Premessa. Consiglio di pigiare QUI e di ascoltare
questa canzone durante la lettura, perché questa canzone è veramente
meravigliosa <3
Say Something
(I’m giving up on you)
And I am feeling so small
It was over my head
I know nothing at all*
Gale
appoggiò a terra la borsa con le erbe da scambiare e prese posto sui gradini
d’ingresso. La porta chiusa smorzò il piagnucolio isterico di Posy e le parole
di conforto di Hazelle, che stava cercando di
calmarla ormai da diversi minuti. Sua sorella aveva appena pochi giorni, ma
strillava già con un’energia che avrebbe fatto invidia al più resistente dei
lavoratori. Suo padre probabilmente avrebbe riso, vedendola così forte e
ostinata. Se ne sarebbe infischiato delle notti insonni e l’avrebbe cullata con
orgoglio, vantandosi dei primi accenni già evidenti del suo carattere in pieno
stile Hawthorne.
Il lieve abbozzo di sorriso che quel pensiero aveva ritratto sul volto di Gale
sfumò quasi subito e l’espressione del ragazzo tornò ad indurirsi. Si sfregò le
mani per scaldarle e si appoggiò sulle ginocchia il piccone che aveva con sé,
per esaminarlo. Suo padre l’aveva sostituito da poco: il legno era ancora in
buone condizioni e anche la parte di metallo non sembrava passarsela troppo
male. Non avrebbero ricavato molto, vendendolo, ma anche poco era pur sempre
qualcosa al pensiero dell’inverno rigido che li attendeva. Questo, quantomeno,
era ciò che si era sorpreso a ripetere a sua madre, per cercare di convincerla
– di convincersi – a darlo via. Eppure in quel momento esitava, indugiando su
quei gradini come se si aspettasse che, da un momento all’altro, qualcuno
sarebbe uscito per fargli cambiare idea. Perché quel piccone, così come gli
altri arnesi da lavoro di Joel Hawthorne, era
rimasto al suo posto, vicino alla porta per quasi quindici giorni. Nessuno
voleva toccarli o spostarli, in un disperato tentativo di mimare la presenza di
qualcuno che non sarebbe più tornato. Spesso, Gale aveva sorpreso Vick seduto
vicino agli arnesi: di tanto in tanto lo aveva sentito parlare e rivolgersi a
suo padre, raccontandogli della sua giornata o di quello che avrebbe fatto
l’indomani. Pensò proprio a Vick, mentre si rigirava il piccone fra le mani,
scrutandolo con rabbia – rabbia e senso di colpa. Se l’avesse venduto, suo
fratello sarebbe stato il primo ad accorgersi che mancava qualcosa, fra gli
oggetti da lavoro del padre. A convincerlo, tuttavia, era stato proprio
l’atteggiamento del ragazzino. Da quando Joel era morto, Vick aveva atteso il
suo ritorno ogni sera, appollaiato sui gradini d’ingresso, ignorando i colpi di
tosse e il freddo invernale per essere il primo ad accogliere il padre, quando
avrebbe finalmente fatto ritorno dalla sua famiglia. Eppure, quel pomeriggio,
non l’aveva aspettato. Era rimasto in casa, e si era rannicchiato sotto le
coperte, succhiandosi il pollice, come faceva quando era ancora molto piccolo.
Gale aveva registrato quel comportamento come un cenno di resa: poteva vendere
i picconi. Poteva dare via una delle poche parti di suo padre che ancora gli
restavano.
