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Autore: Ausel    28/05/2014    3 recensioni
Come fossi finita in quel letto, non lo ricordavo più. Mi trovavo in quello stato di sonno perenne che normalmente viene definito "coma". Non parlavo, non mi muovevo e ricevevo il cibo attraverso un apposito tubo. L'unica cosa che mi tenesse ancora in vita era la solita cannula, forse un po' più grande della mia. Un solo gesto e Hazel Grace Lancaster sarebbe definitivamente sparita da questo mondo.,
[Questa fanfiction si è classificata ottava al contest "Segui la corrente" e partecipa al contest "Il giorno che ha cambiato la mia vita"]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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AvvertimentiSPOILER: Come credo sia comprensibile, la storia si conclude con un'eutanasia passiva. Ho cercato di trattare il tema nel modo in cui una ragazza come Hazel avrebbe potuto vederlo. Non è specificato da quanto tempo sia in coma, se si ricorre ad un procedimento simile sono probabilmente anni. 
Questo fatto, unito alla personalità di Hazel che è sicura di morire prima o poi è non vuole che l'avvenimento impedisca ai suoi genitori e a Gus di mandare avanti la loro vita, potrebbe indurre i suoi a decidere di farla staccare dalla cannula. Ho preferito evitare lunghe descrizioni in quel pezzo, per evitare che apparisse troppo finto. 
Il titolo è un riferimento all'omonima canzone di Povia.

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Come fossi finita in quel letto, non lo ricordavo più. Mi trovavo in quello stato di sonno perenne che normalmente viene definito "coma". Non parlavo, non mi muovevo e ricevevo il cibo attraverso un apposito tubo. L'unica cosa che mi tenesse ancora in vita era la solita cannula, forse un po' più grande della mia. Un solo gesto e Hazel Grace Lancaster sarebbe definitivamente sparita da questo mondo.
Di storie sul coma se ne sentono tante. La più gettonata consiste nel pensare che l'addormentato si trovi una specie di limbo, popolato da unicorni che sputano arcobaleni, e che riesca a sentire ciò che accade all'esterno. Nel mio coma personale gli unicorni non c'erano, ma sentivo davvero ciò che succedeva intorno a me.
Così passavo le giornate ad ascoltare mamma che parlava e, ogni tanto, piangeva. Non sono sicura che parlasse perché credesse che la sentissi, probabilmente lo sperava e basta. Io cercavo di risponderle, ma la mia bocca rimaneva ferma e lo sforzo faceva suonare le innumerevoli macchine a cui ero collegata. L'unico risultato che ottenevo consisteva nell'agitarla ancora di più.
Papà era un tipo di poche parole. Non potevo esserne sicura, ma sentivo che mi guardava, silenzioso, e qualche volta mi accarezzava. 

Un lato positivo dell'essere in coma era che non dovevo frequentare il gruppo di supporto. Isaac non veniva mai a trovarmi, ma lo giustificai senza problemi. Insomma, io non parlavo e lui non vedeva. Cos'avrebbe potuto fare?
Augustus era il contrario. Ogni giorno sentivo il rumore di una porta che si apriva, qualcosa che picchiava contro un vetro e un forte odore di tulipani. Lo immaginavo mentre entrava, lanciandomi un'occhiata indecifrabile, e si dirigeva verso di me. Posava i fiori arancioni dentro un bicchiere e poi si sedeva sulla poltrona alla mia sinistra. Come papà, anche lui non parlava più di tanto. Mi raccontava di come fosse la vita fuori, dei saluti da parte di Isaac e del gruppo e mi diceva che gli mancavo. Spesso portava "Un'imperiale afflizione" e lo leggeva ad alta voce. 
La sera rimanevo sempre da sola. Gli unici rumori erano pianti di neonati o chiacchiericci di infermiere. In quei momenti i ricordi invadevano la mia mente e le macchine tornavano a suonare. Se succedeva più volte, mi somministravano qualche farmaco e dormivo. Davvero. Prima di sentire la stanchezza farsi strada dentro me, non potevo fare a meno di ripetermi una frase letta nel libro di Van Houten: "Invidio i morti, e solamente con loro mi cambierei". 





Capii subito che qualcosa non andava. Innanzitutto, era entrato prima papà di mamma. E poi piangeva anche lui. 
Sentii le voci di parenti che non vedevo da quando ero poco più di una bambina. 
Augustus rimase più tempo del solito. Continuava a ripetere che mi avrebbe amato qualunque cosa fosse successa e finì di leggere "Un'imperiale afflizione".
Le visite dei dottori divennero più frequenti, i pianti dei miei genitori più rumorosi. 
L'ultimo ricordo che ho fu un crac. Poi nulla.

   
 
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