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Autore: julierebel17    16/05/2014    1 recensioni
“Ero tua?” gli chiese orgogliosa.
“Non ho detto questo”
“Però l’hai pensato”
Si fissarono per alcuni secondi. Quella discussione non avrebbe dato alcun frutto.
Cominciò a piovere violentemente, la pioggia li colse entrambi di sorpresa.
Aprile era un mese imprevedibile.
Si trattava di una di quelle pioggerelle temporanee, che durano un attimo, un po’ come le arrabbiature stupide.
Adesso, oltre che nervosi erano anche fradici.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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*_Fool In The Rain_*


Now I will stand in the rain on the corner
 I'll watch the people go shuffling downtown
 Another ten minutes no longer
 And then I'm turning around

 The clock on the wall's moving slower
 My heart it sinks to the ground
 And the storm that I thought would blow over
 Clouds the light of the love that I found

-Fool in the rain-Led Zeppelin-

 

“Hey Vale, tutto bene?
Beh a me no.
E’ passato un mese. E’ un mese che non mi parli più. Un mese che non mi guardi negli occhi.
Un mese che mi eviti.
L’ho visto, sai? Ho visto come ti sta attaccata Clarissa.
E sappi che la mia non è gelosia. In ogni caso, volevo solo dirti che mi dispiace se è questo che ti va di sentire.
Ok? Scusami. Mi manchi”

Valerio lesse quel messaggio con la stessa voce di Virginia, un po’ acuta quando era in preda alla rabbia, macchiata da una punta d’orgoglio.

Quelle scuse dovevano esserle costate care per quanto era testarda, ma non aveva intenzione di cedere.
Aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle e così avrebbe fatto.
Clarissa, beh…la conosceva da qualche mese e non gli dispiaceva la sua presenza, dopotutto era una bella ragazza.
Solare, simpatica, dolce e soprattutto NON nevrotica.
Era l’opposto di Virginia.
Già…era così diversa da lei.

Per un attimo esitò nello scrivere un messaggio da inviarle.
Non seppe se risponderle o meno, ma sapeva che l’altra non era tipo da lasciar perdere senza aver ottenuto un’adeguata risposta.

“Anche a me dispiace sia andata così, ma vedrai che ti passa” scrisse.
La ragazza ricevette il messaggio e si chiese come facesse ad essere diventato tanto freddo e insensibile.

“Quanto lo odio” sbottò.
Come al solito, il giorno dopo lo avrebbe visto prendere il bus per l’università e sarebbe rimasta immobile senza riuscire a parlargli in modo adeguato.
Avrebbe biascicato un “ciao” e se ne sarebbe andata verso il liceo con gli occhi socchiusi e il cuore dolorante.
Avevano solo due anni di differenza e le pesavano sulle spalle quasi fossero venti.

Decise di mettersi l’anima in pace, almeno per il resto del giorno.


Il mattino seguente si alzò fermamente decisa a dare una svolta alla propria vita.
Alle sette e venti passò puntuale dinnanzi alla fermata del bus che sarebbe a sua volta passato di lì cinque minuti dopo senza contare i possibili minuti di ritardo.

Lo vide in tutto il suo splendore e l’ammirò per un attimo.
Capelli rossicci, fisico asciutto, ma per nulla muscoloso.
Ciò che più l’attirava era la sua postura. Aveva la solita, stupida, attraente aria spavalda di chi non se ne frega di nessuno.

Per un secondo si voltò, le puntò le iridi azzurre in volto e Virginia sentì le gambe cedere.
Le venne un capogiro, ma non lo diede a vedere.
Fece un cenno con la testa come per dargli il buongiorno e continuò a camminare.
Lui non si mosse.
Si ricordò di ciò che si era ripromessa. Erano le sette e ventitré, aveva solo due minuti.
Tornò indietro riuscendo per una volta a sorprenderlo; Valerio era convinto che avrebbe continuato per la sua strada e come sempre non sarebbe riuscita ad aprir bocca.

Forse non sarebbe stato in grado di non risponderle, non dal vivo.

“Buongiorno” disse Virginia con una voce talmente sottile da sembrare un sibilo.
Stranamente non c’era nessun altro intorno a loro, forse perché aveva piovuto e la gente comune odiava la pioggia…ma non loro due.

Valerio rimase in silenzio.
La ragazza non perse le speranze.
“Ti ho chiesto scusa” continuò.
Silenzio.
“Per favore”.
Gli stava accanto mentre l’altro fissava un punto indefinito della strada. Sapeva che stava analizzando qualsiasi parola lei dicesse.

Capì che doveva farlo innervosire per ottenere un minimo di considerazione.
Tentò per l’ultima volta di parlare.
“Va bene, sta arrivando il bus, dovrai andare credo, come sempre non capisci”.
Sapeva bene che una delle cose che Vale odiava sentirsi dire era che “non era in grado di capire”.
Dopotutto, anche lui aveva il suo orgoglio.
Le rispose infastidito.
“Capire cosa?”
Virginia si rallegrò per un attimo. Ce l’aveva fatta.

