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Autore: Quintessence    26/05/2014    4 recensioni
Tre settimane fa, Minako si è tagliata le vene dei polsi e ha sfiorato la morte.
Due settimane fa, Rei ha trovato il suo diario e ha scoperto perché.
Una settimana fa, Rei ha deciso che era ora di smettere di piangere.
Quattro giorni fa, Rei ha fatto un piano.
Due giorni fa ha messo l'uniforme scolastica di Minako.
Oggi, troverà il ragazzo che ha spezzato Minako.
Entro domani, Lui sarà morto.
Genere: Drammatico, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inner Senshi, Nuovo personaggio, Rei/Rea
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Una volta diventata troppo lunga, quella che era una one-shot è diventata una long di cui pubblicherò una parte ogni 2 settimane circa. Buona lettura.

1.       Uccidere qualcuno è molto più facile di quanto pensiate. Bastano decisione e una buona mira: tutto il resto viene da sé. L’idea che porta con sé un omicidio è simile a quella di un tiro libero nella pallacanestro, solo che non bisogna aspettarsi che le persone si alzino in piedi e vi acclamino se il tiro va a segno. È una questione di qualche secondo.
La vendetta, invece, e parlo della vendetta calcolata, della vendetta si-sentirà-dispiaciuto-anche-solo-di-esser-nato richiede tempo, e pianificazione, e pazienza. Devi sorridere quando hai voglia di urlare. Devi guardare il tuo bersaglio negli occhi anche quando vorresti strapparglieli dalle orbite. E devi ignorare il bruciore che ti si spande nello stomaco finché non diventa ghiaccio, e usare tutto il tuo essere per voltarti senza mandare tutto in frantumi.
Se sarai in grado di farlo, il loro sangue sporcherà le loro stesse mani. Un altro, tragico suicidio giovanile, sul retro di pagina diciassette di quel quotidiano locale, e una pagina memoriale sul giornaletto della scuola. Un sacco di fiori, e di animali di pezza, e di cartoline colorate con scritto mi dispiace sulla porta. Parole dolci, occhi neri di rimmel e rossi di pianto di persone che si chiedono perché ma non hanno abbastanza forza per andare a cercare la risposta.
Non importa quanto casino si trovi nella stanza del fatto, o quanto sangue si sparga in giro. Il suicidio è un assassinio pulito. In realtà, detto francamente, anche qualsiasi scenario in cui Tadao Yasuhiko finiva per essere un cumulo di sangue e ossa straziate sarebbe stato più che soddisfacente, per me.
 
2.       La mattina in cui mi sono infilata l’uniforme della Juuban Municipal High School avrei dovuto in realtà militare fra i muri della T•A Academy, il mento sollevato e un atteggiamento che avrebbe gridato stai indietro a chiunque si fosse azzardato ad invadere anche solo di un millimetro il mio spazio. Le mie ginocchia non vedevano la luce da anni, e adesso spuntavano fuori da una gonna blu cobalto di plaid in un modo tale che a fatica reprimevo l’istinto di non tirarla verso il basso, per coprirle. Se fossi stata vicina al tempio, probabilmente chi non mi conosceva bene non mi avrebbe riconosciuta al volo.
« Non lo devi fare per forza, sai, » mi aveva detto Makoto guardandomi in tralice. Stava mantenendo la calma forzandosi da almeno dieci minuti, le nocche bianche serrate sul manico della sua borsa scolastica con forza crescente mentre ci avvicinavamo alla scuola. La voce con cui la frase le era uscita era alta e dura, cosa che la fece tacere per qualche secondo, nel tentativo di recuperare il controllo. 
