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Autore: OpheliaBlack    21/05/2014    7 recensioni
NUOVI CAPITOLI DOPO ANNI DI ASSENZA.
SPERIAMO BENE.
GRAZIE MILLE...
-Dal capitolo 4:
Quanti?”, chiese Kòre non appena riprese il controllo dei suoi pensieri.
“Non lo sappiamo. Non molti però, quello per fortuna è certo. A dire il vero, non crediamo che sia il caso di prendersi male, forse non riusciranno nemmeno a superare le difese della casa. Ma SuperSilente ha deciso di limitare al massimo i possibili danni. Quindi tu e Malfoyuccio sloggiate. Sai, io l’ho detto al Vecchio che due o tre Punitori non sono niente a confronto delle feste alla Tana, ma non mi ha preso molto sul serio.”[...]
-Dal capitolo 13:
“Senti, Voldemort non c’è più, nessuna nuova minaccia ammazza Mezzosangue sembra presentarsi all’orizzonte e questi sono solo sogni"[...]
-Dal capitolo 18:
"Per me si va ne la città' dolente,
per me si va ne l' etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.”
-Dal capitolo 19:
"Per loro è solo un libro, è fantasia. Un capolavoro di fantasia ad essere sinceri. Ci sono varie teorie su questa faccenda:c'è chi sostiene che Dante, l'autore del libro, rubò alcuni volumi di storia della magia e ne prese spunto per scrivere la sua verità.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Hermione, Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius
Note: Otherverse | Avvertimenti: Non-con | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Kòre Dolohov aveva sempre amato le stagioni fredde, l'autunno sopratutto. Lo trovava poetico, con le sue foglie ingiallite che cadevano a terra al minimo soffio di vento, effimere e stanche come un essere umano al termine di quel lungo ed intenso viaggio che era la vita. Ebony le ripeteva spesso che questo suo pensiero era a dir poco terrificante e per nulla piacevole; le diceva che non c'era nulla di magico e poetico nella morte. All'epoca, Kòre era convinta del contrario: credeva fermamente che quando quel giorno sarebbe arrivato anche per lei, sarebbe stata pronta e, soprattutto, felice. Nonostante fosse una Guardiana perfettamente a conoscenza di come sarebbero andate le cose se in vita si fosse comportata male, non sapeva cosa succedesse agli altri, a quelli buoni. Immaginava che sarebbe finita in un'isola sperduta nel cielo, circondata da altre persone, dai suoi cari; credeva che la sua vita dopo La Vita, sarebbe proseguita tale e quale, magari senza tutte le preoccupazioni e le ansie che l'avrebbero accompagnata per tutti gli anni che avrebbe vissuto. Non ne aveva timore, forse perché vi aveva avuto a che fare fin dalla tenera età. Chissà, pensava, forse sarebbe diventata come Fred, una guida per altri Guardiani.

Tutte le sue aspettative vennero però bruscamente disattese. La morte era una cosa veramente stupida. Non aveva avvertito nulla, né fisicamente né mentalmente. Non c'era stata poesia, nulla di epico, nulla di trascendentale. Niente caldo, niente freddo, niente di niente. Solo buio.

Ebony le avrebbe sicuramente detto: “Che ti aspettavi eh? La morte fa schifo.”. Ed aveva proprio ragione.

L'unica cosa che riusciva a percepire l'oscurità che l'avvolgeva, opprimente e quasi soffocante. Riusciva ancora a sentire il suo corpo, le sue mani, le gambe, la testa...tutti i pezzi erano al loro posto e lei ne aveva coscienza. Non poteva vedere ma decise di provare a camminare e si sorprese nel sentire che i suoi piedi poggiavano effettivamente su di una superficie dura, un terreno sconnesso tanto da farlo sembrare vero. Erano sassi, non molto grandi ma nemmeno piccoli, intervallati regolarmente da delle lastre lisce. Dopo qualche passo, Kòre si protrasse in basso pensando che se era in grado di sentire la terra sotto di lei, anche le sue mani potevano esserle utili. Toccò attentamente tutto quello che poteva e cercò anche di annusare qualche odore che le facesse riportare alla mente qualcosa. Dopo questa piccola analisi, era certa che le lastre fossero di legno ma nulla di più era emerso.

Sbuffando, si incamminò di nuovo verso il nulla ma doveva essersi spostata troppo verso sinistra perché inciampò in un nuovo ostacolo cadendo rovinosamente a terra.

“MISERIACCIA!!!”, esclamò Kòre reggendosi il polso.

Dolore. Sentiva dolore. Decisamente atipico per un morto.

La sua mente era ancora stordita da quella rivelazione quando la sua attenzione venne catturata da una fioca luce in lontananza. Si rialzò acciaccata ma integra, socchiudendo gli occhi per scorgere qualche particolare in più. Sentì un fischio e dei rumori che le ricordavano vagamente quelli di un treno. Rimase qualche secondo a pensare, cercando di rimettere insieme i pezzi ed improvvisamente realizzò: sassi, assi di legno, rumori di un treno in corsa...era nel bel mezzo di una rotaia!

Si mise a correre cercando di non inciampare nuovamente ma la luce, invece che spostarsi lontano da lei, la seguiva ed ogni volta se la trovava davanti, più chiara e luminosa. Non ce la faceva più e il treno era ad un centinaio di metri. Kòre si accovacciò, coprendosi la testa e chiudendo gli occhi, in attesa di quella che sarebbe stata la sua fine effettiva. Se l'iter della morte prevedeva essere investiti da un treno in corsa, Ebony ci aveva preso in pieno con la sua teoria sulla morte.

Pochi secondi all'impatto e tutto sarebbe finito. Kòre si ritrovò a contare:

“Tre. Due. Uno.”

Tenne gli occhi serrati per altri cinque secondi prima di realizzare che non era successo nulla. Era viva. O morta. Qualsiasi cosa le fosse successa la sua condizione era identica a prima che il treno la colpisse. Aprì entrambi gli occhi e notò che non si trovava più sulle rotaie: era dentro al treno.

Si alzò lentamente, guardandosi intorno. Quello non era un treno come altri, era l'Espresso per Hogwarts.

Era nel vagone dei Prefetti ma non ne riconobbe nemmeno uno e loro sembravano non averla nemmeno notata. Kòre si avvicinò ad un ragazzo passandogli la mano sulla faccia e, come si aspettava, nessuna reazione. Lei era invisibile.

Avanzò di qualche passo quando una risata cristallina e conosciuta la fece tremare. Alla sua destra, sedeva in compagnia di alcuni amici Victoire Weasley, giovane e come sempre raggiante.

Le lacrime iniziarono a pizzicare gli occhi della ragazza e le si formò un nodo alla gola che le impediva quasi di respirare.

Non poteva credere di aver messo fine alla vita di una ragazza del genere.

“Ragazze! Questo è il nostro ultimo anno e deve essere indimenticabile!”, disse una studentessa piuttosto carina, dai capelli color cioccolato.

“Sì...indimenticabile...”, disse malinconica un'altra ragazza, “io preferirei dimenticarmi dei M.A.G.O!”

“Oh andiamo Nova!”, intervenne Victoire, “sei una dei migliori studenti di tutta la scuola e agli esami farai un figurone!”

“Certamente migliore della figura che farai tu Weasley!”

Accanto a Kòre si presentò la figura di Teddy Lupin da giovane. Era piuttosto strano vederlo nelle vesti di studente, con la divisa e lo stemma Grifondoro cucito accuratamente.

“Lupin...non mi pare che sia stato richiesto il tuo parere!”, rispose piccata Victoire.

“No infatti! Ma so quanto ci tieni a sentire la mia voce almeno una volta ogni ora.”, disse sorridendo sornione.

“Pietrificati!”, gli ripose la ragazza.

Sembravano così giovani, così reali.

“Ero piuttosto carina vero?”

Kòre si voltò per vedere a chi appartenesse quella voce che sembrava davvero rivolgersi a lei. Rimase sorpresa nel ritrovarsi dinnanzi alla Victoire Weasley contemporanea, quella che aveva pugnalato poche settimane prima. Al solo pensiero, Kòre si rabbuiò anche perché significava che forse anche lei stessa era morta.

La ragazza boccheggiò parecchie volte, pervasa dal panico, dalla sorpresa e da mille domande. Il suo volto doveva aver suscitato l'ilarità di Victoire dato che ridendo beata le disse non c'era motivo di preoccuparsi. Non era matta.

“Allora sono...morta?”, disse allargando le braccia e sorridendo amaramente.

“Assolutamente no! Non credi ci siano stati fin troppi morti in un solo anno?”, le rispose gioviale. “Coraggio piccola Guardiana, seguimi.”

