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Autore: Tynuccia    25/05/2014    1 recensioni
Le aveva lasciate con un gran sorriso, uno di quelli che dispensava a destra e a manca durante i periodi più lieti.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Henry, Tharja
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dipartita
 
*
 
 Noire non poteva ricordare le dinamiche esatte, dopotutto aveva soltanto sei anni all’epoca, ma l’opprimente sensazione avvertita era ancora in grado di attanagliare il suo cuore in una morsa letale.
 Tirava un forte vento, quella mattina, e a svegliarla era stato il suo sibilo sinistro contro le finestre. Oltre che le voci un po’ troppo alte dei suoi genitori. Si precipitò fuori dal letto e corse nel salone, dove Henry e Tharja stavano discutendo. Stropicciò le manine tra di loro, osservandoli silenziosa. Poteva vedere gli occhi scarlatti del padre aperti – evento raro – e le gote arrossate della madre – evento ancora più raro. Non erano vicini, e gesticolavano fin troppo. Certo, Noire non era abituata a vederli scambiarsi smancerie, tutt’al più fatture improponibili, ma perfino ad una bambina come lei era evidente che qualcosa non andava.
 “Grima sta diventando troppo forte e mi hanno convocato,” sindacò Henry, senza neppure ridacchiare come sempre. “Non riuscirai a trattenermi qua a casa. Non ne hai il diritto.”
 Tharja strinse i pugni, le sue affilate unghie dipinte di nero si conficcarono nella sua stessa carne. “Vedi di ascoltarmi, una volta tanto! Sto solo dicendo che voglio venire con te!” Lo urlò, disperata. I Pastori d’Ylisse conoscevano la ragazza per essere d’una tranquillità inquietante e morbosa; in quel preciso istante avrebbero avuto difficoltà a vedere in lei l’angosciante maga che si era unita a loro anni prima. “Non ho intenzione di rimanere qua a rodermi il fegato in attesa del tuo ritorno.”
 L’albino strinse le labbra ed avanzò di un passo, torreggiando su di lei. Si era accorto della bambina che li guardava in silenzio, e di sicuro anche la sua sposa sapeva perfettamente di avere quei suoi due occhi liquidi puntati addosso, ma entrambi evitarono di coinvolgerla; di sconvolgerla ulteriormente. “Abbiamo una figlia, Tharja. Vuoi che rimanga da sola?” mormorò, autoritario e suadente come poche volte in vita sua. Si guardarono a lungo, significativamente. “Partirò dopo la colazione. Gaius è in una locanda giù in paese, mi ha scritto che mi aspetta lì.”
 Tharja fece per protestare, ma l’ingombrante consapevolezza di essere madre le annodò la gola. Il suo labbro tremò violento, così come le sue ginocchia. Tese le braccia e si accucciò contro il petto del marito, nascondendo il volto tra le pieghe della sua veste. Si vergognava ad avere paura, non dopo aver trascorso una vita di folle spavalderia, ma nel suo cuore amava Henry e loro figlia sopra ogni altra cosa ed il solo pensiero di poter perdere tutto era abbastanza per mandarla fuori di testa per davvero.
 Noire arrossì un poco quando suo padre strinse sua madre, il volto disteso in un sorriso amareggiato, e decise che avrebbe aspettato in camera sua.
 
Tharja andò a svegliarla solo mezz’ora dopo. Lasciò che la seguisse in cucina, senza guardarla in faccia per non tradire le sue reali emozioni. Perfino durante la colazione non disse nulla, a differenza di Henry, che provò a fare del suo meglio per strappare una risata alla sua piccina.
 “Niahah, bada bene, Noire. Ruberò gli attrezzi del mestiere a tua madre, quando sarò tornato,” bisbigliò, dopo averla fatta sedere sulle proprie ginocchia. Le accarezzò la testolina bianca, ridacchiando gioviale. “Niente più naso che cola.”
 Noire lo guardò, poteva sentire il cuore martellarle nelle orecchie da tanto era agitata. “P-promesso?”
 Henry e Tharja si scambiarono un’occhiata intensa, quindi l’albino circondò il corpo della figlia con il mantello scuro, stringendola a sé un po’ troppo forte per pretendere di essere una persona momentaneamente tranquilla. “Farò del mio meglio, Noire.”
 
 Le aveva lasciate con un gran sorriso, uno di quelli che dispensava a destra e a manca durante i periodi più lieti. Aveva sventolato il braccio ed aveva voltato loro le spalle.
 Noire comprese solo qualche giorno più tardi quanto quel gesto fosse letterale, e più precisamente quando Frederick, il grande e grosso cavaliere dell’Eletto, le aveva raggiunte per informarle della dipartita di Henry.
 Il vento continuava a soffiare, instancabile, e prima ancora che potesse elaborare la cosa, la bambina avvertì un forte dolore al polso. Senza farlo apposta, Tharja le aveva afferrato la mano ed ora la stava stringendo febbrilmente. Tremava come una foglia in balia della tempesta e le parole di commiato di Frederick si erano subito trasformate in un discorso senza il minimo senso logico.
 Noire riuscì a liberarsi solo quando il cavaliere era già lontano, in groppa al suo cavallo al galoppo. La maga nera la guardò negli occhi, incutendole timore in maniera differente dal solito. La vide mormorare qualcosa, implacabile, mentre una scintillante aura violacea la circondava. “No, madre, no. Per favore,” pigolò la bambina, riconoscendo il rituale che precedeva una fattura, ma senza capire che cosa aspettarsi.
 Improvvisamente il mondo si fece ovattato, immerso in un silenzio surreale. Noire provò a parlare, ma nessun suono raggiunse le sue orecchie tappate. Sbarrò le palpebre, comprendendo cos’avesse deciso di fare la madre; lo capì quando vide le sue labbra livide spalancarsi e fu grata alla sua trovata, perché se avesse sentito quell’urlo sinistro e stridente rasparle la gola e librarsi nell’aria, probabilmente avrebbe perso quell’ultimo briciolo di sanità mentale che le era rimasta.
 Noire si accucciò a terra, ma non prima di aver scorto le lacrime solcare le guance pallide della donna, la bocca ancora deformata in una terribile smorfia. Serrò gli occhi e si portò le mani alla testa, pensando finalmente a suo padre.
 “Niente più naso che cola.”
 “Farò del mio meglio, Noire.”
Anche lei cominciò a singhiozzare, ma era stranamente confortevole non udire alcun tipo di suono. L’unica cosa che poteva sentire, in qualche modo, era il calore di un mantello scuro che nessuno avrebbe più indossato. 
  
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