praticamente nascosto dietro a dei cassonetti. Gin, Steve e Clarke la accompagnavano fino a quando non la vedevano salire nella macchina di Gabriel, le portavano la borsa ed il cappotto, erano veramente i migliori amici che si potesse desiderare.
«Quanto hai preso?» - le domandò Nick intercettandola a pranzo prima di salire al secondo piano.
«A.» - disse lei improvvisamente incapace di deglutire correttamente. Lo vide sorridere e tirare fuori dalla tasca dei pantaloni un foglio piegato e pieno di orecchie.
«Ci crederesti se vedessi una B?» - le mostrò il foglio con il voto, se non avesse avuto la caviglia dolorante sarebbe saltata sul posto gioendo come una scema. Era sicura che Nick avrebbe superato il test, era sicura che non avrebbe preso un’altra insufficienza, ma B? B era un risultato che meritava quantomeno un abbraccio. O forse semplicemente lei voleva recuperare quella distanza che era tornata ad esserci fra di loro.
«Se perfino Nick Sorrentino può prendere una B dopo le tue ripetizioni, sei decisamente un fenomeno!» - le disse Gin.
«Lo sapevo! Sapevo che lo avresti passato…» - fece per alzarsi, ma lui ricominciò a camminare diretto al suo tavolo.
«Grazie Em. Ci vediamo.» - niente abbraccio, niente confidenza, di nuovo solo tanta distanza. La delusione doveva essere stata così evidente da farsi notare anche agli altri, che la guardavano con la classica espressione di chi: te lo aveva detto. Anche quel giorno all'uscita c’era Gabriel ad aspettarla appoggiato alla macchina. Mentre lo raggiungeva si chiedeva se nella sua scuola lui fosse un po' come Nick, irraggiungibile, superiore, distante, e se non ci fosse una Emily anche al Berrytown, che avrebbe venduto l'anima al diavolo per passare con lui i pomeriggi che invece rubava lei. Era stupido sentirsi ferita dal comportamento di Nick, perché sapeva di essere nella posizione di non poter pretendere nulla da uno come lui. Troppo lontano, troppo perfetto, inarrivabile, eppure quelle lezioni pomeridiane le avevano dato l’idea di potersi avvicinare, di poterlo conoscere meglio di quanto non fosse concesso agli altri.
«Dove stai andando?» - disse notando che Gabriel aveva svoltato a destra invece che a sinistra all’incrocio per casa sua.
«Non ti ricordi? Ieri mi hai detto che saremmo usciti.» - lo aveva completamente rimosso. Perché tutto quello che il suo cervello ricordava era sempre e solo riguardante Nick. Di lui ricordava perfino le cose più stupide, i dettagli più insignificanti, e rimuoveva tutto il resto per far spazio a lui. Era il suo primo, quasi appuntamento con Gabriel, avrebbe dovuto esserne entusiasta, invece era lì a pensare a come Nick l’avesse liquidata. - «Avanti spara… Dimmi che è successo.»
«Niente.» - e lo sapeva anche lei che non c’era verso che le credesse.
«Allora non me ne sono mai accorto e la faccia da depressa è la tua solita faccia?» - le chiese sorridendo. - «Come sono finito ad uscire con te?» - le strappò una risata.
«Veramente quello dovrei chiedermelo io!» - erano arrivati al bar dove i compagni di squadra di Gabriel l’avevano spinta. - «Andiamo qui?»
«Non ti piace l’ironia?» - le disse aprendole lo sportello e aiutandola ad uscire. No, l’ironia andava bene, solo che c’erano alcuni dei ragazzi della squadra del Nashville e riusciva già a sentire le voci che si sarebbero sparse il giorno dopo. Lei e Gabriel avrebbero tranquillamente potuto essere fratelli, avevano gli stessi gusti in ogni cosa, perfino nel gelato. Ed aveva un dono, un dono che Nick non possedeva, stranamente. Gabriel riusciva a farla essere tranquilla, non era mai agitata, non le mancava mai la risposta, dava il meglio di sé come quando era con Gin. Quanto avrebbe voluto riuscire a mostrare quella parte di sé anche a Nick, sicuramente non sarebbe cambiato nulla, le mancavano due taglie di seno, tre anni e decisamente molte esperienze, per poter essere presa in considerazione da lui. Il dottore le aveva detto che ci sarebbero volute all’incirca due settimane per rimettersi del tutto. Due settimane senza ripetizioni a Nick, dopo averlo avuto per giorni in una dose completa, erano una vera tortura.
«E quindi te la fai con il capitano dei Berrytown?» - le domandò Rebekah nell’intervallo fra la terza e la quarta ora. Quel giorno aveva notato come veniva guardata, la voce di lei e Gabriel che uscivano insieme era volata da bocca a bocca.
«Non-» - una presa salda, forte e decisa le prese il braccio tirandola in una delle aule vuote. Lo aveva riconosciuto dalle mani, grandi con le dita lunghe ed affusolate, perfette come il resto di lui. Nick l’aveva toccata, di nuovo, di solito accadeva per lo più casualmente. Mentre studiavano e si sfioravano per errore, ma nella sua testa ognuno di quei piccoli contatti era catalogato nell’archivio dei miracoli. Avrebbe voluto amputarsi il braccio per sentire che odore aveva lasciato la sua mano sulla sua pelle.
«Eri con Gabriel ieri?» - le domandò destandola dai suoi propositi autolesionistici.
«Si abbiamo-» - era in un’aula vuota con il suo sogno proibito. Si era appoggiata ad uno dei banchi perché non era riuscita a prendere la stampella mentre Nick la trascinava.
«Perché? Cosa vuole?» - Nick, come buona parte del resto della scuola, era all'oscuro del fatto che Gabriel l'avesse riaccompagnata a casa per giorni. Che avessero parlato, si fossero conosciuti, ed in un certo senso, che fossero più o meno diventati amici.
«Me lo ha chiesto…» - rispose a disagio perché sembrava qualcosa che non era. Si ok, aveva passato un pomeriggio con Gabriel a mangiare schifezze, parlare di musica, di viaggi e di scemenze, e per un attimo quando l’aveva riaccompagnata a casa, l’atmosfera si era fatta un po’… Ambigua, ma non era così. O forse era esattamente quello che sembrava, aveva avuto un appuntamento con Gabriel, e lui non era di certo il genere di ragazzo che esce con qualcuna per passatempo. Ma nemmeno tutti i ragazzi erano come Nick. Le bruciava il cervello a forza di pensare.
«Ti ha chiesto un appuntamento e tu lo hai accettato? Da quanto tempo vi vedete? Quante volte lo hai visto?»  - la campanella coprì parzialmente la serie di domande che Nick le stava facendo, ma non coprì lo stupido sorriso che fece capolino sul suo viso. Possibile che a Nick desse fastidio?
«Dobbiamo andare in classe…» - azzardò un movimento verso la porta, ma la mano di Nick le afferrò di nuovo il braccio.
«Non ti azzardare ad uscire da questa classe, Emily Howen.» - il suo nome era sempre stato così bello? Aveva sempre avuto un suono così sensuale? Sarebbe morta portandosi nella tomba il modo in cui Nick aveva pronunciato il suo nome. Il modo in cui le sue labbra lo avevano fatto.
«Dato che mi riporta sempre a casa-» - se solo l’avesse fatta finire, probabilmente gli avrebbe detto che aveva accettato solo per cortesia. Ma Nick peccava d’irruenza, in tutte le cose.
