A Jacopo e Lorenzo, che mi fanno vivere ogni giorno la “cuginità”
Alla mia Sakura, che maltratto in ogni fic
A tutte le persone che sono nella mia vita, e che non leggeranno mai questa fic.
Mi ha sempre
affascinato la sua pancia.
Da quando eravamo piccoli e le alzavo la maglia, per farle il solletico
e farla ridere. Dio, ho sempre adorato il suo
sorriso, anche quando non lo avrei mai ammesso.
Quando le facevo solletico ed eravamo
adolescenti, era solo per toccarla, per avere un qualche contatto con quel ventre
che non era più carino, ma irriverentemente attraente.
E ora…ora non vedo l’ora di toccarle
il ventre, mentre la vedo ridere. Le appoggio una mano sulla pancia e sorrido mentre lei mi guarda stupita e sorridente, ora che
quel ventre è rigonfio del nostro amore.
Maternity leave
Una linea blu.
Una fottutissima linea blu.
Forse se inclina un po’ il bastoncino…
O forse semplicemente deve aspettare
un altro po’.
Forse ci vuole più tempo.
Ma quale più tempo: Ino si ricorda
benissimo di quando l’ha fatto con Sakura: la sua
amica aveva saltato per mezza casa per un segnale chiaro la metà di quello che
tiene in mano ora lei.
Cazzo.
Pensa.
Sakura si era lasciata andare a grida di gioia
abbracciandola d’istinto e urlandole nell’orecchio quello che entrambe sapevano,
mentre Ino
ora se ne sta seduta per terra, il capo ciondolante di fianco a un
water.
No, no, no. Non è vero, non è vero, non è
vero…
Chiude gli occhi, frustrata, sentendo le lacrime salirle
agli occhi. Stringe forte le palpebre per poi riaprirle, trovando sempre quella
linea blu ad aspettarla.
Cazzo.
“Cazzo!” impreca nervosa,
sbattendo i piedi come quando era una bambina, piangendo e singhiozzando come
se le avessero tolto il suo gioco preferito.
Non doveva andare
così, diamine, non così!
Si era sempre sognata una casetta tutta sua, e un uomo che
amava, e poi…poi un bambino. Poi.
“Ino?” una voce incerta la chiama
dal fondo delle scale mentre la ragazza avverte
nettamente il suono della sua porta che si chiude. La bionda trattiene il
respiro. In questo momento desidera solo scomparire.
“Ino sei in casa?”
Vattene, hai già fatto
abbastanza danni,
pensa senza parlare.
“Ino?” i passi di Shikamaru
echeggiano per tutto il corridoio mentre sale le
scale.
Vattene, vattene, vattene!
“Ino, ci sei?”
Shikamaru la vede lì, senza neppure le forze di chiudere la
porta nonostante non voglia davvero vederlo, con tutta se stessa, rannicchiata
al suolo come quando erano piccoli e giocavano a nascondino. Solo
che questa volta non freme per essere trovata. O
forse no.
“Ino?” sarà la quarantesima volta
che la chiama nel giro di pochi minuti, e Ino si rimprovera mentre pensa che adora come lui dica il suo nome.
“Ino” ripete lui, che sa l’effetto
che le sue parole hanno su di lei, l’ha sempre saputo.
Si china accanto alla ragazza, la prende tra le braccia e la
stringe a sé con una dolcezza smisurata, che in pochi sanno
che possiede.
“Che c’è, Ino?”
domanda preoccupato, incerto su come muoversi.
“C’è che sono incinta! Del tuo bambino, Shikamaru!” e
Shikamaru sa che dice la verità, lo sa come sa che
prima di lui era vergine. Era vergine mentre
raggiungevano l’estasi insieme, era vergine nonostante le malelingue le dessero
della “facile”, era vergine malgrado lui credesse di non meritarlo, tutto quell’amore.
Urla la ragazza, liberandosi dalla
sua presa e scappando in camera, rannicchiandosi sul letto e piangendo,
sperando che lui non la raggiunga. Pregando che lo faccia.
Shikamaru rimane in bagno per un minuto buono, il test di
gravidanza in mano e uno sguardo scioccato in volto.
Poi d’un tratto unisce le mani, fa
combaciare le dita e pensa.
Pensa che non è così male.
