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- COME SVEGLIARSI
MALE
Storia
ispirata in parte, e con alcune parti simili ad una storia di BSHallow.
Per
evitare denuncia, vi dico subito che lei mi ha dato il suo permesso. La
storia
a cui mi sono ispirato è questa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2524266
Cosa
sapevo di me?
Nulla.
Nemmeno
come mi chiamavo, mi ero risvegliata in un
grande parco pieno di gente, alberi e animali e che ero distesa su una
panchina. Mi alzai sentendo la testa girare. Era effettivamente, una
zona
alberata, ma intorno ad essa si vedevano dei palazzi e delle
costruzioni in
cemento. Ero a New York.
Non so da dove mi fosse venuto il nome, ma sentivo di
essere in una città con quel nome. Il parco, quindi, doveva
essere Central
Park. Intorno a me la gente parlava, bambini giocavano e alcune persone
andavano in giro con i propri animali da compagnia. Le voci arrivavano
ovattate
alle mie orecchie, come se avessi del cotone nel padiglione auricolare.
Scossi
la testa, cercando di schiarirmi le idee, magari
iniziare a sentire meglio.
L’unico risultato fu che la testa iniziò a girarmi.
Emisi un lamento e mi tenni la fronte. Cercai di
mettermi in piedi ma barcollai.
“Dannazione,
perché sto così male?”
Mi domandai, confusa. “E
perché non ricordo nulla?”
“Signorina?
Si sente bene?”
Davanti a me era apparso un uomo sulla trentina.
Indossava quella che mi pareva una sorta di uniforme blu con una stella
a sei
punte appuntata al petto. Sulla testa aveva uno strano copricapo con
visiera.
“Scusi?”
Chiesi, strizzando gli occhi, cercando di
schiarirmi la vista annebbiata.
“Le
ho chiesto se si sente bene… e direi di no, a
giudicare dalle sue condizioni.” Puntualizzò,
sorreggendomi, mentre barcollavo
di nuovo a causa dell’ennesimo giramento di testa.
“In
effetti… sono un po’ stordita. Solo…
devo
rinfrescarmi un attimo.” Risposi, poco convinta. Non avevo
nemmeno idea da dove
mi venissero quelle parole.
L’uomo
sembrava parecchio dubbioso e mi seguì mentre mi
dirigevo, o meglio, arrancavo, fino alla fontana più vicina.
Appena aprii
l’acqua e me la passai sul viso, mi sentii subito meglio,
anche se non molto.
Almeno mi si erano schiarite le idee, anche se continuavo ad avere dei
problemi
tipo le orecchie tappate e il giramento di testa.
“Signorina,
cos’ha legato alla cintura?” Mi chiese,
nuovamente, il tipo che mi aveva soccorso, accigliandosi.
Mi
irrigidii, mentre, scrutavo il mio vestiario.
Indossavo una specie di giacca, abbastanza leggera, color argento con
un
cappuccio con sotto una maglietta nero. Avevo anche un paio di
pantaloni dello
stesso colore tenuti stretti in vita da una cintura a cui era legato un
pugnale.
Rabbrividii, mentre il mio soccorritore si faceva più
scuro in volto. Si voltò e pescò dalla sua
cintura una scatoletta nera. Una
radio.
Mi
resi conto che non ero in una bella situazione.
Quella che portavo era senza dubbio un’arma e questo non era
un punto a mio
favore. Mi chiesi se avesse usato la pistola che aveva con se, o se mi
avesse
arrestata. Poteva?
Non lo pensavo, ma avrebbe potuto trattenermi.
Approfittai
del fatto che fosse voltato per dileguarmi.
Nonostante mi girasse la testa, le mie gambe avevano ricominciato a
funzionare.
Non avevo una meta precisa, ma intuii che, forse, non era bene
aspettare che il
tipo smettesse di parlare. Corsi lungo il viale alberato gettandomi
qualche
occhiata alle spalle per assicurarmi di non essere seguita. Urtai un
paio di
persone a cui borbottai delle scuse affrettate, finché non
raggiunsi l’uscita
del parco.