Victoire si incamminò a passo svelto verso la testa del treno. La cosa strana è che lei apriva le porte normalmente, schivava gli studenti e a volte li prendeva pure a spallate ma loro non si smuovevano, erano invisibili in quella che aveva tutta l'aria di essere una specie di realtà parallela.

“Dove stiamo andando?”, chiese spaesata Kòre.

“Ti servono delle risposte Kòre. Stiamo andando da qualcuno che può dartele.”

“Risposte a cosa? Io non nessuna domanda!”

“Sul serio? Non ti sei chiesta perché ti trovi qui? Perché non sei morta alla fine del rituale?”

Kòre dovette ammettere che forse un paio di domande le aveva ma erano del tutto logiche e giustificabili.

L'ultima porta che aprì Victoire, quella che sarebbe dovuta essere l'entrata per la carrozza di testa, si aprì invece in una stanza che Kòre ricordava bene: l'ufficio del Preside.

“Ma che-...”, disse Kòre prima che le parole le morissero in gola alla vista di Fred Weasley Senior.

“Fred!!!”, esclamò la ragazza che automaticamente gli si precipitò fra le braccia.

Fred l'accolse felice e sorridente, alzandola addirittura da terra.

“Eccola qui la mia protetta! Hai fatto un bel casino laggiù!”

Kòre piegò la testa, gli occhi fissi a terra.

“Lo so...ma non aveva altra scelta. Non potevo permettere che Ebony o Albus morissero a causa mia. La Profezia può dire quello le pare e piace ma io non servirò mai più il Re! Preferisco morire!”, disse fieramente Kòre.

“E ci sei andata vicino! Hai rischiato molto quella notte.”, la redarguì Fred.

“Sei stata sconsiderata Kòre.”, si aggiunse Victoire.

“Quella notte?”, chiese pensierosa la ragazza.

“Non sei morta ma di certo non stai un granché bene Kòre!”, le rispose Fred, “Cosa credi che sia tutto questo?”, le chiese aprendo le braccia.

“Un...sogno?”, azzardò l'ipotesi la ragazza.

“Molto vicino amica mia! Non è proprio un sogno...qui la chiamano percezione estesa.”, le spiegò Victoire.

“Percezione estesa?”, ripeté scettica Kòre, “Tu non hai idea di quello che voglia dire vero?”, disse rivolgendosi a Fred.

“Ehi! Noto della sfiducia nelle mie capacità. Diciamo che ho scoperto da poco che cosa fosse...”, disse Fred grattandosi la testa colpevole. “Devi sapere che oltre al sottoscritto, il mondo pullula di spiriti, alcuni dei quali sono guide come me mentre altri, semplicemente, vagano di tanto in tanto per vedere come se la passano i vivi. Non possono essere visti da nessuno nemmeno dai Guardiani a meno che non si tratti del proprio, nel tuo caso fichissimo, spirito guida perché appartengono alle alte sfere, non sono anime dannate del Regno dei Morti. Tuttavia, capita che a volte questi spiriti necessitino di colloquiare con voi Guardiani. Ed ecco che entra in gioco la percezione estesa.”

“Si tratta fondamentalmente di una specie di stato di trance, nel quale il Guardiano può mettersi in contatto con noi. E' come se fossi in coma.”, chiarificò la giovane Weasley.

“In coma? Da quanto tempo lo sarei?”, chiese allarmata Kòre.

“Quasi tre giorni ormai...”, le rispose Fred, “è per questo che bisogna fare in fretta. La percezione estesa è molto pericolosa. Si rischia di perdersi per sempre all'interno di questa realtà fittizia.”

“Che devo fare?”, chiese risoluta Kòre.

“Quello che ha sempre fatto, signorina Dolohov.”

Alla destra della ragazza, apparve l'imponente figura di Albus Silente. Improvvisamente, la stanza si riempì di varie entità che Kòre non fece fatica a riconoscere. Vi erano i genitori di Harry Potter, Remus Lupin, Andromeda Tonks, Cedric Diggory...tutte le vittime delle due precedenti guerre.

A colpirla fu soprattutto la presenza di Sirius Black e Dorcas Meadows.

“S-salve...”, disse guardandosi intorno la giovane strega.

“Sei stata davvero molto nobile, Kòre. Non hai esitato a sacrificarti per mio nipote e per tutti quanti.”, disse James Potter.

“L'ho cresciuta bene!”, rispose orgoglioso Fred Senior.

“Kòre...”, disse con voce flebile Dorcas, “io sono così dispiaciuta. Quello non è il mio bambino! Mi è stato strappato pochi attimi dopo la sua nascita e cresciuto con odio e rabbia.”

“Lo so...”, la rassicurò Kòre, “so che non è colpa vostra. Io stessa, se non fossi stata data in affidamento ai Malfoy e con l'aiuto di Susan, sarei stata cresciuta come un'assassina senza scrupoli. A quanto pare, non sono riuscita comunque ad evitarlo...”, disse amaramente ripensando ai momenti nei quali non era lei stessa.

“Non si azzardi nemmeno a sentirsi in colpa, signorina!”, intervenne il vecchio Preside, “lei non si rende conto di ciò che è riuscita a fare?”

“Signore... con tutto il rispetto ma io tre giorni fa ho spalancato le porte del Regno dei Morti. Ora sono tutti liberi di vagare tra i vivi, portando violenza, sangue e morte. Molti di essi covano sentimenti di vendetta e rivalsa da millenni.”

Il Preside l'aveva lasciata finire di parlare sempre sorridendo sotto quella barba lunga e incolta.

“Ed è stata stupefacente. Non è cosa da tutti giorni sa? Molti Guardiani la invidieranno ed io potrò vantare tra gli alunni di quella che fu la mia scuola una personalità eccezionale come la sua.”

Kòre cercò di capire se fosse serio intercettando lo sguardo di Fred ma l'unica cosa che ottenne fu una risatina sommessa.

“Io continuo a non vederci un lato positivo...scusi...”, disse la giovane Dolohov.

“Lei, signorina, si è ribellata. E' vero che ha tristemente portato a termine il rituale raggiungendo l'obbiettivo di Legacy Black. Purtroppo per il Re egli non potrà disporre della forza da lei scatenata.”

“Io non-...”, si interrogò Kòre.

“Lei ha scatenato le anime perdute, anime che di certo non sono famose per il loro autocontrollo o rispetto delle autorità. Sono alla sbando, senza un capo, senza nessuno che le controlli. A Legacy serve ben poco disporre di un esercito se esso non obbedirà ai suoi ordini. L'unica persona che sarebbero disposti a rispettare è lei, signorina Dolohov, per il semplice motivo che come è riuscita a farli uscire potrebbe farli rientrare nel Regno dei Morti.”, le spiegò il Preside.

“Ma io non ho idea di come rimediare. Non so...come chiudere le porte!”

“Lo saprebbe se fosse ancora pervasa dall'oscurità ma grazie al cielo non è più così.”, disse Silente.

Kòre si prese qualche secondo per pensare alle parole del Preside.

“Quindi lei mi sta dicendo che per sbattere nuovamente le anime nel Regno dei Morti dovrei tornare ad essere l' omicida, assetata di sangue e, passatemi il termine, stronza psicopatica che ha reso possibile l'apertura delle porte del suddetto Regno dei Morti?!”

“Direi che ha fatto una buona sintesi..”, rispose Remus Lupin sorridendo a quella giovane ragazza coraggiosa.

“Perché non sono morta? Era quello il mio destino, non sarei dovuta sopravvivere al rituale se in me vi era ancora della bontà, della positività...non sarei dovuta sopravvivere se avessi avuto un'anima!”

Albus Silente le si avvicinò con un passo cadenzato, le mani giunte e gli occhi luminosi.

“Ha studiato bene il manuale della perfetta Guardiana e ha letto attentamente la Divina Commedia signorina, plauso a lei e alla sua guida ma vede...”, disse il Preside posando le mani sulle spalle di Kòre, “non sempre la vita è spiegabile con i libri e il destino è sempre dietro l'angolo, pronto a stravolgere l'ordine dell'universo che sino a quel momento sembrava esserci così chiaro e lampante.”

Kòre stava per chiedere spiegazioni ma il respiro iniziò a venirle meno. La pressione del Preside esercitata sulle sue spalle la fece inginocchiare a terra. Annaspava in cerca di un briciolo d'aria sentiva le forze abbandonarla piano piano.

“Mi perdoni i modi bruschi, signorina Dolohov, ma in qualche modo dobbiamo riportarla indietro.”, disse tranquillamente Silente.