Strinse
più forte l’estremità del manico, fino a farsi impallidire le nocche. Le sue
mani – grandi e resistenti, per l’età che aveva – sembravano insolitamente
piccole, così avvolte attorno quel legno. Fece per alzarsi, deciso a recarsi
verso il Forno, ma ancora una volta una punta d’incertezza lo trattenne. Si
infuriò, per quell’esitazione. Perfino Vick, che aveva appena sei anni, stava
incominciando ad arrendersi, ad accettare che suo padre fosse morto e che
aggrapparsi a quel poco che rimaneva di lui - una manciata di picconi usati e
degli abiti di lavoro sporchi di carbone - non sarebbe servito poi a molto. La
stessa Hazelle gli aveva messo fra le mani l’arnese
che adesso stringeva convulsamente, con sguardo segnato dal senso di colpa.
“Dobbiamo
lasciarlo andare” si era arresa sfiorandogli il braccio, la donna che ogni sera
accarezzava la parte vuota di materasso al proprio fianco, come a voler dare la
buonanotte all’uomo che l’aveva occupata per anni. Mollare la presa, cadere e
rimettersi in piedi era l’unico modo che avevano per andare avanti; sua madre e
i suoi fratelli stavano incominciando ad accettarlo. E allora perché lui non ci
riusciva?
Si
alzo con gesti quasi meccanici, scrollandosi di dosso l’indecisione e i primi
fiocchi di neve della stagione, che avevano incominciato a dondolarsi nell’aria
da quel mattino. Prese la borsa e percorse a passo svelto la zona del Giacimento
in cui viveva, rigirandosi il piccone fra le mani.
Perché non era giusto, formulò mentalmente mentre la rabbia contraeva i suoi
lineamenti. Si fermò a metà strada, rivolgendo un’occhiata ostile alla
recinzione elettrificata in lontananza. Perché
era arrabbiato, arrabbiato e deluso. Deluso da suo padre, che si era ribellato alle imposizioni
delle miniere per anni, per poi morirci, abbandonando la sua famiglia. Deluso
da sua madre, che aveva acconsentito a sbarazzarsi di quel poco che era rimasto
di lui – nonostante rinunciasse a pensarlo, a compiangerlo solo per restare in
piedi, per sostenere i suoi figli. Deluso da se stesso, perché sapeva che era
arrivato il momento per lui di fare altrettanto. Suo padre era morto e non
c’era nessuno su cui poter sfogare la rabbia che quel tradimento gli aveva
impresso addosso. Perché, per Gale, morire
e tradire suonavano allo stesso
modo, quando entrambi significavano lasciare.
Prima
che potesse rendersi conto di ciò che stava facendo, strinse con collera il
manico del piccone e lo affondò nel terreno.
“Non potevi aspettare ancora un po’?” esplose,
spingendolo a terra con un calcio. “Eh? Tua moglie era incinta. Avevi due
bambini piccoli.”
Diede
un altro colpo al piccone, prima di estrarlo con uno strattone dal terreno: era
sporco, ma i suoi colpi non l’avevano nemmeno danneggiato. Nell’accorgersene la
sua rabbia crebbe, invece che lasciare il posto al sollievo. Perfino il
pensiero di poter guadagnare qualcosa da quegli attrezzi era calato in secondo
piano. Non era per i soldi che lui e sua madre avevano deciso di darli via. Il
loro era un gesto di resa. Stavano rinunciando a lui, così come aveva fatto
quel pomeriggio Vick, scegliendo di non sedersi sui gradini d’ingresso per
aspettare il ritorno del padre.
Di’ qualcosa, papà: ti sto lasciando andare.
Gale
ricacciò indietro la rabbia con un sospiro e riprese a camminare. L’esitazione
che l’aveva trattenuto al principio sfumò gradualmente, man mano che si
avvicinava al Forno.
Nel
corso dei giorni successivi, e dei mesi a seguire, quella situazione si
verificò più volte e, a ogni tragitto, il dolore, la rabbia e il senso di colpa
venivano meno, lasciando il posto alla determinazione e a un grande senso di
vuoto che in alcuni momenti riusciva perfino a stordirlo, collaborando con il
freddo sempre più pungente dell’inverno.
