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Autore: Keimi    30/05/2014    0 recensioni
Non sapeva perché l’aveva portato all'appartamento. Non era da lei aiutare amici e conoscenti, figurarsi sconosciuti, men che meno drogati o ubriachi. Che cavolo pensava di fare?
Fic scritta per i FateWarriors. