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Autore: EffieSamadhi    29/05/2014    0 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Unforgettable_%28serie_televisiva%29]
[Roe Saunders/Tanya Sitkowski]
Erano a metà del percorso quando Roe ebbe la prima buona idea della giornata: allungò una mano, cercando alla cieca la sua. Le sfiorò appena le dita, timido, e pochi istanti dopo le strinse tra le sue. Tanya non si allontanò, e nella sua mente romantica e insicura si fece strada l'idea che doveva essere un segno del destino: Tanya non lo avrebbe mai allontanato, mai – lei sarebbe stata per sempre quell'unica persona in grado di accettarlo per com'era, senza tentare di cambiarlo, e sarebbe stata per sempre quell'unica persona in grado di stargli accanto senza cambiare se stessa, per nessuna ragione al mondo. In quella tenera stretta Roe sentì che erano compatibili, quasi fatti l'uno per l'altra, da sempre soli, da sempre diversi, ma per qualche strana ragione, quando erano insieme, perfetti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Perfetto
Disclaimer – I personaggi qui descritti non mi appartengono, ma sono di proprietà di Ed Redlich e John Bellucci, che in quanto loro creatori ne detengono tutti i diritti. Le situazioni narrate, invece, sono di mia proprietà, e spiaccicherò contro un muro eventuali viscidi plagiatori. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per il mio puro e semplice divertimento.
Note – La storia può essere piazzata dopo l'episodio 1x13, “La confraternita”. Non si sa quasi nulla delle famiglie e dei passati di Roe e Tanya, dunque mi sono presa molte libertà con le loro vite.
Pairing – Roe Saunders/Tanya Sitkowski





Perfetto





Queens, New York | dicembre

    Non sapeva che cosa, di preciso, l'avesse spinto a compiere una mossa tanto azzardata: in fondo, non poteva essere sicuro che fosse stata proprio Tanya a lasciare sulla sua scrivania quel cesto colmo di specialità gastronomiche. Certamente aveva avuto l'occasione, e verosimilmente poteva aver avuto un movente, ma in qualità di detective sapeva che si trattava di prove circostanziali, nulla di probativo: era una fragile teoria che mancava di qualunque fondamento. E poi quasi tutto l'ufficio sapeva della sua passione per il cibo: poteva essere stato chiunque. Poteva essere stata Nina, ad esempio: magari la sorella le aveva chiesto di ringraziarlo per il gattino che aveva regalato alla figlia. O magari era stata Agnes, la centralinista che aveva accompagnato a casa due sere prima, quando la macchina di lei aveva dato forfait. Per quanto ne sapeva, poteva anche essere stato Mike. O magari il tenente Burns. No, adesso stava decisamente lavorando di fantasia. Comunque, il punto era che qualcuno gli aveva regalato un piccolo tesoro, e lui era convinto che quel qualcuno fosse Tanya. E perciò voleva invitarla ad uscire. Ecco perché era fermo davanti alla porta del suo laboratorio.
    Poteva ancora tornare indietro. Non era obbligato ad aprire la porta e sputare fuori quello stupido invito. Poteva ancora voltarsi, tornare al piano di sopra e fingere di non essere mai stato lì. Poteva farlo. Lei non lo aveva ancora visto, poteva ancora cambiare idea. Ci voleva coraggio per spingere quella porta, entrare e invitarla ad uscire – coraggio che lui sentiva di non avere. Il problema era che sembrava servire coraggio anche per tornare indietro. A Roe sembrava di essere tornato ai tempi del liceo, quando arrivava il momento di invitare una ragazza ad una festa, o quando nel bel mezzo di una festa arrivava il momento di invitare una a ballare – forse era proprio per questo che era stato a pochissime feste in vita sua. Il fatto era che lui si era sempre sentito fuori posto, in ogni momento e in ogni luogo. Forse era per questo che il trasferimento a New York lo aveva reso felice, o comunque meno a disagio: New York era così grande, così caotica... tutt'altra storia rispetto a New Orleans. A New York vivere sembrava più semplice, meno... spaventoso. A New York poteva essere se stesso senza timore di essere giudicato, e questo lo faceva sentire tranquillo. Certo, i veri problemi non cambiavano mai: forse nessun luogo gli avrebbe mai dato il coraggio necessario per essere se stesso con una ragazza.
    «Che fai quaggiù?» si sentì domandare all'improvviso.
    «Carrie!» esclamò, sobbalzando per la sorpresa. «Che ci faccio qui? Oh, beh, io... niente, ero sceso per... niente di importante. Avevi bisogno di me?»
    Carrie serrò un po' le palpebre, come faceva sempre quando cercava di analizzare una situazione o una persona. Lo fissò a lungo, poi spostò lo sguardo sulla porta del laboratorio oltre il quale Tanya stava compiendo chissà quale esame su chissà quale elemento di prova. «Roe, a te piace Tanya?»
    «Come? Oh, beh, certo. Certo che mi piace Tanya. Lei è... beh, lei è un ottimo tecnico di laboratorio. Come riusciremmo a catturare i cattivi senza il suo contributo? È... è geniale.»
    «Roe, sai che sono una buona osservatrice...»