Passa poco più di un mese, e sono sposi. Sposi che non si
vedevano da sei anni, da quando il maestro era morto e
Shikamaru si era trasferito a Suna. Sposi che si
erano rivisti quando lui era tornato, la morte di Temari sulla coscienza e l’anima in pezzi, e lei li aveva
raccolti uno a uno quei pezzi, li aveva cuciti insieme ritrovandovisi
improvvisamente invischiata, senza apparente motivo, contro ogni evidente
logica.
Sposi che avevano fatto l’amore la
prima volta che si erano visti, che si erano amati come avevano sempre fatto
senza mai dirselo, che in quella notte di amore avevano creato qualcosa, nel
senso letterale della parola.
Quando si sposarono, Ino
portava un abito bianco stile impero, per mascherare la rotondità che
minacciava di spuntare sotto il suo seno. E Shikamaru
era un uomo diverso, con un’espressione diversa. Forse, per la prima volta in
vita sua, era davvero felice.
Si scambiarono gli anelli con pochi amici e i loro genitori
a fare da testimoni, mentre le loro mani – entrambe le loro mani – sfioravano
di continuo quel pancino appena protrudente, lo
accarezzavano inavvertitamente mentre lo custodivano
gelosamente.
Due mesi dopo Ino prova un dolore
immenso, quando sente una fitta allo stomaco e contro ogni razionalità sa di
cosa si tratta. Scalcia, urla e piange mentre nessuno
le risponde, piange e prova di invocare un aiuto inutile, che non arriva.
Quando Shikamaru torna a casa, trova sua
moglie in una pozza di sangue.
È morta. È assurdo ma
è questo il primo pensiero che attraversa la mentre di Shikamaru, vedendo tutto
quel sangue, e Ino in mezzo. La prende in braccio e
corre in ospedale. E prega.
Prega per quaranta lunghi, lunghissimi giorni
mentre nessuno riesce a fare niente per lei, se non toglierle dal ventre
quel bambino e la speranza di averne un altro.
E lei è lì, stesa su un letto
d’ospedale eppure bellissima, a respirare regolarmente senza aprire gli occhi.
Mai.
Il quarantunesimo giorno lo chiamano al lavoro: Shizune arriva trafelata mentre se
ne sta curvo su un rotolo di pergamena, addormentato dal poco sonno della sera
prima. Perché quando va da Ino
non dorme, la guarda tutto il tempo. La guarda e pensa a lei, al loro futuro,
se ancora ce ne può essere uno, a quanto sarebbe stato amato quel bambino che
ora ha la consistenza d’un sogno mancato.
“Shikamaru, svegliati, Shikamaru! Ti vogliono in ospedale!”.
Il ragazzo si alza, i suoi venticinque anni disponibili di
nuovo a dargli tutte le energie che può richiedere la
situazione, anche se ancora non sa di che si tratta.
Potrebbe essersi risvegliata. Potrebbe essere morta.
Fa appena in tempo a varcare la soglia dell’ospedale, dove
tutti oramai lo conoscono, che Ayame lo trascina per
un braccio verso la sala parto.
Che ironia.
Shikamaru non fa in tempo a chiedere spiegazioni che si ritrova davanti il volto pallido di Sakura, il suo sguardo
supplichevole.
Non tenta nemmeno di parlare, vedendola stremata.
“Non c’è…abbastanza chakra”
proclama la rosa, facendo una fatica tremenda a parlare.
Shikamaru le liscia i capelli e le fa segno di continuare.
“Voglio che viva, Shikamaru”sussurra
mentre una lacrima le sfiora la guancia e il suo respiro si fa corto.
“Voglio che questo bambino nasca e sia felice, per me e per suo padre. Tra poco
lo vedrò…”.
Ino avrebbe pianto, si sarebbe dimenata
e le avrebbe urlato tutta la sua frustrazione, ma
Shikamaru se ne sta lì, ad ascoltarla.
Sa quanto dolore ha provato nell’apprendere della morte di
Naruto, sa della sua disperazione nel figurarsi di crescere un bambino da sola;
sa del suo dolore ora, a doversene separare.
“Voglio che lo cresciate tu e Ino”
sussurra Sakura. “Si riprenderà” afferma convinta. E Shikamaru si ritrova a
pensare quanto sia ironico che sia lei, quella che sta
per morire, a tentare di consolare lui. Che seccatura
le donne, hanno sempre ragione, sono sempre più forti.
“Si riprenderà” continua Sakura deglutendo a fatica “E
sarete dei genitori meravigliosi per lui.”