A
più riprese la rabbia riapparve, spingendolo ad aggrapparsi al pensiero del
padre, per fare in modo che non svanisse. Di tanto in tanto si sforzava di
ricordarlo, nelle domeniche di caccia assieme a Katniss o quando prendeva il
suo posto nel sostenere con fermezza Posy, mentre la sorellina tentava i primi
passi. Ma più il tempo trascorreva, più il ricordo del padre si assottigliava,
estendendo la sensazione di vuoto che la sua perdita gli aveva cucito dentro. Di’ qualcosa, pensava in quei momenti,
aggrappandosi a quei ricordi.
Ma
Joel Hawthorne non disse mai nulla. E Gale, alla
fine, lo lasciò andare.
*
Il
campo adiacente alla piattaforma che portava al Distretto 13 ospitava una
ventina di ragazzi e uomini in divisa, circondati dalle rispettive famiglie.
Nel giro di mezzora, l’hovercraft alle loro spalle li avrebbe trasferiti
all’accademia di aeronautica militare del Distretto 2.
Gale
analizzò il gruppetto con lo sguardo mentre si avvicinava, passandosi la
tracolla del borsone da una spalla all’altra. Al suo fianco, Rory camminava con espressione imperscrutabile, le mani in
tasca e i capelli corti un po’ arruffati sul davanti. Li aveva spuntati di
recente e il nuovo taglio gli conferiva un’aria un po’ più adulta. Anche nel
suo sguardo c’era qualcosa di nuovo che lo faceva sembrare più grande. Forse
era la sofferenza – quella punta di dolore che cerchiava i suoi occhi, così
come quelli di Gale, da quando Prim era morta. O
forse era solo il fatto che stesse crescendo. In fondo aveva tredici anni e
mezzo, quasi quattordici, ormai.
“Quanto
starai via?” esordì in quel momento il
minore dei due fratelli. Gale non rispose subito. Quando gli era stato proposto
di spostarsi nel Distretto Due, per l’addestramento come pilota militare, aveva
accettato subito e si era inserito nel primo gruppo di partenze, nonostante Hazelle gli avesse chiesto più volte di rimandare almeno di
qualche settimana. Aveva bisogno di trascorrere un po’ di tempo per conto suo e
l’unica certezza che aveva sul suo futuro era il fatto che non sarebbe tornato
a vivere al Distretto 12. La guerra li aveva cambiati entrambi - lui e il posto in cui era cresciuto –
distruggendo parti di loro che, Gale lo sapeva, non sarebbero stati in grado di
ricostruirsi a vicenda. Nel corso delle ultime settimane aveva accantonato il
pensiero di non tornare soltanto una volta, durante l’ultima conversazione
avuta con Katniss. Quando lei gli aveva chiesto delle bombe aveva esitato, proprio come quel pomeriggio
di sei anni prima, quando si era ritrovato di fronte a casa con uno dei picconi
di suo padre fra le mani e la speranza silenziosa che qualcuno lo raggiungesse
per impedirgli di venderlo. Aveva atteso che Katniss gli dicesse qualcosa, che
negasse le sue parole o mostrasse, in qualche modo, che non gli avrebbe permesso
di lasciarla andare. Ma a rispondergli, ancora una volta, era stato solo il
silenzio. Così l’aveva fatto: aveva detto addio anche a lei.
“L’addestramento
dura parecchio” si limitò a rispondere, abbozzando un mezzo sorriso in
direzione del fratello. “Quasi un anno in tutto.”
“Ma dopo tornerai, no?” chiese ancora Rory, tenendo d’occhio la sua reazione. “Voglio dire…
potrai chiedere di farti trasferire al Dodici, non appena avrai terminato
l’addestramento. Giusto?”
La
sua espressione si fece nervosa quando il fratello continuò a non rispondergli.
“Giusto?”
ripeté, smettendo di camminare. Gale si fermò a sua volta, convincendosi
finalmente a voltarsi verso di lui.