«Tutti questi giorni sei tornata a casa con lui?» - cercò di nuovo di muoversi, sperando che lui l’afferrasse di nuovo, ma stavolta Nick non si mosse. - «Incredibile.» - sussurrò prima di uscire dall’aula lasciandola lì. Le conseguenze di quella conversazione iniziarono ad esserle chiare solo il giorno dopo, quando durante la prima ora, gli altoparlanti della scuola diffusero un messaggio.
«Nick Sorrentino è pregato di raggiungere immediatamente l’ufficio del preside.» - e poi a mensa lo vide. Con lo zigomo tumefatto ed una camminata sbilenca. Superò il suo tavolo senza nemmeno guardarla, mentre il suo sguardo non riusciva a staccarsi da lui. Più o meno nelle stesse condizioni trovò Gabriel all’uscita da scuola.
«Cos’è successo?» - lo chiese anche se era tutto piuttosto evidente. O lui e Nick avevano deciso di cadere dalle scale nello stesso pomeriggio, o se le erano date di santa ragione.
«Niente.» - rispose lui passandosi una mano sulle labbra spaccate.
«Quindi sono sempre uscita con uno ridotto come un cadavere e non me ne sono mai accorta?» - domandò facendogli il verso.
«Lascia stare Emy, io e Nick avevamo diverse cose da sistemare, tu ci hai solo dato l’occasione.» - era ingiusto e crudele da parte sua che il suo pensiero volasse a Nick. Che immaginasse cosa la preside potesse avergli detto quella mattina. Eppure non riuscì a farne a meno, ci pensò tutto il giorno e tutta la notte. A scuola Nick la evitava, cioè la trattava come normalmente facevano quelli come lui con quelle come lei. Avrebbe veramente voluto chiedergli perché. Quando poté tornare a camminare e sollevò Gabriel dall’impegno di venirla a prendere ogni giorno, un po’ le dispiacque. Gli aveva promesso che sarebbe andata a vedere qualcuna delle sue partite, ma che non voleva essere accusata di gufare nel caso avessero perso. Prese coraggio ed aspettò che Nick finisse gli allenamenti per intercettarlo in palestra. Aspettò finché non vide uscire tutta la squadra, tranne Nick, ma era impossibile che avesse saltato un allenamento. Aspettò seduta sui gradoni, la sua macchina era fuori nel cortile quindi lui doveva essere a scuola e sarebbe sicuramente passato di lì prima di andare. Lo vide uscire dagli spogliatoi, con un’ora di ritardo, insieme ad una ragazza. E la morsa allo stomaco che tanto spesso la tormentava quando c’era lui tornò a piegarla. Si nascose fra gli spalti della palestra sperando di non essere vista. Aveva aspettato tutto quel tempo per poi non avere il coraggio di parlargli. Eppure stavolta era diverso, lo aveva già visto con Rebekah diverse volte, il modo in cui la stringeva e baciava, quello che non avrebbe mai fatto con lei, ma non l'aveva mai turbata. Stavolta invece piangeva sull’autobus che la riportava a casa, piangeva perché in qualche modo, prendendo qualche via traversa, aveva sperato. Sperato in quel qualcosa che nemmeno lei riusciva ad ammettere, si era illusa e le faceva male. Le mancava il coraggio per affrontare Nick, ma poteva avere tutte le informazioni necessarie dal professor Baer. L’uomo era sempre molto disponibile con i suoi studenti, alla fine dell’ora si fermava a rispondere alle loro domande e non fece eccezione per la sua.
«Cos’ha detto la preside a Nick?» - chiese quando gli altri lasciarono la classe.
«Non posso dirti nulla. Ma non è più necessario che tu perda il tuo tempo con lui.» - peccato che “perdere il suo tempo con lui” fosse la cosa più bella che potesse accaderle.
«Perché? Ha preso una B, di sicuro non gli basterà per avere la lettera!» - disse. E poi il suo compito era far si che i suoi voti migliorassero nella pagella del primo bimestre per gli esami di metà anno. - «A meno che non abbia deciso di non fargliela avere.» - e la faccia del professor Baer confermò la sua intuizione. Uscì dal laboratorio senza salutare l’uomo diretta verso l’ufficio della preside. Avrebbe saltato l’ora di storia, ma l’idea che Nick non potesse più ricevere la lettera per entrare nel college che sognava, la feriva perfino più profondamente che vederlo baciare Rebekah nel corridoio prima della segreteria. - «Posso entrare?» - domandò quando ormai aveva già spalancato la porta costringendo la preside ad abbandonare la lettura dei documenti a cui si stava dedicando.
«Signorina Howen, certo si sieda. Mi dica tutto.» - la donna si richiuse la giacca del tailleur e tornò a sedersi composta sulla grande sedia.
«Non farà la lettera di raccomandazione per Nick Sorrentino non è vero?» - chiese vedendo il sopracciglio della donna sollevarsi facendole assumere un’aria interrogativa.
«La condotta del Signor Sorrentino non è degna di alcuna raccomandazione.» - le rispose. - «E’ venuta qui solo per questo?»
«Ma stava migliorando ha preso una B in chimica!» - rispose lei ignorando il velato invito ad andarsene.
«Bisogna tener conto anche delle attività svolte, nel tempo libero, per così dire, e quelle del Signor Sorrentino non sono degne di rappresentare la nostra scuola.» - la rissa con Gabriel, era sicuramente quella la ragione. - «So che aveva preso molto seriamente il suo compito con il ragazzo, ed indubbiamente la sua vicinanza ha avuto un effetto positivo su di lui.» - considerando che probabilmente era colpa sua se ora si ritrovava in quella situazione, no decisamente non era stata un’influenza positiva. - «Ma le sue cattive abitudini hanno radici molto profonde. Ora se vuole scusarmi…»
«Non c’è niente che possa fare per riguadagnarsi quella possibilità?» - se si fosse trattato di se stessa non avrebbe mai insistito tanto, ma per Nick avrebbe venduto l’anima al diavolo.
«Signorina Howen, sono piuttosto sicura che lei abbia lezione a quest’ora. Non lasci che il Signor Sorrentino rovini anche la sua carriera accademica.» - lasciò l’ufficio della preside non per tornare in classe, ma per chiudersi in bagno. Vi rimase per ore, uscì per riprendere le sue cose e tornare a casa.
«Ehi ma si può sapere dove eri finita?» - le domandò Clarke. - «Gin e  Steve credevano ti avessero rapito gli alieni.» - erano andati tutti via.
«Scusate proprio non ce la facevo a seguire il Signor Martik oggi.» - disse prendendo la borsa dall’armadietto. - «Hai il corso d’informatica?»
«Si, sicura di stare bene Emy?» - doveva avere un aspetto terribile.
«No. Nick ha perso la possibilità di andare al college che desiderava perché ha fatto a botte con Gabriel, e credo che in realtà la colpa sia mia.» - doveva vomitare addosso a qualcuno tuta quella situazione.
«Il tuo unico e vero amore che fa a botte con il tuo unico e solo spasimante, e perché non sei felice?» - vista da quel punto di vista era divertente effettivamente. - «A chi hanno assegnato la borsa di studio?»
«Eh?» - la domanda di Clarke la coglieva impreparata.
«Se Nick non la riceverà deve esserci qualcun altro, no?» - aveva ragione, come sempre d’altra parte.
«Non lo so. Nick è l’unico che aveva i requisiti… Non è che-» - non dovette nemmeno chiederlo che Clarke era già entrato nell’archivio della scuola.
«Ecco guarda. Non c’è nessun candidato oltre Nick.» - la casella era vuota ed il nome di Nick sbarrato.
«Dato che non c’è nessun altro, lui deve solo convincere la Mitchell di poterla avere, no?» - aveva ripreso colore, ed il suo cervello viaggiava come una locomotiva.