    «Sì... e allora?»
    «E allora perché mi stai mentendo?»
    «Io non... non sto mentendo» si affrettò a replicare lui, punto sul vivo. «Sto solo dicendo che apprezzo molto il lavoro che Tanya svolge.»
    «Roe...» Lo sguardo di Carrie era quello di una madre che ha smascherato la bugia del figlio e gli sta concedendo un'ultima occasione di confessare la verità.
    «Va bene, forse nutro per lei un'ammirazione che va leggermente oltre i limiti del nostro rapporto professionale.»
    «Quindi, traducendo in un inglese moderno, si può dire che Tanya ti piace
    «Credo... sì, beh, credo si possa dire così.»
    «Non è così brutto confessare, eh?» ammiccò la detective. «Sai, dovresti invitarla ad uscire.»
    «Sì, beh, io... io stavo appunto per... insomma, stavo pensando se fosse il caso di offrirle una birra, uno di questi giorni.»
    «O forse eri sul punto di entrare e domandarglielo?» suggerì lei.
    «Qualcosa del genere. Il punto è che io non so se... ecco, non sono sicuro che accetterebbe.»
    «Non si può mai essere sicuri di niente. Però dovresti tentare.»
    «E se dovesse rifiutare?» sussurrò Roe, continuando a sbirciare dentro il laboratorio. Carrie alzò un sopracciglio e inclinò leggermente la testa verso destra, tentando di studiare il comportamento del collega. «Insomma» continuò lui, senza mollare l'obiettivo, «è una possibilità che va considerata. Potrebbe dire di no.»
    «Oppure potrebbe dire di sì.»
    «Come fai ad essere sempre così ottimista?»
    «Non lo so» rispose lei, stringendosi nelle spalle. «Ho sempre visto il bicchiere mezzo pieno, fin da bambina. Credo sia genetico: nella mia famiglia siamo sempre convinti che le cose si sistemeranno.»
    «Beati voi» sospirò lui. «Io sono stato abituato ad aspettarmi sempre il peggio. Così non resto mai deluso.»
    «Se ti fa piacere vederla così... comunque io dico che dovresti rischiare, una volta ogni tanto. E se va male, pazienza. Dimentichi e passi oltre.»
    «Tu fai così?»
    «Se potessi dimenticare, lo farei.»
    «Quindi dici che dovrei entrare?»
    Carrie sorrise, annuendo appena. «Io dico che dovresti.»
    «E dovrei chiederle di uscire?»
    «Dovresti.»
    Roe rivolse un breve sguardo alla collega, poi tornò a guardare oltre il vetro: Tanya stava sorridendo, forse felice per aver appena raggiunto un importante risultato. Era carina, questo era insindacabile: carina ed estremamente intelligente, un binomio che avrebbe spaventato molti uomini, e che un po' spaventava anche lui. Però Carrie aveva ragione: nella vita bisognava correrlo, qualche rischio. Aveva davanti una scelta da compiere: entrare e tirare fuori il coraggio, oppure tornare indietro e restare per sempre il ragazzino impacciato che guardava gli altri vivere. Forse era arrivato il momento di dimostrare di che pasta era fatto. Improvvisamente si voltò verso la collega. «Ma tu che ci fai qui?»
    «Io? Oh, ero venuta per chiedere a Tanya se aveva già finito con il nastro di quel video di sorveglianza, ma non è nulla di importante. Lascio campo libero a te.» Gli diede una leggera pacca sulla spalla, prima di allontanarsi. «Fatti sotto, Roe.»
    Rimasto solo, Roe inspirò a fondo, raccogliendo le energie necessarie per entrare e fare quella domanda che gli ronzava in testa da settimane. «Ciao, Tanya» esordì.
    «Ciao, Roe. Come mai da queste parti?»
    «Oh, beh, io ero... passavo di qua, e stavo pensando che magari poteva andarti di unirti a me per una birra, una di queste sere.»
    Tanya alzò gli occhi dalla tastiera e li puntò sul detective, incapace di credere alle proprie orecchie. «Mi stai... invitando ad uscire?»
    «Ti sto invitando a bere una birra» replicò lui. Sentiva che stava iniziando a sudare, e la cosa non gli piaceva. «Sempre che ti vada, naturalmente.»
    «Ma certo che mi va» rispose lei, il volto acceso da un sorriso che tradiva i suoi reali sentimenti. «Facciamo stasera?»
    «Oh, certo. Certo, è perfetto. Allora... a stasera» concluse lui, guadagnando la porta.
    «Roe?» lo richiamò lei.
    «Sì?»
    «Dove ci incontriamo?»
    «Oh, giusto» fece lui, ricordandosi di aver dimenticato di menzionare un dove. «Facciamo da... facciamo dove vuoi tu.»
    «Potremmo andare da Frank, all'incrocio tra l'ottantunesima e Broadway. È un bel locale, e la birra è ottima.»
    «Va bene, è perfetto. Alle otto?»
    «Alle otto è perfetto.»
    «Allora a più tardi.»





