• Nickname dell'autore Chloe R Pendragon.
• Titolo Errare
è umano.
• Lunghezza 1642
parole.
• Genere Drammatico,
Horror, Introspettivo.
• Avvertimenti Contenuti forti.
• Rating Arancione.
• Credits Il
testo non contiene citazioni.
• Note dell'autore Nessuna.
• Sinossi In un futuro apocalittico, la lotta
tra uomini e zombie imperversa, spingendo i superstiti ad uccidere senza pietà
tanto le creature quanto i possibili infetti. A tutto questo si oppone Michael
Connelly, padre di famiglia disgustato dalle carneficine che si susseguono
giorno dopo giorno. Egli è convinto che le parole siano più efficaci delle
armi, poiché anche quei mostri erano stati umani un tempo, per cui è possibile
che parte della loro anima sia ancora presente. Sarà davvero così? E se un
giorno un morto vivente mettesse a repentaglio la vita di sua figlia Evelyn,
Michael riuscirebbe a tener fede ai suoi ideali, apparentemente tanto nobili?
Errare è umano.
«Che
cosa è successo, papà? Sei tutto sporco di sangue!», domandò Evelyn con la voce
impastata dal sonno, l’esile corpo rannicchiato sul letto in preda ai
singhiozzi.
Michael
le sorrise mesto, imprecando tra sé: non era giusto che una bambina di soli
cinque anni dovesse vivere in una realtà tanto spaventosa. Quale dio poteva
permettere queste atrocità?
«Non
è niente tesoro, papà ha cacciato altri zombie. Ora se ne sono andati, non c’è
più alcun pericolo.».
Era
vero, non si vedevano abomini nelle vicinanze, eppure gli parve una misera
bugia.
Da
quando era iniziato quell’incubo, non passava giorno senza che venissero
attaccati; fino ad allora, Michael era sempre riuscito ad allontanarli senza
doverli eliminare, circondando la casa con palizzate e fossati o sparando
qualche colpo di fucile per rallentarli. In quell’occasione però fu costretto a
sporcarsi le mani: in cuor suo sapeva di non aver avuto alternative, poiché
doveva proteggere Evelyn, eppure non riusciva a darsi pace.
Era
sempre stato convinto che persino quelle creature, nonostante il loro aspetto
mostruoso, potessero avere un’anima, dato che un tempo anch’esse erano state
umane. Quella sera comprese che si era sbagliato e che in loro non era rimasto
più nulla delle persone che erano state in passato.
Per
come la vedeva lui, non esisteva uomo degno di quel nome capace di attaccare
una bambina: evidentemente quella “malattia” era in grado di trasformare gli
infetti in morti viventi privi di umanità.
Il
problema maggiore era che pure i superstiti stavano smarrendo se stessi,
uccidendo senza scrupoli coloro che una volta erano fratelli, mogli, figli o
amici: quel giorno, al di là delle motivazioni che lo avevano spinto, anche
Michael era diventato un assassino!
Quella
devastante consapevolezza rievocò incessantemente i ricordi di quella sera,
amplificando la morsa che gli stringeva il cuore.
Rivedeva
il cadaverico corpo muoversi barcollante verso di lui, gli occhi vitrei fissi
sulla preda come quelli di una leonessa che si avvicina lentamente ad una
gazzella; invano aveva cercato di instaurare un dialogo con quella creatura, la
quale avanzava imperterrita verso di lui.
Forse
per incoscienza o forse per eccesso di fiducia, questo egli non lo sapeva,
tuttavia si era ostinato ad usare le parole invece delle pallottole, convinto
di poter fermare quell’essere senza ricorrere alla violenza.
Era
determinato a porre fine a tutto quel sangue versato, a tutto quell’odio, a
tutta quella paura: pensava che gli altri sopravvissuti fossero ciechi, non
accorgendosi di essere stato lui il primo a non voler guardare in faccia la
realtà.
Fu
solo l’arrivo della piccola Evelyn ad aprirgli gli occhi, poiché, nel sentire
quella candida voce, lo zombie smise di prestare attenzione a Michael e si
dedicò alla ricerca della bambina; in quell’attimo, egli fu pervaso dal terrore
di perdere anche la figlia, dopo aver visto sua moglie perire davanti ai suoi
occhi.