«Non lo so Emy, si forse si.» - baciò Clarke sulla fronte e poi corse in palestra. La squadra si stava allenando, Nick era ancora più bello quando giocava. Nonostante il sudore, la maglia larga e senza cuciture. I pantaloni che sembravano sull’orlo di scivolargli a terra. Il modo in cui si muoveva nel campo, quando palleggiava la grande palla da basket, con quelle mani perfette, capaci di pugni tanto violenti e di carezze dolci come quella che aveva fatto a lei. E poi c’erano le sue braccia. Lunghe, muscolose, sembravano le pennellate di un pittore rinascimentale, una scultura di Michelangelo. Se lo avesse conosciuto sicuramente l’avrebbe voluto come modello.
«Nick!» - era corsa in mezzo al campo, lei piccola, con l’aria sconvolta, dopo aver saltato ben tre ore di lezione, ed il pranzo, era piombata nel campo da basket chiamandolo. In mezzo alle divise arancioni della squadra, e a quelle bianche delle cheerleader, lei sembrava un puntino d’inchiostro. E se non fosse stato un reato, il coach l’avrebbe picchiata per aver interrotto la partita. Erano solo allenamenti, ma li prendevano tutti esageratamente sul serio.
«Emily?!» - Nick sembrava più scioccato di tutti gli altri. - «Che ci fai qui?»
«Time!» - gridò il coach facendo tornare i ragazzi a sedersi e a prendere fiato. - «Nick levala dal campo!»
«Muoviti!» - si spostarono in un angolo della palestra, lei aveva adocchiato una goccia di sudore, che lenta stava colandogli dalla fronte. Sembrava essere dotata di una vita propria, perché c’era un che di sadico nel modo in cui si soffermava sui diversi centimetri del viso del ragazzo. Sembrava non volerlo lasciare, voler rimanere lì attaccata a lui, appartenergli per sempre. Ma la gravità la spingeva ad andare giù, e poi il suo braccio la scacciò via. - «Che vuoi?» - le chiese.
«Ho parlato con la Mitchell!» - disse.
«Bene allora sai già che non ho più bisogno di te.» - Gin avrebbe detto che era uno stronzo, ed effettivamente anche lei lo stava pensando. Per la prima volta un aggettivo diverso da “meraviglioso” aveva raggiunto la prima posizione in quelli da ricondurre a Nick.
«Stai zitto!» - non era Emily quella che gli stava parlando, non la Emily che lui aveva conosciuto. Quella era lei, completamente sopraffatta dai sentimenti che provava per lui. E non le tremava la voce, non esitava nei movimenti. - «Sei l’unico della scuola che può ricevere la raccomandazione.» - Nick stava per dire una cosa, ma prima che potesse farlo, come se ci fosse un marionettista a guidare le sue mosse, gli portò la mano sulla bocca. La sua mano, che sfiorava quelle labbra peccaminose. Oltre il braccio, ora c’era un’altra parte di sé che avrebbe voluto amputare. - «Quindi non hai rivali, l’unico tuo ostacolo sei tu. Ma io sono sicura che se ti impegni puoi riuscire ad averla. La Mitchell ti adora chiaramente, altrimenti ti avrebbe già espulso, ed il professor Baer ti darà sicuramente un’altra possibilità.» - soprattutto se glielo avesse chiesto lei. - «Devi solo smetterla di fare il deficiente e ricominciare a studiare, come prima!» - aveva lasciato che la sua mano restasse sulle sue labbra per tutto il tempo. Non l’aveva allontanata, l’aveva lasciata lì mentre lui in silenzio la ascoltava. Quel contatto le fece avvertire il sorriso che non vedeva. E poi gliela scansò con la sua, grande e sudata.
«Il deficiente?» - di tutto quello che aveva detto lui si soffermava su quel piccolo insulto scappatole senza nemmeno realizzarlo?
«Nick!? Ne hai per molto?!» - il coach stava perdendo la pazienza.
«Il punto è che puoi ancora avere la borsa di studio!» - ripeté lei. Nick le teneva ancora la mano, e nell’attimo in cui lo realizzò sentì scemare l’euforia e tornare la timidezza. - «Devo andare…» - doveva anche sbrigarsi o una nota disciplinare l’avrebbe presa lei per aver interrotto gli allenamenti della squadra.
«Emily?» - la chiamò Nick - «Resta. Guardami.» - due semplicissime parole. Eppure le sembrò di essere appena finita contro un albero a trecento chilometri orari. Come se uno tsunami si fosse infranto proprio contro la sua gabbia toracica, comprimendola lasciandola capace di non fare altro che annaspare per un semplice respiro. Perché Nick le mozzava il fiato, Nick le tagliava il respiro. E lui lo sapeva, e non cercava nemmeno di farci attenzione, perché sebbene fosse infinito il numero di ragazze che lo corteggiavano, era avido di quelle attenzioni. Avido di quei sentimenti così ingenui, così onesti. E gli piaceva l’idea che ora in quella palestra, Emily stesse guardando solo lui, proprio lui, e che lo stesse guardando con quelle magiche lenti che si attaccano alla pupilla quando inizi a provare certi sentimenti per qualcuno. Quelle lenti che ti permettono di vedere il suo lato migliore anche quando non ce ne è, quelle che trasformano ogni suo difetto in una particolarità che lo rende unico. Quelle che avrebbero giustificato ogni suo canestro mancato con la sfortuna ed ogni suo punto come un talento naturale. E lui non aveva bisogno di guardarla per sapere che non gli avrebbe tolto gli occhi di dosso, perché la cotta che Emily aveva per lui l’aveva portata a cercare di risolvere un suo problema, a fare qualcosa per lui, ad essere felice per un’opportunità che a lei non avrebbe portato nulla. Emily era esattamente il tipo di essere umano da cui Jeremy lo avrebbe messo in guardia di stare alla larga. E lui lo avrebbe fatto, avrebbe preso le distanze da tutti loro, e se lei aveva ragione se ne sarebbe andato al college a vivere la sua libertà.
«Allora domani riprendiamo le lezioni?» - le disse mentre andavano verso il parcheggio. La ragazza con cui lo aveva visto qualche sera prima era una delle cheerleaders amiche di Rebekah. Si sentiva in imbarazzo lei per loro, ma Rebekah sembrava non sapere nulla, altrimenti avrebbe staccato la testa della mora con un solo colpo. A lei non diceva nulla, era troppo insignificante perché potesse avvertirla come una minaccia.
«Si!» - sembrava che non vedesse l’ora che lui le facesse quella domanda.
«Sei sicura che mi terranno di nuovo in considerazione?» - chiese mettendo in moto.
«Non hanno altri candidati. Nessuno ha i tuoi voti e le tue capacità, sei il solo pretendente.» - non era una risposta lusinghiera, ma era la verità.