    In piedi all'angolo tra l'ottantunesima e Broadway, Roe iniziava ad essere nervoso. Tanya era in ritardo, e conoscendo la sua ossessione per la puntualità la cosa gli puzzava. Erano soltanto dieci minuti, in genere nessuno si preoccupava per un ritardo tanto risibile, ma la sua mente da detective aveva già pensato a quattro diverse ragioni che potevano giustificare l'assenza della ragazza – tra cui la possibilità che avesse deciso di dargli buca. Il freddo lo costringeva a muoversi, ma Roe sapeva bene che quel suo nervoso passeggiare su e giù era dovuto anche alla preoccupazione di non veder arrivare Tanya. «Accidenti a te e ai tuoi consigli, Carrie» borbottò a denti stretti, ripensando al sorriso della detective quando gli aveva suggerito di saltare a piè pari il fosso delle sue paure, convincendolo che sarebbe atterrato sull'altra sponda senza riportare traumi.
    «Roe! Roe, sono qui!» sentì urlare da un punto alle proprie spalle. Si voltò rapidamente, e il cuore mancò un battito. Era stato a casa giusto il tempo di fare una doccia, dar da mangiare al pesce rosso e indossare un vestito pulito, ma senza stravolgere il proprio aspetto, mentre Tanya sembrava aver dedicato particolare attenzione alla propria figura, in vista dell'appuntamento: il suo bel sorriso era sottolineato dal caldo color ciliegia del rossetto, gli occhi resi più grandi da un preciso tratto di matita nera, e il vestito di lana che sbucava da sotto il cappotto scuro era decisamente diverso dai cardigan che portava sul lavoro. «Scusa, sono in ritardo» aggiunse, avvicinandosi quasi senza fiato. «Avevo il timore che un virus stesse attaccando il mio hard-disk, quindi ho dovuto ricontrollare tutti i firewall, e il tempo mi è proprio volato mentre eseguivo una deframmentazione del sistema, poi sono tornata a casa per cambiarmi e ho incontrato la mia vicina, ed è una vecchietta così dolce, proprio non potevo scaricarla senza fare due chiacchiere, e quando ho visto che ore erano io...»
    Tanya era adorabile quando iniziava a parlare a macchinetta, nonostante il più delle volte si perdesse in digressioni tecniche quasi impossibili da comprendere. Quella sera, poi, a Roe sembrava più difficile che mai non essere attratto da lei. «Non preoccuparti, sono soltanto dieci minuti. Capita a tutti un piccolo imprevisto.»
    «Per fortuna abito qui vicino» fece lei. «Non ce l'avrei fatta a correre per più di due isolati.»
    «Abiti da queste parti?» ribatté lui, sorpreso da quella rivelazione.
    «Due isolati più in là» confermò lei, indicando con il pollice un punto alle proprie spalle. «Perché la cosa ti sorprende tanto?»
    «Beh, perché abito a due isolati da te» fece lui.
    «In quella direzione?» domandò lei, indicando di nuovo la strada appena percorsa.
    «Esattamente.»
    «Oh. Beh, vorrà dire che faremo un pezzo di strada insieme, al ritorno.»
    «Ti avrei comunque accompagnata a casa» replicò il detective, pentendosi all'istante di essersi esposto così tanto.
    «Oh. Beh, grazie. Entriamo?»
    Roe si avvicinò alla porta del locale, la spinse e si scansò. «Dopo di te.»
    Il pub era piccolo, ma accogliente e quasi vuoto. L'uomo dietro il bancone, probabilmente il proprietario, alzò la testa e li salutò. «Ciao, Tanya. È un po' che non ci si vede. Il tuo tavolo dovrebbe essere libero.»
    «Grazie, Frank» rispose la ragazza, iniziando a sbottonare il cappotto.
    «Che vi porto?»
    «Per me il solito. Roe?»
    «Lo stesso» rispose lui. «Mi fido di te» aggiunse, seguendola attraverso la sala.
    Sorridendo, lei continuò a camminare, fino a raggiungere un tavolino nell'estremo angolo della stanza. «Sei coraggioso. E se per caso io avessi ordinato qualcosa di disgustoso?» gli domandò, sfilandosi il cappotto e appoggiandolo su una sedia vuota.
    «Mia madre dice sempre che è importante provare cose nuove» rispose lui, imitandola. Non riusciva a spiegarselo, ma aveva come la sensazione che fosse più facile comunicare, al di fuori del dipartimento. «E comunque non mi sembri il tipo che beve cose disgustose. Invece mi incuriosisce il fatto che tu abbia un 'tuo' tavolo. Suppongo che tu sia una cliente abituale.»
    «Beh, vengo qui da quando avevo dieci anni» rispose lei, sorprendendolo non poco. «Tranquillo, all'epoca bevevo soltanto aranciata e succhi di frutta. Il fatto è che Frank è mio zio, e spesso passavo i pomeriggi qui. I miei lavoravano e non si potevano permettere una babysitter» aggiunse.
    «Oh, beh, capisco. Una scelta dettata dalla praticità.»
    «Direi di sì. Comunque, mi sedevo sempre qui per fare i compiti, perché è il tavolo meglio illuminato. Così è diventato il mio posto.»