Finalmente lasciò libera la ragazza ma ormai la sua vista era appannata e la testa le girava vorticosamente. Intorno a Kòre, i vari spiriti fecero la stessa cosa del Preside, posando una o due mani sulle sue spalle. Ogni volta che veniva toccata sentiva come un pizzicore, come se qualcosa continuasse a pungerla. Alla fine, fu il turno di Fred Weasley Senior.

“Ho un regalo per te, ragazzina.”, le disse affabile.

A Kòre sarebbe piaciuto rispondergli nei peggiori modi o per lo meno picchiarlo ma ormai non riusciva quasi nemmeno a pensare.

“Prima di crederti spacciata, prova ad avere un altro pezzo del puzzle a disposizione...”

Fred le rimise le mani sulle tempie, come fece la notte della sua ribellione alle forze oscure a villa Dolohov. Kòre vedeva le sue labbra muoversi ma era tutto così confuso.

L'ennesimo pizzicore e poi fu di nuovo il buio ma stavolta durò poco: come se qualcuno l'avesse appena tirata fuori dall'acqua perché in procinto di affogare.

Spalancò gli occhi e si sollevò cercando più aria possibile. Un urlo la fece voltare. Derek Gellant era a terra, bacchetta puntata verso di lei, visibilmente in panico.

Kòre si guardò intorno: era su un letto d'ospedale, il San Mungo e, a quanto sembrava, la sua uscita dal come doveva aver scosso parecchie persone. I Medimaghi la osservavano terrorizzati, compresi gli altri pazienti intorno a lei.

“Gellant!”, lo richiamò lei dopo aver riorganizzato le idee.

Il ragazzo si ridestò in piedi,, cercando di riprendere il controllo.

“Hanno sempre detto che il risveglio dopo il coma sia lento e graduale. Decisamente sbagliato.”

“Sembrerebbe di sì...devo parlare con Theo ed Harry Potter. Adesso. E quanti Auror ci sono a farmi da guardia!?!”, chiese stizzita Kòre notando che Derek non era il solo.

“Non che tu abbia fornito dei buoni motivi per fidarci di te”

“Ora li ho.”, rispose sicura e sorridendo vittoriosa.

“Sarebbero?”, chiese scettico e ancora leggermente spaventato da quel risveglio inaspettato.

“La parte mancante della Profezia vi basta?”

***

 

L'infermeria possedeva le mura più spoglie di tutta Hogwarts. Da che potesse averne ricordo, Ginevra Potter era certa di aver visto per ogni aula, in ogni buco, in ogni stanzino almeno un quadro o uno stendardo. In quel posto c'era solo qualche vecchio specchio e delle specie di tele dipinte. Aveva imparato a riconoscere ogni anfratto e angolo di quel posto, dato che da tre giorni era diventata la sua seconda casa.

L'attacco a Île du Sang si era concluso con un totale di cinque perdite, tre Auror e due membri della Resistenza. I feriti avevano smesso di contarli dopo nemmeno venti minuti dall'inizio della battaglia, quando in molti fecero ritorno in pessime condizioni.

C'era stato qualche prigioniero ma a quanto pare nessuno era arrivato vivo. Ron le aveva confessato che quasi nessun Punitore era stato ucciso con un incantesimo ma erano stati loro stessi a togliersi la vita, ingurgitando del veleno, piuttosto che vedersi interrogati dagli Auror.

Quando anche suo marito fece ritorno, di certo non si aspettava di vederlo reggere il corpo svenuto di Albus; così come non immaginava scorgere la cognata Hermione con in braccio sua figlia Rose, seguita a ruota da altre persone che trasportavano tutti i membri della sua famiglia e il povero Alexander Zabini.

Aveva litigato furiosamente con il marito, avendolo accusato di non essere stato presente e di aver traviato i suoi figli. Non si sarebbero mai messi in quella situazione se non fossero stati i figli del Prescelto.

Ginny aveva vegliato su tutti loro per un giorno interno sin quando anche l'ultimo, Scorpius, si svegliò, stanco ma vivo.

I suoi figli e nipoti stavano bene e si erano ripresi quasi subito. A crearle maggiori preoccupazioni era Ebony Rookwood. Come gli altri era arrivata svenuta e in reggiseno sorretta da Teddy. Madame Habbot notò immediatamente dei segni di lotta sul suo corpo, graffi e lividi sulla schiena. Inizialmente pensarono che fossero dovuti ad uno schiantesimo molto potente che aveva fatto sbattere violentemente la ragazza su qualcosa ma in molti testimoni della scena avvenuta in salotto giurarono che nessuno l'aveva colpita, nemmeno i Punitori stessi.

Si era svegliata per prima, poche ore dopo il suo arrivo ad Hogwarts ma era riuscita a pronunciare solo poche parole: “Kòre...”. La sua unica preoccupazione era la sorte dell'amica e Ginny le rispose che si trovava al San Mungo in condizioni più gravi delle sue ma ancora viva.

Ebony accennò un sorriso prima di riaddormentarsi, stavolta per molte ore.

Al suo risveglio però, non voleva mangiare, né parlare con nessuno. Era come se fosse diventata un vegetale, in un perenne stato catatonico, senza emozioni.

Jocelyn Green aveva invano tentato un approccio con l'amica, così come Theo ed altri membri della Resistenza che meglio conoscevano la ragazza. Adam Baston si presentò più volte al suo capezzale ma venne mandato via sistematicamente.

Camminava meditabonda fuori dall'infermeria Ginny Potter, in attesa che Hannah le desse qualche informazione in più sulle condizioni psico-fisiche di Ebony. I suoi pensieri furono interrotti dalla presenza di tre figure che si stavano avvicinando velocemente a lei: poteva riconoscere Harry, suo marito ma non aveva idea di chi fossero gli altri due, un uomo e una donna.

“Ginevra...”, disse Harry fermandosi, “loro sono Janet e Matt Autumn. Signori, lei è mia moglie Ginevra.”

La donna le porse la mano tremante. Ginny conosceva bene lo sguardo che accompagnava quei due genitori, lo aveva visto spesso balenare tra gli occhi di sua madre e suo padre ai tempi della seconda guerra, quando lei e tutta la sua famiglia si erano imbarcati in quell'avventura. Non capiva, ai tempi, quanto potesse essere stressante e devastante per una madre vedere i propri figli mettere a rischio la propria vita per un'ideale, per la liberazione. Ora che i suoi figli si erano praticamente buttati tra le braccia del nemico, riusciva a comprendere meglio i sentimenti di Molly Weasley.

“Chiamatemi pure Ginny.”, rispose stringendo la mano ad entrambi.

“Ok, Ginny...tuo marito dice che hai vegliato su nostra figlia sino ad ora. Come sta?”, chiese pratica Janet. Osservandone i modi, la postura fiera e lo sguardo coraggioso, Ginny rivide Ebony in tutto e per tutto. Sapeva bene che Janet e Matt non erano i suoi veri genitori ma l'avevano cresciuta loro e la ragazza aveva acquisito dalla madre tutta la sua forza d'animo. Anche Matt dava l'idea di essere un uomo tutto d'un pezzo, con la differenza che dai suoi occhi verde scuro traspariva una dolcezza e una bontà d'animo infinita.

“Per quanto grave sia stata l'intera faccenda, vostra figlia sta fisicamente abbastanza bene, a parte qualche livido ed escoriazione.”

“Ma...”, la incitò Matt a continuare.

“Fatica a mangiare, a bere, a dormire. Non vuole incontrare nessuno, parlare con qualcuno sembra impossibile. Nessuno dei suoi amici riesce ad interagire con lei.”, spiegò Ginny.

“Dev'essere successo qualcosa durante la sua prigionia.”, intervenne Harry, “Madame Abbot sostiene che possa trattarsi di un disturbo da stress post-traumatico.”

“Cosa potrebbero averle fatto?!”, chiese con le lacrime agli occhi la madre.

“Non lo sappiamo. Potrebbe aver visto o sentito qualcosa che l'ha particolarmente turbata.”, disse il Prescelto.

“Conosco bene mia figlia, Harry. Non è il tipo che si traumatizza di fronte alla paura.”, rispose Matt.

“Vogliamo vederla.”, disse perentoria Janet ma la sua richiesta sarebbe stata vana. Hannah Abbot aveva appena raggiunto il piccolo gruppo riferendo che sarebbe stato meglio che quell'incontro non avvenisse.

“Quando ho comunicato a vostra figlia che oggi sareste venuti a farle visita è esplosa: ha iniziato ad urlare, a dimenarsi e a piangere. Mi ha intimato che se vi avessi fatti entrare lei mi avrebbe schiantata o peggio.”, spiegò l'infermiera.