“Il concetto espresso dalle parole ‘Mi manchi’”.
Vale si adirò in modo eccessivo, ma era fatto così. Quando non riusciva a far finta di niente, doveva dire tutto ciò che pensava.

“Senti, so meglio di te cosa significa non avere qualcuno accanto.
Capisco più di te quanto sia difficile perdere chi si ama.
Anche a me mancano i miei, ma non per questo vado a rompere il cazzo al mio prossimo”.
Gli occhi di Virginia si fecero lucidi.

“Stai calmo. Innanzitutto.”
Ecco gettata la benzina sul fuoco.
“Sei tu che vieni a provocarmi. Ti ho detto che è finita. Ti ho detto che ti passerà, come passa a tutti. Ti ho detto stop. Non voglio più parlarne. Non voglio più parlarti. Non voglio più vederti. Smettila di darmi…”
Virginia lo spinse contro un tabellone pubblicitario stringendolo in un abbraccio.
“Il bus!” urlò Valerio.
“Oggi non ci vai all’università” gli rispose.

Vide i suoi occhi riempirsi d’odio.
“Ma come cazzo ti permetti?! Se avessi avuto un esame?!”
“Non lo avresti fatto. Semplice. Pensa. Dannazione. Pensa. Guardami e pensa. Vuoi buttare così un anno insieme?
Li vuoi buttare in quella fottuta immondizia, per cosa?
Perché sono andata al pub con Ronnie ed abbiamo preso una maledettissima birra?!”
“Ciò che è mio, è mio” si limitò a ribattere l’altro.

‘Ha usato il presente’ notò Virgi.
“Ciò che è…?” disse.
“Ciò che era…” Valerio si corresse con una punta d’imbarazzo nella voce.

Stava riuscendo a farlo cadere, pensò la ragazza.
Una volta che non si mostrava più così sicuro di sé era semplice trarlo in inganno, per una come lei.

“Ero tua?” gli chiese orgogliosa.
“Non ho detto questo”
“Però l’hai pensato”

Si fissarono per alcuni secondi. Quella discussione non avrebbe dato alcun frutto.
Cominciò a piovere violentemente, la pioggia li colse entrambi di sorpresa.
Aprile era un mese imprevedibile.
Si trattava di una di quelle pioggerelle temporanee, che durano un attimo, un po’ come le arrabbiature stupide.

Adesso, oltre che nervosi erano anche fradici.
Valerio si voltò e cominciò a camminare senza neanche degnare Virginia di uno sguardo.

“E adesso dove vai?!” gli urlò.
“Me ne vado a casa, non ci tengo a prendermi una bronchite!”

Sapeva dove abitava e sapeva anche com’era fatta casa sua.
Gli corse dietro e lo prese per un braccio.
Lui la cacciò.

Lei lo seguì fin fuori alla porta. Sapeva che era stupido ed odioso, ma non maleducato.
Non l’avrebbe lasciata nel giardino, non in quelle condizioni e con quel tempaccio.

L’altro si limitò a lasciare la porta aperta senza dire una parola.
Andò in camera e si cambiò mentre Virginia lo aspettava in cucina.
“Se vuoi, puoi andare in bagno a fare una doccia. Posso prestarti i miei vestiti” disse a denti stretti facendola sentire di troppo.
“Ok”.
Virginia si fece una doccia veloce senza bagnare i capelli già umidi, ma mentre stava per uscire chiudendo il rubinetto sentì un cellulare squillare…non era il suo.
Valerio rispose:
“Clari? Ehi scusami. Hai ragione, ho avuto un contrattempo, ci vediamo presto e mi dai gli appunti ok?”
Clarissa era nel suo corso di studi all’università.
A Virginia venne un nodo alla gola.
Uscì dalla cabina ed indossò solo la biancheria dei suoi indumenti…dopo averla asciugata con il phon.

“Allora, vado via. Torno a casa, lavo i tuoi vestiti e te li riporto. Scusa…per tutto” gli disse sinceramente rattristita.
Clarissa l’aveva messa fuori combattimento.
“Non…” Valerio fece per parlare, ma non riuscì a continuare la frase.
Virgi si girò e lo guardò interrogativa.
Aveva le guance rigate di lacrime. I capelli scuri le coprivano parte dell’occhio destro, nonostante il suo colore verde spiccasse.

“Mh?” disse sorridendo, come se non le facesse male nulla. Come se non le importasse.
“Dimmi pure”
Lo ferì vederla in quello stato.
Non l’aveva mai vista piangere.
Non davanti a lui.
“Non…non andartene. Mi sento…solo”.

Virginia s’intenerì.
Aveva gli stessi occhi di quando era piccolo e la mamma gli urlava che lo avrebbe abbandonato se non l’avesse seguita in tempo.
Doveva essere stato un duro colpo l’incidente dei suoi.
Erano morti un anno prima. Proprio quando avevano deciso di stare insieme.
La mamma di Valerio le voleva molto bene e la considerava un’ottima ragazza per suo figlio.
Ciò l’allietava.

Gli si avvicinò, l’abbracciò dolcemente e gli chiese scusa ancora una volta.
“Come fai? Come fai a convincermi ogni volta?” chiese frustrato.
“Ci riesco perché ti amo”.

 

  
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