    «Mistero svelato» replicò lui, scostandosi appena dal tavolo quando la cameriera si avvicinò con due boccali colmi di schiumosa birra chiara. «No, in realtà c'è ancora una cosa che non mi è chiara: Frank è irlandese. Insomma, la licenza appesa dietro il bancone è a nome di Francis Sheehan, che suppongo sia lui. Sheehan è un cognome irlandese. I tuoi non sono polacchi?»
    «Solo mio padre. Mia madre è una Sheehan degli Sheehan di South Boston. Irlandesi al cento per cento. Zio Frank è suo fratello.»
    «Adesso è tutto chiaro. Scusa la mia curiosità. Deformazione professionale.»
    «Perdonato.»
    «A che cosa brindiamo?» le domandò, alzando il boccale.
    «Direi... alle deformazioni professionali.»
    «Alle deformazioni professionali, allora.» I bicchieri si toccarono, e il primo sorso tenne entrambi impegnati per qualche secondo. Tanya appoggiò il boccale sul tavolino, alzò gli occhi su Roe e lo fissò a lungo, come studiandolo. «Che succede? Ho qualcosa in faccia?» le domandò, portandosi istintivamente una mano al mento: conoscendosi, probabilmente gli era rimasta un po' di schiuma attorno alle labbra, o qualcosa del genere.
    «Non hai niente in faccia, tranquillo. Stavo solo... beh, pensavo che è tanto che lavoriamo insieme, eppure ci sono ancora tante cose che non sappiamo l'uno dell'altra. Mi chiedo tra quanto avremmo scoperto di essere quasi vicini di casa, se non...»
    «...se non ti avessi chiesto di uscire?» azzardò lui, superando l'incertezza che l'aveva bloccata.
    «Qualcosa del genere. A proposito, mi fa piacere che tu... insomma, che mi abbia invitata fuori. È la prima volta che esco con qualcuno con cui lavoro. A volte mi piacerebbe invitare qualche collega a bere un caffè o a mangiare qualcosa, ma ho sempre paura di sembrare invadente, e quindi non riesco mai a... prendi Nina, per esempio. Mi sta simpatica, un sacco di volte sono stata sul punto di invitarla a colazione, ma poi ho sempre rinunciato. Non riesco a spiegarmi il perché. Non so se capisci cosa intendo.»
    «Oh, è perfettamente chiaro» annuì lui. «Beh, potresti provare ad invitare la Wells. Lei sicuramente accetterebbe. Non lo troverebbe invadente.»
    «Sai che l'ho pensato anch'io? Lei è così... diversa. Diversa in senso positivo, intendo. La maggior parte dei detective che conosco è supponente e piena di sé, lei invece è così... oh, con questo non intendo che voi siate arroganti. Insomma, voi mi piacete: tu, Mike, Nina, Burns... voi siete a posto. Fate parte di quella minoranza che non si crede Dio.» Evidentemente imbarazzata, Tanya si trincerò dietro il boccale e bevve un lungo sorso di birra.
    «Tranquilla, anch'io penso che la maggior parte dei detective vada in giro a pavoneggiarsi. Io ho avuto la fortuna di capitare in una buona squadra. Insomma, sono sempre stato convinto che conti molto l'elemento umano, al di là dei risultati. Se non riesci ad andare d'accordo con i colleghi, non puoi far bene il tuo lavoro.»
    «Immagino che tu abbia ragione» concordò lei. «Insomma, per me è un po' diverso: in laboratorio sono sola, non ho nessuno da farmi piacere.»
    «Ma se lavorassi con una squadra di detective che non riesci a sopportare, probabilmente non ti piacerebbe fare quello che fai.»
    «Forse hai ragione» sorrise la ragazza. Per un istante i loro sguardi si incrociarono, separandosi subito dopo, profondamente imbarazzati. Entrambi erano perfettamente consapevoli di avere un debole per l'altro, ma il timore di essere rifiutati probabilmente li avrebbe sempre trattenuti dall'indagare a proposito del reciproco interesse.
    «Tanya, posso farti una domanda?» domandò Roe, spezzando il silenzio che si era creato. «Forse ti sembrerà un po' strano, ma è una cosa che devo sapere.»
    «Ma certo, spara pure.»
    «Ecco, io... l'altro giorno ho trovato sulla mia scrivania un cesto di specialità gastronomiche, e mi stavo chiedendo se... ecco, io pensavo che potessi essere stata tu a lasciarlo lì. Forse penserai che sia una sciocchezza, ma...»
    «Oh, non è una sciocchezza. Sono stata io.»
    «Ah, bene. Mistero risolto, allora» rispose l'uomo, sorridendo nervosamente.
    «Per caso non ti è piaciuto?» indagò lei. «Insomma, credo che anche l'FBI sappia che adori il cibo, e quindi ho pensato...»
    «Oh, no, no, mi è piaciuto moltissimo. Vespucci è uno dei migliori negozi di questo genere, e... ecco, io però mi stavo chiedendo... ecco, perché
    Tanya esitò un attimo, come cercando la risposta migliore. «Beh, era per ringraziarti dei fiori che mi hai mandato.»
    «Oh, certo. Per i fiori» ribatté Roe, cercando di capire di che cosa diavolo stesse parlando. A meno di non avere una personalità nascosta di cui non sapeva niente, era più che certo di non averle mai mandato dei fiori. «Naturalmente. Ma non era necessario.»