«Ok, sei tu quella con la media da capogiro…» - era successo di nuovo, un altro di quei contatti che non avrebbe mai scordato. Nick le aveva spostato una ciocca di capelli e poi aveva riportato la mano sul cambio della macchina. Quella sera gli Howen erano a casa, lo capì vedendo le finestre al primo piano illuminate. Scese ed aspettò che Nick rimettesse in moto prima di entrare. Un saluto veloce, nessuna domanda, e poi dritta nella sua stanza. Quel fine settimana c’era la partita di Gabriel, ma anche una del Nashville. Dal momento che aveva promesso al ragazzo che sarebbe andata a vederlo si sarebbe persa una delle partite di Nick, le faceva male il cuore solo al pensiero. Almeno però ora poteva di nuovo vederlo ogni giorno, poteva di nuovo diminuire la distanza che c’era fra loro. Non avrebbe detto nulla a professor Baer, avrebbe lasciato che lui e la Mitchell si rendessero conto da soli dei miglioramenti di Nick. Il giorno dopo disse ai ragazzi che avrebbe di nuovo dato ripetizioni a Nick e Gin non risparmiò nessuna battuta del suo repertorio, le diede perfino della stalker. E si forse un po’ lo era, ma era abituata a che la sua vita andasse a pezzi, non che lo facesse quella di qualcun altro per causa sua. Era eccessivamente lusinghiero attribuirsi la colpa della rissa fra Gabriel e Nick, perché fra di loro non c’erano mai stati buoni rapporti, si sarebbero comunque scontrati prima o poi, ma la faceva sentire importante. Con la partita alle porte gli allenamenti di Nick finivano sempre più tardi e lui era sempre più stanco quando iniziavano a studiare. Fortunatamente i professori tendevano ad essere comprensivi con lui quando doveva affrontare una gara nel weekend, ma lo stesso non poteva dirsi del coach, che lo distruggeva con sessioni aggiuntive di allenamenti. Era decisamente uno dei ragazzi più resistenti che avesse mai visto in vita sua, ma d’altra parte era stato generato da un dio ed un miracolo, non poteva essere altrimenti. - «Perché non ti fermi a dormire? Non ce la posso proprio fare a riportarti a casa…» - aveva lasciato un biglietto in cucina, nel caso gli Howen si fossero domandati dove fosse. Aveva scritto che sarebbe rimasta a casa di Nick per le ripetizioni fino a tardi, ma erano le dieci e mezza passate e loro avevano fatto solo metà del programma di recupero fissato per quel giorno.
«Posso chiamare un taxi, adesso però finiamo questo capitolo.» - lo implorava, bramava la sua attenzione, quella che le stava negando da quando erano arrivati. Si distraeva per qualunque cosa, continuava a muoversi su quella sedia come se fosse incandescente.
«Dai Em facciamo una pausa.» - la televisione ed il divano li stavano chiamando. E lei proprio non ce la faceva a negargli qualcosa, soprattutto se la guardava con quegli occhi imploranti.
«Ok…» - alla fine cedette e lo vide schizzare sul divano. Era comprensibile che fosse stanco, lo era anche lei, con la differenza che non aveva corso e fatto piegamenti per tre ore. Probabilmente Nick si era addormentato nell’esatto istante in cui aveva toccato il cuscino morbido del divano, Emily se ne accorse solo dopo diversi minuti e non lo svegliò. Riassunse i capitoli che mancavano da studiare, e terminò anche alcuni esercizi di matematica che Nick non aveva concluso. Era la prima regola delle ripetizioni quella di non fare i compiti al posto della persona che doveva recuperare, lo sapeva perfino lei, ma Nick dormiva, ed era troppo bello per disturbarlo.
«E’ ancora qui?» - le domandò uno dei domestici vedendola riprendere le sue cose.
«Si avevamo molto da studiare.» - rispose lei. - «Il taxi è arrivato, buonanotte ed arrivederci.» - Nick dormiva, ma sentiva il profumo di Emily nella stanza, era un sonno vigile attento ad ogni movimento che la ragazza faceva. Lo svegliò l’improvvisa assenza della sua presenza e si precipitò in ingresso vedendola andare via su un taxi.
«Cazzo!» - esclamò.
«La signorina-» - provo a dirgli il domestico.
«Si lo vedo se ne è andata.» - disse lui. - «Buonanotte.» - aveva una cosa da dirle, ma la stanchezza aveva preso il sopravvento.

Il giorno dopo avrebbe avuto la partita nel pomeriggio, l’intera scuola era diventata una celebrazione dell’evento, tutti li davano già per vincitori. Erano i primi nella classifica del campionato, e viaggiavano spediti verso il loro terzo titolo consecutivo. Nick sapeva in quale corridoio era l’armadietto di Emily, ma sapeva anche che lei sarebbe passata di lì per guardarlo da lontano come faceva sempre. Se c'era una certezza nella sua vita era che Emily sarebbe sempre andata da lui, ed infatti la vide arrivare accompagnata da Gin. Se non avesse saputo chi era, se non avesse avuto una qualche rilevanza per lui, probabilmente sarebbe stata invisibile, lo era stata per un intero anno. Chissà quanti di quegli sguardi pieni di affetto, premura e dolcezza si era perso. La guardò mentre quello sguardo diventava ansioso, incerto e preoccupato ad ogni passo che lui faceva nella sua direzione.
«Buongiorno.» - le disse gustandosi il suo terrore, ogni volta che le si avvicinava a scuola.
«Ciao.» - disse lei. Parlare con Nick era come salire su un palco e mettersi sotto la luce più brillante, faceva sì che le attenzioni di tutti i presenti si concentrassero su di te. Il che non era proprio il massimo.
«Dopo la partita facciamo una festa a casa mia…» - lo sapeva, la squadra organizzava sempre una festa dopo ogni partita. Celebravano le loro vittorie, e quelle rare volte che non era così, esorcizzavano le sconfitte con litri e litri di alcool. - «Vieni?» - si voltò verso Gin per assicurarsi di non essere la sola ad aver avvertito lo scoppio nucleare. Ed anche l’amica aveva la sua stessa faccia perplessa. Nick l’aveva appena invitata ad una festa a casa sua? Probabilmente ora si sarebbe alzata di venti centimetri, avrebbe preso due taglie di seno, ed i suoi capelli sarebbero improvvisamente diventati perfetti e setosi. Era l’effetto che faceva andare alle feste di Nick Sorrentino, tutti lo sapevano. E poi c’era la risposta che doveva dare, anche se nessuno e nemmeno lui si aspettava che dovesse essercene una. Perché tutti sarebbero andati ad una di quelle feste, soprattutto una sfigata del secondo anno che aveva ricevuto la grazia di venir invitata.
«Non posso…» - più tardi si sarebbe punita. Si perché meritava di essere punita per aver dato il suo primo rifiuto a Nick.
«Non puoi? Non dirmi che sei in punizione per ieri notte!» - solo Gin, Steve e Clarke sapevano la verità sulla notte di cui Nick parlava. Tutto il resto della scuola che aveva le orecchie sintonizzate sulla loro conversazione e che bisbigliava come nemmeno un esercito di cicale, aveva appena dato il via alle speculazioni.
«No, non è per quello!» - ma tanto avrebbe potuto negare e spiegare fino alla sua morte che non aveva passato la notte con lui, nessuno le avrebbe creduto. Anche perché se si fosse trattato veramente del tipo di notte che tutti stavano immaginando, ce l’avrebbe passata eccome. - «Ho un altro impegno. Con i miei.»
«Allora a lunedì!» - dopo lo scoppio della bomba ora aveva anche sentito il suo cuore frantumarsi. Quarantotto ore senza vederlo. Avrebbe dovuto comprare delle bombole dell’ossigeno e riempirle di lui, dell’aria che lui respirava per riuscire a sopravvivere a tutto quel tempo. Quello fu il momento in cui un post-it indelebile si piazzò sulla sua coscienza ad eterna memoria. Mai più saltare una partita di Nick. E solo perché Gabriel era praticamente il suo gemello perduto alla nascita quel pomeriggio non fu il più grande rimpianto di tutta la sua vita. Se le avessero detto che sarebbe tornata a casa sorridendo come una scema, e con un po’ di riluttanza nel far concludere quell’uscita probabilmente non ci avrebbe creduto. Ma Gabriel era così, migliorava l’impossibile. Non avevano mai parlato veramente di cosa fosse successo fra lui e Nick, erano rivali nello sport, e si erano cordialmente antipatici nella vita. Probabilmente se Nick non avesse dovuto rigare dritto per il college avrebbe continuato a farci a botte ogni giorno.