Matt e Janet si strinsero l'uno con l'altra, singhiozzando.

“La mia bambina-...”, sussurrò Janet, “Matt cosa le sarà successo? Lei non oserebbe mai...Lei non è cattiva!”

“Lo so per certo, signora Autumn.”, rispose rassicurante Hannah, “Ma se continua così, peggiorerà soltanto. Se non affronta ciò che la turba, qualsiasi cosa essa sia la mangerà dall'intero e nulla sarà più come prima.”

“Matt, Janet...”, prese parola Harry, “io e Madame Abbot ne abbiamo discusso ed avremmo un'idea. Vi informo fin da subito che non sarà piacevole né per Ebony né per voi. Vorremo somministrare a vostra figlia del Veritaserum.”

“Cosa?!?”, esclamò Ginny suscitando la preoccupazione dei genitori Babbani.

“Ginevra...”, provò a redarguirla il marito.

“Ginevra un corno Harry! Ha sedici anni! Da quando si somministra il Veritaserum ad una ragazzina di sedici anni!?Hannah tu sei d'accordo?!”

“Scusatemi!”, intervenne Janet, “noi vorremmo sapere di cosa state parlando.”

Prese parola Harry che in breve enunciò le modalità e il genere di pozione con la quale volevano estrapolare la verità da Ebony.

“Non è una pratica usuale per voi e me ne rendo conto. Credetemi, nemmeno a noi maghi piace dover ricorrere a certi metodi. La scelta sta a voi, non possiamo somministrare nulla a vostra figlia senza il vostro consenso.”, concluse Harry.

“Le farà male?”, chiese titubante Matt dopo qualche minuto di silenzio.

“Fisicamente no.”, rispose l'infermiera.

“Come siamo arrivati a tanto?”, disse devastata Janet mentre si guardava intorno, persa in chissà quale pensiero. “Devono drogare mia figlia affinché riveli qualcosa che potrebbe segnarla per sempre.”

Harry se ne stava in silenzio, senza sapere cosa fare o cosa dire. Hannah fece ritorno in infermeria, probabilmente per preparare il necessario e farla finita il più presto possibile.

Ginny camminò verso Janet e, posandole una mano sulla spalla le disse:

“Andrà tutto bene.”. Bugia. Niente sarebbe andato bene, niente sarebbe stato più come prima ma aveva bisogno di dire quelle parole, di sentirle dentro di sé per convincere se stessa prima di Janet Autumn.

***


 

Scorpius Malfoy vagava spesso per i corridoi della scuola. Era un'abitudine che aveva iniziato a prendere sin dal primo anno. Il fatto di essere arrivato ad Hogwarts ed essersi fatto degli amici, non aveva eliminato del tutto la sua personalità di natura solitaria. Gli piaceva camminare e pensare, oppure non pensare affatto; gli piaceva sentire il rumore dei suoi passi, il vuoto intorno a lui, nessuno studente, nessun insegnante. Solo lui, le sue scarpe e qualche quadro.

Quella sera però, il uso scopo non era quello di camminare da solo e basta.

La stava cercando, da giorni ormai. Rose non si era più fatta vedere da quando erano tornati da quella missione quasi suicida.

Sperava di poterla trovare nel loro posto. Più che altro, sperava di poterlo ancora definire tale.

A quanto pareva qualcuno aveva accolto le sue preghiere perché la giovane Weasley se ne stava seduta a terra, gambe incrociate e sguardo pensieroso. Scorpius ripensò a quando la vide quel giorno lontano, incerta su cosa fare e soprattutto incerta sul confidarsi con lui riguardo al suo sogno e alla Stanza delle Necessità.

Era cambiata, Rose. In quei mesi trascorsi tra l'inquietudine generale e lo stato di allerta sempre ai massimi livelli, si era trasformata in una piccola giovane donna, una nuova maturità era nata in lei, maturità che si sposava perfettamente con il suo corpo in constante cambiamento: era più alta, più robusta, il viso angelico da docile bambina aveva lasciato spazio a dei lineamenti più marcati, in un certo senso più duri.

“Ehi!”

Scorpius richiamò la sua attenzione. Dallo sguardo che Rose gli lanciò, capì di non essere una delle persone più gradite della ragazza ma ciò nonostante le si sedette accanto.

“Malfoy...notizie di Kòre?”, chiese piatta Rose.

“Ancora nulla dal San Mungo. Susan è andata a controllare la situazione stamattina ma non è ancora tornata.”, rispose tristemente.

“Potrebbe essere un buon segno. Kòre potrebbe essersi svegliata e Susan le sta comunicando le ultime novità.”

“Che sarebbero?”, chiese ironico Scorpius.

Di fatto, non vi erano novità di rilievo. Kòre aveva completato l'incantesimo che tanto stava a cuore a Legacy, scatenando chissà quale minaccia che per il momento non si era ancora manifestata. Ebony era diventata l'ombra di sé stessa, cupa e perennemente sotto sedativi. Albus era, secondo il parere di tutti i medici consultati dalla famiglia, ufficialmente libero dal controllo mentale di Legacy anche se il come questa cosa fosse successa non era chiaro a nessuno. James Potter aveva tentato in ogni modo di avvicinarsi ad Ebony ma venne sistematicamente allontanato da Auror e professori ogni dannatissima volta. Lysander Scamandro si era preso la “colpa” per la loro improvvisata al castello dei Dolohov sostenendo che era stata una sua idea. In questo modo, Adam avrebbe potuto concludere il suo percorso scolastico senza nemmeno una macchia sul suo perfetto curriculum da studente modello e Alexander beh, era riuscito a farla franca.

“Come l'hanno presa i tuoi genitori?”, chiese Scorpius capendo che la domanda precedente sarebbe rimasta senza risposta.

Rose rise tra sé. La sua era una risata amara, quasi sarcastica.

“Quando siamo svenuti mio padre mi ha riportata indietro convinto che fossi morta. Mia madre è riuscita a farlo ragionare ed è riuscito a constatare che ero solo priva di sensi, ha vegliato su di me sino al mio risveglio. Quando finalmente ho ripreso conoscenza lui e mia madre mi hanno inveito contro. Ed io, da brava Grifondoro mancata, non ho usato il cervello come invece, di norma, una Corvonero dovrebbe fare. Ho risposto per le rime, non sono stata zitta e ho concluso la mia arringa rinfacciando loro che sono la degna figlia di quelli che accompagnarono Harry Potter alla ricerca degli Horcrux.”

“Mia madre ha consumato la sua scorta di fazzoletti di seta.”, disse il ragazzo. “Mio padre invece mi ha stupito: quando ho ripreso i sensi, si è presentato di fronte al mio letto, mi ha chiesto se stessi bene e poi mi ha abbracciato.”

“E cosa ci sarebbe di così strano?”, chiese sarcastica Rose.

“Mio padre non abbraccia. E di certo non mi aspettavo di ricevere una dimostrazione d'affetto dopo quella notte. Draco Malfoy non è un sostenitore degli atti eroici da suicidio.”

“Il nostro non è stato un atto eroico. E' stato solo un atto molto stupido ed egoista!”, sbottò Rose scura in volto.

Si era alzata di scatto, lasciando di stucco il povero Scorpius.

“Egoista? Come puoi definire ciò che abbiamo fatto un atto di egoismo?”, chiese sbalordito alzandosi anche lui in piedi.

“E come altro dovrei definirlo Malfoy?! Degli studenti inesperti si sono catapultati nel covo di un assassino pensando di poter salvare il mondo! Misericcia Scorpius! I miei genitori hanno ragione! Siamo stati degli sciocchi, irragionevoli, avventati e boriosi! Egoisticamente, abbiamo creduto di poter fare meglio di un intero dipartimento Auror e una Resistenza formata dai migliori maghi in circolazione!”

Rose era irriconoscibile. Il volto paonazzo, gli occhi spalancati e la voce rotta dalla rabbia.

“E' vero siamo stati avventati ma loro sono nostre amiche! Kòre è una sorella per me, non potevo starmene con le mani in mano!”, rispose Scorpius che a differenza di Rose aveva mantenuto il tono di voce relativamente calmo e basso.

“O ti prego Scorpius piantala, ok? Smettila di comportarti da nobile guerriero con l'armatura verde-argento! Hai dimostrato in parecchie occasioni la tua vera natura da serpe!”

“Prendi un po' troppo sul serio il sistema delle Case Rose! Sia io che Alexander abbiamo dimostrato che c'è di più sotto la veste dei Serpeverde!”, rispose ora alterato Scorpius.