« Puoi tornare alla T•A, ti pago il biglietto, e sarà come se non fossi mai stata qui. Possiamo pensare a qualcosa da fare, magari per distrarti puoi aiutare Luna con le scatolette del tonno visto com’è finita l’ultima volta. »
« Ma dai, è stato un incidente! »
« Non devi stare qui per forza, Rei. »
« Makoto, è tutto okay. Voglio stare qui. »
« Mh. »
Non mi credeva, io lo sapevo, ma non mi aspettavo nemmeno che lo facesse. Il qui a cui si riferiva era ovviamente la Juuban, la scuola che una persona comune non avrebbe esitato a definire classica, storica, venerabile, dove il tuo compagno di biologia di oggi poteva essere il tuo contatto di lavoro domani. I nomi sulle graduatorie cambiavano raramente, perché le eccezioni di bravura alla Juuban erano poche, una delle quali era sicuramente Ami, ed eccetto pochi e rari casi le cose andavano sempre e comunque nella stessa maniera da anni. Io ero uno dei rari casi, in realtà, visto che un cambiamento di scuola a metà anno non poteva che essere una situazione di cui parlare, e il fatto che la Juuban non fosse, definitivamente, come la mia vecchia scuola per un attimo mi fece vacillare.
Makoto continuava a fissarmi. Non aveva ancora esattamente chiaro il quadro, probabilmente non capiva perché avessi fatto di tutto per cambiare, ma sapeva che aveva a che fare con Minako. Penso che si aspettasse semplicemente un tentativo di sostituirla al fianco di Usagi, o magari un crollo psicologico. Di sicuro, mi sentivo come se stessi per averne uno.
Tutto della Juuban gridava semplicità e gentilezza, mentre alla T•A serpeggiavano privilegio ed eccellenza, e tutto dentro di me invece strillava terrore e rabbia cieca. Nascosi le mie emozioni dal viso, ingoiandole e rendendomi di ghiaccio – una bambola di plastica, perfettamente ferma. Ero una talpa. Niente se non la ragazza nuova, e l’unica espressione che mi concedevo di esternare era l’agitazione dovuta all’ingresso in una nuova scuola.
Provai a focalizzarmi su cose disgustose, per provocarmi acidità di stomaco e uno sguardo contrariato; funzionò in parte, visto che il mio viso immediatamente impallidì all’idea della carne marcia, regalandomi un aspetto malaticcio che si abbinava molto bene con il mio ritrovato pallore, dopo che mi ero tolta almeno due strati di make-up.
Nella mia accademia i fiori erano dappertutto, le colonne erano di marmo e c’erano perfino statue di fate che versavano acqua pulita e potabile in vasche enormi e ben scolpite. Alla Juuban c’era un pennone e un anello sporco, di cui la leggenda narrava che forse un tempo aveva accolto qualche margherita.
« Le persone di questo posto mi saranno sempre estranee, Makoto. Lo sai. »
« Sono comunque contenta che tu sia qui. Fallo a pezzettini, Sailor-kickass. »
« Non mi chiami così da quando ero - »
« Una stronza ingrata? »
« Volevo dire tanto piccola che quasi mi contavo gli anni sulle dita delle mani. »
« Stessa cosa. »
« Ciao ciao, Makochan! »
« Senti, è bello vedere di nuovo la vera Rei. »
La vera Rei, ovvero la ragazza che da settimane era rimasta sepolta in fondo al mio stomaco mentre il mio cervello digeriva informazioni sul cuore infranto di Minako e si aggrappava a qualsiasi cosa per non crollare.
« Non fare tardi a lezione, Makoto. » Ho sollevato la mano mentre lei chiedeva a gran voce un paio di fotografie per vedere finalmente questo tizio, giusto per far sapere alle ragazze che sì, ero davvero passata al lato oscuro.
Non c’era problema, che l’oscurità venisse a prendermi, l’aspettavo – tanto non ci sarebbe stato scampo, sarei andata a fondo, ma Yasuhiko sarebbe venuto dritto dritto giù con me.
 
3.       Contai i passi che separavano la classe dall’entrata principale solo per sembrare concentrata su qualcosa mentre schivavo tutte le persone che non erano del mio stesso anno, e notavo come tutte le ragazze (bionde o castane che fossero) emanassero una identica aura; a quanto pare crescendo, la maggior parte di loro aveva spostato l’attenzione dalle cose rosa alle cose che avessero a che fare con i ragazzi. Nomi di mille di loro serpeggiavano a voce bassa insieme agli sguardi colmi di desiderio per un primo bacio, una prima carezza, un primo complimento. Io ero abituata ad una scuola di sole ragazze, ma qui, dove c’erano i maschi, ciascuno di loro aveva chiaramente un’etichetta, così che tutti ricordassero il loro posto e che per chiunque da fuori fosse impossibile infiltrarsi.