Il lunedì arrivò, si fece attendere, la fece soffrire, pregare e supplicare, ma alla fine arrivò. E probabilmente lei era l’unico essere sul pianeta che desiderava l’inizio di una settimana così ardentemente. La squadra aveva vinto, c’erano ancora alcuni palloncini sparsi per la scuola e lei si stava facendo raccontare da Gin la partita, minuto per minuto. Quasi non credé ai suoi occhi vedendo Nick appoggiato al suo armadietto. Poteva esserci un lunedì migliore? Poteva esserci una vita più degna di essere vissuta? No, perché se la prima persona che incontri a scuola il lunedì mattina è Nick Sorrentino, allora sai per certo di essere in paradiso e che non c'è altro da desiderare. 
«Ehi.» - lo salutò. - «Complimenti per la partita av-» - l’aveva afferrata per le spalle rovesciandola contro l’armadietto, che con lo scontro emise un forte rimbombo. Il rumore aveva dato a quel gesto una forza che in realtà non aveva, Nick non l’aveva sbattuta per farle male, ma comunque la teneva premuta contro l’armadietto.
«Un impegno con i tuoi era andare alla partita del Berrytown ed uscire con Gabriel?» - avrebbe veramente voluto essere una brava bugiarda per salvarsi da quella catastrofe. Ma non lo era.
«Nick…» - si sentiva come se lo avesse tradito, ma sapeva razionalmente che non era così.
«No Emily, lascia stare.» - e contemporaneamente la lasciò andare. Nick aveva una specie di allergia alle bugie, odiava che gli venisse mentito. Anche se lui non faceva altro, doveva nascondere a tutti la verità su ciò che era, su ciò che suo padre era. Forse per quello apprezzava le persone oneste. Che a mentirgli fosse stata proprio Emily poi era perfino più irritante. Gabriel non aveva imparato la lezione, forse avrebbe dovuto dargli una ripassata e giocarsi così del tutto la possibilità di avere la raccomandazione dei suoi professori. Emily non era la sua ragazza, non lo sarebbe mai stata, non era il suo tipo, eppure in qualche modo la considerava sua. Un desiderio narcisistico, un affetto esclusivamente egoista che però non poteva evitare di sentire. Lui non le dava nulla e non avrebbe mai potuto darle altro, ma in cambio voleva tutto. 
La fine del trimestre era vicina e così gli esami di metà anno, era un momento fondamentale che avrebbe deciso probabilmente le sorti della sua borsa di studio. Non poteva evitare di incontrarla ogni giorno della settimana, aveva bisogno di lei per recuperare e per passare gli esami, ma Emily lo sentiva che l’aveva di nuovo tagliata fuori. Non si distraeva più, restava concentrato e terminavano il recupero sempre in perfetto orario. Non c’erano più le pause che tanto le piacevano, quel trascinare per le lunghe i loro incontri e fare di tutto divertendosi come due bambini.
«Credo che morirò se continua a trattarmi così.» - disse completamente buttata sul tavolo della mensa. Era diventata avida, lo sapeva.
«Così come? Così come tratta tutti?» - le domandò Gin. Era peggio di come trattava gli altri, perché loro non avevano assaggiato il frutto proibito delle sue attenzioni. Non si era più persa una partita, ma non aveva mai più ricevuto inviti alle feste. Con il break natalizio non lo avrebbe visto per ben due settimane, fino all’arrivo dell’anno nuovo. Più gli stava lontano più iniziava ad innervosirla il suo atteggiamento. Poteva capire che non andasse d’accordo con Gabriel, ma perché prendersela tanto? Nemmeno a  lei era simpatica Rebekah e loro facevano decisamente di più che andare a prendere qualche gelato o guardare qualche partita! Ma tanto poi a dispetto di qualunque cosa pensasse, a fine giornata era sempre lì a fissare il soffitto della sua camera e contare i giorni che mancavano al ritorno a scuola. Aveva sperato di poter passare con lui anche quelle vacanze, con la scusa delle ripetizioni, ma lui le aveva fatto preparare un programma da seguire ed era partito con la sua famiglia. Non le aveva neppure detto com’erano andati i risultati dei compiti che avevano fatto sino ad ora. Gli Howen erano partiti per una vacanza che sarebbe durata qualche settimana, lasciandola da sola ad affrontare il ritorno a scuola. Era sicura che potesse considerarsi abbandono di minore, ma nel giro di pochi mesi avrebbe compiuto sedici anni, e loro la ritenevano abbastanza grande da poter stare da sola a casa. Le prime settimane di scuola del nuovo anno, Nick per lei fu una specie di mistica visione, riusciva ad intravederlo solo durante l’ora di pranzo ed alle partite. Non le aveva detto nulla circa una ripresa delle loro ripetizioni. Era sicuramente una sua impressione, ma se su di lei le vacanze di Natale avevano avuto un effetto disastroso, si era abboffata di dolci e depressa, lui sembrava essere perfino più diabolicamente magnifico. Non c’era nulla da fare, esistevano due grandi schieramenti che dividevano il mondo, quello degli esseri umani, e quello della specie superiore a cui apparteneva senza ombra di dubbio Nick. Non dovendo dare ripetizioni a lui, con Gin, Steve e Clarke occupati con i corsi pomeridiani e Gabriel impegnato con gli allenamenti ed i recuperi, tornava a casa presto. Avere la casa tutta per sé aveva il vantaggio di lasciarle la completa libertà nel trascurarsi. Gli unici momenti in cui riconquistava la forma umana erano le brevissime visite della vicina che la teneva d'occhio. Le aveva lasciato una teglia con uno stufato di pasta con cui fare cena davanti alla tv facendo zapping. Quando suonò il campanello di casa immaginò che si trattasse proprio della donna venuta a riprendersi la teglia. Guardo dallo spioncino e tutto ciò che vide, fu un foglio sfocato a coprire la visuale.
«Chi è?» - domandò. Un altro suono e di nuovo guardò dallo spioncino, ma stavolta vide lui. Dovette controllare ben tre volte prima di essere sicura di aver visto bene e poi realizzò di avere addosso dei pantaloni a pois ed una maglietta con un coniglio ed un fiocco applicato sopra. Non c’era tempo per cambiarsi, non che avrebbe poi fatto chissà quale differenza quindi tanto valeva umiliarsi ed aprire. Non le parlava da quasi un mese ed ora era lì sulla soglia di casa sua. Aprì e si ritrovò davanti il foglio che aveva visto in precedenza, ma stavolta lo vide bene. Erano i risultati del primo bimestre, aveva tutte A una B+ in chimica ed una C in storia. Erano miglioramenti eccezionali considerando che partiva da una F. Quando Nick rimosse il foglio da davanti alla sua faccia poté vedere il sorriso ricolmo di orgoglio che Emily stava sfoggiando, ed anche la maglietta con il coniglio. - «Ce l’hai fatta!!! Sei ad un passo dal riprenderti la borsa di studio!» - era così felice che avrebbe voluto saltare sul posto.
«In realtà la Mitchell mi ha già detto che sono di nuovo fra i candidati, se alla fine dell’anno la mia media sarà idonea, avrò la lettera.» - le disse lui sorridendole. Il sibilo che sfuggì alle labbra di Emily fu più sottile dello stridio di un vetro sulla lavagna.
