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Autore: Ausel    21/05/2014    2 recensioni
«Ne abbiamo già parlato. Davvero, basta. Non m'interessa essere ferito se a farlo sei tu, okay? Siamo solo effetti collaterali nelle mani di un Dio che ci usa come marionette. E prima o poi questi fili che fanno sì che lui scelga il nostro destino si spezzeranno.» Augustus sospirò. «Hazel Grace, quello che sto cercando di dirti è che, come mi hai gentilmente fatto notare la prima volta che ti vidi, non vivremo in eterno. A me non interessa chi sarà il primo ad andarsene, tanto ci sarà sempre qualcuno che soffrirà. Hazel, io non voglio che tu soffra. Nè adesso che sei in quel letto nè quando a spezzarsi saranno i miei fili.»
[Questa fanfiction si è classificata settima al contest "I Love Japan"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hazel Grace Lancaster
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Sala di Rianimazione consisteva in una grande stanza con dieci letti, cinque in una parete e cinque in quella opposta. La porta si trovava sulla sinistra, al centro di una lunga vetrata trasparente, e le finestre sulla destra. Le tende di ciascuna erano tirate e solo un raggio di sole sembrava domandare, timidamente, il permesso per mostrarsi.


Quando Hazel aprì gli occhi, le ci volle qualche secondo prima di riprendere conoscenza. La Sala era vuota - o meglio, occupata solo da varie persone che dormivano - e gli unici rumori provenivavo dalle macchine a cui tutti, nessuno escluso, erano attaccati.

Sentì un leggero pizzicorio al naso e si rese conto che Philip non l'aveva abbandonata. Forse non era proprio Philip, considerazione più che probabile, ma la specie era sempre quella.

Cercò di sedersi, spostando il proprio peso sulle mani appoggiate al materasso. «Uhm... Infermiera?» Dopo circa quindici secondi la porta non si aprì, la stanza rimane semi-silenziosa e il raggio era sempre al suo posto.

La ragazza appoggiò di nuovo la schiena al letto e chiuse gli occhi.


Non sapeva quanto tempo fosse passato. Pensò che ore e minuti erano solo piccole macchie insignificanti che componevano il quadro intitollato "Vita", che il suo era stato dipinto da un pittore che aveva sbagliato mestiere, che lei non era altro che un effetto collaterale e che il critico di nome "Oblio" avrebbr fatto meglio a usare la tela come tovaglia.

Stava proprio immaginando questa scena, quanto sentì qualcosa di caldo farle pressione sul braccio sinistro.

 «Hey.»

 «Mamma?»

La persona che l'aveva toccata rise e Hazel non poté fare a meno di sentire un tuffo al cuore.  «Gus.»

 «Già.» Il ragazzo prese una sigaretta, rigorosamente spenta, e simulò un tiro immaginario. 

 «Dovresti spiegare alle infermiere, sempre che ce ne siano, la tua teoria sulle sigarette metaforiche. »

 «Hai paura che mi buttino fuori?»

 «Credo di sì.» Altro tiro.

 «Perché sono qui?» Augustus volse il suo sguardo nuovamente su Hazel.  «Ho di nuovo i polmoni allagati, vero?»

 «Credo di sì.»

La Natalie Portman con i polmoni allagati rise. Cosa c'era di ridere nell'avere dei polmoni che come polmoni facevano schifo e nell'essere in una stanza d'ospedale in compagnia di un ragazzo che probabilmente sarebbe stato l'ennesima vittima di quella granata, denominata Hazel Grace Lancaster, non lo sapeva.

 «Gus, io...»

 «Ne abbiamo già parlato. Davvero, basta. Non m'interessa essere ferito se a farlo sei tu, okay? Siamo solo effetti collaterali nelle mani di un Dio che ci usa come marionette. E prima o poi questi fili che fanno sì che lui scelga il nostro destino si spezzeranno.» Augustus sospirò.  «Hazel Grace, quello che sto cercando di dirti è che, come mi hai gentilmente fatto notare la prima volta che ti vidi, non vivremo in eterno. A me non interessa chi sarà il primo ad andarsene, tanto ci sarà sempre qualcuno che soffrirà. Hazel, io non voglio che tu soffra. Nè adesso che sei in quel letto nè quando a spezzarsi saranno i miei fili.» 

Hazel decise che respirare, soprattuto se ti ritrovi attaccata a una cannula, poteva benissimo essere un optional. E mentre Gus parlava, mentre le diceva senza troppi giri di parole che prima o poi sarebbero morti entrambi e che se per lei vivere stava diventando troppo faticoso non avrebbe dovuto sentirsi in colpa, il suo petto si era alzato pochissime volte. Prese la mano del ragazzo, quella libera dalla sigaretta, e la strinse sperando che quel contatto durasse all'infinito. Poi le palpebre divennero sempre più pesanti, per la seconda volta da quando si era ritrovata in quella stanza, e il respiro si fece sempre più lieve.

Quando lei aprì gli occhi, lui sentì la propria voce dire piano:  «Io ti amerò per sempre. Okay?» 

«Okay.»


   
 
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