“Deve partorire ora, signorina Sakura, o non so se…” fa
gentile Ayame, prendendo Shikamaru per mano, pronta a
trascinarlo fuori dalla stanza.
“Lui resta” afferma la rosa mentre
il medico entra “Sarà suo padre” afferma mentre Shikamaru le prende la mano.
E gli fa strano essere lì con la migliore amica di sua
moglie, e gli fa strano aspettare questo bambino che non è suo ma che in
qualche modo lo diventerà, e stringe gli occhi perché gli viene da piangere,
perché non è giusto, perché dove sei Dio quando le
cose sono così scompigliate. E incasinate. E senza senso.
Urla forte, Sakura, e di colpo Shikamaru è di nuovo in
quella realtà che sa di lacrime e sangue, di nuovo lì, con una donna che non è
sua moglie, ma che come sua moglie sta morendo.
La guarda mentre suda, si
meraviglia in quanto impegno metta in quell’ultimo
attimo d’amore prima della fine. E piange, Shikamaru,
piange per sé e per lei e per quel bambino che non si sa se avrà una famiglia.
Poi tra le urla strazianti di Sakura, una testa bionda, oltre il sangue e la
placenta, fa capolino da dentro di lei e tutto per un secondo si ferma: il
mondo smette di girare quando quel bambino viene alla
luce e per un attimo tutto è bianco, ovunque.
Poi i parametri vitali di Sakura calano vertiginosamente, e
i medici prendono il bambino e lo portano via.
Sorride anche ora, Sakura.
“Shikamaru…”.
“Shh” lui le
intima di tacere “Andrà bene, Sakura, andrà tutto bene”.
“Starà benissimo con voi, non mi pento…”
“Sakura…”
“Non mi fiderei di nessun altro” afferma lei convinta. Poi
deglutisce e aggiunge: “Vorrei tanto vederla. Ho ancora qualche ora, forse”
sorride, e Shikamaru non ha mai visto nulla di più commuovente di una donna
vicina alla morte e così vicina alla vita. Annuisce
sapendo che non si può, e sapendo che non si può prende il letto mobile di
Sakura e la muove in direzione della camera di Ino. Strana cosa, che fossero esattamente una sopra
all’altra, con pochi metri a dividerle, con un filo sottile e imperituro ad
unirle.
Quando finalmente arrivano, non visti da
medici e infermieri, Sakura sorride. Ancora. Shikamaru si chiede come faccia,
sapendo che deve andare. Shikamaru pensa che lui non ce la farebbe. Ma Sakura è una donna nel vero senso della parola. Sorride e
prende la mano di Ino,
coperta di tubicini.
“Ino, tesoro…” comincia e, ora sì,
le viene da piangere. Ma sorride.
“Sei ancora più bella di me” inarca
leggermente le labbra, singhiozzando “Sarai una bellissima madre, un
giorno. Perché io voglio che tu sopravviva, ci siamo
intese? Io ora…io vado da Naruto adesso, ma tu devi restare qui perché
Shikamaru è qui, e ti ama…”
È a questo punto che lui si allontana sentendo d’intrudersi
in una conversazione troppo privata.
“Vedessi i suoi occhi mentre ti
guarda: sono gli stessi che aveva al vostro matrimonio…Lo so che ora mi
odierai, perché avevamo deciso di crescere i nostri figli insieme, e sarebbero
diventati amici,e …La verità è che io sono sempre quella più debole, Ino. E che sarai tu a crescere i
nostri figli, e cresceranno insieme. Avevamo ragione, dopotutto”.
“Signorina Sakura, non si può…” esclama Ayame,
ma Shikamaru può vedere le lacrime che le annebbiano
lo sguardo.
Shikamaru la trattiene ma non più
di tanto, non vuole fare male al bambino che porta in braccio.
“Signorina Sakura…” ritenta l’infermiera mostrandole il
fagotto.
“Se lo guardo negli occhi non avrò
più il coraggio di andare” sussurra lei.
“Dallo a Shikamaru.” Mormora stremata.
Poi continua a parlare all’amica mentre lei non la può
udire: “Ino, se potessi vederlo. È così impacciato…ha
così tanta paura…ha bisogno che tu gli dica cosa fare,
come sempre. È una visione per cui vale la pena di
svegliarsi, tesoro” conclude stanca, stanchissima.
“Posso stare qui?” chiede poi all’infermiera, che ora non ha
il cuore di negarglielo.