Cavolo,
se era stata una mossa sbagliata.
Il traffico mi faceva fischiare le orecchie non ancora
rimesse in sesto. Mi sembrava di avere uno spillo ficcato al lato della
testa.
Camminai, cercando di estraniare i rumori delle auto, il rombo del
motore, la
gente che urlava. Avevo il presentimento che rimanere sola, in un unico
punto,
non fosse una buona idea.
E
così camminai.
Non
sapevo dove stessi andando, ma, ogni tanto, sentivo
come una strana vocina guidarmi lungo i marciapiedi e le strade.
Evitavo
accuratamente le stradine secondarie che sembravano trappole a misura
d’uomo
con dei predatori in agguato negli angoli bui. Dovevano essere passate
ore,
quando, alla fine, mi fermai. Il sole, ormai, batteva forte sulla mia
testa, inondandomi
di calore fastidioso. Sudavo e mi sentivo sporca e appiccicata ai miei
stessi
abiti. Cercai qualcosa nella borsa a tracollo che mi ero accorta di
avere.
Magari una bottiglietta d’acqua, ma trovai solo una ventina
di dollari e delle
strane monete d’argento. Non avevo praticamente nulla ed ero
seduta su una
panchina di quello che pareva un cortile davanti ad un grosso edificio
in
mattoni rossi alto tre piani, più o meno.
Quella
sembrava proprio una scuola.
Avevo
la sensazione di aver già frequentato un luogo
simile, e senza troppo successo. Forse non mi piaceva nemmeno.
Non avevo idea del perché la vocina che sentivo nella
mia testa mi avesse portato lì, ma erano diversi minuti che
non la sentivo
sussurrare direzioni nella mia mente, il che mi fece capire che,
ovunque mi
volesse far arrivare, ero arrivata.
“Avanti,
voce. Dimmi cosa vuoi che faccia.” Pensai,
quasi mi
aspettasse che quella mi rispondesse.
Nulla.
Sospirai
ed iniziai a guardarmi intorno, cercando di
darmi dei punti di riferimento, dato che, finalmente, la mia vista si
era
schiarita del tutto e il mio udito si era ripreso completamente. La mia
attenzione fu attirata da una specie di locale.
Un
bar.
Mi
avvicinai cautamente, anche perché avevo sempre
strani timori e non riuscivo a rilassarmi del tutto. Credo che sia
normale,
quando ti risvegli in una città senza ricordarti
assolutamente nulla. Eppure,
quando l’odore di dolci da poco sfornati e cibo mi
arrivò alle narici non potei
fare a meno di essere attratta.
Il
mio stomaco emise un brontolio.
Cavolo, ecco perché mi sentivo così debole: avevo
fame.
Dal vetro notavo che, su un bancone erano sistemate delle ciambelle,
crostate, cornetti
e molta altra roba da mangiare dall’aspetto delizioso.
Il
mio stomaco, intanto, continuava a urlare per
potersi riempire ed io l’avrei accontentato volentieri, solo
che avevo paura di
ritrovarmi senza soldi, in poco tempo. Cavolo, non sapevo dove andare.
Non
sapevo nemmeno se avevo una casa o dei genitori.
Così sfidai la mia resistenza, sperando che quella
vocina che sentivo mi portasse in un posto familiare.
Inutilmente.
Passò
circa un’altra ora, prima che, con un sospiro,
abbandonassi la mia panchina, andando al bar di prima. Sbuffai,
osservando i
miei miseri venti dollari e mi avvicinai al bancone, assicurandomi
che il
pugnale fosse ben nascosto sotto la giacca e che non fossi io stessa,
troppo
sospetta. Insomma, cercai di assumere la mia faccia più
angelica.
Il locale era vuoto. La maggior parte dei clienti
dovevano essere i ragazzi che si fermavano lì a fare
colazione o dopo la
scuola.