    «L'ho fatto con piacere. Ecco, visto che siamo in tema, potrei farti una domanda anch'io?»
    «Ma certo, chiedi pure.»
    «Ecco, io mi stavo chiedendo... mi stavo chiedendo perché mi hai mandato dei fiori.»
    Roe deglutì un paio di volte, sentendo la gola seccarsi pericolosamente. Che cosa poteva inventare per cavarsi da quella situazione? Avrebbe sempre potuto confessare di non essere stato lui a mandarle l'omaggio, ma aveva la sensazione che la verità non avrebbe portato a nulla di buono. Non era mai stato bravo a mentire, ma in quel momento raccontare una bugia sembrava la strada più semplice da percorrere. «Beh, io... volevo soltanto ringraziarti per lo splendido lavoro che svolgi ogni giorno. È anche grazie alle tue idee geniali se riusciamo a prendere i criminali, e volevo... ringraziarti. E poi non ti avevo preso niente per il tuo compleanno, mi è sembrata una buona idea... prenderti... qualcosa» concluse, riparandosi dietro il boccale.
    «Beh, grazie. Sei stato molto carino. Sai, sono felice di aver trovato il mittente, anche se non c'era biglietto. Mi sarebbe spiaciuto non ringraziare.»
    «Toglimi una curiosità: come hai fatto ad arrivare a me, se non c'era biglietto?»
    «Oh, io... beh, non... ecco, io...» Tanya distolse lo sguardo, fortemente imbarazzata. Si era infilata in un vicolo cieco, e ora era in trappola. Avrebbe potuto mentire, ma aveva la sensazione che avrebbe limitato ancora le possibilità di uscirne indenne. A questo punto, tanto valeva dire la verità. «Ecco, in verità io speravo che fossero da parte tua, perché... beh, sei l'unico uomo dal quale mi farebbe piacere ricevere dei fiori. Beh, l'unico oltre a Brad Pitt, si intende.»Tornò a guardare Roe, e dal modo in cui lui aveva aggrottato la fronte capì che forse non era riuscita ad esprimersi chiaramente. «Insomma, Roe, quello che sto cercando di dire è che mi piaci, che... beh, che mi farebbe piacere passare del tempo con te anche al di fuori del lavoro.»
    «Tipo... uscire insieme? Andare a cena, al cinema... cose così?»
    «Sì, qualcosa del genere. Sempre che tu sia d'accordo, naturalmente.»
    «Oh, ma certo. Certo, sono assolutamente d'accordo.» Roe non riusciva a spiegarsi perché, ma gli pareva che quella confessione lo avesse reso ancora più impacciato e nervoso. Era andato tutto bene finché lei non aveva detto di essere attratta da lui – perché era questo che aveva detto, nonostante non avesse usato quelle testuali parole. Non riusciva a credere di possedere una qualunque caratteristica in grado di sedurre una donna – una donna speciale come Tanya, poi! Non aveva fascino, non aveva soldi, aveva un senso dell'umorismo incomprensibile alla maggior parte della gente – si intendeva soltanto di cucina, e la sola cosa in cui avesse una certa abilità era risolvere delitti, anche se con l'arrivo di Carrie in squadra gli sembrava di aver perso anche quella capacità.
    «Roe, ti senti bene? Hai una faccia... strana
    «Sì, certo, sto benissimo, ho solo... sono solo un po' stanco, credo. Sono stati giorni complicati.»
    «Ma certo, è comprensibile. Credo... forse dovremmo andare.» Nonostante il sorriso che si ostinava a mostrare, Tanya gli apparve triste – e questo era davvero comprensibile, molto più della sua supposta stanchezza.
    «Ma no, non preoccuparti, va tutto bene, non...»
    «In realtà sono molto stanca anch'io, e domani avrò molto da fare in laboratorio, quindi...» Finì la propria birra, e mentre Roe la imitava si alzò, infilandosi il cappotto. Soltanto a quel punto Roe si soffermò ad osservarla, notando la cura con la quale si era preparata: l'attenzione per i dettagli era palese, e sapeva di non doverla attribuire soltanto alla sua natura meticolosa – se si era data tanta pena per uscire con lui, non poteva essere un caso. Tanya era davvero attratta da lui, e le aveva provate tutte pur di farglielo capire – ma lui, da vero stupido, non era riuscito a convincersene nemmeno quando glielo aveva detto in faccia.
    «Quanto le devo?» domandò a Frank, fermandosi davanti al bancone con il portafogli in mano.
    «La prossima volta, ragazzo» rispose l'uomo, sorridendo alla nipote. «Per gli amici della mia nipotina il primo giro è gratis.»
    «Allora grazie» rispose lui, rimettendo in tasca il portafogli. «Consiglierò questo posto in giro. La birra è davvero ottima.» Salutarono e uscirono nel freddo inverno del Queens, rabbrividendo entrambi al primo contatto con l'atmosfera gelida. Si incamminarono verso casa, senza sapere bene come spezzare il silenzio. «Mi è piaciuto venire qui» esordì lui, sperando di riuscire a ravvivare la conversazione. «Mi piace davvero, è un bel locale. Lo consiglierò a tutti i miei amici.» Evitò di dire che non aveva amici al di fuori del dipartimento: sembrare uno sfigato era una cosa, ma confermare al mondo di non avere una vita sociale era tutto un altro paio di maniche. «Tuo zio sembra simpatico.»
