Blood & Scales
Il mese della
Gelata era iniziato da qualche giorno, l'aria era fredda e pungente
quando Veezara e la sua famiglia varcarono il confine tra Cyrodill e
Skyrim. Vennero accolti da una fitta nevicata che rese il percorso da
seguire difficoltoso, tuttavia il carretto sul quale viaggiavano da
mesi, resisteva imperturbabile sulla lunga tratta che divideva la
loro città natale dalla meta finale del viaggio. Erano
partiti dalla
città di Gideon a ovest di Black Marsh in cerca di fortuna,
per
iniziare una nuova vita lontani dalla povertà. Veezara
avrebbe
preferito partire molto prima, in modo tale da arrivare a Skyrim in
estate ma sua moglie Blizza aveva insistito per aspettare che il
piccolo Khal-zim avesse compiuto almeno un anno di vita. Con loro
c'era anche Jamra, la primogenita di cinque anni che saltò
letteralmente in piedi appena il primo fiocco di neve le si
posò
sulla punta del muso rettiliforme.
- È fredda! - urlò
eccitata.
- Jamra siediti, rischi di cadere.
La piccola
argoniana obbedì al padre senza protestare, sedendosi
accanto a lui
nella parte anteriore del mezzo sul quale stavano viaggiando. Era
trainato da due grossi muli acquistati con parte degli ultimi
risparmi per poter affrontare il viaggio con maggior comfort.
Blizza
si coprì con un ampio pastrano di juta, attenta ad avvolgere
anche
il piccolo che teneva in braccio. Non aveva mai sentito una simile
temperatura e, come ogni madre, si preoccupò per la sorte
dei suoi
figli.
- Jamra copriti, non prendere freddo - disse lei.
- Ma
io sto bene, ho caldo!
- Obbedisci alla mamma, tesoro - intervenne
il padre.
- Okey - la piccola si rassegnò, tirandosi sul capo la
mantella scura.
Proseguirono ancora per qualche ora prima di
fermarsi per la notte in una locanda isolata posizionata a ridosso
della strada principale. Lasciarono il carro vicino alla stalla e
spesero gli ultimi Septim per far riposare i muli e affittare una
stanza per la notte. Il posto era carino e accogliente, molto diverso
da quello a cui erano abituati gli argoniani. Un grosso fuoco al
centro della sala emanava un piacevole tepore e un elfo dei boschi
era impegnato ad intrattenere la clientela con una melodia eseguita
con l'arpa.
Era la prima volta che la piccola Jamra e sua madre
incontrarono abitanti di Tamriel provenienti da diverse zone del
paese. Nord per lo più ma anche elfi, bretoni, un paio di
ochi e
imperiali. Veezara si tranquillizzò quando vide che nessuno
era
particolarmente interessato a loro, preferiva passare inosservato per
l'incolumità di sua moglie e dei suoi figli. Appena
terminato il
pagamento anticipato, l'argoniano condusse il resto della famiglia
nella stanza assegnata. Un piccolo tavolino con due candele accese
era posizionato tra le testate dei due letti singoli e in fondo alla
stanza, un baule vuoto occupava quasi tutto lo spazio vivibile.
-
Non è una reggia ma almeno stanotte dormiremo al caldo -
disse
Veezara mentre sua moglie gli diede un bacio sulla guancia squamosa e
occupò uno dei due letti, appoggiando delicatamente Khal-zim
al
centro del giaciglio.
Jamra sembrava entusiasta di quell'avventura
con i suoi genitori e si mise a saltare sul letto rimasto libero,
finchè il padre non la prese in braccio caricandosela in
spalla e
facendole il solletico. La bambina si mise a ridere agitandosi come
una piccola lucertola finchè Veezara la mise giù
per andare a
prendere qualcosa da mangiare.
Quella fu l'ultima volta che
scherzarono tutti insieme.
Durante la notte, il sibilo del vento
si intensificò facendo vibrare il legno di cui era composta
la
locanda. Rumori vaghi di assestamento rendevano il tutto più
spaventoso ma nessuno sembrò essere disturbato dalla cosa.
Tutti i
clienti dormivano tranquilli nelle loro stanze. Il bardo aveva smesso
di suonare e si era congedato da tempo. Il fuoco in mezzo alla sala
era ancora acceso anche se tutti i lampadari erano stati spenti e il
proprietario si era appisolato su una sedia dietro al
bancone.
Nessuno li sentì arrivare.
Un numeroso gruppo di vampiri, composto da undici membri strisciò nella locanda dall'entrata principale. Silenziosi e affamati si distribuirono nelle camere, soddisfando la loro sete di sangue. Non facevano distinzione di razza, né di età e quando un vampiro attaccava, lo faceva in modo brutale ma con metodo, senza farsi sentire e senza far emettere nemmeno un gemito alla vittima.
