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Autore: yesterday    24/05/2014    38 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PART TWO.




 
 
La comunicazione può avvenire su diversi livelli e, al contrario di quanto la maggior parte della gente pensi, la comunicazione verbale ne rappresenta solo l’ultima scaglia.
E’ il tipo non-verbale a dettare legge in materia: migliaia di parole od un ragionamento chilometrico e cervellotico nulla possono contro un semplice gesto che ne affermi l’esatto contrario.
S’intende che un’affermazione verbale, abbellita da un tono adeguato e convinto, seguita da un semplice gesto solitamente noto come “negazione del corpo”, equivalga ad una bugia.
La comunicazione è tutto quando è sincera, solo in quel caso il messaggio giunge pulito da mittente a destinatario, senza alcuna sorta di rumore; in aggiunta nasce la consapevolezza che la voce sia un mezzo comunicativo relativamente veritiero.
Al contrario, il corpo non mente mai. Persino quando sforziamo il suo controllo lanciamo dei segnali, tutti involontari — sia allungare i polpastrelli verso qualcuno da cui ci teniamo a debita distanza ma che vorremmo sfiorare, sia stringerci nelle spalle ad indicare il poco interesse verso una questione che in realtà ci tocca, siano altri tremila dettagli —, che fungono da vero e proprio allarme naturale: i lapsus gestuali.
“Chissà perché ho l’impressione che mi abbia detto una bugia” è la frase random del caso.
Ma, probabilmente, non a tutti possiamo mentire.
Akito è sempre stato un buon osservatore, per quanto cocciuto, testardo ed orgoglioso, ma dubito conoscesse — e conosca tuttora — i principi della comunicazione. Quella non è mai stata il suo forte. …Comunque, dicevo, lui non ne era a conoscenza, quindi ammesso e non concesso che mi fossi stretta nelle spalle ed avessi allungato i polpastrelli — o altri tremila dettagli —, rientrava fuori da ogni dubbio nella categoria di persone in grado di leggermi e basta, accantonando per un attimo la sequela di parole disordinate che si disperdono costantemente dalla mia bocca all’aria circostante.
Quando ce n’è — di aria, intendo.
Non mi resi conto immediatamente che avevamo smesso di abbracciarci, mi ci volle qualche secondo.
A dirla tutta non sapevo nemmeno se le lacrime che mi rigavano le guance fino ad un numero imprecisato di attimi prima si fossero asciugate da sole o le avesse baciate via Hayama, una ad una.
Semplicemente ad un certo punto mi trovai partecipe di un delizioso bacio che prometteva sicuri scompensi cardiaci. E non solo alla sottoscritta — ormai mi ero già rassegnata che la vicinanza del pianeta-Akito mi avrebbe fatta implodere, solo questione di tempo —, a giudicare da un altro cuore che mi sentivo battere all'impazzata contro il petto. Il suo.
Quasi inciampai contro un paio di scarpe che avevo abbandonato sul pavimento — distratta, una di sedici cose poco carine che tutto sommato avrei pure sopportato di farmi ripetere — quando Akito mi spinse gentilmente all'indietro nella speranza di riuscire a centrare il letto, ma la traiettoria era del tutto errata e finimmo per sbattere contro un'anta dell'armadio, provocando un tonfo sordo. Come se mi trovassi tra un polo e l'Equatore, alle mie spalle la superficie fredda, dall'altro lato la pelle bollente di Akito; riuscivo a sentirlo anche se eravamo separati dai nostri vestiti.
Impedimento non da poco al quale decisi che avrei posto rimedio quanto prima. Con le mani incredibilmente malferme mi dedicai con cura ad ogni bottone della sua camicia, sfilandolo dall'asola con religiosa dedizione e soffermandomi coi polpastrelli sui centimetri di pelle che scoprivo gesto dopo gesto. Un bottone sfilato, un centimetro in più di pelle che potevo saggiare sotto le dita, un sospiro che Akito neanche si sforzava di trattenere, soffiandomi sul collo, a cui era passato a dedicarsi. Ogni suo sospiro diventava un mio sospiro e brividi incessanti lungo ogni centimetro della mia spina dorsale.