    «Sì, è un tipo a posto. Non si è mai sposato, perciò gli piace trattarmi come se fossi sua figlia. Si è sempre preso buona cura di me. E mi ha insegnato come difendermi da eventuali aggressori, che non è cosa da poco.» Finalmente Tanya sorrise di nuovo, e Roe si trattenne a stento dal saltare di gioia: adorava il sorriso di Tanya, e ogni volta che doveva rinunciare a goderne sentiva il cuore frantumarsi.
    «Hai fratelli o sorelle? È una cosa che mi sono sempre chiesto.»
    «Ho un fratello, Chris. Ha quattro anni più di me.»
    «Com'è che non ti ho mai sentita parlare di lui?»
    «Non è che ci sia molto da dire, in realtà. Non ci sentiamo spesso.»
    «Non siete molto legati?»
    «No, lo siamo molto, ma non abbiamo molte possibilità di sentirci. Vive in un paesino sperduto in Canada, e le comunicazioni sono un po' difficili.»
    «Di che cosa si occupa?»
    «Pesca salmoni.»
    «Come?»
    «Pesca salmoni al largo delle coste della Nuova Scozia. Lo so, detta così sembra una cosa strana, ma... beh, è quello che fa.» Tanya tacque per un istante, come pensando al modo in cui continuare la frase, poi riprese: «Ha sempre avuto un gran cervello. Era molto più brillante di me, a scuola.»
    «Anche tu hai un cervello niente male, mi pare.»
    «Mi sono sempre applicata molto. Ero una vera secchiona. Lui invece riusciva ad ottenere risultati migliori senza nemmeno impegnarsi. Ricevette una borsa di studio per il MIT, ma vi rinunciò. Avrebbe potuto fare grandi cose, ma disse che non voleva vivere chiuso in un laboratorio. Gli è sempre piaciuto vivere all'aria aperta, senza limiti. Non sarebbe stato se stesso con un camice addosso.»
    «Tu invece hai fatto il contrario» osservò Roe, fermandosi accanto a lei nei pressi di un attraversamento pedonale.
    «Io ho sempre avuto una gran paura del mondo esterno» rispose lei. «Non in senso fisico, ma in senso... emotivo. Ho sempre avuto il terrore di trovarmi sola a fronteggiare minacce che non potevo combattere. Insomma, il mondo è un posto immenso, e se ci pensi bene noi siamo soltanto dei minuscoli puntini che corrono di qua e di là senza alcuna idea di dove andranno a sbattere. Il mondo può essere un posto pericoloso, se non ti senti pronto ad affrontarlo.»
    «Capisco che vuoi dire. Ho passato metà della mia vita sentendomi inadeguato nei confronti del mondo. In realtà, credo ancora di sentirmi fortemente a disagio.»
    «Sai che non riesco ad immaginarti da ragazzo? Insomma, Mike me lo immagino come una figura autoritaria, Nina la vedo bene nei panni della prima della classe... ma tu? Che tipo eri?»
    Roe ci pensò su per qualche secondo, mentre il semaforo diventava verde e iniziavano ad attraversare la strada. «Beh, diciamo che ero un tipo... ordinario. Non mi mettevo in mostra, ma non ero nemmeno il paria della situazione. Insomma, non ero il tipo con gli occhiali e l'apparecchio a cui tutti fanno gli scherzi. Ero... ero quello che rimane zitto in un angolo a farsi gli affari suoi.»
    «Detta così, non sembra una bella cosa.»
    «Ho avuto un'adolescenza tranquilla. In realtà, tutta la mia vita è stata tranquilla. Non mi è mai capitato nulla di straordinario.»
    «Quindi non hai mai sognato che ti capitasse qualcosa di grandioso? Insomma, qualcosa in grado di cambiare per sempre il corso delle cose?»
    «Oh, l'ho sognato, certo. Ma sognare una cosa non significa che ti capiterà.»
    «Beh, lo sanno tutti che non basta sognare una cosa per far sì che succeda. Devi rimboccarti le maniche e lavorare sodo, e allora forse otterrai quello che desideri.»
    «Ma sentila...» sorrise Roe, sorpreso da quell'affermazione tanto decisa. «E di te che mi dici, invece? I tuoi sogni si sono tutti avverati?»
    «Non tutti» ammise Tanya. «Buona parte sì, però.»
    «E quali, sentiamo?»
    «Beh, volevo ottenere un buon lavoro, fare carriera nel mio campo, avere una casa tutta per me... le cose che sognano tutti, no?»
    «E quali sono i sogni che non si sono ancora avverati?»
    Tanya non rispose subito, ma quando parlò, la sua voce tradiva una malinconia che non si confaceva al suo carattere solare e sempre positivo. «Avere qualcuno con cui condividere tutto questo, credo.» Alzò lo sguardo, e nella scarsa luce dei lampioni Roe si convinse di vedere due profondi occhi scuri lucidi di lacrime. «Non sono mai stata brava a capire le persone. Ci sono centinaia di cose in cui sono considerata la migliore, ma non riesco mai a capire le intenzioni della gente. In amore ho preso degli abbagli che nemmeno immagini.»