Stavo per avere un attacco di panico, all’idea di dover chiamare casa un posto del genere. Mi aggrappai all’idea di Usagi, Ami e Makoto all’ora di pranzo per non crollare.
…Cosa piuttosto ironica, dato che la Juuban era una vera e propria fortezza, in realtà, osservandola meglio. Doppie porte, muri spessi come un braccio e professori dietro gli angoli a testimoniare che nessuno si facesse male – Minako sarebbe dovuta essere al sicuro, qui dentro.
Scacciai il pensiero dalla mia testa, e ricacciai le lacrime in fondo alla gola. Occhi umidi e pelle chiazzata non mi avrebbero aiutata, al contrario; sarebbero stati solo un ostacolo alla realizzazione del piano.
Bussai alla porta della mia classe con delicatezza decisa, e aprii la porta prima che la voce del professore dicesse « Avanti. »
« Sono nuova, signor Kishimoto. Hino Rei. »
Chinai leggermente il capo e feci una breve analisi dell’aula. Più finestre di quelle a cui ero abituata dopo anni di aule-scatola, facce serene, nessuna con particolare cattiveria dipinta in viso. Più ragazzi, che ragazze, in effetti, e solo due di loro non avevano i capelli scuri, il che mi rendeva l’identificazione difficile. Di Yasuhiko sapevo appena che era molto carino e con i capelli scuri. Non riuscivo ad afferrare i loro sguardi, senza fissarli, perciò gettai la spugna prima di diventare la ragazza nuova un po’ strana che fissa la gente.
Uno di loro alzò lo sguardo e mi sorrise, mentre io spostavo l’attenzione sulla lavagna. Dimenticai immediatamente lo strana per sostituirlo con la ragazza nuova che conta con le dita.
Non ero mai stata una cattiva studentessa, in realtà, molti insegnanti mi consideravano intelligente, ma a quanto pare la definizione di intelligente alla T•A non coincideva con la definizione alla Juuban. Quella roba sulla lavagna era greco. Vero greco. Sigma, phi, o epsilon o altre lettere che sinceramente non pensavo di vedere fino al college.
Era solo la prima settimana, perché erano così avanti?
« Classe, questa è Hino Rei, » mi introdusse Kishimoto, proprio quando pensavo che si fosse dimenticato di me. « Si è trasferita da… »
« T•A Academy, » mi uscì. « Ma non mi sono trasferita, ho dei problemi con papà e la retta. Mentre sto con il nonno, e finché non risolverà i suoi problemi, resto qui; non so quanto a lungo. »
La risposta suonò robotica e per niente convincente. E di sicuro non volevo dire così tante cose.
« Mi dispiace, Hino, » disse Kishimoto mentre mi indicava il mio posto a sedere. « Va’ a sederti e ricominciamo la lezione. »
L’unica sedia non occupata (seconda fila, vicino al muro) era quella accanto a un ragazzo decisamente alto e che sembrava piuttosto annoiato dalla lezione. Mentre il professore cominciava a chiamare un paio di nomi e cercavo di memorizzarli, dal banco dietro un ragazzo stuzzicò il mio compagno di banco.
« Che culo, » sussurrò, mentre quello ridacchiava, entrambi evidentemente sollevati di non essere stati interrogati. « E anche tu, bella. Due minuti prima, e saresti rimasta intrappolata in una delle sue interrogazioni. »
Interrogazioni la prima settimana. Datemi la morte.
« Io sono Yoshida Naoki. »
Fu un sollievo scoprire che non fosse Yasuhiko. Aveva i capelli scuri, certo, ma sembrava tanto gentile e amichevole. E se avessi scoperto che lo stronzo di Minako era seduto così vicino a me, beh, probabilmente avrei distrutto tutte le mie chances di vendicarmi usando un’appena temperata Mirado Black HB.
