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Autore: Elefseya    26/05/2014    1 recensioni
Non è solita, Teru, provare un odio così profondo e radicato. Non è abituata a stringere con rabbia il tessuto che morbidamente la ricopre e tirarselo fin sopra la testa, rannicchiandosi poi su un fianco. Non è nemmeno solita mordersi le labbra tanto da procurarsi da sé dolore.
Afferra il cuscino, attirandolo forte a sé, e un brivido le scuote appena le strette spalle. Gli occhi ora non mettono più a fuoco la luce dell’abat-jour, annebbiati come sono dalle lacrime che incombono e minacciano di uscire.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Teru Kurebayashi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Serie: Dengeki Daisy
Titolo: Con la Rabbia nascosta nel Cuore - Let it all out
Personaggi: Teru Kurebayashi!centric, implicita Tasuku x Teru
Warning:
Spoiler per chi non ha letto il volume 14 di Dengeki Daisy
Wordcount: 764
Challenge: Writing Stuff Series
Prompt: Day # 3 - « Se avessi avuto una pistola! pensavo. Se solo avessi avuto una pistola! Avrei messo fine una volta per tutte alla sua lurida vita di miserabile, se solo avessi avuto una pistola»
Note: I riferimenti sono ai volumi 7-8-9-10 di Dengeki Daisy, e il pretesto del racconto è il capitolo 67 del suddetto manga, chiamiamolo missing-moment m/
Disclaimer: La storia e i personaggi appartengono a Kyosuke Motomi, questa oneshot a me~



« Con la Rabbia nascosta nel Cuore »
Let it all out


« Io so… ciò che prova adesso che è sul fondo. Non posso lasciarlo a se stesso proprio io. »
« Forse io non ce la faccio perché non capisco quello che sta provando… »
« Non è così. Non ho detto questo. »

E poi il silenzio scomodo e frustrante, uno strano freddo separa Tasuku e Teru durante la strada del ritorno verso i rispettivi appartamenti. Addirittura quei “buonanotte” sembrano ghiaccio fatto voce.
Basse, lievi, stridenti e striduli, quasi inudibili. Da lei un’amara sfumatura di rancore, da lui invece una nota di rassegnazione e scuse.
La distanza si fa enorme, seppur li separi soltanto un muro dalla dubbia solidità.
Silenzio.

Teru si rifugia sotto le coperte, nell’ingenua illusione che almeno il soffice piumino possa scaldarla e calmarla tanto da permetterle di addormentarsi.
“Akira.”
Ah sì.
Se si tratta di Akira, quell’odioso ragazzo che pare ora essere la chiave fondamentale di un qualcosa di estremamente pericoloso, Teru comprende che non sarà semplice sbarazzarsi di quella strana sensazione di disagio, che ora prende la forma ben definita e squadrata del rancore.
“Ah…”
Non è solita, Teru, provare un odio così profondo e radicato. Non è abituata a stringere con rabbia il tessuto che morbidamente la ricopre e tirarselo fin sopra la testa, rannicchiandosi poi su un fianco. Non è nemmeno solita mordersi le labbra tanto da procurarsi da sé dolore.
Afferra il cuscino, attirandolo forte a sé, e un brivido le scuote appena le strette spalle. Gli occhi ora non mettono più a fuoco la luce dell’abat-jour, annebbiati come sono dalle lacrime che incombono e minacciano di uscire.
Fa male.

Paura cieca o abissale rancore?
Digrignare i denti le viene fin troppo naturale ora che la sua mente ha deciso di ricordare ogni singola cosa che quel dannato Akira le ha fatto.
Sadicamente lui si era preso gioco di lei ogni volta, l’aveva ferita in ogni modo possibile.

“Mi ha aggredita tante volte.”

Ah sì, il bacio rubato, il minimo che potesse aspettarsi. Improvviso come il fulmine, scioccante come la scossa elettrica.
E poi l’aggressione in ascensore. Se la ricorda ancora fin troppo bene la fitta pulsante alla guancia conseguente al pugno, e ancor meglio rimembra il sapore ferroso e amaro del sangue in bocca. Tutte le volte che le mani di lui si stringevano ai suoi polsi così tanto da provocarle quel fastidioso formicolio che precedeva la ancor peggiore sensazione di non avere più le /sue/, di mani.
Le viscide parole mormorate al suo orecchio, stridule e serpentine, aspre, volgari, nauseanti.
La terrorizzavano ogni volta.

Paura, pare che di nuovo stia prendendo il dominio su di lei, lo si capisce da come si rannicchia ulteriormente e da come serra gli occhi ora gonfi e arrossati, le guance umide che poggiano su un altrettanto umido cuscino.

"Potrebbe rifarlo ancora."

Ma questo è il minimo: non può competere con il momento in cui si rese conto di aver perso il suo Daisy, quel giorno in cui Akira le rubò il cellulare e inviò a Tasuku il lapidario e falso “non posso perdonare chi ha ucciso mio fratello. Per favore sparisci”, fingendo di essere proprio lei.
La presa di coscienza di una verità troppo pesante -e manipolata-, e le conseguenze che essa comportava erano state un fardello insopportabile per il suo perenne salvatore.
Aveva creduto di averlo perso per sempre, non di aver mai più potuto sentire la sua voce, o leggere i suoi messaggi che la confortavano così tanto quando era in difficoltà.
Aveva temuto così tanto di rimanere di nuovo sola.
Così tanto.
Troppo, era stato troppo per lei. Il vuoto che si era creato in quel preciso momento era stato troppo opprimente.
E in quell’istante non aveva mai provato così tanto odio. Neanche quando tempo dopo si ritrovò in quel famoso ascendore con Akira. Neanche quando lei stessa aveva avuto la possibilità di eliminarlo, il dissuasore elettrico nella mano che spasmodicamente lo stringeva.
Sadico senso di speranza, la sua vendetta sarebbe stata ormai vicinissima, se solo avesse avuto il coraggio di seguire il suo istinto.

Paura. Rancore. Tutto cresce e si trasforma in odio.

“Lo odio. Tantissimo. Io non voglio che lo salvino. Non voglio.”

Ah, che egoista, come poteva Tasuku -il suo amato Daisy- non intendere questo, prima?
Bugiardo.

“Sarebbe stato molto meglio se…"

Ci aveva già provato, in effetti. 
Ma ora, al posto di qualsiasi oggetto che potrebbe ferire -uccidere- chi tanto odia, stringe tra le dita il prezioso telefono, suo primo conforto quando di Daisy non conosceva null'altro che le gentili parole che le rivolgeva.

"Non vuoi più salvare me, Daisy?"

   
 
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