Storie originali > Favola
Ricorda la storia  |      
Autore: Moonlight_1    25/05/2014    2 recensioni
In una prigione oscura, situata in un’alta torre, vi era una ragazza. Aveva polsi incatenati tra loro, stessa cosa valeva per le caviglie: delle robuste catene le tenevano saldamente unite tra loro. Erano pochi i movimenti che riusciva a compiere in quelle condizioni. Non avrebbe potuto neanche spostarsi più di tanto pur volendo, poiché in quella cella polverosa, angusta e umida, le catene erano attaccate al muro. [...] Le cose per lei non erano state sempre così. Viveva in un posto, sì angusto, ma era libera come il vento nei giardini a primavera. Il suo mondo non era poi tutto rose e fiori, colorato come nelle fiabe, ma si accontentava. [...]
Genere: Dark, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
In una prigione oscura, situata in un’alta torre, vi era una ragazza. Aveva polsi incatenati tra loro, stessa cosa valeva per le caviglie: delle robuste catene le tenevano saldamente unite tra loro. Erano pochi i movimenti che riusciva a compiere in quelle condizioni. Non avrebbe potuto neanche spostarsi più di tanto pur volendo, poiché in quella cella polverosa, angusta e umida, le catene erano attaccate al muro. Piuttosto lunghe ma non troppo, erano tremendamente arrugginite e pesanti. L’alta torre, infatti faceva parte della struttura architettonica di un castello. Il castello si ergeva in un bosco meraviglioso, grandi alberi, cespugli rigogliosi, fiori ed erba crescevano tutto intorno.
La cosa singolare di questo castello era la mancanza di guardie e di un fossato. Sembrava abbandonato nella foresta, ma in realtà un mostro viveva lì.
Era verdastro, aveva occhi grandi e neri di forma allungata come quella dei gatti. Nere erano le orbite, come se vi avessero fatto colare catrame liquido. Era ingobbito e bitorzoluto, dei piccoli bozzi percorrevano la spina dorsale, aveva artigli al posto delle unghie, grandi e tozze mani così i piedi. Non aveva sesso, parlava con voce gutturale e grottesca. Delle lunghe zanne fuoriuscivano sia dal labbro superiore che inferiore. Il naso non c’era, aveva semplicemente due larghi buchi neri tra la bocca e gli occhi, le orecchie erano lunghe e appuntite. Khandall era il suo nome.
Viveva dabbasso, nelle sale del castello, mentre aveva relegato la povera fanciulla lassù.
Ogni tanto, un timido raggio di sole riusciva a passare attraverso una fessura del muro in pietra, permettendo alla povera fanciulla di avere un po’ di luce.
La maggior parte delle ore le trascorreva al buio; solo il mostro portando con sé una torcia le illuminava l’ambiente circostante. A volte veniva colto da un’improvvisa generosità e lasciava la torcia appesa al muro. Per i bisogni, la ragazza usava una sorta di vaso da notte che il mostro provvedeva a svuotare.
La faceva dormiva a terra, sulla ruvida paglia.
Le cose per lei non erano state sempre così. Viveva in un posto, sì angusto, ma era libera come il vento nei giardini a primavera. Il suo mondo non era poi tutto rose e fiori, colorato come nelle fiabe, ma si accontentava. Nella sua solitudine, aveva quasi trovato la pace ma non era felice. Il suo villaggio distava diversi chilometri dal castello e di Khandall, che viveva isolato perché odiava il contatto con gli esseri umani e le altre creature.
In una bella giornata di sole, la ragazza decise di lasciare il villaggio e d’incamminarsi per quel posto che non aveva mai visitato. Fin da quand’era bambina, sua madre le raccomandava sempre di non inoltrarsi nel bosco, di non uscire dai confini del villaggio. Doveva sempre fare attenzione ad ogni minimo rumore. Una volta diventata adulta, decise che poteva fare ciò che voleva. Così in quel giorno dal cielo limpido, iniziò la sua passeggiata attraverso gli alberi. Come frusciavano le fronde a contatto con il vento, gli uccellini cinguettavano e trillavano. Anna, questo era il suo nome, era estasiata da tanto verde e tanta bellezza.