Quella notte di
Gelata alla locanda del “Fiore sfiorito” quasi
tutti i presenti
furono uccisi, tranne due. Veezara dormiva tranquillo con il suo
Khal-zim quando una bellissima vampira dai capelli argentei tolse la
vita a sua moglie Blizza e alla piccola Jamra. Non aveva udito nessun
lamento, nessun grido e il suo sonno fu interrotto solo dal
figlioletto che scoppiò in un pianto disperato. Si sa che i
bambini
più son piccoli più odono e vedono cose che i
grandi non possono e
quella notte fu proprio Khal-zim a dare l'allarme.
Quando Veezara
vide la scena che gli si parava davanti ci mise qualche momento per
comprendere l'accaduto. La vampira cercò di attaccarlo ma
lui scese
dal letto roteando la coda e colpendola abbastanza forte da farla
barcollare all'indietro e dare così modo all'argoniano di
prendere
il figlio e fuggire dalla locanda.
Corse nella neve il più
velocemente possibile, usando tutte le sue forze per allontanarsi e
mettere in salvo il piccolo. Se fosse stato un umano avrebbe pianto,
pianto a più non posso ma anche se non poteva piangere come
gli
uomini, il suo cuore si era spezzato in ugual modo. La sua dolce
moglie e la sua bambina erano state uccise, usate come cibo per
sfamare degli esseri immondi, dei mostri. La sofferenza era immane e
mai avrebbe pensato di provare un dolore tanto forte che nessuna
ferita della carne poteva eguagliare.
Si allontanò dalla strada
proseguendo nel bosco. Faticava a muoversi agilmente con la neve fino
alle ginocchia ma non cedeva, per il bene del piccolo Khal-zim.
L'aveva infilato sotto la maglia per tenerlo a contatto col proprio
corpo e scaldarlo il più possibile ma senza nessun mantello
ben
presto le rigide temperature di quella zona l'avrebbero messo in
seria difficoltà. Perse la cognizione del tempo e
dell'orientamento,
si fermò per qualche minuto per capire se l'avevano
inseguito o
meno. La piccola nuvola di alito caldo si andava a mescolare con i
fiocchi di neve che continuavano a cadere incessanti, il silenzio era
assordante ma sapeva che non poteva cedere al panico. Smise di
correre, la stanchezza stava sopraggiungendo ma non si
fermò.
Apparentemente i vampiri non lo stavano inseguendo ed era
già
un'ottima notizia, inoltre, la notte non era così buia come
nel
Black Marsh e nel cielo aleggiava una strana luce fluorescente con
diverse sfumature di colore. Non sapeva dare una spiegazione a
ciò
che osservava ma ringraziava gli dei per riuscire a vedere dove stava
andando.
Si fermò solo quando trovò un grosso albero
solitario,
in mezzo ad una radura. Le spesse radici andavano a formare un antro
naturale dove l'argoniano poteva ripararsi e riposare per il resto
della notte. Si accomodò nell'insenatura e
controllò il suo piccolo
per assicurarsi che stesse bene. Khal-zim si guardava attorno
incuriosito, emetteva lievi lamenti probabilmente per la fame o il
freddo ma era abbastanza tranquillo. Veezara rimase sveglio il
più
possibile ma ben presto, il freddo e la stanchezza presero il
sopravvento e si addormentò sfinito.
Un urlo rauco e
agghiacciante ruppe il silenzio di quella fredda mattina. Aveva
smesso di nevicare e il vento si era placato tuttavia la temperatura
rimaneva molto bassa e il quantitativo di neve che si era posata
durante la notte era aumentato. L'argoniano si era destato, aveva le
estremità intorpidite e anche se, mentre dormiva, non aveva
sentito
la temperatura pungente abbassarsi ulteriormente, in quei brevi
istanti gli sembrò di sentire dolore fisico per il freddo
provato.
Il disagio però si trasformò presto in terrore,
il piccolo non
apriva gli occhi, non si muoveva ed era più freddo di una
pietra. La
sua piccola codina era irrigidita e il colorito verde si era
trasformato in un grigio spaventoso. Veezara si fece prendere dal
panico e scosse il corpicino inerme sperando di far rinvenire il
figlioletto. Fu tutto inutile.
Si alzò barcollando a vuoto,
tenendo stretto a sé Khal-zim, la sua morte spense per
sempre quel
briciolo di affabilità che cingeva il suo cuore. Tutta la
bontà,
l'altruismo e la gentilezza che i suoi figli avevano costruito nel
suo cuore, erano state spazzate via nel momento in cui anche il suo
secondogenito morì e quel giorno il Veezara che tutti
conoscevano
morì con lui, rinascendo come un oscuro essere, un
argoninano senza
pietà, senza scopo nella vita. Sopravvivere marciando sulle
teste
altrui, era questo che aleggiava nella sua mente.