In quell'istante mi sentii catapultata nel passato, rividi lo stesso tremore nelle mani di una me stessa di non ricordavo neanche più quanti anni addietro, mentre sfilava dalle asole quelli che sembravano essere diventati centinaia di bottoni della divisa scolastica di un Akito molto più ragazzino di quello che ora stava sfregando i fianchi contro ai miei. Sorrisi del fatto che quella sensazione di déjà-vu mi riportasse indietro proprio al giorno in cui io ed Hayama avevamo fatto l'amore per la prima volta.
In fondo, non si trattava forse di una nostra prima volta di nuovo?
Akito era sempre stato mio, in quel momento mi sembrò più chiaro che mai. Ma avevo passato un anno intero — lui nella mia orbita, ma a distanza — credendo che avesse smesso di esserlo, ed era abbastanza da farmi sorridere incredula accarezzandogli le spalle, a farmi spalancare gli occhi ed accorgermi di tutto. Smettendo di essere ottusa soltanto per un po’.
Sembrava nuovo anche il ritrovare quelle che riconobbi come vecchie abitudini — riconoscere la consistenza dei suoi capelli che mi sfioravano la clavicola (quanto bene si può arrivare a conoscere una persona?) mentre scendeva fino allo sterno a lasciarmi una scia di baci che sembrava scottarmi, provare il tocco delle sue mani sui miei fianchi — li stringeva tanto che sarebbe potuto affondare persino sotto la mia pelle.
« Stavamo litigando » proferii sottovoce non appena sfilai anche l'ultimo bottone — una camicia intera, ecco il tempo che mi ci volle per riacquistare l'uso della parola —, e le sue dita smisero immediatamente di sfiorarmi.
Mi pentii subito di aver aperto bocca. Accidenti al mio vizio di conversare.
Staccò le mani dal mio corpo e le appoggiò all'anta dell'armadio alle mie spalle, coi palmi aperti, all'altezza delle mie orecchie. Prima la destra, subito dopo la sinistra, poi alzò la testa e finalmente piantò gli occhi nei miei.
Mi morsi l'interno della bocca. Ecco, brava Sana. Complimenti.
Si avvicinò con un movimento talmente lento che all'inizio mi parve impercettibile, bloccandosi ad un millimetro dalle mie labbra, gli occhi sempre fissi nei miei — non avevo la più pallida idea di cosa potesse leggerci dentro, i suoi erano indecifrabili.
« Vuoi continuare a conversare? »  ed aggrottò appena le sopracciglia.
Tra le tante cose che Hayama non aveva capito, nei lunghi anni trascorsi dall'inizio della nostra relazione, di sicuro svettavano alte in classifica le reazioni che la sua vicinanza mi provocava, o forse sperava davvero che io riuscissi a mantenere una certa lucidità con la sua bocca così vicina alla mia e quelle iridi tanto limpide da sembrare capaci di sondarmi l'anima? E se anche — ma era un se piuttosto grande — ci fossi riuscita, credeva potessi sopravvivere ad una tortura simile?
Sono una donna, certo che voglio continuare a litigare.
Ma invece gli afferrai il colletto della camicia e colmai quel misero ed ingiusto millimetro che ci separava attirandolo a me e mugugnando un « Litighiamo dopo », prima che le mie labbra fossero troppo impegnate con le sue, rendendomi conto però di quel sorriso quasi impercettibile che vi trovai disteso sopra nel momento in cui ci scontrammo.
Era un bacio che sapeva di giusto, di quella confidenza tanto nostra che non sarebbero bastate cinque vite — e di sicuro non uno stupido anno — a cambiare.
Certe relazioni non ammettono passi indietro.
Akito mi sfilò la mia maglia con una lentezza estenuante, posandomi le mani sulla schiena, percorrendo ogni vertebra dal basso verso l'alto mano a mano che alzava centimetro dopo centimetro l'indumento nello stesso momento in cui io lo liberavo della camicia sfilandola dalle braccia col movimento opposto, dall'alto al basso, un centimetro alla volta; inoltre lui fu molto più veloce a lanciarsi alle spalle la mia gonna di quanto ci impiegai io ad armeggiare con cintura e bottoni dei pantaloni, che proprio non volevano collaborare, tanto che avrei scommesso ogni centesimo dei miei miseri risparmi che, nel momento in cui scansò le mie mani per liberarsene da solo, stava sicuramente alzando gli occhi al cielo.