“Posso
fare qualcosa per lei?” Mi chiese il
proprietario al bancone, alzando un attimo lo sguardo. Stava pulendo
dei
bicchieri.
“Sì,
ecco…” Mi voltai verso il bancone ed osservai i
dolci. “Prendo un cornetto.” Dissi, indicando
quello che avevo scelto
dall’altra parte del vetro.
L’uomo mi fissò un attimo, poi annuì e
sorrise.
“Calo
di zuccheri, eh? Bisognerebbe fare colazione la
mattina.” Borbottò, mentre mi serviva.
Decisi
di non protestare. Mi limitai ad annuire e
pagare il conto sorridendo ingenuamente. Uscii rapidamente, sentendomi
immediatamente più leggera. Gli spazi chiusi non mi
dispiacevano, ma, con
quella dannata amnesia, non mi sentivo sicura. Decisi di non pensarci
e, dopo
averlo osservato un attimo, addentai il cornetto.
Cavolo,
se era buono.
Non
avevo idea di quale roba chimica avessero usato per
renderla così o se era abilità di chi
l’aveva preparata, ma la pasta esterna si
scioglieva praticamente, mentre era in bocca, mentre il ripieno
dolciastro, che
sapeva di albicocca, scivolava nel palato dandomi una sensazione
davvero
fantastica. Lo
mangiai alla velocità
della luce, felice di sentire lo stomaco riempirsi e le energie
tornarmi.
Ero
così felice di sentirmi di nuovo in forze che, per
poco, non sobbalzai, quando sentii la campanella della scuola vicina
suonare.
Dal portone principale stavano uscendo un numero esorbitante di
ragazzi. Forse
la voce mi aveva portata in quel posto perché
c’era un mio amico. Forse c’era
qualcuno che mi conosceva e, vedendolo, mi sarebbe tornato in mente
qualcosa.
Così iniziai a far correre lo sguardo da una parte
all’altra della folla di
ragazzi che uscivano alla rinfusa, cercando qualsiasi cosa mi potesse
aiutare.
Fissai per alcuni istanti un gruppo di ragazze che ridacchiavano
all’uscita,
mentre un loro compagno le guardava, facendo strani gesti ad una di
loro. Poi
guardai un ragazzo biondo che teneva le mani nelle tasche dei jeans
decisamente
TROPPO a vita bassa.
Nulla,
nessuno di loro mi faceva venire in mente un
luogo, un viso o una persona a me familiare. Stavo per rinunciare
quando il mio
sguardo cadde su uno degli ultimi ragazzi.
Doveva
avere sui diciassette anni. Aveva un aria
ribelle, gli occhi verde-azzurro, come l’acqua di un mare
calmo e tranquillo. I
capelli mossi ricordavano le onde dell’oceano. Il volto era
dolce e sorridente,
come se dovesse combinare guai per forza ma senza cattiveria, e,
nonostante fosse coperto da
maglietta e pantaloni, potei intuire che avesse un fisico molto ben
allenato.
Ecco:
quello era un viso familiare.
Lo
osservai con maggiore attenzione e notai che,
nonostante stesse sorridendo, aveva lo sguardo guardingo, come se si
aspettasse
un attacco. Teneva una mano nella tasca destra dei pantaloni ed era
seguito da
un gigantesco ragazzone stretto in un impermeabile troppo pesante,
anche per la
mattinata non troppo calda. Sembrava volersi nascondere da sguardi
indiscreti.
Troppo grosso per essere una persona normale.
Di
solito, una persona normale, non seguirebbe i primi
due tipi che gli si parano davanti, seguendoli come se fossero una
lucina di
segnalazione, ma, ehi! Mi ero appena svegliata senza ricordare nulla!
Qualsiasi
cosa fosse familiare, mi avrebbe potuto aiutare. Così mi
misi alle costole dei
due tipi, cercando di evitare di farmi scoprire.