Purtroppo per lei, quella mattina anche Khandall girovagava per il bosco. Stava cacciando per avere di che mangiare, quando la vide. Il crudele mostro sussultò. Mai aveva visto creatura tanto bella: aveva occhi d’un grigio verde chiaro, labbra piccole e leggermente piene, le gote rosee, i capelli rosso rame scuro. Boccoli delicati le ricadevano sulle spalle leggermente scoperte, un grande merletto svolazzante faceva il giro lungo tutta la parte superiore del vestito. Un vestito bianco con le maniche arricciate e corte, le fasciava il corpo snello e agile. La gonna le arrivava fino ai piedi e una corona di fiori le ornava il capo.
Se ne invaghì subito e si maledì allo stesso tempo per ciò che provava verso l’umana.
Disse tra sé e sé – Che ti succede? Tu odi gli esseri umani. Lei, cos’ha di speciale? –
Non sapeva rispondersi. L’unica cosa di cui era certo, era che Anna lo attirava come gli orsi sono attratti dal miele.
Pensò. – Se mi avvicinassi a lei sotto questa forma, scapperebbe spaventata. Muterò in quella di un uomo. –
Così fece; il mostro infatti aveva la capacità di mutare la propria forma. Si tramutò in un giovane non troppo alto e non molto attraente (non poteva scegliere la bellezza umana), aveva capelli bruni e occhi altrettanto scuri. La stoffa dei vestiti comparve mentre lui si trasformava, vestendolo da capo a piedi nei panni di un regale signorotto. Raccolse una manciata di fiori e chiamò la fanciulla a sé. Aveva infatti capito che la ragazza cercava dei fiori, non ne conosceva il motivo ma sapeva che era così. Ella si voltò non appena sentì una delicata voce maschile che la chiamò.
Il mostro si avvicinò e provò con le lusinghe, sorridendole.
– Ossequi dolce fanciulla, io sono Khandall. Posso avere l’onore di condurti fino al mio castello? Non ti farò mai mancare nulla. Ti amerò con tutto me stesso e, se sarai mia, prometto che conoscerai le gioie vere della vita. –
La fanciulla era affascinata da quelle parole, ma non erano le ricchezze ciò che desiderava.
– Oh è molto gentile da parte vostra ma non m’interessano le ricchezze. – rispose con sincerità. – Voglio solo un uomo che mi ami per quella che sono. –
– Ve ne prego, seguitemi. Sono rimasto colpito dalla vostra bellezza, tutto quello che voglio è rendervi felice. Posso sapere il vostro nome? –
– Anna. – rispose con quella voce dolce e flautata.
– E’ un nome stupendo. – asserì il falso uomo.
Anna era un po’ confusa, non sapeva cosa fosse l’amore e come si manifestasse ma confidò in Khandall. Gli prese la mano e lo seguì. Una volta giunti al castello egli le carezzò il viso, le fece promesse e la riempì di doni poi uscì di nuovo per cacciare.
I giorni trascorrevano piuttosto felici per Khandall e Anna. Purtroppo il crudele mostro iniziò a rivelare la sua vera natura dopo qualche tempo.
Era stufo di lei. Non capì proprio come poté invaghirsi di una creatura tanto inetta. Anna era buona, amorevole e amichevole. Lui era geloso, collerico, prepotente e attaccabrighe. La bontà gli aveva sempre dato la nausea. La sua compagna non poteva essere come Anna, che non si curava di lui e badava agli altri. Ella infatti, si recava spesso al villaggio per aiutare la sua gente. Non era ammissibile ciò agli occhi della crudele creatura. Perché non lo amava come lui amava lei? Khandall non sapeva cosa fosse l’amore, non l’aveva mai provato né conosciuto. Immaginava fosse l’adorazione di qualcuno, una rinunciare del sé per amore dell’altro. Lui adorava Anna, con tutto sé stesso. Perché lei no? Con egoismo, pensava che lei non si dedicasse abbastanza a lui, non gli ubbidisse quando le chiedeva di restare al castello o di non aiutare chi non conosceva.
