THE GHOST OF YOU
Capitolo 1: I can feel no pain. In the ice or in the sun it's all the same...
Tre mesi. Tre
lunghi mesi erano passati dal giorno dell’incoronazione della
regina. Tre mesi
di gelo e ghiaccio, che cresceva di ora in ora. Arendelle era in
ginocchio,
piegata dalla forza del gelido vento, che incessante spazzava il
fiordo, e
dalla neve che continuava a cadere imperterrita, coprendo come un
sudario di
morte ogni cosa. Gli abitanti erano rinchiusi nelle casette di legno,
un tempo
colorate ma che ora apparivano tutte uniformemente bianche, e non
osavano
avventurarsi per le strade ghiacciate per paura di fare la stessa fine
della
principessa. Elsa non aveva trovato rimedio a tutto quello. Non era
riuscita a
fermare quella tempesta che aveva creato senza volerlo…non
riusciva a
controllarla, ormai aveva vita propria.
Per
lei, quei tre mesi, erano passati tutti come una lunghissima notte
insonne. Da
quando Anna era morta, a stento si era nutrita e i segni della
stanchezza e del
deperimento erano chiarissimi sul suo volto niveo, ormai scavato ed
ingrigito:
non aveva dormito per più di due ore a notte, ore in cui non
faceva altro che
sognare instancabilmente e in continuazione quella maledetta spada che
mandava
in pezzi la vita di sua sorella.
Quella
notte non fece eccezione e quando si svegliò urlando, nel
buio più totale, si
portò una mano al petto, per evitare che il cuore fuggisse
via impazzito. Ormai
gli incubi la tenevano in pugno, facendole visita ogni notte e ogni
giorno
senza requie, appena chiudeva gli occhi, appesantiti dalla stanchezza e
dalla
privazione di sonno. Era distrutta nello spirito e nel corpo: sapeva
che non
sarebbe sopravvissuta molto ancora e sperava che con la sua morte anche
la
tempesta, che teneva stretto il suo regno in una gelida morsa, si
sarebbe
placata.
Come
c’era da immaginarsi, l’aspetto della sua stanza
rispecchiava perfettamente il
suo tormento interiore: il vento, che aveva scatenato, aveva divelto le
ante
dell’armadio e le tende del suo letto erano a pezzi, sparse
sulle lenzuola
candide, coperte da una coltre di soffice neve. Nell’aria,
alcuni fiocchi
sostavano immobili, come se avessero fermato la loro turbinosa danza,
nel
momento esatto in cui la regina aveva aperto gli occhi. La situazione
era
peggiore delle altre volte: in precedenza aveva fatto volare qualche
oggetto,
aveva gelato il pavimento e le pareti, ma mai aveva avuto la forza di
distruggere qualcosa.
Si
strinse le braccia al petto, cercando un po’ di calore,
cercando quel conforto
che non sarebbe arrivato, dondolandosi nel buio, mentre un lampo
impetuoso
squarciava il cielo, illuminando a giorno la sua stanza.
Scese
tremante dal letto e si avvicinò alla finestra. Lo
spettacolo che le si profilava
davanti non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello dei suoi
incubi, era
peggio: la neve bloccava le uscite delle case, intrappolando gli
abitanti; il
cielo plumbeo incombeva con grosse nuvole nere sulle teste dei suoi
sudditi; gli
alberi delle navi, imprigionate nel fiordo ghiacciato, svettavano su
quella
landa lugubre e desolata, come lapidi di un cimitero, testimoni della
sua
incapacità di controllarsi, mentre un vento furioso faceva
volare via qualsiasi
cosa gli si parasse davanti.
Poggiò
le mani alla finestra e strinse i pugni, fino a far sbiancare le
nocche: cosa
poteva fare? Perché la tempesta non diminuiva
d’intensità con il deteriorarsi
della sua persona? Se avesse avuto l’assoluta certezza che si
sarebbe placata
con la sua morte, avrebbe aperto all’istante quella finestra
e si sarebbe
lanciata nel vuoto. Ma non aveva sicurezza di ciò, solo
dubbi. Poteva solo
stare a guardare il suo regno perire di stenti e freddo, mentre
scompariva
sotto metri di neve bianca, soffice e letale.
Il
cuore le martellava furioso nel petto e sentiva il sangue affluirle
veloce alla
testa. Respirò piano, a grandi boccate per cercare di
calmarsi, per non
peggiorare la situazione, ma fu tutto inutile. Nella stanza, i fiocchi
di neve
sospesi a mezz’aria ricominciarono a volare vorticosamente,
imprigionandola
nella sua piccola bufera personale.