“Certo che c'è! C'è altra arroganza, altro egoismo e altri doppi giochi!”

“Mi sembra che nemmeno tuo cugino James abbia sempre incarnato il perfetto Grifondoro! O ti sei forse dimenticata la sua piccola parentesi da ladro!?!”

“Non lo metto in dubbio! Se tutti noi ci fossimo comportati come le nostre Case richiedono forse non sarebbe successo...”, disse Rose sull'orlo di una crisi di pianto. In quel momento Scorpius capì che c'era qualcosa sotto quella rabbia e quello scatto d'ira. Era senso di colpa.

“Rose-...”

“Io sono una Corvonero. Sono la migliore Malfoy! La migliore del mio anno e molto probabilmente una tra le migliori studentesse della scuola. Mio zio Fred mi è apparso in sogno ed io non ho saputo sfruttare quella possibilità. Avrei potuto fare delle ricerche più approfondite, parlarne prima con mia madre o con zio Harry ma no!”. Ora le lacrime scendevano copiose sul suo volto. “Ho preferito sprecare il mio tempo con te per Merlino solo sa perché!”

Scorpius si sentì ferito da quelle parole ma cercò comunque di capire il punto di vista di Rose.

“Non è colpa tua Weasley...quello che è successo era inevitabile!”

“E' da vigliacchi dare la colpa al destino.”, rispose perentoria. Si asciugò in fretta le lacrime dal volto e iniziò a camminare lontano dal ragazzo. Scorpius la raggiunse con due passi svelti e afferrandole il braccio la fece voltare.

“Non lo fare Rose! Non permettere ai sensi di colpa di distruggerti!”, le intimò il biondo cercando di essere fermo ma rassicurante.

Rose gli rivolse uno sguardo che sperava di non rivedere mai più, lo stesso sguardo di disgusto che la ragazza fece la notte in cui praticamente combinò un matrimonio tra Zabini e Gwen.

“Credo sia meglio che noi due ritorniamo ad ignorarci Malfoy. Non siamo amici, non lo siamo mai stati e non lo saremo mai.”

Scorpius lasciò il braccio di Rose, inebetito e incredulo.

Osservò la ragazza andarsene a passo svelto. I suoi capelli rossi ondeggiavano sparsi sulla sua schiena.

Non riuscì a razionalizzare bene ciò che era appena accaduto ma uno dei suoi primi pensieri fu rivolto a suo padre. Era davvero il destino dei Malfoy non riuscire ad ottenere il rispetto e l'amore di una Granger? In quel momento, pareva proprio di sì.

***

 

Il piacevole tepore del sole al tramonto le penetrava nella pelle, invadendo ogni sua singola cellula. Le piaceva il sole, nonostante fosse inglese. Hermione avrebbe potuto stendersi all'ombra di uno dei tanti alberi del giardino della scuola, così come era solita fare quando era studentessa ma preferiva abbrustolirsi un po' piuttosto che rintanarsi nell'oscurità di una quercia. C'era stata troppa oscurità in quei mesi.

“Lo sai che è sconsigliato agli anziani esporsi ai raggi del sole?”

La donna sorrise tenendo però gli occhi chiusi. Non era necessario aprirli per vedere chi le avesse rivolto parola. La sua voce era inconfondibile.

“Provvederò affinché gli anziani lo sappiano.”, rispose mettendosi a sedere.

Davanti a sé c'era un Draco Malfoy visibilmente segnato più dalle vicissitudini degli ultimi mesi che dal tempo in generale. Tra i suoi capelli vi era un accenno di bianco, un brizzolato candido e luminoso. Gli occhi erano marcati dalla mancanza di sonno e il viso era stanco ma nel complesso sembrava stare bene.

Draco si appoggiò alla corteccia dell'albero, all'ombra. Il sole non era mai stato di suo gradimento.

“Ci sono novità?”, chiese Hermione.

“A dire il vero sì ed è per questo che sono qui. I genitori di Ebony hanno dato il consenso all'interrogatorio con il Veritaserum. L'inizio è previsto tra mezzora. Non so se tu voglia assistere.”

“Sì, verrò.”, rispose senza tentennamenti la donna. “Tu ci sarai?”

“La pozione l'ho preparata io... quindi sì.”

“Ok.”

Rimasero in silenzio per quelle che sembrarono ore. Alla fine, fu Draco a prendere parola.

“Non credevo che lo avrei visto.”

“Chi?”, chiese Hermione senza capire.

“Mio figlio. Dentro di me sapevo che la tua famiglia avrebbe fatto qualche stupida, stupidissima improvvisata eroica ma non immaginavo di certo che Scorpius li seguisse a ruota.”, disse con uno strano sorriso sulle labbra.

“Beh...sei stato più lungimirante di me. Ricordi quando ti dissi che mia figlia non si sarebbe mai avventurata in qualche missione mortale?”, disse ironicamente Hermione.

“E' la figlia di Ron Weasley di Hermione Granger. Che ti aspettavi, Mezzosangue?”, ripose ridendo Draco.

“Se le fosse accaduto qualcosa, Ronald ed io non saremmo riusciti a sopportarlo.”, disse poi Hermione, con un tono del tutto differente. Era preoccupato, colpevole e cupo.

“Quello che sto per dire ora mi renderà il candidato ideale a padre peggiore dell'anno ma non sono mai stato così fiero di mio figlio come lo sono stato in questi mesi.”

Hermione si voltò verso l'uomo chiedendosi cosa intendesse dire.

“Scorpius è sempre stato diverso. Diverso da me, da Astoria, dalla totalità delle nostre famiglie. All'epoca del suo Smistamento ero certo che sarebbe finito ovunque tranne che a Serpeverde e la cosa mi spaventò a dir poco. Non avevo mai avuto nulla in comune con lui, non potevo certo sperare che stesse nella mia stessa Casa. Invece, con mia somma sorpresa, venne messo tra i verdi-argento. Questo fatto mi rallegrò: finalmente, mi dissi, avrei avuto qualcosa da condividere con lui. Forse mio figlio non era anni luce distante da me.”

“Tu e tuo figlio siete più simili di quanto tu creda Draco.”, gli disse Hermione.

“Spero davvero che tu ti stia sbagliando Mezzosangue!”, le rispose sorridente suscitando la perplessità della donna.

“Il mio momento di euforia durò poco. Iniziai a domandarmi se e quando mio figlio sarebbe diventato come me e fu così che realizzai: il mio più grande desiderio, avere qualcosa in comune con Scorpius, si era rivelato essere la mia più grande paura. Presto sarebbe diventato calcolatore, spietato, egocentrico, egoista, insensibile, codardo e in completamente incapace di provare sentimenti di amore o affetto. Ma gli anni passarono e, fortunatamente, Scorpius non sembrava risentire dell'effetto Serpeverde: diventò il migliore amico di un Potter, si relazionava abbastanza bene con gli altri compagni, mostrava interesse per il Quiddich, per la lettura, per le persone. Mio figlio si stava salvando e ne ho avuto la prova definitiva nel momento in cui l'ho visto svenuto in quella casa. In perfetto stile Potter, si era lanciato al salvataggio di Kòre ed Ebony senza pensare a sé stesso o al fatto che fosse una cosa davvero molto idiota.”

“Tuo figlio non si è salvato da solo. Se è così di chi credi che sia il merito?”, chiese con ovvietà Hermione. Draco era solito colpevolizzarsi troppo per tutto. Scorpius era un ragazzo in gamba e in parte era merito di suo padre.

“Di Astoria e...”, disse tentennando un secondo, “tuo.”

Hermione boccheggiò un paio di volte prima di riuscire a dire qualcosa di vagamente sensato.

“M-mio?”

“Io sono stato un codardo, insensibile, manipolatore, traditore, quasi assassino, represso ecc...”, disse in tono sarcastico per poi tornare serio ed aggiungere, “ma tu mi hai cambiato. Hai fatto di me un marito e un padre degno di essere chiamato tale, mi hai reso umano. Tu mi hai fatto respirare di nuovo.”

Un soffio d'aria tiepida attraversò il corpo di Hermione che sembrava essersi raggelato dopo le parole di Draco. I loro occhi, nonostante non fossero particolarmente vicini, si scontrarono come ai vecchi tempi e si incatenarono indissolubilmente. La tensione tra i due era palpabile ma era così piacevole ed Hermione sapeva bene cos'era la cosa giusta da fare.

“Io-...”, disse alzandosi di scatto, “E' meglio che vada via.”