Era furibondo. Perché Anna perdeva tempo con gli uomini del villaggio? Perché doveva stringere amicizia con loro, badare ai bambini e confortare chi stava male? Quelle cose, lei, avrebbe dovuto farle solo per lui e nessun altro.
Sbatté i pugni sui pesanti braccioli della sedia e decise che, quando la fanciulla sarebbe tornata da una delle sue scampagnate, l’avrebbe rinchiusa nell’alta torre. Finalmente avrebbe fatto solo ciò che lui desiderava, le avrebbe fatto pagare la sua ingratitudine.
Così fece.
Un giorno l’afferrò saldamente per la vita e la trasportò di peso nella torre. La povera ragazza si dibatté, protestò, strepitò. Non capì il comportamento dell’amato, ma a Khandall non importò. Con rudezza la scagliò a terra e la incatenò ad una lunga catena di ferro arrugginito. Chiuse polsiere e cavigliere della pesante catena attaccata al muro. Non fece quasi alcuna fatica: Anna dopo aver cercato di far valere la propria volontà, si arrese. Debole e tremante, osservò Khandall che la imprigionava, senza capirne il motivo.
Pianse sommessamente. – Perché amore mio, cosa ti ho fatto!? Ti ho amato con tutta me stessa. –
– Tu non mi ami! – ruggì con la sua vera voce. La ragazza trasalì. – Ed io non sono un uomo! –
Il mostro mutò l’aspetto rivelando la sua vera natura. La poverina urlò dal terrore.
– Resterai qui, mia cara, finché non avrai capito chi comanda e farai come dico io. Ti ho sempre detto di comportarti secondo le mie regole ma non l’hai mai fatto. Vuol dire che non mi ami. Una donna che ama il proprio compagno lo rende sempre felice. Sempre. – disse sottolineando l’ultimo “sempre” con un leggero cambio del timbro vocale.
Anna non aveva parole, era rimasta spiazzata. Non riconosceva più chi le aveva detto di amarla, fatto promesse e regali.
Khandall chiuse la pesante porta della cella e se ne andò, indifferente.
I giorni passarono per la ragazza. La notte aveva gli incubi e si agitava nel sonno, il mostro la nutriva con poche cose e le dava da bere quanto bastava. Ogni tanto le chiedeva se avesse cambiato idea, se avrebbe fatto sempre ciò che ordinava, ma Anna rispondeva ogni volta “no”.
– No, no e ancora no! Non piegherò mai la mia volontà a te! –
– Allora restaci in cella e marcisci, piccola stupida! –
Se ne andò grugnendo, lasciandola sola e tremante.
Quel posto era freddo, polveroso, buio. Perché Khandall la trattava in quel modo? Anna non capiva, sapeva solo che l’uomo amato non era un uomo e che non l’aveva mai ricambiata. Khandall era incapace di amare. Nel suo grande egocentrismo, aveva scambiato il suo egoismo per amore.
Un giorno il mostro prese l’abitudine di entrare in cella. Sedeva per ore davanti a lei deridendola, dicendo cose cattive e informandola che, presto, avrebbe attirato un’altra fanciulla a sé; una donna che avrebbe fatto tutto ciò che egli desiderava. Oh no, non avrebbe più voluto una ragazza come Anna.
Quest’ultima, ascoltava quelle parole dure come pietre. La colpivano nell’animo ma non piegavano la sua volontà, anzi, iniziò a rispondere alle sue minacce e ingiurie ripagandolo con la stessa moneta. Da quegli scontri verbali, però, l’unica che ne usciva consumata nello spirito era la  povera ragazza; a quell’essere non importava niente di lei.
 
– La tua prigione te la sei costruita tu. – la canzonava Khandall.
– Dimmi in che modo! – urlava Anna.
– Non obbedendomi. – rispondeva serafico.