Una piccola parte del mio cervello si chiedeva che cosa stessi indossando in quel momento, se un reggiseno con animaletti stampati o qualcosa di leggermente più femminile. Sperai con tutto il cuore che fosse qualcosa di appartenente alla seconda categoria, ma non ci impiegò molto a sparire, per cui immaginai che Akito non ci avesse nemmeno fatto caso.
Quando, pochi istanti dopo, mi sentii prendere in braccio di peso prima e avvertii le sue labbra chiudersi su un seno poi, capii che non potevo aspettare oltre; protestai muovendo leggermente le gambe che tenevo legate alla sua vita fino a quando mi fece scendere e mi bastò una leggera spinta a palmo aperto sul suo sterno a farlo indietreggiare fino a raggiungere il suo letto, su cui si sedette trascinando anche me a cavalcioni — facendo scontrare i nostri bacini in un contatto che sembrava quasi fare male e bene insieme.
L'urgenza che mi lesse in faccia fu probabilmente la stessa che riconobbi in faccia a lui perché arpionò l'ultimo misero pezzo di stoffa che mi era rimasto addosso nello stesso istante in cui io arpionai l'elastico dei suoi boxer; non appena riuscimmo a liberarcene le sue dita iniziarono la loro lenta tortura dentro di me e dovetti appellarmi a quel minimo di raziocinio rimastomi per non mettermi ad urlare cose indecenti.
M'imposi di dare e non solo ricevere — i suoi sospiri sul mio orecchio perdevano piano piano il controllo — mentre l'altra mia mano vagava sulle sue spalle, sfiorando non lembi ma superfici di pelle. Riconobbi ogni suo neo, baciai quelli che riuscivo a raggiungere, erano tutti al loro posto — non ne avrei spostato uno.
Avvertii il materasso sotto la mia schiena ed i suoi occhi addosso, lungo ogni centimetro del mio corpo; ci lessi dentro un'adorazione che mi tolse il fiato per qualche attimo: un altro déjà-vu della nostra prima volta, di quanto quello sguardo mi avesse tolto ogni paura — di certi sguardi non si deve dubitare mai —, di quanto mi fossi sentita felice di avere qualcuno che mi guardava come se fossi la cosa più desiderabile del mondo. Di quanto mi fossi sentita felice di avere lui.
« Come mi guardi » mormorai a voce talmente bassa che pensai non riuscisse nemmeno a sentirmi — quando il suo sguardo sembrò tanto intenso da diventare insostenibile.
E le gambe intrecciate, un leggero morso sulla sua spalla, il fiato sul collo, un bacio sull’ombelico. Mi disegnava le gambe con le dita. E seguire con l’indice, centimetro dopo centimetro, il segno della cicatrice sul suo braccio destro e sorriderci addosso, nemmeno quella era riuscita a farci a pezzi. Nemmeno quella, nemmeno tre anni, nemmeno i chilometri, nemmeno la paura.
Akito sembrava quasi nascondersi tra i miei capelli quando mi rispose.
« Non ho mai smesso, Kurata »
Il tono scocciato e la scelta di chiamarmi per cognome mi fecero scoppiare a ridere, ma non ebbi il minimo dubbio che quella a cui aveva appena dato voce fosse una delle nostre grandi verità.
Probabilmente decisi di baciarlo nello stesso momento in cui lui pensò di baciare me; ci incontrammo a metà strada, gli occhi spalancati, senza niente da nasconderci.
E sfiorargli la punta del naso col mio, una mano sulla mia coscia, l'altra che cercava la mia, e i capelli biondi, il suo sollevarmi il bacino, il volerlo sorprendere, rotolarsi tra le lenzuola fino a riuscire a farlo stendere di schiena, abbassarsi piano, che fa male da quant'è piano, e le mani ovunque, le bocche che non si staccano, i fianchi che si scontrano...

Nessuno dei due aveva mai smesso.

 
   
 
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