«Oddio lo sapevo!» - adesso stava veramente saltando sul posto. - «Certo che la tua media sarà idonea! Sono sicura che diventeranno delle A nel giro di pochissimo!» - e poi successe l’inaspettato, l’incalcolabile, l’imprevedibile. Nick la tirò verso di sé e le appoggiò un bacio a fior di labbra, lì, metà dentro casa e metà fuori. E quando si allontanò, se quei tre o quattro centimetri che aveva messo fra le loro bocche potevano considerarsi distanza, Emily aveva le labbra socchiuse desiderose di molto di più che quella semplice carezza. Il respiro fermo, congelato nell’istante in cui lui l’aveva baciata e la gola secca. Così arida che poteva sentire le pareti interne raggrinzirsi ed incresparsi e le fece male deglutire.
«Grazie Em.» - le disse, ed ora quei centimetri aumentavano e lui tornava ad una distanza di sicurezza, che le faceva improvvisamente sentire freddo. E poi lo guarda mentre si volta e riprende la macchina, come se nulla fosse successo. “Grazie Em” aveva detto. Lei non sarebbe più riuscita a vivere da quel momento in avanti, ma lui era stato così educato da ringraziarla per i suoi voti scolastici. L’aveva ringraziata prendendosi un bacio, il suo primo bacio. Fissandosi per sempre indelebile fra le sue memorie.
«Grazie Em?» - le domandò Gin parafrasando la frase che Nick le aveva detto la sera prima. - «Ti ha preso per un distributore automatico di baci?»
«Senza lingua non è un bacio. Soprattutto se è da Sorrentino che arriva.» - disse Clarke senza nemmeno sollevare gli occhi dallo schermo del suo computer.
«Qualunque cosa diremo sarà inutile, ormai è infetta.» - Steve la guardava con autentica pietà mentre si teneva la testa con le mani. Le lezioni sarebbero iniziate fra pochi minuti, ma lei non aveva il coraggio di entrare. Avrebbero anche avuto il laboratorio di chimica quel giorno, il che significava dover condividere con lui un’aula. Anche se ormai doveva rivedere la classifica dei momenti in cui le era stato più vicino. L’anno nuovo era iniziato così, nessun anno sarebbe mai potuto iniziare meglio. Durante l’ora di lingua straniera Nick comparve nella sua classe chiedendo di farla uscire. Le professoresse non erano immuni al suo fascino, doveva essere per quello che le sue uniche insufficienze erano in materie insegnate da uomini.
«Oggi saltiamo gli allenamenti, ci vediamo da me dopo scuola?» - le disse nel corridoio davanti alla sua aula. Nella sua testa continuava a riprodursi come un film la scena della sera prima.
«Ok.» - rispose a mezza bocca ributtandosi subito in classe. Era difficile guardarlo, soprattutto se lui era così incredibilmente calmo, mentre lei sul punto di esplodere.
Era successo altre volte, altre decine di volte che mentre lei arrivava, Rebekah usciva da casa di Nick, eppure quella volta vederli baciarsi sull’uscio della porta, proprio come aveva fatto con lei, la disgustò. Definire il comportamento di Nick contraddittorio, era farne un elogio di rettitudine. Prima la ignorava, poi si arrabbiava se usciva con Gabriel, poi la ignorava di nuovo,  poi si arrabbiava di nuovo, la ignorava ancora e poi la baciava. Era a lei che servivano delle ripetizioni, un corso intensivo per capire cosa dovesse farne di quella marea di sentimenti confusi che le si agitavano nello stomaco. Prima o poi li avrebbe vomitati.
«Stasera vengono i ragazzi, ti va di rimanere?» - oggi l’aveva portata in cucina ed aveva ricoperto il tavolo di pacchi di patatine e snacks vari. - «Anche se sei ancora troppo piccola per l’alcool.»
«Significa che sono perdonata?» - domandò appoggiando i libri fra i pacchi di patatine e popcorn.
«Uh?» - come al solito Nick mangiava una quantità enorme di cibo.
«Non mi hai parlato per un mese ed ora mi inviti a stare con i tuoi amici…» - Emily non poteva saperlo, ma averla tenuta a distanza non era stato facile neppure per lui. Lei era drogata di lui, della sua presenza e delle ore che trascorrevano insieme, lui era assuefatto alle attenzioni, agli sguardi ed alle accortezze che lei gli dedicava.
«Davvero?» - le chiese facendo finta di nulla. Emily aveva aperto il pacco delle patatine che sapeva essere le sue preferite, lo faceva sempre e poi lo lasciava lì vicino a lui. Ed allora lui le versò un po' d'acqua nel bicchiere. Ed era scattata una molla, nell’esatto istante in cui l’aveva di nuovo accidentalmente sfiorata passandole l’acqua.
«Non ce la faccio!» - disse Emily alzandosi ed uscendo dalla cucina. Era stata in quella casa decine di volte, eppure ancora si perdeva cercando l’uscita.
«Em? Dove vai?» - e Nick la ritrovava sempre, sembrava avere un GPS attaccato addosso.
«Non ce la faccio più con le ripetizioni e tutto!» - disse lei cercando di superarlo. - «Ti lascio i capitoli da studiare con gli appunti nell’armadietto…» - disse camminando lungo il corridoio che era sicura l’avrebbe condotta fuori. - «Fra le dichiarazioni d’amore ed i preservativi.» - aggiunse con un pizzico di cattiveria.
«Ti vuoi fermare un attimo o devo correrti dietro per tutta casa?» - le disse lui afferrandole il braccio e vedendosi bruscamente allontanare. Stava anche seminando patatine lungo tutte le stanze della casa, perché se le era portate dietro.
«Non posso, perché se mi fermo poi ti guardo e se ti guardo…» - finisco di nuovo incastrata in quegli occhi bellissimi. Ma non lo disse. Tenne per sé la fine della frase perché anche se non aveva voluto era comunque finita a guardarlo.
«Se mi guardi?» - le domandò lui.
«No! No! No! Dico davvero no!» - aveva ricominciato a camminare e stavolta stava tornando sui suoi passi, ma Nick non era nemmeno sicuro che sapesse dove volesse andare. - «Io non ce la posso fare ed è colpa mia!»
«Ma cosa non puoi fare?» - nonostante le avesse detto di fermarsi era lì ad inseguirla, non le lasciava mai un vantaggio superiore a qualche metro.
«Continuare a venire qui, a vederti, a vederti con Rebekah e con ogni altra ragazza dello Stato!» - l’aveva detto. - «Non ce la faccio perché non ti capisco, non capisco i segnali che mi dai, sempre che siano dei segnali… Perché mi allontani, ma sei geloso, poi mi ignori e poi vieni a casa mia e mi baci. Anche se lo so che se non c’è lingua non c’è bacio… Insomma tu sei tu e io sono io, e tu non baci me. Eì tipo la prima legge della natura.» - eccola finalmente la porta d’ingresso. Nick era dietro di lei e la sentiva blaterare confusamente tutte quelle cose. Alla fine Emily era esplosa.