Con mio disappunto si diressero in un vicoletto ai lati
della palestra (O quella che, a vedere, era una palestra) e la cosa mi
insospettì. Nessuno sembrava
averci seguiti, quindi, a parte me e quei due, quella non era una
strada molto
frequentata. Automaticamente, intuii che, se qualcuno voleva tornare a
casa non
passava MAI da lì. Mentre li seguivo osservai diversi
murales e altri graffiti
disegnati ovunque. Era un posto squallido e disastrato. Bastava vedere
quanto
fossero sporchi e scoloriti i colori stessi che, spesso, si
sovrapponevano.
Mi
trattenni dal commentare certe immagini fin troppo
orrende. Avevo altro da fare.
Ad
un certo punto, però, voltato l’angolo, sentii una
specie di tonfo e sobbalzai. Un suono seguì quello che avevo
sentito e mi parve
proprio il muggito di un toro.
“Ehi,
testa di manzo! Sono un paio di anni che non ci
si vede!” Testa di manzo? Che razza
di
insulto è? Quello doveva essere il ragazzo che
avevo notato per prima.
Voltai
l’angolo e mi ritrovai davanti ad una scena che
mi fece accapponare la pelle. Al posto dell’enorme ragazzo
c’era una creatura
alta tre metri, con una testa sproporzionatamente grande rispetto al
resto del
corpo, dai lati della quale si estendevano due grandi corna. Il corpo
era
ricoperto di peli rossicci e le enormi braccia sembravano dei tronchi.
Come se la scena non fosse, già di per sé,
abbastanza
scioccante, il ragazzo dagli occhi verdi aveva abbandonato il suo zaino
per
terra e aveva estratto una penna dalla tasca che, un secondo dopo, si
era
allungata diventando una spada lunga novanta centimetri che sembrava
simile al
mio pugnale.
Mi
accucciai dietro il muro spaventata, mentre sentivo
muggiti e armi che cozzavano contro le corna della creatura. Cercai di
riprendermi e mi detti un pizzicotto per sicurezza. No, non stavo
sognando.
Avevo davvero visto un uomo trasformarsi in un gigante cornuto ed un
ragazzo
tirare fuori una spada dalla tasca dei pantaloni.
Sbirciai
di nuovo dietro l’angolo. Erano ancora lì ad
affrontarsi: il ragazzo era rapido e sembrava saperla usare bene quella
spada.
Il problema era che anche il mostro sembrava conoscere piuttosto bene
le mosse
del suo avversario e, nonostante le proporzioni, riusciva ad evitare la
maggior
parte dei fendenti.
Fui tentata di intervenire. Anzi: dovevo farlo. Il
problema era che il mio cervello non sembrava funzionare correttamente.
Una
parte di me mi diceva di correre via alla velocità della
luce a chiedere aiuto.
Dopotutto sembrava anche la scelta migliore: cosa
potevo fare, io, povera ragazzetta smemorata, contro un bestione del
genere?
E poi cos’avevo, io, che poteva essermi utile, contro
quel bestione? Una borsetta, Una decina di monete d’argento,
la carta del
cornetto, alcuni dollari, uno spazzolino da denti, un berretto verde e
un
pugnale di fattura sconosciuta.
Sì,
direi che erano tutte armi letali contro un
bestione cornuto di tre metri.
Mi
morsi la lingua per non gridare per l’esasperazione.
Tornare dagli uomini in blu? Non se ne parlava, mi mettevano a disagio.
Urlare
come una pazza? Non sono mica scema. Mi avrebbe sentito anche quel
mostro e non
volevo certo che se la prendesse con me.
Mi rimaneva un'unica opzione che, per la miseria, era
quella che odiavo di più: aiutare il ragazzo dai capelli
neri. Ma come? Cosa
dovevo fare? Se avessi provato a distrarre il mostro? E con cosa? Non
avevo
idea di che fare. Poi mi ricordai del pugnale che portavo al fianco.