“Non
posso tornare al Distretto 12” rispose infine, sostenendo lo sguardo insistente
di suo fratello. Il silenzio si frappose fra di loro per qualche istante,
mentre il ragazzino assimilava la notizia.
“Perché?”
sbottò infine il minore dei due. Gale scosse il capo, spostando lo sguardo in
direzione del gruppo di soldati.
“Perché
per me è morto, Rory” ammise, tornando a voltarsi
verso il fratello. Il ricordo dei
cadaveri carbonizzati accumulati lungo le strade del Giacimento lo sorprendeva
ancora spesso, specialmente la notte. Il boato delle bombe incendiarie si
confondeva con il fragore dell’esplosione che aveva ucciso suo padre,
sovrapponendosi al fragore insistente delle sirene d’allarme – nelle miniere
del Dodici, come nell’Osso – e alle urla dei bambini di Capitol City. Ogni
notte la sua mente ricomponeva un mosaico di morte, esplosioni, grida e dolore,
in parte causati da lui. Tornare al Dodici, dove lo attendevano solo l’odore di
morte e di cenere e sguardi
probabilmente ostili, non avrebbe fatto altro che intensificare quei
flashbacks. Il Distretto 12, ormai, per lui non esisteva più. L’aveva lasciato
andare, così come, da ragazzo, aveva dovuto fare con il ricordo di suo padre. “Tornarci mi farebbe solo stare peggio.”
“Lasciaci
venire con te, allora” rispose Rory, dando una
scrollata di spalle. “In fondo nemmeno noi abbiamo più una casa.”
Gale
scosse il capo.
“Casa vostra è ancora il Distretto 12”
rispose.
“Casa
nostra eri tu” replicò il fratello, allontanandosi bruscamente dalla sua presa.
“Perché non la pianti di raccontarmi palle e non dici la verità, eh? Perché non
ammetti che non ci vuoi fra i piedi?”
“Perché non è così!”
ribatté Gale, incominciando ad apparire
teso. “Ma se veniste a stare da me ora, peggiorerei solo le cose. Non potrei
prendermi cura di voi.”
“E lasciandoci soli le
cose le migliori, invece, vero?” gli sputò contro Rory.
“Beh, la sai una cosa? Vaffanculo” esplose infine, rabbia e dolore a
contendersi la sua voce. “Sei un fottuto egoista!”
Si
gettò in avanti per spintonarlo e Gale lo lasciò fare. Il suo non reagire non
fece altro che alimentare la collera di Rory, che si
scagliò nuovamente contro di lui. Il fratello si limitò a parare il colpo,
senza scansarsi o cercare di trattenerlo. Non voleva fermarlo o andarsene,
abbandonandolo mentre era in preda alla collera. A tredici anni, quando una rabbia simile a
quella di Rory l’aveva scosso con violenza, Gale se
l’era presa con un piccone di legno. Suo padre era già morto e non avrebbe più
potuto insultarlo o prenderlo a pugni, per essere stato lasciato solo. Suo
fratello meritava di avere qualcuno contro cui inveire. Perciò rimase. Rimase
fino a quando le urla di Rory non si estinsero.
“Di’
qualcosa!” gridò infine il minore, squadrandolo con astio. Le lacrime che, fino
a quel momento, si era scontrosamente sforzato di arginare, gli rigarono le
guance. Gale cercò di placare la sfuriata del fratello bloccandogli le braccia,
prima di tornare a posargli le mani sulle spalle.
“Ascoltami
bene,” incominciò, sostenendo con fermezza il suo sguardo. “Non vi sto
lasciando: né ho intenzione di farlo. Potrete venire a stare da me dopo il periodo
di addestramento, se lo vorrete. E mi farò sentire spesso.”
Rory scosse il
capo.
“Hai fatto tutto tu” ribatté poi, squadrandolo
con espressione ostile. “Non ci hai nemmeno chiesto che cosa ne pensassimo noi.