Un
verso disperato le sfuggì dalle labbra, mentre chiudeva gli
occhi, per non
vedere, per far finta che fosse tutto frutto della sua immaginazione,
ma non
funzionò, perché anche ad occhi chiusi riusciva a
vedere la rovina che aveva
abbattuto sul suo popolo, la maledizione che oramai non era
più solo sua ma di
tutta Arendelle.
Si
aggrappò al davanzale, artigliando con le dita il freddo
marmo, che sotto il
suo tocco cominciò a gelare. Respirò ancora,
preda della paura e dell’angoscia.
Qualcosa, fuori dalla finestra attirò la sua attenzione. Dal
cielo buio,
attraverso i cirri cupi, filtravano lampi di luce viola e verdastra.
Trattenne
per un attimo il fiato, per capire cosa fosse quello strano fenomeno e,
quando
arrivò alla conclusione, gli occhi le si riempirono di
lacrime: l’aurora
boreale, riusciva a penetrare la cortina di nuvole, che impediva di
vedere il
cielo trapunto di stelle.
-“Elsa,
il cielo si è svegliato! Dobbiamo giocare.”- una
voce cristallina ruppe il
silenzio della stanza.
Un
brivido freddo le scese lungo la schiena, e gli occhi le si
spalancarono per lo
spavento, quando quella voce le giunse alle orecchie, accompagnata da
una
risata argentina. Si voltò di scatto, pronta a cogliere
qualsiasi movimento in
quella bufera, ma nulla. La neve continuava a cadere e a volteggiare in
spirali
impossibili, precludendo qualsiasi cosa alla sua vista. Stava
impazzendo, non
c’erano altre spiegazioni.
Accecata
dalle lacrime e dalla bufera, cercò a tentoni la colonna del
letto e vi si
aggrappò con tutte le sue forze, facendosi male alle mani,
facendo quasi
entrare le unghie nel legno scolpito.
-“Elsa!”-
di nuovo quella voce che la chiamava. No, non poteva essere, stavolta
l’aveva
sentita chiaramente: era la voce di una bambina.
Un
guizzo di bianco improvviso si mosse nella coda dell’occhio,
al limite del suo
campo visivo, attirando la sua attenzione. Per un momento
sperò di star
sognando, sperò di essere intrappolata in uno dei suoi
incubi e che di li a
poco si sarebbe svegliata. La bufera si placò di colpo,
lasciando cadere
mollemente i fiocchi al suolo.
Aveva
ragione, la voce che aveva sentito era quella di una bambina, ma non di
una
qualsiasi, bensì di Anna. Le stava davanti con i capelli
raccolti in due codini
disordinati e un sorriso enorme e bucherellato, mentre con le mani
dietro la
schiena si dondolava avanti e indietro. Era la Anna che aveva lasciato
chiusa
fuori dalla porta la prima volta, quella con cui aveva condiviso la
stanza e
notti piene di giochi con la neve.
Il
respiro le si mozzò in gola e per un momento, che le parve
infinito, osservò
quella figura evanescente e opaca, che la fissava di rimando con
sguardo
interrogativo.
-“Andiamo
Elsa, lo facciamo un pupazzo di neve?”- le chiese, sempre
sorridendole.
Un
verso di sorpresa, le uscì dalle labbra a quella richiesta.
La bambina
scomparve e il momento successivo un bussare ritmico alla porta la fece
rinvenire dal suo stato di trance. Corse ad aprire ma come
c’era da aspettarsi
non c’era nessuno oltre la soglia. Ma l’eco della
risata cristallina di Anna,
vibrava ancora per i corridoi bui. Uscì fuori e
cominciò a vagare senza meta,
alla disperata ricerca della piccola Anna. Passò davanti
alla sua camera, e si
fermò di colpo. Posò una mano sul legno
intagliato, apprezzandone la precisione
dei disegni e fermandosi su un’incisione scura. La
strofinò con l’indice: era
una tacca che Anna aveva provocato andandoci a sbattere contro con la
sua spada
di legno.
-“Su
Elsa, andiamo!”- la voce di Anna la chiamò e
mentre si voltava vide la
sorellina sparire dietro l’angolo.
-“Dove
mi stai portando, Anna?”- chiese al nulla, mentre scendeva le
scale. Se in quel
momento qualcuno della servitù l’avesse vista in
quello stato, con la treccia
sfatta, con la camicia da notte e i piedi scalzi a correre per i
corridoi,
l’avrebbe di certo ritenuta pazza.