Non ero
sicura di saperlo usare, ma potevo farlo. Avrei potuto attaccarlo alle
spalle.
Ma se mi avesse sentita?
Non
ebbi altro tempo per pensarci.
Il
ragazzo aveva sbagliato movimento e il mostro
taurino ne aveva approfittato per colpirlo con un potente pugno al
petto che
l’aveva fatto volare per una decina di metri facendogli
perdere la spada,
mandandolo a sbattere contro un muro di mattoni.
Dovevo agire in fretta. Quel tipo era la mia unica
speranza di scoprire chi ero.
Mi alzai, stringendo convulsamente il pugnale, mentre
uscivo dal mio nascondiglio, avvicinandomi al mostro che mi dava le
spalle, per
avvicinarsi alla sua vittima.
“Ehi,
amico! Calma… ok? Siamo partiti con la zampa
sbagliata, forse.” A quanto pare il ragazzo mi aveva vista e
stava cercando di
guadagnare tempo,. O forse stava solo cercando di riprendere la sua
spada. In
ogni caso stava distraendo il mostro.
Mi
avvicinai, rendendomi conto di stare sudando come
una fontana. La mia mano era scivolosa e dovetti muovere le dita per
riassicurarle all’elsa del pugnale. Il mostro era solo ad un
metro ed io ero
praticamente in apnea. Non volevo che mi sentisse o sarei stata
spacciata.
Mosse come quelle che aveva fatto il tipo dagli occhi verdi, me le
sognavo. Dovevo
colpire velocemente.
Stavo
per colpire quando il mostro alzò il muso,
annusando l’aria.
Sgranai
gli occhi ed iniziai a sudare ancora di più, se
possibile. Aveva fiutato il mio odore.
Radunai
tutto il mio coraggio e saltai. Non pensavo di
poter essere agile (O forse era vero il detto ‘La Paura mette
le ali ai
piedi’), ma gli atterrai sulle spalle e, con tutta la mia
forza, lo colpii alla
gola.
Pensai che avrei visto il sangue uscire. Invece, sotto
di me, il mostro iniziò a disintegrarsi con un muggito
dolorante. In poco tempo
era sparito ed io precipitai in mezzo alle ceneri che lo componevano.
“Ah.”
Mi lamentai, piano, mentre mi rialzavo. Dovevo
aver fatto uno sforzo un po’ eccessivo per il mio corpo, o
forse avevo
sbattuto, dato che le ginocchia mi mandarono delle fitte dolorose.
“Ehi,
amica, grazie.” Mi chiamò il ragazzo che avevo
salvato. Alzai lo sguardo e lo vidi che si stava spolverando i resti
del mostro
di dosso.
“Di
nulla.” Risposi in automatico.
Fu
allora che lui si bloccò di colpo come se la mia
voce gli avesse fatto venire un attacco di cuore. Quando
alzò gli occhi mi
sentii strana, come se fossi fuoriposto, con lui. Vi lessi paura,
felicità,
sconcerto, sorpresa e molto stupore. Si avvicinò a me di
qualche passo, come se
temesse di vedermi sparire.
Mi toccò la fronte, facendomi scorrere una specie di
brivido lungo tutta la spina dorsale.
“B-Bianca?”
Chiese, con la voce carica di incredulità.
Per
qualche ragione, quel nome mi suonò familiare.
E
capii che era il mio.
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[Angolo dell’autore]
Salve!
Mentre la cara Water Wolf non potrà essere
con noi, per un po’ di tempo, io mi spingerò a
fare questa possibile storia.
Dopo un tentativo, a mio parere, fallito, ho deciso di tentare questa
storia
che segue una possibile avventura seguito dell’originaria
(sperando che il buon
Rick, non mi secchi nessun personaggi dei sette. D: )
Ad ogni modo, spero che la storia vi sia piaciuta, con questa
apparizione molto
a sorpresa dei nostro semidio preferito. ;)
Quindi, vi chiedo di recensire.
AxXx