Si risvegliò
indolenzito e affamato, aveva la gola secca e una forte emicrania. Il
forte odore di muffa era particolarmente fastidioso e
l'umidità
penetrava fin nelle ossa. A giudicare dal rumore di acqua corrente
che echeggiava per tutto l'ambiente, doveva trovarsi in un luogo
chiuso. Non nevicava più ma il freddo era ancora pungente.
Si
sollevò con grande fatica fino a mettersi seduto, il
giaciglio era
morbido e abbastanza caldo da non fargli venire i tremori tuttavia,
continuava a non capire come fosse arrivato lì.
La grotta non era
molto grande e dava un leggero senso di clautrofobia, uno spiraglio
lungo una parete permetteva di intravedere uno stralcio di cielo
grigio e dei nuvoloni minacciosi provenienti da est. Vide altri due
giacigli poco lontani e una grossa sacca abbandonata in un angolo.
Era solo, del suo Khal-zim nessuna traccia. Si fece prendere dallo
sconforto ricordando i fatti della notte precedente, arrivarono come
un masso, crudeli e terrificanti; suo figlio era morto, come anche
sua moglie e la sua primogenita, l'intera famiglia sterminata da quei
mostri di cui aveva solo letto nei libri e che non erano mai stati
visti nel Marsh.
I suoi pensieri furono interrotti da alcuni
rumori e lui si sforzò di alzarsi per essere pronto a
qualsiasi
evenienza. Nessun oggetto nei paraggi da poter utilizzare come arma
per difendersi e il rumore arrivava proprio dall'entrata della
grotta. L'attesa fu snervante anche se durò per poco. Vide
avvicinarsi due donne, o meglio, due esseri femminei. La più
alta
era palesemente un Dunmer, un elfo oscuro, con la pelle del
caratteristico color grigiastro e i capelli corvini. Uno strano
abbigliamento avvolgeva il suo corpo sinuovo, un abito aderente rosso
e nero con un ampio cappuccio. L'altra, invece, aveva le sembianze di
una bambina umana con la pelle bianca come il latte. C'era
però
qualcosa che non andava in quell'infante, il suo aspetto da ragazzina
veniva tradito dal suo sguardo esperto, adulto e indubbiamente
assetato di sangue. Le iridi erano di un rosso particolarmente vivo e
quello era uno degli aspetti che rendeva il riconoscimento della sua
razza ancora più immediato. Indossava una semplice tunica
logora,
blu scuro e marrone, con un pezzo di corda legata in vita e i capelli
castani le ricadevano sulle spalle in maniera scomposta.
Veezara
indietreggiò di qualche passo fino a sentire la fredda
parete
rocciosa contro la sua schiena, era paralizzato dalla paura ma al
tempo stesso furioso di non poter affrontare quella creatura in
quelle condizioni.
- Non vogliamo farti del male - disse l'elfa -
Ti abbiamo trovato riverso nella neve, non lontano da qui. Stavi per
morire congelato.
- Che ne è stato
di mio figlio?
La dunmer indicò un punto vicino all'argoniano
dove un fagotto giaceva immobile. Si apprestò ad aprire un
lembo di
tessuto per lasciar emergere il musetto acerbo del piccolo Khal-zim
privo di vita. Veezara si accasciò a terra gemendo per il
dolore
della sua perdita, avrebbe desiderato con tutto se stesso che fosse
stato solo un sogno.
Il dolore si trasformò presto in rabbia e
l'argoniano si scagliò senza esitazione contro la bambina
che però
riuscì a schivarlo facilmente. L'elfa intervenne provando a
bloccarlo da dietro, afferrandogli le braccia e tenendolo ben saldo
mentre lui si agitava.
- Smettila! Qualunque cosa sia successa non
è stata Babette!
- Sono stati quei mostri! Hanno massacrato la
mia famiglia!
Babette indietreggiò e attese che Veezara si fosse
sfogato a dovere. Dopo qualche minuto, cadde in ginocchio privo di
forze e ansimante, la dunmer lasciò la presa e si
inginocchiò di
fronte a lui.
- Sono stati dei vampiri?
Lui annuì.
- Ti
posso assicurare che Babette non c'entra, è stata tutto il
tempo con
me. Siamo arrivate ieri sera dopo una missione nel Reach - fece una
pausa - Ci sono diversi gruppi di vampiri, non tutti sono
così
terribili.
- Hanno mangiato
mia moglie e mia figlia - continuò lui senza ascoltare
l'elfa.