Shikamaru si avvicina piano, e Sakura prende a cantare una
melodia familiare al bambino che non la conosce, che non crescerà sotto il suo
sguardo, che non la chiamerà mamma. Finché tutto, per
un momento, non diventa bianco e il mondo smette di girare.
E bianche sono le notti che Shikamaru
passa con un bimbo tra le braccia e una speranza nel cuore. La
speranza che un giorno quel bambino possa avere una madre, una madre cui
somiglia pur non avendo nessuna parentela. Che ironia, se avesse allegria in corpo riderebbe,
ma non ride più da tempo. Culla quel bambino cantandogli canzoni che conosce
appena, canzoni che sanno di lei, mentre lei sembra tanto lontana…mentre
lei sembra dormire come il bambino che tiene tra le braccia.
Non si era mai immaginato padre, Shikamaru: aveva pensato a una famiglia e a una moglie e a dei bambini, certo, ma…aveva
pensato che avrebbe fatto tutto lei. Aveva pensato che fosse compito delle
madri lavare, vestire e nutrire un bambino. Il papà c’era per giocare. Era
stato così in casa sua: lui e suo padre ridevano parlando sottovoce dei modi
autoritari di Yoshino, ma in fondo si sentivano persi ogni volta che anche solo rientravano in casa senza
che lei ci fosse, insicuri sul cosa fare, come farlo, se sbagliare non sapendo.
E lui si sentiva un po’ così, ora, si sentiva perso
senza Ino; perso come forse si sentiva lei, in tutto
quel bianco che la circondava.
Sbuffò all’udire il pianto del bambino, un’altra volta:
erano quattro mesi oggi che era nato; erano sei mesi che Ino
non si svegliava.
“Posso darti un’aspettativa, Nara,
lo sai” il ragazzo si alza sui gomiti, appoggiandovi la testa stancamente.
“La ringrazio, ma no”.
Il quinto Hokage
lo guarda di traverso, indecisa sul da farsi: “So che non è facile per te: tra Ino e il piccolo Naruto, e…”
“Ho detto di no!” sbotta lui senza apparente motivo,
aggiungendo “Grazie” sottovoce, frugandosi gli occhi.
Shikamaru si stava distruggendo e Tsunade
lo sapeva. E non sapeva che farci.
“È…è l’unica cosa rimasta uguale, il mio lavoro” sussurra
piano il ragazzo. E allora il Quinto Hokage posa una mano sulla spalla del capo della squadra
strategica, relegato al ruolo d’ufficio dopo il matrimonio con Ino, e si ritrova ad avere pietà di quel ragazzo di vent’anni con tanti pesi sulle spalle. E
si volta, e se ne va, mentre lui riprende a lavorare.
A quattro mesi Naruto mangia la sua prima pappa, pollo e
manzo, che gli ha preparato la signora Yamanaka.
Quella stessa signora Yamanaka che ha aiutato e sostenuto
lui e Ino tutto il tempo, quella stessa signora Yamanaka che ora guarda quel bambino con gli occhi lucidi,
che con occhi lucidi cerca i suoi, che senza parlare
gli dice: "Se ci fosse stata Ino...", e
"Sei così coraggioso...", e "Sono orgogliosa di te...", e
"Ci sarò sempre, finché non tornerà lei. E anche
dopo...".
Solo che Shikamaru, tutte queste cose, non le legge. Solo, nota quanto i suoi occhi assomiglino
a quelli di Ino. E a come
lui non ce la faccia, senza quegli occhi, non ce la faccia più da solo, ora che
ha scoperto com'è stare con lei, per davvero.
Poi il bambino lo guarda, e sorride, e gli porge la sua
manina che è così piccola, e così innocente...e Shikamaru sa che non è solo,
nemmeno ora. Che una ragione per andare avanti c'è.
Che quella ragione è quel bambino che sembra urlare il suo bisogno d'aiuto con
quel sorriso, ancorare il suo cuore a quegli occhi chiari, chiedere la sua
protezione con ogni movenza di quel corpo microscopico, strappare il suo amore
così, essendo semplicemente quello che è, un bambino che non è il suo, ma che,
ora se ne accorge, ama incondizionatamente per ogni
pianto, per ogni sguardo, per ogni sorriso.
Dev'essere questo quello
cui il libro di Ino si riferiva parlando di quella
strana sensazione che si impadronisce di ogni genitore, una volta visto il suo
bimbo. Di nuovo, lei. Di nuovo, quel bambino. Forse, in futuro, loro
tre. Dio, ti prego...