« Hino Rei. »
E mentre, tranquilla, sentendo di essere al sicuro, mi voltavo verso il mio compagno di banco per chiedergli il suo nome, Naoki gli diede una bella pacca sulla schiena.
« E questo idiota è Yasuhiko Tadao… Non fidarti di lui, mai. » Serrai i denti. Lui rise piano, una risata soffocata, tenera, e poi abbassò la testa per non farsi beccare, rigirandosi la penna fra le dita. Quando sentì il suo nome pronunciato dal professore in tono di rimprovero, tuttavia, si rizzò in posizione eretta e smise di roteare la penna, la punta dritta verso il suo stesso cuore.
Bersaglio agganciato. Comincia la caccia.
 
4.       Per la fine della lezione di trigonometria, non mi ero immaginata meno di venti modi di ammazzare Tadao Yasuhiko prima che uscisse dalla classe. Vero che non molti erano pratici o praticabili, e almeno la metà erano gratuitamente violenti e avrebbero lasciato un bel casino in giro, ma avrebbero funzionato bene – se avessi voluto liberarmene facilmente. Ma Minako non ne era uscita facilmente; mi ero giurata che per lui sicuramente sarebbe valso lo stesso.
Con sommo orrore, comunque, quando la campanella suonò e io diedi uno sguardo ai pochi appunti che avevo preso, mi accorsi che non riuscivo a leggerne più di metà. Il cervello si era sicuramente disconnesso dalle mani a un tratto, e aveva deciso che fare disegni casuali era un modo molto migliore per riempire il quaderno.
« Non è proprio trigonometria. »
Naoki se ne stava appoggiato al muro mentre finivo di infilare i quaderni nella cartella.
« Che cosa, non è trigonometria? »
« Questo corso, » ha detto lui.
« Allora perché soffro così tanto, a seguirlo? »
Lui ha sorriso in un modo in cui le persone normali di solito non fanno per niente. La temperatura della classe si era alzata di almeno dieci gradi solo a guardarlo.
« Perché qualunque cosa tu chiamassi trigonometria alla tua vecchia scuola, oh, no, accademia, è stata sostituita con una cosa che alla Juuban chiamiamo precalcolo. »
Odiavo davvero la scuola pubblica. E in effetti Yoshida non scalava la lista delle cose che mi piacevano ultimamente.
« Sarebbe il tuo modo per dirmi che non sono del club? »
« Solo per dirti che ci vorrà qualche giorno prima di abituarti. Lo farai. Fidati. »
Spiacente, non se ne parlava. La fiducia non esisteva nemmeno. Lo lasciai appeso e recuperai il mio orario scolastico dalla cartella; dovevo arrivare in fondo all’edificio verde, se non avevo capito male, che significava attraversare il cortile e seguire la massa di studenti che ci si stava dirigendo. Cercai con la mano destra il manico della cartella senza successo. Yoshida l’aveva afferrato prima di me.
« Uhm. Che stai facendo? »
« Sono gentile e t’accompagno in classe. Le nuove ragazze meritano una guida, soprattutto quando sono carine come te. Sono sicuro che sta nel regolamento, da qualche parte. »
« Non devi farlo. » Lottammo per il possesso della cartella per qualche secondo, finché lui non mollò la presa facendomi indietreggiare e sbattere il sedere sul banco dietro di me. Mi sfuggì un gemito.
« Così non va, ragazza nuova. » È eccezionalmente difficile seguire una persona e capire come fare a farla affondare, se hai uno stalker alto due metri che ci prova con te, anche se ti è simpatico. Cercai di capire dove fosse finito Yasuhiko dopo la fine della lezione di non-trigonometria, ma l’opportunità era decisamente sfumata.
« Il cortile è da quella parte. »  Ha detto.
« Per muovermi qui dentro mi servirà un GPS. » Ho replicato.
« Non ce n’è bisogno. Hai me. »
Sospirai e mi lasciai sfuggire una risatina. Forse, tutto sommato, Yoshida stava lentamente risalendo la lista dei mi piace.
