Serie: Fullmetal Alchemist
Titolo: Just call His Name
Personaggi: Lan Fan!centric, Ling Yao
Warning: Spoiler
per chi non ha visto/letto l'ultimo episodio/capitolo di FMA
Wordcount: 911
Challenge: Writing Stuff Series
Prompt: Day # 4 - « Il popolo si abitua alle
catene. »
Note:
Ambientata dopo la fine del manga, fermatevi qui se non volete scoprire un leggero spoiler~
(ho notato che ambiento tutto ciò che scrivo di notte ed in
una camera. Mmmmmh. Freud avrebbe da dire molto su questo (?) )
Ci tengo a sottolineare una cosina per quel "vincere" finale: chi sa il
latino sa come agli inizi ci si confonda nei paradigmi tra vinco
(vincere) e vincio (legare).
Ecco. Vorrei sottolineare questa somiglianza, che oggi in italiano non
si nota più, che è un po' l'input che mi ha fatto
scrivere questa cosina (?)
Disclaimer:
La serie e i personaggi sono della suprema signora/dea Hiromu Arakawa
-inchin-
E’ facile quando dovere e piacere si fondono negli
ordini che le vengono dati e che lei stessa si impone.
E’ davvero facile.
Ma cosa, di preciso? Mentire a se stessa? Fingere che sia solo
dovere? Negare a se stessa quanto siano importanti quei complici
silenzi, le occhiate rassicuranti di lui, i suoi inteneriti sorrisi, le
suppliche sussurrate, le imperiose negazioni.
Assidua e incrollabile fedeltà, che va ben oltre il mero
dovere di guardia di Ling Yao: e purtroppo se ne è ben
accorta, con suo grande terrore.
Negare sembra la cosa migliore da fare: quando il piacere comincia ad
essere troppo esigente, va domato e controllato.
Lan Fan è abituata: da anni è ormai
estremamente naturale eseguire ogni ordine, seguire ogni passo,
rimanere celata nell’ombra ma sempre presente.
Non notata ed inosservata ai più, ma lui sa che
è lì.
Anche con il buio della notte che cala, Ling potrebbe vedere una volta
ogni tanto, nascosta tra le tenebre, la sagoma di lei che lo sorveglia
con quella che è ormai divenuta amorevole
morbosità.
L’Imperatore se ne è accorto da tempo, e sempre da
tempo ha fatto chiarezza su ciò che lui desidera: Greed
non era l’unico cui l’avidità era sempre
stata fedele compagna.
Semplice.
Meno semplice però che Lan Fan sia vittima e complice
dell’avidità.
Ha imparato la routine della sua guardiana: si rannicchia a lato del
divanetto coperto di pregiati e setosi oro e cremisi, in mezzo ad
altrettanto sontuosi tendaggi, immobile rimane finché -di
solito si tratta di un paio d’ore- non ritiene che la
situazione sia calma, come sempre è, d’altronde. E
solo un inudibile fruscio preannuncia che sta per lasciare la stanza.
Silenzio, come leonessa pronta ad attaccare con un balzo.
Passa accanto al letto dell’Imperatore, per un secondo volta
lo sguardo sulla figura addormentata -o forse no?- di lui, di nuovo i
suoi occhi vagano scrutando la stanza prima di lasciarla. Lo scatto
della porta è l’ultima cosa che si sente prima del
ritorno del silenzio assoluto.
Lan Fan è metodica e precisa, lo sa.
L’inusuale e l’inaspettato giungono
quando, in una di quelle plurime sere, nel secondo in cui la ragazza si
avvicina al letto per uscire, l’Imperatore in uno scatto
fulmineo afferra con la mano il polso di lei.
Il risultato è istantaneo: un sussulto, l’altra
mano di Lan Fan è già stretta sul pugnale, sembra
quasi che stia ringhiando, in procinto di difendersi.
« Non andare, Lan Fan. »
La voce -un chiaro sussurro- di Ling la immobilizza non appena
pronuncia il suo nome, la presa sul pugnale si fa così
debole che questo cade a terra con un leggero tintinnio metallico.
Un respiro profondo, lo sguardo ancora fisso sulla porta: no, non vuole
affrontarlo direttamente.
Anzi, proprio non vuole affrontarlo.
« Maestà, sapete che non posso. Le altre
guardie potrebbero sospettare qualcosa. »
La sottigliezza della sua voce, un borbottio basso e riluttante,
contrasta così tanto con il tono chiaro e deciso del
sovrano. E lascia intendere troppe, troppe cose che non vanno mai dette
né scoperte.
Andarsene, deve solo andarsene.
Ma muoversi è ancora reso impossibile da Ling stesso che ora
con dolcezza e delicatezza attira verso di sé il braccio di
lei, e di conseguenza la ragazza stessa.
« E’ un ordine, Lan Fan. Resta qui. »
Un'imperiosa supplica, un dolce ordine.
Ah, maledizione.
Non può pronunciare con quel tono il suo nome. Questo
è imbrogliare. E’ come costringerla con catene
invisibili che le impediscono di fare come tanto vorrebbe in quel
momento.
Uscire, fuggire. Pessima idea quella di tornare lì.
Ad accoglierla ora è la morbidezza del velluto e
della seta che ricoprono il materasso altrettanto comodo e morbido.
Inaspettato.
Come le braccia muscolose del sovrano che all’improvviso la
circondano in una gentile e calda stretta, come il volto di lui che si
posa nell’incavo tra spalla e collo di lei, il respiro che le
solletica piacevolmente la pelle.
Lei non può che irrigidirsi, guardare disperatamente la
porta con nella mente il solo pensiero di uscire immediatamente da
quella porta e nascondersi, perché “tutto questo
non è giusto”.
« Maest-… »
« Ling, Lan Fan. Mi chiamo Ling, lo sai benissimo. Devo
ordinarti anche di usare il mio nome? »
Una mano stringe nervosamente -è forse paura, quella?-
quelle coperte preziose, l’altra -l’automail- si
chiude a pugno contro il ginocchio con il sibilare dei cuscinetti delle
giunture metalliche; Lan Fan morde con altrettanta inquietudine le
labbra mentre abbassa il capo di qualche centimetro.
Non capisce se sia rabbia o sollievo, terrore o una qualche sorta di
pace che minaccia di sopraffarla.
No, no. Non si può. E' contro il suo dovere, questo.
« Ling… »
Ancora un sussurro supplicante libertà.
Può sentire benissimo dalla lievissima tensione dei muscoli
del volto di Ling che avverte sulla sua pelle stessa -nonché
immaginare vividamente- il sorriso compiaciuto e vittorioso
dell’Imperatore, le labbra incurvate che si posano sulla sua
spalla coperta dal grezzo cotone nero, leggere ed impercettibili.
Un brivido le percorre la schiena e ogni fibra del suo corpo.
Le potrebbe anche piacere, sì.
« Non posso.»
Bugia.
« Ma io te l’ho ordinato, e tu obbedirai, no?
»
Lan Fan è abituata.
Alle sue stesse bugie e ai suoi desideri addormentati. Agli ordini.
Un sospiro.
Non si è accorta che la sua mano ha artigliato la veste
dell’Imperatore e che la sua fronte si è
appoggiata sull’altrui spalla.
Ah, lui ha vinto. L’ha vinta. Si è lasciata vincere.