“Nara! Nara!” sta dormendo di fianco alla culla, Shikamaru,
quando Kiba lo sveglia di forza.
“Che c’è?” sussulta col cuore in
gola.
“Ospedale” sussurra il ragazzo “Ino
si è svegliata”.
Per un attimo il mondo si ferma. Per un attimo Shikamaru
giura che è un sogno, e Kiba lo abbraccia: “Si è
svegliata, capo, si è svegliata!” esclama mentre le
lacrime gli bagnano gli occhi.
Stavo tornando dalla missione e ho incrociato Ayame, e…avanti!”.
Shikamaru si carica tutto in spalla, si cura di non
svegliare il bambino e lo solleva con una delicatezza infinita
mentre Kiba lo fissa attonito.
Shikamaru lo guarda con aria interrogativa mentre armato di
tutto punto fa cenno all’altro di aprire la porta.
“Non ti avrei mai immaginato così” alza le
spalle Kiba “Se me l’avessero detto dieci anni fa…”
sorride felice. “Andiamo” conclude.
Quando arriva in ospedale, Shikamaru ha
quasi paura. Paura di guardarla negli occhi, di non vederla più come prima.
E se non si ricordasse più di lui?
E se gli chiedesse del bambino?
E se…?
“Shikamaru?” Ayame è stanca, ma felicissima mentre saluta con un bacio Kiba e prende in braccio Naruto, facendo cenno a Shikamaru
di seguirla.
“L’abbiamo spostata in rianimazione, ma sta…è bellissima”
termina l’infermiera ammirata.
“Chiede di te” aggiunge.
“Shi-shika?” fa una fatica
tremenda a parlare Ino, i muscoli facciali rilassati
dopo il lungo periodo in cui non si sono mossi. Ma è
proprio come l’ha descritta Ayame: bellissima.
Non sa che dire Shikamaru, così si precipita al suo fianco e
prende a baciarla ovunque, mormorando: “Mi dispiace, amore, mi dispiace non essere stato qui, io…”.
Ma Ino lo
interrompe, una mano sul suo capo: “Va tutto bene” mormora. Poi, più piano: “È
passato tanto tempo pigrone…questa volta ero io che non mi volevo svegliare…”
sorride.
In quel momento Ayame entra in
stanza spinta da Kiba, un bambino strillante tra le
mani: “Mi dispiace, ma non riuscivo a…”.
“Mendokuse…” Shikamaru si alza e
prende a sussurrare qualcosa al bambino, qualcosa che nessuno intuisce ma che
deve servire, visto che il pianto cessa.
Quando si volta, Ino
è in lacrime: “Shika, è…”
“È nostro figlio” afferma lui convinto.
Ino tende le braccia
timorosa eppure determinata, come ha sempre fatto, come è sempre stata:
la donna che lui ama.
Tende le braccia e stringe quel bambino dai capelli biondi e
gli occhi azzurri tra le mani, come fosse il tesoro
più prezioso del mondo.
Kiba fissa Shikamaru
con sguardo interrogativo mentre Shikamaru gli fa cenno di tacere e Ino continua a contemplare quella meraviglia come fosse la
prima cosa che vede una volta ri-venuta al mondo, con lo stupore dei bambini e
la riverenza degli adulti: gli prende una manina e ne percorre le cinque dita
con la propria, facendo scorrere la mano lungo il braccino proteso di quel
bambino che istintivamente si stringe a lei. Lo scopre leggermente per contemplare
le sue gambe, in carne e con gli anelli; sorride con una dolcezza inaudita
mentre fa scorrere la mano lungo la sua pancia, e il bambino ride, e lei con
lui.
“È perfetto”
sussurra cercando Shikamaru.
Kiba e Ayame
se ne sono andati, e suo marito ha le mani in tasca, alza le spalle.
“Come…come l’hai chiamato?”
“Naruto”
“Gli somiglia”.
Segue un silenzio, pregnante.
“Shikamaru, dov’è Sakura? Non è ancora venuta a trovarmi”.
Cazzo.
Come fa adesso che sua moglie è viva, a dirle che la sua migliore amica è morta?
Passano pochi secondi e lei si morde il labbro. Ha sempre
avuto questo dono, Ino, di leggergli dentro mentre lui la guarda con quei suoi occhi chiusi a
tutto il resto.