Non
le rispose, ma con una risatina acuta sparì dietro una
porta. Elsa si fermò,
osservando bene dove il fantasma della sorella l’aveva
condotta: la sala del
trono, lo stesso posto dove da piccole giocavano assieme, il posto in
cui una
notte di tanti anni prima l’aveva colpita per sbaglio,
rischiando quasi di
ucciderla. Prese un respiro profondo e poi afferrati i battenti,
spalancò
l’uscio sul buio e il silenzio della sala vuota. Mosse alcuni
passi
nell’oscurità: “Dove sei
Anna?”- sussurrò piano, temendo di essere sentita
dai
pochi abitanti del castello.
-“Elsa!”-
esclamò la bambina, ridacchiando e attirandola al centro
della sala -“Fa la
magia! Fa la magia!”-
Il
respiro le si bloccò in gola a quelle parole ed
indietreggiò di un passo: “No,
Anna. I-io non posso.”- soffiò fuori, guardando la
bambina con gli occhi
spalancati dal terrore: non avrebbe rivissuto gli avvenimenti di quella
maledetta notte.
-“Ti
preeeeego! Non succederà nulla.”- la
supplicò il piccolo fantasma, mettendo il
broncio.
Elsa
si ricompose e quasi le venne da ridere a quella vista: quando erano
piccole,
Anna riusciva sempre a spuntarla, mettendo su
quell’espressione da cucciolo
indifeso, e lei da brava sorella maggiore acconsentiva ad ogni suo
capriccio.
La
piccola dondolava le braccia lungo i fianchi, guardandola con un
sorrisino
furbetto: sapeva che Elsa sarebbe crollata se le avesse fatto la
faccina
triste.
Le
mani della regina si mossero veloci tra loro, formando un piccolo globo
di luce
bianca e soffusa: “Sei pronta?”- le chiese
abbassandosi alla sua altezza.
La
piccola Anna annuì con forza.
Elsa
scagliò in alto la sfera di luce, che esplose, diffondendo
migliaia di
finissimi fiocchi di neve perfetti nell’aria.
Restò a guardarli per un secondo,
prima che le risate di gioia della sorellina attirassero la sua
attenzione.
-“È
stupendo!”- la bambina correva tra i fiocchi, che
volteggiavano lenti fino a
posarsi al suolo, creando uno spesso strato di neve.
Elsa
la vide fermarsi e scomparire per un istante e poi ricomparire al suo
fianco:
“Vieni anche tu.”- la esortò
trascinandola con sé nella sua folle corsa in quel
mare di bianco.
Anna
rideva ed Elsa rideva a sua volta, prima piano, poi sempre
più forte, finché le
loro risa non riempirono l’opprimente silenzio che aleggiava
da troppi mesi su
quelle stanze spoglie e gelide, piene di ricordi mancati.
La
bambina improvvisò un girotondo, poi corse tra la neve, che
continuava
magicamente a cadere, con le braccine alzate, cercando di afferrare i
batuffoli
bianchi. Quando sembrava che ne avesse uno a portata di palmo,
stringeva il
pugno e poi lo riapriva, costatando tristemente di non averlo preso. I
fiocchi
scivolavano attraverso le sue manine evanescenti, continuando la loro
caduta
libera fino al pavimento.
Elsa
la osservò, con il sorriso che pian piano abbandonava le sue
labbra, con la
consapevolezza di quello che aveva davanti: un fantasma. Ma non uno
qualsiasi,
lo spettro di sua sorella, della sua dolce sorellina.
Anna
era morta.
Fu
come se in quel preciso istante avesse metabolizzato quella notizia,
come se il
suo cervello non avesse voluto registrarla. Brividi freddi cominciarono
a
scuotere la sua esile figura, mentre il respiro accelerava e gli occhi
le si
inondavano di lacrime calde e salate.
Si
lasciò cadere in terra, sotto il peso di quella tragedia che
si portava sulle
spalle da tre lunghi mesi: Anna era morta, lei era sola. Era tutta
colpa sua.
Si
prese il viso tra le mani, lasciando scivolare via le lacrime, che
tessevano
tele cristalline sulle sue guance.
-“Elsa?”-
la voce della piccola Anna la richiamò, tremante.
Non
riusciva a risponderle, non ne aveva la forza. Non l’aveva
fatto durante quei
tredici anni in cui lei aveva bussato incessantemente alla sua porta e
non
l’avrebbe fatto nemmeno ora, deludendola per
l’ennesima volta.