    «Non me ne parlare» sospirò lui. «Questa è un'altra cosa che abbiamo in comune.»
    «Non dico di non stare bene con me stessa» proseguì lei, «sto benissimo con me stessa. È solo che di tanto in tanto sarebbe carino avere il sostegno di qualcuno che non sia un familiare o un semplice amico. Insomma, sarebbe bello avere qualcuno che ti rimane accanto perché lo vuole, e non perché obbligato da legami di sangue o altri vincoli. Insomma, qualcuno che ti ami così come sei, perché vuole amarti.» Si fermarono in prossimità di un altro incrocio. Mancava soltanto un isolato al momento in cui si sarebbero separati, e Roe avrebbe fatto qualunque cosa per rimandare quell'istante il più a lungo possibile. Gli piaceva la compagnia di Tanya, anche se in quel momento lei non era esattamente la Tanya che aveva imparato a conoscere e di cui era innamorato. «Ecco, credo sia questo l'ultimo sogno che mi resta da realizzare: avere accanto qualcuno che mi consideri il suo mondo.» Il semaforo si fece verde, e insieme i due si mossero in avanti. Erano a metà del percorso quando Roe ebbe la prima buona idea della giornata: allungò una mano, cercando alla cieca la sua. Le sfiorò appena le dita, timido, e pochi istanti dopo le strinse tra le sue. Tanya non si allontanò, e nella sua mente romantica e insicura si fece strada l'idea che doveva essere un segno del destino: Tanya non lo avrebbe mai allontanato, mai – lei sarebbe stata per sempre quell'unica persona in grado di accettarlo per com'era, senza tentare di cambiarlo, e sarebbe stata per sempre quell'unica persona in grado di stargli accanto senza cambiare se stessa, per nessuna ragione al mondo. In quella tenera stretta Roe sentì che erano compatibili, quasi fatti l'uno per l'altra, da sempre soli, da sempre diversi, ma per qualche strana ragione, quando erano insieme, perfetti.
    Continuarono a camminare senza dire una parola, senza tentare di dar voce ad un silenzio che sembrava davvero perfetto.





    «Eccoci qui, siamo arrivati» disse Tanya qualche minuto dopo, fermandosi davanti all'ingresso di un signorile palazzo da poco ristrutturato. «Io abito qui.»
    «Bell'edificio, mi piace» rispose Roe, alzando la testa per cogliere il palazzo nella sua interezza. «Io non abito in un posto così carino» aggiunse, allentando un po' la stretta delle dita per riuscire a voltarsi e a mettersi davanti a lei.
    «Hanno finito da poco di ristrutturare, c'è ancora polvere in ogni angolo» fece lei con un sorriso. «Forse per il duemilaventi avrò finito di pulire» aggiunse, guardando nella sua stessa direzione.
    Roe sentiva il cuore andare a mille, come un adolescente alla prima esperienza – in fondo, nonostante il passare degli anni non era cresciuto affatto. Sapeva di non essere un uomo come tutti gli altri, sapeva che Tanya non era una donna come le altre, e sapeva che tra loro niente sarebbe mai stato normale. Ancor prima di provarci, sapeva che tra loro non sarebbe mai andata come nei film, e che non sarebbe bastato sporgersi in avanti e baciarla a lungo per far andare tutto bene. In quel momento Tanya tornò a guardarlo, e Roe capì che una ragazza come quella, così speciale e vera, meritava soltanto la verità. «Tanya, c'è una cosa importante che ti devo dire.»
    «Ti sei fatto serio» osservò lei. «Più del solito, intendo.»
    «Ti ho mentito, prima» replicò lui, senza troppi giri di parole.
    «A che proposito?» Ora era il volto di lei ad essersi fatto serio – umore che, Roe lo sapeva, non le si confaceva affatto.
    «Non sono stato io a mandarti quei fiori.»
    «Cosa?»
    «I fiori, quelli che hai messo in laboratorio... non sono stato io a mandarteli.»
    «Ma... ma tu prima hai detto che...»
    «Sì, lo so, ma il fatto è che... oh, non lo so. Non avrei dovuto mentire, ma sul momento mi sembrava la cosa giusta da fare. Comunque non... non sono stato io a mandarli. Mi lusinga che tu abbia pensato che fossi stato io, ma non posso continuare a mentirti.»
    Tanya gli lasciò la mano e abbassò lo sguardo, cercando di mettere a fuoco il concetto, e per la seconda volta sul suo viso si dipinse un'espressione abbattuta: in quello che Roe le aveva appena confessato non vedeva la possibilità di avere un ammiratore segreto di cui non si sospettava l'esistenza, ma soltanto la delusione che non fosse stato l'uomo di cui era innamorata a farle un simile omaggio. Qualunque altra donna si sarebbe rallegrata nel sapersi al centro dell'attenzione di qualcuno, ma lei non ci riusciva: da tempo aveva soltanto un uomo in mente, ed era lui l'unico dal quale avrebbe voluto ricevere un simile regalo. «Quindi non... non sei stato tu?»