"Va tutto bene" sussurra Ino mentre lui abbassa lo
sguardo "È…Dio, questo bambino" sussurra. "Ciao Naruto"
mormora a pochi centimetri dal volto del bambino, mentre una lacrima le scorre
solitaria sul viso. Poi gli posa un bacio sulla fronte, e quando Shikamaru fa
lo stesso gli sembra che già sappia di sua moglie, quel bambino.
Un bacio sulla fronte e: "Stai attento, Naruto, non
correre così..." Ino lo
guarda con amore mentre il piccolo corre tra le sue
braccia, poi torna all'albero di ciliegio che lei ha insistito per piantare
[sentimentale], e di nuovo verso sua madre, che se ne sta seduta col suo vestitino
lilla a fiori, mosso leggermente dal vento mentre già si scorge la sua pancia
fare capolino tra la sue forme perfette.
Ed è così, Ino, perfetta.
Prende in braccio il bambino mentre lui la chiama:
"Mamma, mamma, mamma!" e pare non sia mai
stata più felice, Ino.
"Cosa ridi?" chiede lei
guardando Shikamaru, che la osserva divertito "Solo perché nostro figlio
preferisce me a te..." gli
fa con una linguaccia.
Shikamaru scuote il capo: "Pensavo alla tua pancia. Hai
lottato tanto aspramente per farla appiattire e ora che è più tonda di una
palla, tu sembri la persona più felice dell'universo. Sei
veramente incostante" fa con tono annoiato. Ma
dentro sorride.
"Beh, non pensavo nemmeno di sposare te, ma poi mi sono
adattata" ribatte lei, gli occhi sul bambino.
"Ti ho proprio sposata perché
sai sempre come tirarmi su, amore".
Ino non risponde.
"Ino? Tutto bene?"
chiede Shikamaru mentre Naruto si arrampica sulle sue
ginocchia e gli occhi di Ino si spalancano.
"Mamma!" la voce di Naruto è stupita,
non capisce.
E a Shikamaru viene in mente il medico, che gli dice che Ino non sarebbe più potuta
diventare madre. E gli viene in mente Ino, che piange stravolta. E gli
viene in mente il medico, che dice che Ino è incinta.
E gli viene in mente Ino, che
piange [di gioia].
"Ha calciato!" sorride Ino
toccandosi il ventre. Prende in braccio Naruto, e prende
la mano di Shikamaru, e accosta entrambe al suo ventre.
"Naruto, è la tua sorellina che fa ciao..." spiega. E Shikamaru si chiede
come faccia ad avere sempre una spiegazione così assurda per ogni cosa, Ino. Così surreale. Così normale.
"Ino, non...come
sai che sarà una femmina?"
"Intuito femminile" gli fa l'occhiolino lei. Poi
aggiunge sottovoce: "Seccatura in arrivo, Nara. Questa è vivace come
me" sorride mentre Shikamaru fa una smorfia e
Naruto batte le manine. Poi una carezza al bambino e una al suo ventre.
"Sakura" sorride lei, e Shikamaru annuisce.
Capisce. “Ti piace Sakura, Naruto?”.
Il bambino la guarda di sotto in su,
le punta un ditino alla guancia e sorride: "Naluto
e Cakula". Annuisce in segno di
approvazione.
"Suonano bene insieme, vero?" chiede Ino, gli occhi leggermente umidi.
Il bambino ci pensa un po’, e dice che Naruto e Sakura
suonano davvero bene insieme.
Ma che Ino
rimarrà sempre il nome più bello del mondo.
Ino ride e gli passa una mano tra i
capelli e il bambino ride, a sua volta. E Shikamaru si
dà dello stupido, ma crede di essersi rammollito. E Shikamaru si dà del genio, perché
aveva capito a dodici anni che quella era la vita che
voleva.
E Shikamaru capisce che a volte Dio
si scusa con gli uomini, e che quello è il suo modo di farlo.
Angolino autrice
Ecco qua! Che ve ne
pare?
Devo ammettere che mi sono
affezionata molto a questa fic, soprattutto (è
strano, lo so!) ai momenti in cui c’è Sakura. Mi piangeva il cuore a scrivere
del destino che avevo pensato per lei…Ebbene, the show must go on, ma mi sono commossa mentre buttavo giù la scena tra lei e Ino!
Spero che almeno un po’ sia piaciuta anche a
voi, questa fic…Ovviamente, ogni segno del vostro
passaggio è cosa molto gradita!