-“Elsa”-
un leggero spiffero di vento le scostò i capelli, quando lo
spirito le si
avvicinò –“n-non è colpa
tua.”- proferì con voce lieve.
-“Si,
invece.”- le rispose con la voce rotta
dai singhiozzi, continuando a coprirsi il volto con le mani
-“Tu sei morta, per
colpa mia.”-
-“No.”-
protestò, alzando la voce -“Non sei stata tu ad
alzare quella spada contro di
me.”- la sua voce era cambiata, diventando più
adulta.
Elsa
la spiò attraverso gli spiragli tra le dita: ora aveva
davanti la Anna della
sua incoronazione, la sorella che si era meravigliata quando
l’aveva salutata;
quella che le aveva presentato tutta speranzosa il verme che
l’avrebbe tradita;
la Anna che l’aveva rincorsa su per una montagna innevata
sprezzante del
pericolo; quella che aveva mandato via, colpendola al cuore; quella che
aveva
visto disintegrarsi davanti ai suoi occhi.
Le
mani scivolarono via dal suo viso, andandosi a stringere convulsamente
l’una
all’altra sul suo grembo.
Prese
fiato: “Io ti ho colpita, per colpa mia sei diventata una
statua di ghiaccio. È
a causa mia se di te non rimane nulla, se non una lapide con un nome ed
un
epitaffio.”- le disse tenendo lo sguardo basso, incapace di
incrociare quello
della sorella.
-“Oh
Elsa, di me rimane molto più di quello che
pensi.”- la rassicurò, cercando di
poggiarle una mano sulle spalle. La ritrasse subito, rendendosi conto
di non
poterla toccare.
-“Cosa?”-
le chiese la regina, alzando gli occhi umidi su di lei.
-“Io
sono attorno a te.”- pronunciò quelle parole in un
soffio. Elsa non riusciva a
capire, la sua mente cercava di elaborare il significato di quelle
parole,
senza riuscirci.
-“Il
mio corpo si è dissolto nell’aria, diventando
parte di tutto ciò che ti
circonda.”- le spiegò, intuendo la sua confusione
–“Sono nell’aria che respiri,
nell’acqua che bevi…”- cercò
di sfiorarle una guancia, facendo tremolare le
dita ad un millimetro dalla sua pelle -“sono in ogni goccia
di pioggia che ti
bagna il volto, in ogni fiocco di neve che sprigioni dalle tue
mani.”- le
sorrise mestamente.
Elsa
aprì il palmo della mano e raccolse uno dei fiocchi
ghiacciati che continuavano
a cadere su di loro: lo osservò bene, nella conca della sua
mano, era così
piccolo e fragile, ma pur sempre perfetto, capace di sopravvivere alla
più
violenta delle tormente, un po’ come Anna che era riuscita ad
andare avanti in
tutti quegli anni, nonostante tutto.
-“Riesci
a vedermi? Riesci a scorgere una parte di me in quel piccolo capolavoro
di
ghiaccio?”- le chiese.
Elsa
continuò a fissare il fiocco di neve nella sua mano, mentre
la vista le si
offuscava di nuovo di lacrime: annuì, chiudendo la mano su
quella sua fragile
creazione.
-“Come
farò ora che tu non ci sei più? Cosa
riuscirà a tenermi sotto controllo? Per
tutti questi anni sono riuscita a tenere a bada i miei poteri per paura
di
farti ancora del male, ma ora che tu sei…”-
singhiozzò rumorosamente, non
riuscendo a proferire quella parola ad alta voce- “ niente
potrà fermare tutto
questo. Ho maledetto Arendelle e tutto il suo popolo e non vi
è alcuna
possibilità di scampo.”-
-“Elsa
guardami, per favore.”- le intimò con voce dolce
ma autoritaria –“Tutto questo
non è una maledizione, anche se lo può sembrare.
Ricorda che questo tuo grande
talento è più grande di ogni tua
paura.”-
-“Ma..”-
cercò di protestare.
-“Elsa,
lo so. Io non sono più qui…qui!”- disse
indicando il pavimento –“ Scusa, lo so
è difficile da capire, ma ascolta: sarò sempre
qui”- le disse indicando il suo
cuore -“e qui, nei tuoi ricordi.”- le disse
sfiorandole la testa.
-“Quali
ricordi, Anna? Ne abbiamo così pochi…”-
si lamentò Elsa distogliendo lo
sguardo.