Draco si protrasse velocemente in avanti, bloccandole il braccio e facendola voltare. Hermione si scontrò contro il suo torace ma non azzardava alzare lo sguardo. Sentiva la mano calda di Draco sul braccio, l'altra le accarezzava il fianco dolcemente. Se ne sarebbe potuta andare. La presa non era così forte da non permetterle di muoversi, avrebbe potuto facilmente spingerlo via. Il fatto è che non voleva farlo.

“Un bravo marito non dovrebbe farlo...nessuno di noi due dovrebbe farlo.”, riuscì a sussurrare.

“Lo so...ma ho rischiato di perderti tre giorni fa. E non riesco a capacitarmene.”

La mano che reggeva il braccio di Hermione andò a posarsi sul suo viso, sollevandolo e facendo in modo che i due si guardassero negli occhi. Non c'erano più parole.

Il movimento fu praticamente all'unisono. Hermione e Draco si avventarono l'uno sulla bocca dell'altro, in cerca d'aria, la loro aria. Era un bacio che attendevano da più di vent'anni e anche se ormai non erano più ragazzi, la passione era ancora viva e scorreva nelle loro vene impetuosa. La presa di Draco si fece più solida, più esigente: sollevò il corpo di Hermione, spostandolo contro il tronco dell'albero. Caddero i primi indumenti e fu allora che si smaterializzarono.

La Torre di Astronomia sarebbe stata vuota e di nuovo solo per loro. Insieme come sarebbe dovuto essere, anche solo per una notte.

***

Ebony Rookwood non aveva mai provato un tale mal di testa e una tale nausea. Ironico, dato che non ricordava il suo ultimo pasto solido.

Sentiva dei mormorii intorno a sé, tante persone che parlavano fra loro. Poco a poco riuscì ad aprire gli occhi e ad emettere un suono gutturale per attirare l'attenzione.

“Ben svegliata Ebony.”

Quella voce la riconobbe subito. Era Madama Abbot, dolce e premurosa come sempre. La aiutò a sollevarsi dal letto, mettendola seduta. Non appena Ebony riuscì ad avere una visuale completa della stanza, si rese conto di trovarsi davanti ai suoi genitori, Harry Potter, Ginevra Potter, il Preside, Theodore Nott ed altri due Auror.

“Ehi mostro...”, la apostrofò dolcemente suo padre.

Ebony voleva urlare, picchiare qualcuno, piangere. Aveva dato preciso ordine di non voler assolutamente vedere i suoi genitori ma il suo corpo e la sua mente erano come intorpiditi.

“Mi avete dato un calmante?”, disse rivolgendosi al Preside.

“Sì, l'abbiamo sedata signorina Rookwood. Abbastanza per renderla calma ma non troppo da stordirla.”

“Vorrei avere le forze per spaccarle la faccia Madame Abbot...”, disse Ebony strabuzzando gli occhi subito dopo. Non voleva dare voce a quel pensiero. Era scortese e indelicato. I suoi genitori le avevano insegnato l'educazione e, seppur senza enormi successi, sapeva quando tacere.

“O porca...io non volevo dirlo! L'ho solo pensato ma io non-...”

Improvvisamente, tutto le fu chiaro: dopo aver platealmente offeso l'infermiera, nessuno dei presenti si era indignato o stupito per la sua linguaccia. La comprensione e la pierà aleggiava negli occhi di chiunque fosse in quella stanza.

“Veritaserum...”, sussurrò Ebony per poi scoppiare in una risata fragorosa. “Il degno finale per una storia come questa. Vengo trattata alla stregua dei Mangiamorte.”

“Non crediamo che tu sia colpevole di qualcosa Ebony. Lo facciamo per aiutarti a superare qualsiasi cosa ti sia successa laggiù.”, disse Ginny.

“Sono stra fatta signora Potter. In questo momento vorrei piangere e urlare finché ho polmoni per farlo ma tutta la roba che mi avete dato mi ha resa una specie di bambola ritardata. La prego di risparmiarmi la sua dannatissima compassione.”

“Ebony!”, la redarguì sua madre avvicinandosi al suo letto.

“Stammi lontano! Potrò anche essere obbligata a dire la verità ma non voglio essere toccata!”

Nonostante il suo volto fosse inespressivo il suo tono era di voce era riuscito ad aumentare abbastanza da rendere l'idea: era arrabbiata.

La porta dell'infermeria si aprì, facendo voltare tutti. Ron Weasley si avvicinò velocemente al suo capezzale.

“L'hai trovato?”, chiese Harry Potter.

“No...dovremo farlo senza di lui. Ci sono stati problemi?”, chiese osservando la ragazza bionda.

“Per adesso no e non credo ce ne saranno. Direi di cominciare.”, rispose Harry, cercando il consenso di Theo che annuì.

“Chi staremmo aspettando?”, chiese Ebony sedendosi in posizione più eretta. Se doveva subire un interrogatorio, lo avrebbe fatto a testa alta.

“Draco Malfoy. E' stato lui a preparare il Veritaserum visto che mischiato alla dose di calmanti rischiava di non sortire il risultato auspicato.”, rispose Aberforth.

“Scampato pericolo allora! Sono un fottutissimo libro aperto!”

Stavolta né Matt né Janet intervennero, capendo che ormai le parolacce sarebbero state ordinaria amministrazione.

“Signorina Rookwood,” prese parola un Auror, “sono il tenente Longbridge, dirigerò il suo interrogatorio. Anche se abbiamo appurato che il siero ha fatto effetto, devo comunque porle qualche domanda.”

Ebony annuì sempre sorridendo beffarda.

“Nome. Completo, per favore.”

“Quale vuole?”

“Come prego?”

“Quale vuole sapere...quello da Babbana o quello da figlia di un assassino?”

Il tenente guardò per una frazione di secondo il suo Capo. Non gli piaceva affatto condurre quell'interrogatorio.

“Quello che preferisce.”, disse infine. Non era quella la prassi. Avrebbe dovuto chiederli entrambi ma infierire su una ragazzina era disdicevole.

“Ebony Autumn.”

“Chi sono i suoi genitori?”. Altra domanda scomoda ma stavolta Longbridge decise di togliersi da inutili impicci. “Quelli di sangue, se non le dispiace.”

“Augustus e Willow Rookwood.”

“Elenchi i nomi di tre persone importanti nella sua vita.”

“Matt Autumn. Janet Autumn e Kòre Dolohov.”

“Perché loro?”

“Matt e Janet sono i miei genitori e Kòre è come una sorella. Sono la mia famiglia.”

Stando attenti si poteva intendere il tono di voce della ragazza leggermente incrinato nonostante i calmanti.

“Ammette di essere membro di un gruppo chiamato La Resistenza?”

“Lo chieda a lui!”, rispose indicando Theo.

“Ebony rispondi alle domande, per favore.”, la riprese comprensivo il suo Capo.

Sbuffando, la ragazza rispose di sì.

“Ammette anche di essersi infiltrata tra i Punitori per ordine del qui presente Theodore Nott?”

“Lo avrei fatto anche se non me l'avesse ordinato. Era la Profezia.”

“E' lei? Lei è colei che aiuterà la ragazza dall'iride viola?”

“Pensavo che ormai fosse abbastanza logico.”

“Perché Legacy Balck non l'ha uccisa dopo averla catturata?”

Ebony deglutì rumorosamente.

“Gli servivo.”

“Per cosa? Per riportare indietro Kòre durante qualche incantesimo pericoloso?”

“Ormai non c'era più niente da riportare indietro!”, rispose abbozzando un sorriso malinconico.

“Allora perché?”

“E' davvero necessario che rimangano i miei genitori?”, chiese ferma Ebony.

“Sei minorenne Ebony. Loro devono restare altrimenti l'interrogatorio non è valido.”, rispose Harry Potter.

“Si pentirà di essere stato così fiscale Harry Potter.”

“Signorina Rookwood...”, la richiamò Longbridge. Quel “signorina Rookwood” le dava davvero sui servi.

Ebony era completamente in balia di tutto ciò che le avevano rifilato ma nella sua mente sentiva una voce urlarle di non dire niente, di impedire che la verità uscisse fuori in quella situazione con sua madre e suo padre a guardarla come se fosse un cucciolo ferito. Nulla sarebbe stato più come prima.

“Io sono una bella ragazza. E badate bene, ho detto bella. Non carina. Bella. Sono bella perché non dimostro sedici anni, se voi uomini non mi conosceste e foste sotto l'effetto del Veritaserum sono certa che qualche pensiero non proprio onorevole vi sfuggirebbe!”

“Ebony!”, la redarguì nuovamente Theo.