«Mi dispiace se hai frainteso.» - le disse. E mentì, perché in realtà la descrizione che Emily aveva fatto dei suoi comportamenti era a dir poco accurata. Ma grazie a lei sarebbe andato al college, le doveva troppo e lei era troppo diversa dalle sue solite ragazze per rischiare e prendersi davvero tutto quello che voleva. Eppure quelle parole risuonarono nel padiglione auricolare di Emily ferendola più di una cannonata in pieno stomaco. Aveva frainteso, quello era ovvio, però sentirselo dire da lui, lo rendeva reale. Non avrebbe mai dovuto sentirsi allontanata, perché non l’aveva mai avvicinata. Uscì dalla casa dei Sorrentino e non vi fece mai più ritorno. Per tutti i mesi che li separarono dalla chiusura dell’anno scolastico Emily tornò a guardare Nick dal tavolo della mensa, nel corridoio od alle partite. Gli lasciava nell’armadietto i pochi argomenti rimasti da recuperare e quando finirono, semplicemente smise di andarci. Gli esami di metà anno misero tutti a dura prova e resero ancora più radi gli incontri fortuiti con Nick. Non alzava mai lo sguardo quando lo incrociava nei corridoi, voleva smettere di chiedersi se l’avrebbe guardata, o interrogarsi se quello sguardo che aveva rivolto nella sua direzione fosse proprio indirizzato a lei. Aveva anche smesso di passare lungo il corridoio dove lui aveva l'armadietto, allungava la strada per la sua classe, ed era un'abitudine stupida. Dopo gli esami di fine anno, l’ultimo evento a cui lo avrebbe visto partecipare prima della sua partenza per Stanford sarebbe stata l’ultima partita del campionato, proprio contro la squadra di Gabriel. Il titolo era già loro, ma la partita andava comunque disputata, senza contare che tutti i giocatori delle rispettive squadre non vedevano l’ora di incontrarsi sul campo. La squadra di Nick vinse per pochi punti, confermando ancora una volta la sua superiorità, ma Gabriel aveva il prossimo anno per rifarsi. D’altra parte Nick non era umano, aveva una concentrazione ed una tenuta di gioco da NBA. Questo non glielo disse, ma nel tentativo di tirarlo su dalla sconfitta, in macchina lasciò andare di nuovo Oblivion, la canzone che avevano ascoltato e cantato insieme la prima volta.
«Non sono triste!» - le disse fingendo di asciugarsi una lacrima. - «Il prossimo anno vinceremo noi!»
«Solo perché Nick non ci sarà più!» - Gabriel mimò il suono di uno sparo. Lo aveva colpito ed affondato. Parcheggiò come al solito davanti casa sua. - «Emy, magari ci vediamo qualche volta durante l’estate ok?»
«Certo!» - rispose lei regalandogli il miglior sorriso che aveva. Nick sarebbe partito fra pochi giorni. Da quello che si diceva a scuola aveva già spedito i suoi pacchi al college, e la casa era già stata messa in vendita. Probabilmente quella sera avrebbero festeggiato l’ultima vittoria ed anche la sua partenza. Gli Howen le avevano lasciato un biglietto, dicevano di non aspettarli sveglia, come se lo avesse mai fatto e che erano a teatro. Un giorno anche lei sarebbe andata al college, esattamente a due anni da quel momento. Yale era la sua meta, drammaticamente dall’altra parte del continente americano rispetto a Stanford, non che si aspettasse di rivedere mai più Nick in vita sua, ma comunque una constatazione triste da fare. Non era abbastanza innamorata da scegliere lo stesso college del ragazzo che le piaceva, o forse semplicemente non era più una stalker, come diceva Gin. Quasi morì di paura sentendo bussare alla porta. - «Esiste il campanello!» - bisbigliò fra se e se andando a controllare chi fosse.
Lui non doveva essere lì, doveva essere seminudo nella piscina di casa sua a festeggiare con i suoi amici la sua ultima vittoria. E Nick lo aveva fatto, aveva giocato ed aveva vinto, e l’aveva anche vista andare via con Gabriel. Si era tuffato in piscina aveva bevuto e quando ormai la festa era nel suo vivo, se ne era andato arrivando sul suo portico bagnato ed un po’ ubriaco. Emily rimase appoggiata alla porta sentendola tremare sotto i colpi del ragazzo.
«Em!» - gridò ad un certo punto. - «Lo so che ci sei sento il tuo odore!» -disse. E lei si allontanò annusando la maglietta e cercando di capire se non emanasse qualche strano odore. Come faceva a sentirla da dietro una porta? - «Apri o la butto giù!» - decisamente la sua porta non era fatta per ricevere tutti quei colpi da qualcuno forte come Nick. L’avrebbe buttata giù davvero. Aprì piano, fu lui a spalancare piombando nel suo salotto come un ciclone. Le afferrò la testa e la baciò di nuovo, stavolta c’era anche la lingua, e nello slancio la mandò a sbattere un po’ contro qualunque cosa vi fosse nella stanza. E poi raggiunsero il frigorifero, unico oggetto in grado di fermare quell’avanzata confusionaria e cieca. Era bagnato, l’acqua che colava dai capelli gli aveva chiazzato la maglietta verde e le mani di Emily erano diventate umide toccandolo. La liberò da quel bacio solo per sollevarla e portarla al piano di sopra, come se fosse casa sua, come se quelle stanze le avesse visitate ogni giorno. Non aveva esitazione, sapeva perfettamente dove andare ed Emily era troppo confusa dalla vicinanza che quel corpo le causava per chiedersi come fosse possibile. Era l’odore, Nick non aveva sentito altro per tutta la sera, anche nella palestra quando c’erano centinaia di altre persone, lui sentiva solo lei. E dentro quella casa era la stessa cosa, seguiva l’odore di Emily fino ad entrare nella sua camera e rovesciarla nel letto sotto di sé. Nel giro di pochi giorni ci sarebbero state oltre duemila miglia fra di loro, ed un divieto ancor più categorico impostogli dalle regole del suo Branco. Ma quella sera poteva stare sopra di lei, poteva accarezzarle il viso, poteva ancora farsi guardare da quegli occhi innamorati. Poteva sfiorarle le labbra sentendola fremere a quel leggero contatto, poteva prendersi Emily e poi dirle addio per sempre. Perché lei non lo fermava, era incerta sotto di lui, insicura su cosa dovesse o non dovesse fare. Ed era quello a renderla ancora più bella, perché Emily non sapeva mai cosa fare, quello lo avrebbe imparato, ma faceva sempre ciò di cui lui aveva bisogno. E lui in quel momento aveva solo bisogno di lei, del suo profumo, del modo in cui gli passava la mano sul petto accarezzandolo. - «Credevo che ti avrei trovata con Gabriel…» - le disse.
«Eri venuto per lui? Se  vuoi posso richiamarlo!» - rispose lei privando il suo petto di una carezza ed allungando la mano verso il telefono. E quella stessa mano venne imprigionata in quella di lui, e poi baciata da suo sorriso. Quante volte l’aveva vista scrivere i suoi riassunti con quella stessa mano? Quante volte gliel’aveva sfiorata solo per vederla arrossire? Era stupito dalla sua stessa stupidità, dal tempo che c’aveva messo a realizzare di volerla e per tutto il tempo che era riuscito a resistere a quel desiderio.  Non era nella sua natura, se fosse partito senza averla avuta vicino un’ultima volta non era sicuro che sarebbe riuscito a vivere la vita che si era immaginato. E poi si accorse dello sguardo di terrore comparso sul viso di Emily. Guardava alle sue spalle, ma lui non aveva sentito tornare nessuno.
«Che c’è?» - disse girandosi.
«No, no, no, non guardare!» - Emily era scappata da sotto di lui lanciandosi contro lo specchio che aveva in camera.
«Cosa non devo guardare? Uno specchio?» - e poi notò il foglio che teneva fra le mani e divenne curioso. - «Fammi vedere cos’è.»
«No!» - rispose ferma lei strappandolo a metà. Nick le impedì di proseguire imprigionandole i polsi. Sapeva perfettamente come farle lasciare la presa e ci volle solo un istante prima che i fogli cadessero a terra e poi nelle sue mani.