Come sempre.”
La
determinazione nello sguardo di Gale sfumò, aggredita dal senso di colpa.
“Mi dispiace, Rory” rispose infine, stringendogli con
affetto una spalla. Suo fratello sbuffò e distolse lo sguardo, mettendosi a
braccia conserte. Vennero distratti entrambi
dai movimenti di alcuni soldati che stavano incominciando a caricare i
bagagli sull’hovercraft. Rimasero ad osservarli in silenzio per qualche minuto,
fino quando un paio di uomini non fecero cenno a Gale di raggiungerli. Il
ragazzo sospirò, passandosi una mano dietro la nuca. Guardò a lungo suo fratello: Rory continuò ad ignorarlo, scrutando collerico il gruppo
di futuri piloti.
“Devo andare, adesso” mormorò infine il
maggiore dei due, cercando di incrociare il suo sguardo. Rory
si strinse nelle spalle.
“Allora
vai” ribatté scontrosamente, indicando l’hovercraft con un cenno brusco del
capo. Gale sospirò, prima di squadrarlo a lungo un’ultima volta. Infine gli
diede un pugnetto giocoso sul braccio. Rory roteò gli
occhi e lo scrutò infastidito, ma alla fine si arrese e restituì il colpo. Si
punzecchiarono per qualche minuto, dandosi pugni e spintarelle tuttalpiù
innocue, fino a quando Gale non attirò a sé il fratello minore, stringendolo in
un abbraccio. Rory ricambiò la stretta, nascondendo
il volto umido di lacrime nella felpa del maggiore.
“Scusami”
mormorò in quel momento Gale, circondandogli le spalle con un braccio. Rory tirò su col naso e annuì, separandosi da lui.
“Prenditi
cura di loro” si fece promettere a quel punto il maggiore, arruffandogli i
capelli. Era quello il modo in cui
avrebbe voluto dire addio a suo padre, quando era ragazzino. Gli sarebbe
piaciuto poterlo salutare con un sorriso malinconico e un abbraccio. Con un
pugno scherzoso sulla spalla e i capelli spettinati dalle mani callose – da
minatore – dell’uomo. Rory annuì di nuovo, prima di
stringersi nelle spalle.
“Ma
tu non smettere di prenderti cura di me” rispose infine, distogliendo
imbarazzato lo sguardo. Suo fratello gli sorrise, stringendogli un' ultima volta
una spalla.
“Non
lo farò” rispose, recuperando l’espressione determinata di sempre. “Te lo
prometto.”
*
Rory si asciugò gli occhi con un gesto brusco della mano,
osservando con astio l’hovercraft in partenza. Gli diede poi le spalle e
incominciò ad incamminarsi verso il bosco, l’unico luogo in cui, ne era certo,
avrebbe potuto stare un po’ per conto proprio.
Rory tornò a
vivere nel Distretto 12 assieme al resto della famiglia meno di due mesi più
tardi. Gale aveva avuto ragione: non
erano più a casa, lì. Nonostante i lavori di ricostruzione fossero iniziati da
settimane e alcune zone stessero lentamente rifiorendo, gli Hawthorne
non avevano più la loro vecchia abitazione. Non c’era più il Giacimento, non
c’era più Prim e, da quando si era trasferito, per Rory non c’era nemmeno più suo fratello. Gale mantenne
comunque la sua promessa e continuò a tenersi in contatto con loro. Di tanto in
tanto Rory, sua madre e i suoi fratelli prendevano il
treno per raggiungerlo al Distretto 2, ma lui non venne mai a trovarli nel
Dodici. Più il tempo passava, più la rabbia e il dolore che Rory
aveva provato al momento della partenza di Gale si affievolivano, sostituiti
dal senso di responsabilità per l’essere diventato il fratello maggiore e da un
fastidioso senso di vuoto che si sforzava in tutti i modi di ignorare.