 
5.       Nessuno mi chiese di fare mai di fare un discorso per presentarmi alla classe, per fortuna. Tutti avevano semplicemente scribacchiato il mio nome su un qualsiasi registro, mi avevano passato un libro che avrei dovuto successivamente comprare e mi avevano detto di restare seduta. E anche quando cambiavamo classe per i laboratori o per la ginnastica, Yoshida non mi lasciava molta scelta su dove dovessi sedermi. Lentamente, cominciai a trovare spiragli.
« Allora, è sicuro chiederti di Minako-chan, oppure quello sguardo sul viso vuol dire che mi brucerai vivo con lo sguardo appena lo farò? »
Ami l’avrebbe adorato, comunque.
« È all’ospedale, » ho risposto, proprio come avevo già detto più volte a più persone. La mia risposta preferita. Evasiva al punto giusto, gentile al punto giusto.
« Ha il cancro o roba simile? »
« No. »
C’erano cure, per il cancro. Qualcosa che si potesse fare. Il cancro non l’avrebbe lasciata sul pavimento del bagno con un rasoio ben serrato in mano. Minako aveva una malattia molto peggiore del cancro, e più subdola, che l’aveva fatta marcire dentro e non aveva lasciato tracce fuori.
« Un incidente? »
« Non esattamente. »
Per niente. Era stato intenzionale, e malizioso, e anche egoista. Cattivo.
« Allora cosa le è successo? »
« Eh, è una storia lunga. »
Minako ha incontrato Yasuhiko; Yasuhiko era cattivo. Fine. Comunque, Yoshida aveva capito che era meglio lasciar perdere l’argomento, e si era deciso a cambiarlo.
« Dimmi qualcosa di te, allora. Non ti piace il rosa, immagino, come le altre. Che altro nascondi sotto la divisa? »
Ecco. Io ero l’intrusa. Non mi trovavo. Non riuscivo a trovarmi. Apparentemente ogni sforzo che avrei dovuto fare per sembrare una normale ragazza della Juuban era andato in fumo, perché non riuscivo a conversare, non riuscivo a parlare, non con naturalezza. Parlavo giusto con Makoto, con Ami, con Usagi, e comunque senza dire niente di me. Che nascondo sotto la divisa? Non lo sapevo. Perché non riuscivo a farlo, a parlare con le persone? Minako lo faceva – più facilmente di chiunque di noi.
« Cosa vuoi sapere? »
« Qualsiasi cosa. Dimmi perché sei qui. Non eri più felice alla T•A? »
Yoshida aveva un modo di parlare che rendeva impossibile non prestargli attenzione. Non  era qualcosa che avrei chiamato figo, quanto piuttosto… accattivante. Il tono della sua voce era una nota perfetta, e so che sembra sciocco da dire ma era così, non  riuscivo a non sedermi accanto a lui e sentirmi immediatamente meglio.
La maggior parte delle persone mi attraversavano e basta, con lo sguardo, mentre lui mi guardava dritta negli occhi. A volte pensavo perfino che sbattessimo le palpebre nell’identico momento, perché non l’avevo quasi mai visto farlo. Era snervante. Non riuscivo a fingere di non avere farfalle nello stomaco. Volevo vomitarle.
« Non è importante. »
« Lo è. »
« L’ho chiesto io, di tornare. Minako è la cosa più vicina ad una sorella che abbia mai avuto. Volevo restarle vicino. »
« Minako è un bel nome. Mi piace. Anche lei mi piaceva. Mi dispiace tanto. » Sorrise leggermente, come se ci fossero bei ricordi appiccicati alle sue parole. Forse, dopotutto, in lui avrei trovato un complice. Forse se Minako avesse legato con Yoshida non sarebbe stata lanciata in un pozzo nero. Era lei a dover flirtare. Non io. Se Yoshida parlò ancora, quel giorno, non sentii parole.

Nella prossima parte, da 6 a 10: Rei conosce meglio Yasu e Yoshi. Viene svelata una parte delle motivazioni del male di Minako. Ami prende una decisione con Makoto e Rei, e Usagi fa per la prima volta il suo ingresso in scena.
   
 
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