«Tu, quattordici anni, Emily, sfigata, Howen. Lui, diciassette anni, Nick, sono dio, Sorrentino?» - non era previsto nei piani dell’universo che Nick Sorrentino avrebbe mai messo piede nella sua stanza, per questo non aveva mai nemmeno lontanamente pensato di dover rimuovere il biglietto che le aveva fatto Steve. - «Cos’è? E perché lo tieni sullo specchio?» - un’operazione ai polmoni senza anestesia sarebbe stata meno dolorosa.
«Serve a ricordarmi che ci sono cose al di sopra delle nostre potenzialità.» - rispose rassegnata, cercando di infarcire quell’evidente esempio di disagio adolescenziale con un pizzico di filosofia di vita.
«Io sarei al di sopra delle tue potenzialità?» - quello sarebbe stato il momento perfetto per spiegare a Nick l’idea che aveva sulla sua nascita e le sue origini. Era sicura che se gli avesse detto di reputarlo il figlio di un dio con un miracolo, avrebbe chiamato i servizi sociali per farla internare. - «Devi davvero smetterla di sottovalutarti.» - aveva buttato il foglio nel cestino ed era tornato da lei. La fissava di nuovo, e lei non riusciva a non pensare a quanto sarebbero stati fortunati gli studenti di Stanford ad averlo per i prossimi quattro lunghissimi anni. E se lui non avesse cominciato a baciarle il collo si sarebbe goduta di più quel complimento. Ma andava bene anche sentire la sua bocca torturare ogni centimetro della sua pelle. Era come cadere in trans, seguire i movimenti circolari della sua lingua, i baci i morsi, erano una melodia silenziosa scritta su uno spartito fatto di carne che ribolliva ad ogni nuova nota. Erano di nuovo stesi a letto e Nick le aveva sollevato la maglietta scoprendole l’addome. Le cingeva il fianco scoperto con una mano, mentre l’altra continuava ad accarezzarle il viso, come a volerla rassicurare.  E poi sentì la pelle del suo collo intrappolata fra i suoi canini, risucchiata in quel vortice caldo che era la sua bocca.  Quando la liberò le sembrò di bruciare, un misto di dolore e piacere, Nick si avvicinò ancora di più scivolandole fra le gambe e tornando a baciarla. Era arresa, perché sapeva che tra poco avrebbe suonato la sveglia, perché decisamente doveva per forza essersi addormentata. - «Em?» - le bisbigliava proprio accanto all’orecchio facendole il solletico, non era un sogno, c’era veramente. - «Mi devi fermare se non vuoi…» - e immediatamente le salì l’imbarazzo. Ci aveva pensato, qualche volta, insomma se fai parte del club di quelle povere sfigate che vanno dietro a Nick Sorrentino ti capita di chiederti come debba essere farlo con lui, ma nelle fantasie era facile essere coraggiosi e cogliere l’occasione. Così come era facile quando faceva le peggiori battute che le venissero in mente insieme a Gin. Trovarcisi veramente era tutta un’altra storia.
«Ok…» - lo disse così piano che fu quasi impercettibile.
«Ok? Sei sicura?» - Nick sorrideva, per lui non era niente di nuovo, nulla che non avesse già provato o fatto in precedenza, quindi come sempre era lei quella intimidita e lui quello calmo.
«No…» - di nuovo un sibilò. No, non era sicura, no non era ok, no non era vero che non volesse. Erano tutte considerazioni contrastanti, ma tutte egualmente vere. Si, assolutamente si, avrebbe voluto farlo con lui, ma no, non in quel momento. Forse era troppo da digerire in una sola notte, o forse era la prospettiva che sarebbe partito e che non lo avrebbe più rivisto. O forse semplicemente aveva quindici anni ed era un po’ spaventata. E lui che continuava a ridere non migliorava la situazione.
«Non fa niente.» - e invece faceva tutto. Come poteva essere così scema? Le avrebbero dedicato una festività nazionale per ricordare alle future generazioni che non c’era limite alla stupidità umana. Sarebbe passata alla storia come colei che non l’aveva data a Nick Sorrentino, avrebbe portato il marchio della vergogna e del rimpianto per il resto della sua vita. Ma nonostante tutto questo non ci riusciva, era bloccata, non riusciva a sentirsi sicura.
«Mi dispiace.» - disse allontanandosi da lui. Era insostenibile tutta quella vicinanza e lei sapeva di essere ridicola.
«Non è colpa tua… Avrei dovuto pensarci prima.» - se lo sarebbe ricordato fino all’ultimo giorno della sua vita quanto era stato stupido negarsi qualcosa che desiderava. Eccolo lì, divorato dal desiderio di avere quella ragazza, ed aver sprecato mesi e mesi di tempo evitandola. Ed era normale che lei non si sentisse sicura, era normale perché era quello che succedeva quando si provavano dei sentimenti. Dio quanto avrebbe rimpianto Emily. - «Credo che i tuoi siano tornati.» - disse avendo sentito una macchina fermarsi proprio davanti alla casa. Nick ruzzolò sotto il letto.
«Che stai facendo?» - gli domandò lei.
«Evito che tuo padre mi uccida? Hai pur sempre solo quindici anni!» - le disse lui. E sarebbe stato lungo spiegargli che l’uomo e la donna che erano appena rientrati non erano i suoi genitori, che non si interessavano di cosa facesse o di chi vedesse. Che non avevano mai controllato nemmeno una volta se fosse effettivamente nella sua stanza, nel suo letto. Ma aspettò che entrassero nella loro stanza ignorandola completamente per vedere Nick tornare accanto a lei.
«Visto?» - gli passò un cuscino, ma lui si appoggiò su di lei. Nell’incavo fra il collo e la spalla, con i capelli che le solleticavano la guancia.
«Ti verrà il segno.» - le disse baciandole il collo dove l’aveva “morsa” poco prima. - «Resterà solo qualche giorno, quando se ne sarà andato, mi devi promettere che smetterai di essere innamorata di me.» - ad Emily venne da ridere, mentre Nick invece era serissimo. - «Che hai da ridere? Dico sul serio, non mi rivedrai mai più in vita tua.» - ed anche se lo avesse rincontrato non avrebbe comunque potuto stare con lei.
«Va bene come vuoi.» - lo assecondò, perché anche lei aveva bisogno di credere che nel giro di qualche giorno non avrebbe sentito la sua mancanza, non avrebbe sperato di vederlo tornare indietro. Non avrebbe girato per i corridoi della scuola nella speranza di vedere un’ombra che glielo ricordasse, ma lo sapeva benissimo, che ci sarebbe voluto qualcosa in più.
«Devo andare a concludere la mia festa.» - già la festa che aveva lasciato per precipitarsi da lei.
«Già.» - lo accompagnò fino alla porta e sentiva già di voler piangere. - «Buona fortuna per il college.» - disse.
«Addio Em.» - si perché il loro non era un arrivederci, ma un addio vero e proprio. C’era il Branco da cui sarebbe tornato, suo padre, e tutte le responsabilità che comportava l’essere un Sorrentino.
«Ciao Nick.» - e per lei invece era un semplice ciao che lui sentì quando ormai le dava già le spalle. Perché Emily immaginava che nella vita tutto può succedere, e che magari fra settant’anni si sarebbero incrociati per sbaglio in un bar di una cittadina sconosciuta. Non c’era motivo di dirsi addio se ancora si era vivi. Lei non sapeva del Branco, non sapeva cosa Nick nascondesse e quale fosse la sua vera vita, lei vedeva quella situazione con gli occhi di una quindicenne. E non c'era motivo di non sperare che il destino un giorno le avrebbe regalato nuovamente la celestiale visione di Nick. Se allora avesse avuto la sicurezza che si sarebbero davvero incontrati di nuovo in un bar, forse non avrebbe pianto così tanto e forse non le avrebbe fatto così male dimenticarlo.
   
 
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