“Sto rispondendo!”, scattò la ragazza. “Sono bella perché ho un bel faccino, i capelli biondi, gli occhi grandi e un bel corpo. E' la verità, ovvio che lo sia. Oliver Baston aveva ragione quando a Natale disse che io ero troppo bella.

Un terrificante scenario si costruì nella mente del tenente Longbridge. Ebony sembrò accorgersi che in lui qualcosa era cambiato dato che si rivolse direttamente a lui:

“Vuole sapere come sono riuscita a restare viva? Quale trucco, quale strategia io abbia elaborato? Molto bene Tenente Longbridge, ecco a lei e a tutti voi la complessa e contorta verità: a Legacy Black piacciono le cose troppo belle.”

Janet Autumn cadde a terra in ginocchio. Il marito borbottava diniego e ogni tipo di insulto verso Legacy. Ginevra pianse. Harry e Ron erano allibiti mentre Hannah si coprì la bocca con la mano, per bloccare i singhiozzi. Theodore Nott faticava a reggersi in piedi, tanto da dover ricorrere alla sedia che aveva accanto.

“E'-...”, provò a dire il Tenente. “E' stata vittima di abusi da parte di Legacy Balck?”

“Ogni. Singola. Notte.”

Dopo quelle parole, fu il caos. Matt Autumn si catapultò su Harry Potter sferrandogli un pugno e accusandolo di non aver protetto la sua bambina. Ron, Theo e i due Auror intervennero per sedare la rissa mentre Ginny raggiunse Janet che era ormai completamente a terra in preda ad una crisi di pianto. Aberforth Silente, sino ad allora una spettatore silenzioso, sfoderò la bacchetta e, puntandola contro Ebony, pronunciò un incantesimo per farla addormentare. L'ultimo ricordo della ragazza fu il buio e il silenzio. Di nuovo.

***


Albus e James Potter non potevano immaginare quello che stava succedendo nell'Infermeria. Camminavano per i corridoi, precisamente quello che portava al dormitorio Serpeverde.

“Come stai?, chiese Al.

“Dovrei essere io a chiedertelo. Sono il fratello maggiore...”, rispose malinconico James.

“Vero...ma io non ho la ragazza che amo segregata in Infermeria.”

James rise. Nessuno aveva mai detto una parola sul rapporto che era nato tra lui ed Ebony. Fino ad allora, lui stesso non si era mia posto la domanda, quale forza fosse quella che lo spingeva verso di lei. Ma Albus Potter era Albus Potter.

“Da quanto tempo lo sai?”

“Da prima che lo scoprissi tu!”, rispose ridendo. “Ma se proprio devo dire una data...direi il primo settembre di cinque anni fa.”

“Lei non vuole vedermi. Questo non fa ben sperare.”, disse James infilandosi le mani nelle tasche.

“James Potter pessimista e arrendevole? Non sono sopravvissuto a questo fantastico quarto anno per vederti in questo stato!”

“Come va con la storia del controllo mentale?”, chiese James cambiando discorso.

“Scomparso. E' come se mi sentissi più leggero. La pozione che avevo in corpo ormai è stata quasi totalmente espulsa dal mio corpo e, per quanto l'incantesimo fosse potente, è stata la bacchetta di Ebony a scagliarlo e solo la sua bacchetta potrebbe re-innescarlo. Conto sul fatto che gli sto simpatico.”, disse con il suo solito sarcasmo leggero.

Arrivarono dinnanzi alla porta del dormitorio.

“Non serve che mi accompagni fino alla porta James...”, disse schernendolo Albus.

“Lo so. Serve a me.”, rispose candidamente James. “Se non sapessi che le dimostrazione di affetto ti disgustano, ti abbraccerei!”

“Ti prego non lo fare...”, gli rispose scettico Albus. I due fratelli si rivolsero un sorriso complice. Erano diversi, sotto ogni punto di vista ma poco importava.

Albus entrò nel dormitorio, convinto che ormai tutti gli studenti fossero andati a letto. Si sbagliava: Jocelyn Green era seduta su una poltrona, reggendo un libro sulle gambe. Il suo volto era illuminato da qualche candela che riusciva a celare quel poco che era rimasto dei suoi lividi in seguito alla sua fuga da Legacy. Il suo cipiglio concentrato aveva attirato Albus sin dal primo giorno in cui l'aveva vista. Non si distraeva mai, non dava peso a ciò che le succedeva intorno, cascasse il mondo lei avrebbe continuato nelle sue attività.

“Ho la tua bacchetta Potter.”

La sua voce lo fece sussultare. A quanto sembrava, il mondo circostante in qualche modo la toccava.

“Emh...grazie. Te l'ha data Alexander?”

Jocelyn annuì porgendogliela senza staccare gli occhi dal suo libro.

“Tu stai bene?”, chiese Albus.

La domanda sembrò attirare l'attenzione di Jocelyn che scostò gli occhi dal suo libro.

“Perché me lo stai chiedendo?”, chiese scettica.

“Perché credo che nessuno te l'abbia mai chiesto.”

Jocelyn rimase interdetta e stupita. Chiuse il libro e si alzò di scatto.

“Nessuno ha chiesto perché non ce n'è bisogno.”

“Avere qualcuno che si preoccupa per te non è un male Jo-Jo. Le emozioni non sono bestie pericolose.”

“E perché cavolo tu dovresti preoccuparti per me Potter!?”, chiese sarcastica.

“Perché siamo amici.”, rispose semplicemente.

Jocelyn rimase nuovamente senza parole. Quando diamine è successo? Da quando lei ha un amico? E soprattutto... perché?

Albus le sorrise vittorioso e si diresse verso la sezione maschile.

“Potter!”, lo richiamò la ragazza, “da quando siamo amici?”

“Non so...un bel po' credo.”

“Un bel po?! Io non sono un'esperta in fatto di amicizia ma credo che essa richieda un accordo tra le parti. Io non ho espresso il mio consenso.”

“Se aspettasi il tuo consenso non saremmo mai amici. Ho deciso che il tuo parere non mi interessa.”, rispose gioviale.

Albus scomparve tra le scale del suo dormitorio lasciano inebetita una povera Jocelyn Green.

Stava per trasgredire a tutte le regole della scuola per raggiungere Potter ma improvvisamente il professor Riddik fece il suo ingresso nella stanza.

“Green! A rapporto nell'ufficio del Preside.”

“Che ho fatto?”, chiese sconcertata.

“Kòre è qui.”

Jocelyn corse fuori insieme al suo curatore verso l'ufficio.

Appena arrivarono al suo interno, c'era una gran folla: professori, Derek, Temperance, Teddy Lupin e altri Auror; membri della resistenza tra i quali suo fratello Noah, Theo ed altri; Susan Strongstone stava accanto ad Harry Potter e Ron Weasley, con la faccia stranamente tumefatta; subito dopo Jo-Jo e Riddik, seguirono a ruota Draco Malfoy ed Hermione Granger che andò subito a sincerarsi delle condizioni del marito.

Al centro della stanza, sorretta da Ginny Potter, c'era Kòre, malmessa e debole ma viva. Il posto della coniuge di Harry Potter venne preso da lei e da suo fratello che insieme la fecero sedere. Kòre rivolse un sorriso alla piccola e coraggiosa Jo-Jo.

“Signore e Signori!”, tuonò Aberforth. “Scusate l'ora tarda ma quando una mia studentessa scampa alla morte il tempo diventa relativo. Signorina Dolohov, bando alla ciance! Ci esponga quello che vuole...”

Kòre prese un profondo respiro.

“Ringrazio tutti i presenti per ciò che hanno fatto in questi mesi. Io non ero me stessa e mi dispiace. Mi dispiace per tutto.”

Dicendo quell'ultima frase si rivolse automaticamente verso Teddy Lupin che non evitò il suo sguardo, bensì le sorrise.

“Credo di dovervi molte spiegazioni per cui vedrò di essere breve. Il rituale che sono stata costretta a portare a termine viene chiamato Risveglio. In poche parole...ho aperto le porte del Regno dei Morti ed ora le anime lì rinchiuse possono entrare e uscire quasi in totale libertà.”

“Porco Merlino!”, esclamò Derek beccandosi una gomitata da Temperance.

“Sì...porco Merlino. Sembra spaventoso e lo è. Il lato positivo è che io sono solo una Guardiana inesperta e, molto probabilmente, mi verrà presto impedito dal Gran Consiglio di esercitare ancora i miei poteri. Il mio incantesimo è incompiuto: le porte, di fatto, non sono spalancate. E' come se fossero socchiuse. Solo gli spiriti dei primi otto o nove Cerchi potranno uscire. Lo spirito di Voldemort è segregato nelle Profondità del Regno e non c'è rischio che esca. Lei, signor Potter, è stato vittima dell'inganno e dell'incantesimo della sua squadra di traditori. Erano loro che le facevano sentire il bruciore della cicatrice.", disse dispiaciuta.”