– Non sono un oggetto, ho dei sentimenti. Perché non posso fare ciò che voglio? Perché non ho scelta? –
–  Perché se tu mi avessi amato, avresti fatto sempre quello che ti dicevo. – rispondeva laconico. – E poi, ti ho dato questa bella dimora, ti ho salvato dalla tua tristezza e solitudine, non scordarlo. È il minimo che tu avresti dovuto fare per me. –
Quando il mostro attirò a sé un’altra fanciulla, Anna era arrivata al limite della sopportazione. Una notte fece un sogno: sognò se stessa che volava nel cielo notturno trapuntato di stelle, si librava leggera nell’aria. Ad un certo punto, il paesaggio cambiò: si ritrovò in mezzo alle nuvole.
Su una di esse, scorse una bambina di circa cinque anni che la invitò a salire.
– Vieni qui. – la chiamò con quella vocetta squillante.
Anna, timorosa, si avvicinò accontentandola.
– Non mi hai riconosciuta? Guardami bene. – disse.
Osservò ben bene la piccola e si accorse che, quella bambina, altri non era che sé stessa in tenera età. Sussultò.
– Non avere paura, sono qui per aiutarti. Non temere Khandall. Quando ti sveglierai, chiamalo da te e spezza quelle catene con la sola forza delle mani. –
– E’ impossibile. Come potrei!? –
– Fidati di me … anzi: di te. – la bambina sorrise. – Quelle non sono vere catene, ha usato un trucco per tenerti prigioniera. Ti ha legata con l’amore che provavi per lui. –
– Non capisco. –
l’Anna adulta era rimasta spiazzata. Con pazienza, la piccola Anna cominciò a spiegare. – Quelle catene sono state forgiate con il fuoco dell’amore, il tuo, e la cattiveria e la rabbia repressa, la sua. Le ha create usando, senza che tu volessi o sapessi, il tuo amore per incatenarti a sé. Puoi spezzarle solo tu. Abbi fede, credi in te, sei più forte. Lui è un vigliacco, non ha amore nel cuore, ti ha solo ingannata. Khandall è solo capace di mentire per il proprio benessere e i propri scopi. Liberati Anna. Spezza le catene che ti tengono prigioniera e scappa via. Non temere, quel mostro non ti seguirà perché non ne avrà la forza. L’ha usata tutta per creare le catene che ti tengono prigioniera. Pagherà caro il suo egoismo e la brama di tenerti legata a sé. Buona fortuna. –
La bambina la salutò agitando la mano e Anna si svegliò di botto ritrovandosi sul giaciglio di paglia. Stropicciò gli occhi ed era più decisa che mai. Si riebbe dal sonno e chiamò Khandall con quanto fiato aveva in gola. Lo chiamò per tre volte aumentando il tono di volta in volta. Si sgolò, ma finalmente sentì i passi degli stivali: il mostro le si sarebbe presentato sotto spoglie umane.
Arrivò in prossimità della cella, inserì la pesante chiave nella toppa e girò, producendo un sinistro e assordante cigolio.
– Che vuoi maledetta? Sono con la mia amata dabbasso. Non devi disturbarmi. Mai. hai capito? –
Anna, in piedi, lo fissò di sottecchi con sguardo truce.
– Hai finito di tormentarmi. Adesso basta. Basta. – sibilò tra i denti. Lo sguardo era carico di furore.
Khandall indietreggiò intimorito.
– Hai giocato per troppo tempo con me e il mio cuore. Tu sei immeritevole d’amore, non meriti niente. – Tremava con rabbia e furia crescente mentre l’uomo indietreggiava sempre più spaventato.
In un impeto di collera, Anna spezzò le catene che le tenevano uniti i polsi. Sorrideva rabbiosa e lo guardava dal basso verso l’alto. Nitidi, sotto la luce giallo arancio della torcia,  il vestito sporco di polvere, i fiori secchi tra i capelli scarmigliati e lo sguardo vendicativo.
Aveva sete di giustizia.
Urlò con quanto fiato aveva in gola, disorientò di più Khandall. Dopo aver spezzato anche le catene delle caviglie, si avventò contro quell’essere crudele.
Anna aveva una forza fuori dal comune.
Sbatté le polsiere di ferro contro il viso del falso uomo, più e più volte fin quando non sgorgò il sangue: gli aveva rotto il setto nasale. Prese la lunga catena che la teneva legata al muro e la mise intorno al collo di Khandall: voleva minacciare di strozzarlo. In verità, il suo desiderio più grande sarebbe stato quello di rompergli l’osso del collo o di strangolarlo sul serio.