Allora
era stato colto alla sprovvista e non poté fare altro che guardare, ma in
quell’occasione non sarebbe rimasto con le mani in mano: senza neppure
rendersene conto, imbracciò il fucile e sparò all’impazzata contro le gambe del
mostro, in modo da farlo cadere.
Sapeva
di non averlo eliminato, non poteva uccidere in quella maniera chi era già
morto; tutto ciò che gli interessava era guadagnare tempo per barricare in casa
la bimba, così da metterla al sicuro.
Ignorò
le lamentele di Evelyn ed i versi rabbiosi della creatura, intento com’era a
sprangare la porta. Terminata la procedura, si voltò, notando con una smorfia
che il nemico era di nuovo in piedi e lo stava puntando.
Cominciò
a correre verso il capanno degli attrezzi, l’unico luogo all’interno del suo
terreno in cui avrebbe trovato l’arma giusta per finire il lavoro. Per il bene
della sua bambina, doveva annientare lo zombie che invadeva la sua proprietà,
le sue convinzioni ormai non contavano più.
Attraversò
la porta spalancata e si lanciò verso il muro di fronte, dove si trovavano
arnesi di diversa natura, dai rastrelli alle seghe, dai martelli ai picconi.
Quando trovò ciò che stava cercando, Michael afferrò con fermezza l’impugnatura
e voltandosi, sollevò l’ascia sopra la sua testa, pronto a colpire il nemico
che arrancava per raggiungerlo.
Bastò
che il mostro lo prendesse per le spalle e la lama calò inesorabile, recidendone
il livido braccio: la creatura emise un grido disumano, ma lui non si fermò e,
sollevando nuovamente l’arma, tagliò pure l’altro arto.
La
sua mente era completamente ottenebrata, smarrita nella furia omicida e nei
ricordi che lo legavano a quel luogo, mentre si avventava sul cadavere gemente,
facendolo a pezzi senza pietà …
«Dov’è
la mamma?»
La
domanda di Evelyn lo riscosse da quel vortice di pensieri, colpendolo come un
pugno nello stomaco; con un sorriso forzato, cercò di darsi un contegno e di rispondere
con un tono dolce ma fermo.
«Mamma
è andata a trovare i nonni, vedrai che appena potrà, tornerà qui con noi. Ora
pensa a dormire, chiacchierona che non sei altro: papà si lava e ti raggiunge
subito, va bene?».
Attese
che la figlia annuisse, poi le augurò la buonanotte e, spegnendo la luce, uscì
dalla camera per dirigersi spedito verso la doccia. Si tolse in fretta i sudici
vestiti e si lasciò avvolgere dal tepore del getto d’acqua, sfregandosi
energicamente la pelle sporca del sangue della creatura.
I
pensieri non gli diedero tregua neppure in quel frangente, trascinandolo
bruscamente in quel maledetto capanno, teatro della tragedia di cui era lo
sciagurato protagonista.
Rivide
sua moglie Lois, una volta serena e spensierata, che misurava la stanza a
grandi passi, visibilmente agitata; ricordò come le si era avvicinato
lentamente, cercando di afferrarla per le spalle per farla tornare in sé.
Lei
continuava ad evitarlo, facendo piroettare ovunque quegli scintillanti occhi
blu per i quali Michael aveva perso la testa anni prima. Si muoveva
incessantemente, delirando sulla morte, sull’amore e sulle cose che andavano
fatte; lui non riusciva a capire cosa stesse mormorando, credeva fosse
semplicemente spaventata dall’epidemia che andava diffondendosi.
E
mentre lui cercava di placarla con parole cariche di speranza e di fiducia
nell’umanità, lei si girò improvvisamente, le lacrime che scorrevano copiose
lungo il volto tirato e pallido. Lo fissava disperata , la palma sinistra
puntata verso di lui, tenendo l’altra nascosta dietro la schiena.