“Quindi il fatto che che tu abbia fallito è un vantaggio?”, chiese Hermione.

“Mai stata così felice per un insuccesso accademico!”, rispose sorridendo.

“Era questo che voleva Legacy Black?”, chiese il Preside.

“Lui voleva un esercito. Un esercito immortale.”, rispose Theodore. “L'unico modo per ottenerlo era possedere uomini già morti.”

“Le anime possono nuocere ai vivi?”, chiese Temperance.

“Sì. Sono come noi, si feriscono come noi ma non muoiono. Cioè non muoiono di nuovo.”

“Questo è davvero fantastico...”, disse ironicamente Ronald.

“C'è un incantesimo che posso insegnare a tutti voi. Li rispedirà nel Regno dei Morti per sempre. Il mio incantesimo permette alle anime di uscire, è vero ma solo un volta. Una volta rientrati perdono ogni possibilità di uscire di nuovo. Inoltre, non è detto che le anime giurino fedeltà a Legacy. Sono criminali, dopotutto. Non sono propense a prendere ordini.”

“E come contava Black di convincere le anime a seguirlo?”, chiese un Auror.

“Contava su di me. Se avessi portato a termine correttamente l'incantesimo, l'oscurità mi avrebbe avvolta per sempre e avrei avuto abbastanza potere da controllare le anime. Io le avrei liberate e loro mi avrebbero seguita, volenti o nolenti.”

“Ti informo che il Gran Consiglio ti ha convocata nella sua prossima assemblea.”, le disse Theo.

“Lo immaginavo. Loro faranno in modo di chiudere le porte ma ci vorrà tempo.”

“Quanto?”, chiese Noah.

“Un bel po'...”

“E noi cosa dovremmo fare nel frattempo?”, chiese Teddy Lupin.

Prima che Kòre potesse rispondere il Preside prese parola.

“Combattere. Siamo abbastanza bravi nel farlo. E anche abbastanza scemi da metterci sempre nei pasticci.”

“Legacy ha perso i suoi punti di riferimento. Presto scoprirà che le anime del Regno dei Morti non é gente accomodante.”, disse sicura Kòre.

Dei mormorii invasero ala stanza e gli adulti si misero a parlare fra loro. Kòre lasciò andare Noah che prese parte alla discussione. Lei, afferrò il braccio di Jocelyn portandola al suo livello.

“Devi farmi un favore...”, sussurrò.

“Quello che vuoi.”

“E' una cosa brutta Jo. Ti metterà in una posizione spiacevole.”, la avvertì Kòre.

“E quando mai la mia è stata una posizione piacevole?! Coraggio parla!”

“Dovrai mentire...o meglio, dire una mezza verità...oh non sono nemmeno io cosa sia! L'anno prossimo io non frequenterò più la scuola.”

“COSA?!?MA SEI SCEMA!?”

Kòre le intimò di non alzare la voce. Jocelyn le chiese se il Preside e Susan ne fossero a conoscenza.

“Certo che sì. Loro approvano.”

“Ma...i G.U.F.O.?”

“Non credo che la mia preparazione sia sufficiente per sostenerli. A meno che l'uccidere tre persone non faccia parte del programma!”

“Cosa farai?”

“Andrà a stare da Noah e collaborerò con la Resistenza e gli Auror. Non posso permettermi lo studio quando il mondo è invaso da criminali che io stessa ho liberato.”

Jocelyn era sconcertata ma sapeva che non avrebbe potuto far cambiare idea all'amica.

“E io che c'entro in tutto questo?”

“Dovrai assicurarti che tutti quanti sappiano che io e Noah stiamo insieme e che quando tutto questo sarà finito...ci sposeremo.”

“I morti ti hanno fuso il cervello?! Mio fratello? Ma perché?”

“Perché è la verità. Io e Noah stiamo insieme, lo sai.”

“Seh...e so anche che tu ami Fred Weasley. E non fare quella faccia stupita! Mica sono scema!”, disse Jocelyn notando lo stupore negli occhi di Kòre.

“Ed è soprattutto a lui che dovrà essere ben chiaro.”, rispose malinconica la Corvonero.

“Fammi capire...tu sei innamorata di Fred ma vuoi che lui creda che invece tu lo sia di Noah.”

“Esatto!”

“La domanda sorge abbastanza spontanea... Perché?!”

“Perché succederanno cose brutte Jo! La mia vita sarà pericolosa e la sua famiglia dovrà già sopportare un altro peso! Non c'è davvero bisogno che Fred si accompagni con una che metterà a repentaglio la sua vita!”

“Ma di che peso stai parlando?”

Prima che potesse rispondere, Harry Potter la richiamò, esortandola a continuare nel caso ci fosse altro da dire.

“Veramente...sì.”, rispose seria.

“L' ho completata.”, disse rivolgendosi a Theo sicura che avrebbe capito. Infatti, l'uomo di accese immediatamente di una nuova luce.

“La Profezia!”, riuscì a dire con voce flebile.

Tutti i presenti si unirono al fremito di ansia e gioia nel sapere che finalmente avevano tutta quanta la Profezia. Tuttavia, gli occhi di Kòre non erano affatto gioiosi.

“Kòre...”, chiese Ginevra Potter, “c'è qualcosa che non va?”

La ragazza pensò che fosse ironico che proprio Ginny Potter le avesse rivolto quella domanda.

“La Profezia è completa ma non dice come andrà a finire questa guerra.”

“La prego di illustrarcela, signorina Dolohov.”, disse il Preside.

Kòre prese l'ennesimo, profondo respiro:

Verrà il giorno, dieci soli e nove lune dopo l'equinozio di primavera, in cui le acque quiete della pace si agiteranno con l'impercettibile primo respiro di una giovane Guardiana dall'iride viola, a cui spetterà la scelta che da millenni grava nel profondo di ogni uomo. Ella è pervasa dalla magia nera, sangue e anima, lei e solo lei guiderà il Re.Non sarà sola nel lungo cammino, colei che ripercorrerà la storia del Prescelto crescendo tra i non maghi, diverrà sorella non di sangue ma di spirito ed insieme serviranno il nuovo Re. A lei vi si aggiungeranno i giovani amanti che il destino infausto ha separato sin dalla nascita.

Il vero amore non conosce guerre né confini, la sua fiamma non trema, non si affievolisce. Il loro sangue, blu e rosso, si tingerà come l'iride viola.“Della loro sorte il fato solo è a conoscenza, il loro amore non potrà essere consumato in tempi di pace. Essi riusciranno in ciò in cui i loro predecessori hanno fallito, avranno il coraggio di combattere.

Male e bene, da sempre divisi, si ricongiungeranno. Nessuno è morto. Nessuno è vivo. La danza delle anime avrà inizio e balleranno sulla terra, in aria, in acqua e nel fuoco. Tutto sarà uguale. Tutto sarò diverso. Solo uno stralcio del passato è destinato a ripetersi. Il primogenito di colui che fu il Prescelto, così è scritto, porterà su di sé la maledizione del padre perché nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive. Un solo Re. Un solo sangue.

Le generazioni che verranno, subiranno lo stesso destino che un tempo toccò a coloro i quali combatterono colui che rispondeva al nome di Tom O. Riddle. Sarà l'alba di un nuovo inizio.”

Silenzio. Era incredibile di come quasi venti persone riuscissero a non emettere nemmeno un suono.

James. Il futuro del mondo era nelle mani di James Potter.

Ginny svenne. Cadde a terra, come un peso morto. Kòre lascià la stanza tra la confusione e lo sgomento, accompagnata fuori da Noah Green.

“Dovresti riposare...”, le disse Noah.

“Bene. Portami in Infermeria. Devo vedere Ebony.”

“Non credi sia meglio che a dirglielo sia qualcun' altro?”

“James Potter è stato una delle poche ragioni, se non la sola, grazie alla quale Ebony non si sia arresa in questi mesi. Spetta a me dirle che ora quella ragione potrebbe morire.”

Noah non ribatté. Prese saldamente Kòre per le spalle iniziò a camminare lentamente. La notte era ormai calata su quello che per molti era stato l'ultimo giovedì dell'anno scolastico. Quello che in molti ignoravano, era che non si trattava solo di un ultimo giovedì. Era il primo giorno di quella che sarebbe stata una lunga, lunghissima serie di giorni.

Nel giro di poche ore, sarebbe stata l'alba di un nuovo inizio.


 

FINE

  
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