Il mostro cominciò a mutare nella sua forma originaria, si dibatteva con le orbite da fuori cercando di liberarsi. Anna strinse ancor di più la catena intorno al collo di Khandall.
Sussurrò all’orecchio. – Lasciami andare, maledetto, o giuro che ti ammazzo. –
 Khandall boccheggiò senza fiato, stava per perdere i sensi. Debolmente, tentò di annuire con la testa bitorzoluta per far comprendere la resa alla ragazza. Ella lasciò immediatamente la presa: la sofferenza che gli aveva inferto non era abbastanza ma Anna non era né cattiva né sanguinaria. Khandall non meritava nemmeno la morte per mano sua.

Storcendo la bocca per il disgusto verso quella creatura immeritevole, Anna cercò di avviarsi giù per le scale. Come predetto dall’Anna bambina, il mostro non aveva forze per seguirla. Khandall rimase accasciato sulla soglia della cella: boccheggiava e ansimava con il sangue che gli colava lungo il viso.

La povera ragazza rischiò quasi di ruzzolare, erano troppi mesi che non sgranchiva le gambe e non camminava. Con gran fatica, prese a scendere le scale arrivando fino in fondo.
Non incrociò la fanciulla che aveva preso il suo posto. Mentre percorreva con passo incerto le sale per uscire dalla fortezza, ella si guardò bene dall’avvertirla. “Che viva pure con lui, se lo accontenta in tutto e per tutto forse merita di stare accanto a quell’essere.” pensò all’apice del fastidio. “Una donna che non vede ciò che cela Khandall, non ha abbastanza cervello e amor proprio.”
Si ritrovò all’aria aperta dopo aver chiuso il pesante portone con le poche forze che aveva. Camminava zoppicando, con la schiena bassa. I muscoli erano troppo intorpiditi dagli stenti e dall’immobilità. Era stremata, le gambe le dolevano, il cuore le martellava in petto, era sporca di polvere, sangue ed era scombussolata ma … libera. Finalmente sentiva il vento sulla faccia e vedeva il sole. Non aveva più nulla da temere, aveva sconfitto il mostro.
S’incamminò con passo malfermo aspettando di trovare la sua strada. Dopo aver marciato un paio di chilometri, vide un bianco unicorno che brucava l’erba. Sfinita, si accasciò al suolo. Dopo pochi minuti si ritrovò il muso dell’animale vicinissimo: le stava annusando i capelli. La ragazza mugugnò e l’unicorno le strofinò il muso addosso per incitarla ad alzarsi. Con molta fatica ella si alzò, guardò fisso l’animale negli occhi e disse.
 – Portami a casa caro amico, ti prego. Non ce la faccio più. –
L’unicorno, recepì subito la richiesta d’aiuto offrendole la schiena. Anna vi salì a fatica e si tenne ben salda all’animale nonostante le forze mancassero.
Dopo un tempo che le parve infinito, arrivò in prossimità di un villaggio, il suo.
Era felice ma troppo stanca per gioire, mormorò un flebile “grazie amico” e si addormentò.
Quando si svegliò, si ritrovò nel letto di casa sua. Il sole filtrava dalle finestre.
“Deve essere stato tutto un sogno” pensò mettendosi a sedere. Una grossa fitta alla schiena, gambe e braccia, la riportarono alla realtà svegliandola del tutto.
Guardò il vestito impolverato e a tratti macchiato di sangue, per quanto i dolori le consentissero di muovere il collo. Osservò polsi e caviglie liberi da polsiere e cavigliere arrugginite. Tastò delicatamente le zone del corpo che recavano dei piccoli segni rossi dovuti alla pressione del ferro sulla pelle.
Anna capì che non era stato solo un sogno e che aveva sconfitto davvero Khandall.
Non ne era uscita illesa ma quelli, erano i segni di una lotta che aveva combattuto per la libertà. Era fiera di sé stessa e sorrise.
Sapeva che, finalmente, avrebbe iniziato a vivere.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Moonlight_1