Lo
shock che provò quella volta fu quasi palpabile, come la mano di un gigante che
lo stritolava, impedendogli di muovere un muscolo; cercò di dire qualcosa,
qualunque cosa, ma dalla sua bocca non uscì nulla, era completamente
paralizzato.
Se
solo avesse parlato, se solo non l’avesse lasciata fare …
Sotto
quell’acqua calda, Michael si morse il labbro inferiore e si massaggiò
vigorosamente i corti capelli neri: voleva rimuovere dalla sua testa quei
terribili ricordi insieme ai grumi di sangue, ma non ci riusciva.
Non
poteva cancellare quel dolore, non poteva lavare via quelle colpe di cui si era
macchiato: era stato debole, egoista, stolto, ed Evelyn aveva rischiato di
morire per questo! Quei pensieri lo avrebbero condotto alla follia, ed in cuor
suo sentiva di meritare quel destino …
Era
stato il suo silenzio ad uccidere Lois, non il virus: lei era terrorizzata e
lui non era riuscita a confortarla, per questo lei si era puntata la pistola
alla tempia destra e si era sparata!
Era
responsabile della morte di sua moglie, ma era stato troppo vigliacco per
ammetterlo: si era persino rifiutato di seppellirne il cadavere, lasciandolo in
quel capanno maledetto.
Peggio
ancora: si era limitato a chiuderlo con un chiavistello, lasciando uno
spiraglio aperto così da infilargli i generosi avanzi dei pasti. Perché lui
continuava a preparare cibo per tre persone, dicendo ad Evelyn che si allenava
in vista del ritorno di mamma: che persona meschina che era …
Quelle
bugie, raccontate per non turbare la figlia, erano il suo modo per negare la
realtà, senza pensare minimante alle conseguenze che ciò avrebbe avuto. Con
tutti gli attrezzi che avevano, era evidente che prima o poi il chiavistello
non sarebbe bastato a chiudere la porta, ma la sua mente era ottenebrata dal
furore per pensarci.
Persisteva
nel costruire palafitte e fossati, in modo da proteggersi dagli zombie
all’esterno, dimentico della serpe che andava allevando in seno.
Era
impazzito, quella era la verità: come si spiegava altrimenti la gioia provata
nel vedere Lois uscire dal capanno, il sangue rappreso sulla testa e lungo i
capelli un tempo biondi, lo sguardo vuoto ed il viso cadaverico? Come spiegare
la sua ostinazione nel raccontarle aneddoti della loro vita coniugale, mentre
lei gli andava incontro famelica?
Se
la sua bambina non lo avesse chiamato in preda al panico, forse si sarebbe
accorto troppo tardi dell’enorme sbaglio compiuto. Avrebbe dovuto farla a pezzi
e seppellirla prima che diventasse uno zombie senz’anima, invece di negare a se
stesso la vera natura dei segni che Lois aveva sulla mano sinistra. Era chiaro
come il sole che fossero morsi, ma lui non poteva accettarlo: il valoroso
Michael Connelly, che aveva realizzato tutte quelle barricate contro i mostri,
non poteva aver fallito nella sua opera di protezione.
Era
tardi per piangere sul latte versato, doveva assumersi le sue responsabilità ed
andare avanti; doveva farlo per se stesso, per la sua amata Lois e per la loro
meravigliosa bambina.
Se
si fosse abbandonato allo sconforto, chi avrebbe protetto la sua piccola? No,
non poteva perdere anche lei: alla fine era riuscito a fare ciò che andava
fatto, per quanto doloroso fosse e nonostante tutti i suoi sbagli, questo era
ciò che contava.
In
fin dei conti, come poteva lui, che tanto difendeva l’umanità, andare contro la
sua stessa natura; non si è sempre detto che “errare è umano”?
Con
un gesto secco, chiuse i rubinetti ed uscì dalla doccia, asciugandosi
blandamente ed indossando degli indumenti puliti, per poi raggiungere Evelyn.
Entrando nella stanza, si soffermò a guardarla e comprese che era giusto così:
dovevano sopravvivere a quell’inferno, in nome dei caduti, senza però smarrire
se stessi.