-“Beh,
conserva quei pochi che hai come il più prezioso dei tesori.
E poi te ne
costruirai altri, andrai avanti per la tua strada, io
diventerò solo un ricordo
lontano del tuo passato.”-
Elsa
provò a ribattere ma Anna la interruppe: “Ci
riuscirai, io so che puoi farlo.
Non importa cosa è stato, dovrai guardare solo avanti, non
dovrai più voltarti
indietro. Il futuro ti riserva tanto, Elsa, credimi io lo
so.”-
-“Come
fai a saperlo?”- le chiese scettica.
-“Cose
da fantasmi.”- la liquidò con un gesto della mano
–“Ascolta, devi solo imparare
ad amare il tuo potere, ad amarti per quello che sei.”-
-“Non
potrò mai amare quello che ti ha uccisa.”-
constatò la regina.
-“Elsa,
devi farlo! Impara ad amarlo come amavi me. Perché tu mi
amavi, insomma mi
volevi bene, vero?”-
-“Certo
che si!”- proruppe indignata la regina.
-“Ottimo”-
Anna si alzò –“Io sarò sempre
qui con te Elsa, anche se non riuscirai a
vedermi, quindi cerca di rigare dritto.”- disse in tono
serio, alzando l’indice
come per ammonirla. Poi scoppiò a ridere e Elsa si
beò di quel suono melodioso,
cercando di imprimerlo bene in mente: sapeva che non
l’avrebbe rivista più.
Anna
smise di ridere all’improvviso, tornò seria,
mentre si voltava indietro, a
scrutare qualcosa nel buio: “Devo andare. Mi stanno
aspettando.”
-“Aspetta,
chi?”- Elsa si alzò di scatto, allungò
un braccio per trattenerla, ma le passò
attraverso. Entrambe osservarono il punto in cui la mano della regina
avrebbe
dovuto toccarla.
-“Mamma
e papà.”- disse sorridendo
–“Loro sono fieri di te, a dispetto di quello che
puoi pensare tu.”
Le
lacrime cominciarono a ricadere copiose dai suoi occhi lapislazzuli,
senza che
lei avesse alcun potere per fermarle.
-“Io
non posso farcela da sola. Ti prego, non andare.”- la
supplicò, facendo un
passo verso di lei.
-“Si
ce la farai. Dopotutto, sei sempre stata tu la più forte tra
noi due.”-
Non
riusciva a smettere di singhiozzare come una bambina. Anna le si
avvicinò
piano: “Sorridi Elsa, altrimenti non potrò
andarmene…sapevi che sarebbe
successo.”- le disse con un sorriso triste.
Anna
le afferrò la mano e riuscì inspiegabilmente a
toccarla, per la prima volta.
Elsa spalancò gli occhi e la strinse subito in un abbraccio.
Pian
piano la sorella si staccò, finchè solo le punte
delle loro dita rimasero
intrecciate, poi si allontanò per sempre. Per un attimo, nel
buio della sala,
ad Elsa sembrò di scorgere le sagome diafane dei suoi
genitori che le
sorridevano.
Sorrise
a sua volta, cercando di essere forte, come le aveva detto la sorella.
Poi Anna
le rivolse un ultimo sguardo e scomparì.
In
quel preciso istante le imposte delle finestre si spalancarono con un
rumore
assordante facendo entrare l’aria gelida della notte. Corse
ad affacciarsi e un
soffio freddo le scompigliò giocosamente i capelli.
Si
mantenne alla balaustra e guardò il regno che si estendeva
oltre le mura.
Un sussurro trasportato dal vento la fece sorridere, mentre la tempesta si placava sopra Arendelle: “Lascialo andare, Elsa.”
NdA:
salve gente! Se siete arrivati fino in fondo vi ringrazio di cuore,
perché vuol
dire che, almeno spero, questa “cosa” non vi ha
fatto totalmente schifo XD
Anyway, lo so che devo aggiornare le altre mie due long e me ne esco
con il
primo capitolo di una raccolta di oneshot, ma quando le idee mi premono
in
testa devo farle uscire, altrimenti scoppio ;) spero non mi stiate
maledicendo.
Comunque l’idea è partita da questa fanart che ho trovato in giro su Tumblr, ma di cui purtroppo non ricordo l’autore. Non so se sul fandom già esiste una storia del genere, se è così fatemelo sapere e provvederò ad eliminarla o almeno a modificarla.
Ancora
grazie e ci si legge alla prossima shot!