-
Mi vuoi dire come ti chiami? Io sono Gabriella - tentò con
un altro
approccio.
- Veezara.
- Bene Veezara, perchè non mi racconti
cos'è successo?
Babette restava in disparte, in silenzio. Sapeva
che se fosse intervenuta avrebbe peggiorato le cose. Con titubanza
l'argoniano iniziò a raccontare quanto successo la sera
prima e
Gabriella lo rassicurò nuovamente riguardo a Babette.
- È
comprensibile che tu abbia questi dubbi su di lei.
- Già.
- Ma
non ti devi preoccupare al momento. Riposiamoci ora, sei ancora
debole, ne riparliamo domani.
Durante la notte, Babette rimase in
piedi accanto al giaciglio dell'argoniano per quasi due ore prima che
lui si destasse dal riposo notturno. Si rigirò nella branda
lasciando che l'estremità della coda squamosa si muovesse
pigramente
nell'aria. La tonalità di verde della sua pelle era
più scura del
solito, nella penombra della grotta illuminata solo da qualche
candela sparsa. Aprì gli occhi di un verde brillante e si
rese conto
della presenza di Babette in un millesimo di secondo. Reagì
istintivamente appollaiandosi sul giaciglio pronto a difendersi anche
senza armi. Rimase allerta, volendo capire la situazione prima di
attaccare.
- Cosa vuoi?
- Sento da parte
tua un atteggiamento restio nei miei confronti. Ti reco disagio,
forse? E' colpa della mia natura?
- Diciamo solo che mi turba il
fatto di sapere che una creatura che sappia muoversi così
silenziosamente nelle ombre possa vagare libera nel mio stesso
ambiente. Hai usato i tuoi maledetti poteri sovrannaturali per
leggermi nella mente, dico bene?
- Non ho bisogno di leggerti
nella mente per capire cosa provi nei miei confronti. E' ovvio che
hai qualche problema con i vampiri. Vorrei rassicurarti sul fatto che
non faccio del male al di fuori della Confraternita.
- Senti, non
ho nulla contro di te. Ognuno per la sua strada, va bene?
- Volevo
solo farti sapere che non ho nessuna intenzione malevola nei tuoi
confronti.
- Ricevuto, ora gira a largo..
- Come
desideri.
La bambina si allontanò, sedendosi sul suo giaciglio
praticamente intatto e nel frattempo Gabriella si svegliò.
-
Vorresti vendicarti? - Babette continuò a parlare con tono
molto
calmo.
Veezara la guardò con una strana scintilla nello sguardo,
la scintilla di chi voleva vendetta, di chi voleva assaporare la
sofferenza altrui, il piacere di un assassino. L'apparente bambina
sorrise, le bastò quell'espressione per azzardarsi a
proporgli ciò
che aveva in mente.
- Io e Gabriella facciamo parte di una
Confraternita che si occupa di lavori molto speciali.
- Babette
non è il caso..
- Lasciami fare, Gabriella. So cosa sto facendo -
Babette guardò l'amica e lei annuì. La bambina
tornò quindi
sull'argoniano.
- Diciamo solo che veneriamo Sithis - la fece
semplice - La vendetta e l'assassinio sono il nostro pane quotidiano.
Veezara abbozzò quello che doveva essere un sorriso - Dove
si
riunisce questa Confraternita?
Babette sorrise a sua volta e una
volta che l'argoniano ebbe ripreso le forze, il trio si
spostò a
sud, verso la città di Falkreath. L'argoniano ebbe
l'occasione di
informarsi meglio su come andavano le cose a Skyrim e capì
di cosa
trattava la Confraternita Oscura.
Viaggiarono per quasi una
settimana prima di arrivare al luogo designato. Si fermarono in una
radura e percorsero un leggero pendìo fino a trovarsi
accanto ad un
piccolo stagno. Una porta incassata nel versante della collinetta
raffigurava un teschio inquietante con una mano rossa dipinta in
fronte, sotto di esso uno scheletro sdraiato. Quando Gabriella si
avvicinò, la porta stessa emise un sibilo agghiacciante
“Qual'è
la musica della vita”, la dunmer rispose senza timore.
- Il
silenzio, confratello.
La porta sibilò ancora “Ti do il
benvenuto a casa”.
Gabriella entrò per prima seguita da
Babette. Veezara prima di entrare, ripensò alla moglie, alla
sua
Jamra e al piccolo Khal-zim, il dolore per la loro perdita
sfociò in
vendetta ed era consapevole che se avesse varcato quella porta,
avrebbe chiuso col passato. Forse quello era il suo destino ed era
l'unico modo che aveva per dare pace alle loro anime. Si fece
coraggio, non sapeva cosa l'avrebbe aspettato.
Varcò la soglia.