Trascorreva la maggior parte delle sue giornate a bighellonare per i boschi,
talvolta con Vick, talvolta da solo. In quei momenti gli veniva spontaneo
ripensare a suo fratello – all'espressione rilassata che sembrava assumere solo
quando superavano la recinzione di sfilo spinato o ai pugnetti scherzosi che si
davano per stuzzicarsi a vicenda. Più il tempo trascorreva, tuttavia, e più il
ricordo di quei momenti passati assieme si faceva distante. Vivere senza Gale
diventò presto un'abitudine e la sensazione di vuoto che il suo trasferimento gli aveva impresso
si fece giorno per giorno meno intensa. Ogni tanto la rabbia e un forte senso
di nostalgia tornavano, tuttavia, a fargli visita. In quei momenti prendeva il
telefono e chiamava il fratello, perdendosi in conversazioni lunghe, ma spesso
intervallate da silenzi che avevano dimenticato come riempire. Di’ qualcosa, lo supplicava mentalmente Rory, durante quei vuoti di parole. Sperava che qualche sua
frase gli avrebbe lasciato intendere che presto suo fratello sarebbe
tornato a casa. Sperava che gli dicesse che aveva bisogno di stare con loro,
quanto loro ne avevano di riaverlo indietro.
Ma Gale Hawthorne non disse mai nulla. E Rory, alla fine, lo lasciò andare.
Say
something, I'm giving up on you
I'm
sorry that I couldn't get to you
Anywhere
I would've followed you
Say
something, I'm giving up on you*
__________
* “Say Something” A
Great Big World feat. Christina Aguilera.
Nota
dell’autrice.
Buongiorno!
Sono tornata a rompere le scatoline con altre storie sulla famiglia Hawthorne. Questa storia, in realtà, era nata per essere
una Everthorne. La canzone che mi ha ispirato, Say Something, mi è sempre
sembrata perfetta per Gale e, in particolare, per Gale e Katniss, ma alla fine
– tanto per cambiare – ho concluso per scrivere qualcosa sulla mia famigliola
preferita in generale. Nel racconto ci sono un paio di riferimenti ad altre one-shot scritte in precedenza, sempre dedicate ai sei Hawthorne: l’immagine dei picconi e delle divise da lavoro
di Mr. Hawthorne fa riferimento a Torna a Casa
e a Piccoli
Uomini. Anche le varie menzioni a Vick si rifanno a Piccoli Uomini ma,
soprattutto, a The Winner Loses it
All. Infine, l’ultima parte potrebbe essere
considerata un po’ un preludio all’epilogo di E.Y.E.S. O.P.E.N.
dove si accenna al rapporto che avranno Gale e Rory
quando quest’ultimo sarà cresciuto. Joel è il nome che ho scelto di dare a Mr. Hawthorne nei racconti in cui fa comparsa. Che altro
aggiungere? Secondo il mio head-canon personale, come
era già stato menzionato in Forse Sbagliano
anche gli Angeli, Gale presterò servizio come pilota militare al Distretto
2 per 10 anni, prima di tornare al Distretto 12. Ecco perché all’inizio della
seconda parte di questa one-shot parla con Rory di addestramento e di un’accademia di aeronautica
militare. Di Rory non sappiamo molto, ma l’ho sempre
immaginato molto legato al fratello e, anche se non sappiamo se lui e il resto
della famiglia siano effettivamente tornati al Distretto 12 dopo la guerra, mi
piace pensare che sia così. Ci tenevo a creare una sorta di parallelismo fra Rory e Gale, visto che nei due momenti di cui ho parlato in
questa storia hanno pressappoco la stessa età. Credo di aver detto tutto!
Grazie
infinite a chiunque si sia soffermato a leggere <3 Mi ispira molto il legame
fra i due fratelli e ci tenevo a scrivere qualcosa su loro due!
Un
abbraccio e a presto!
Laura