    «No, non sono stato io. Ma considerando quello che hai detto prima, io... vorrei davvero essere stato io.» Aspettò per qualche secondo una risposta, poi riprese: «Se vuoi arrabbiarti con me, hai tutto il diritto di farlo. Insomma, se qualcuno mi prendesse in giro a questo modo io... io credo che mi arrabbierei.» Non lo disse ad alta voce, ma avrebbe preferito sentirsi urlare contro rabbia e risentimento, piuttosto di costringersi a riempire stupidamente un silenzio che faceva più rumore di uno sparo.
    «Non sono arrabbiata, Roe. Non è che hai confessato un omicidio, o una cosa del genere. È solo che... beh, io stavo... stavo cercando di capire chi potrebbe essere stato, e... non riesco davvero a capire.»
    «Chiunque sia stato, sono certo che si tratta di uno in gamba. E a rischio di ripetermi... beh, vorrei davvero essere stato io. Posso restituirti il cesto, se vuoi. Non ho ancora toccato niente.» Subito dopo aver parlato, desiderò di potersi rimangiare tutto: aveva davvero detto una cosa così stupida?
    Dopo un attimo di silenzio, Tanya scoppiò a ridere. «Non voglio che mi restituisci il cesto, Roe. È un regalo. Ringraziarti per i fiori era soltanto una scusa, probabilmente presto o tardi te lo avrei mandato comunque. Vedilo come un regalo di compleanno.»
    «Ma il mio compleanno è fra quattro mesi!»
    «Beh, il mio è stato due mesi fa, ma questo non ti ha fermato dal dire che i fiori erano anche un modo per festeggiare.»
    «Oh. Beh, in questo caso... grazie, Tanya.»
    «Prego, Roe. Non c'è di che.»
    Sul volto della ragazza tornò a risplendere il sorriso, e Roe sentì che a quel momento non mancava niente per essere perfetto. O forse sì. «Tanya, posso chiederti una cosa? Ti sembrerà una cosa stupida, ma tu non farci caso.»
    «Va bene, spara.»
    «Resta ferma dove sei.»
    «In effetti sembra una cosa strana, ma... va bene. Che vuoi fare?»
    Roe non rispose; semplicemente, fece l'unica cosa in grado di rendere quel momento ancora più speciale: le mise le mani sulle spalle, prese un respiro profondo e la baciò, così come avrebbe voluto fare dal momento in cui gli era corsa incontro poco più di un'ora prima, trafelata e in colpa per il ritardo. «Buonanotte, Tanya» sussurrò a pochi centimetri da lei, prima di allontanarsi lungo il marciapiede.
    Tanya, che aveva chiuso gli occhi nell'istante in cui le loro labbra si erano toccate, riaprì le palpebre e le sbatté a lungo, cercando di capire che cosa diavolo fosse successo. Quando riuscì ad individuare Roe, era già lontano.





    Per la prima volta da quando aveva iniziato a lavorare lì, Tanya entrò al dipartimento sperando di non incontrare nessuno che la conoscesse. Il suo aspetto era lo stesso di sempre, ma lei si sentiva profondamente diversa, e temeva che quel cambiamento fosse visibile a chiunque incrociasse il suo sguardo. Non riusciva a comprendere il comportamento di Roe: non riusciva a capire perché se ne fosse andato a quel modo subito dopo averla baciata, senza dire una parola, senza indugiare nella perfezione di quel momento – perché, lo sapeva, quel momento era stato perfetto. Non credeva di aver fatto o detto nulla di sbagliato – e allora perché lui era fuggito via a quel modo? Forse era un segno del destino – forse non avrebbe mai compreso gli uomini.
    Entrando nella stanza che costituiva tutto il suo mondo professionale, Tanya ebbe un sussulto: il misterioso mazzo di fiori recapitatole da Carrie qualche giorno prima era ancora al proprio posto, ma la sua bellezza era offuscata dal gigantesco mazzo di gardenie appoggiato accanto al suo computer. Abbandonati cappotto e borsa sulla prima superficie disponibile, Tanya corse ad aprire il biglietto che faceva capolino tra i fiori, e non riuscì a fare di meno di trattenere il fiato leggendo le poche righe che vi erano tracciate: «Così siamo pari. Il salame di Busseto non avrebbe avuto lo stesso sapore, se non avessi ricambiato. Questa sera pizza?»
    Trattenendosi a stento dal piangere di gioia, Tanya si strinse il biglietto al cuore e si morse il labbro inferiore, felice come una bambina a Natale. All'improvviso, capì che non c'era una ragione particolare, se la sera prima Roe se n'era andato senza una parola: forse era solo uno di quegli uomini che non riuscivano ad esprimersi a parole, e che soltanto nei fatti riuscivano a riversare il mondo di concetti che avevano da esprimere. Poco male, si disse: lei stessa era una di quelle donne che preferivano la sincerità di un gesto venuto dal cuore alla falsità di mille parole non davvero sentite. In quanto scienziata, sapeva che era impossibile prevedere il futuro – ma in quanto sognatrice, sentiva che tra lei e Roe sarebbe andato tutto bene. Sarebbe stato tutto perfetto.
   
 
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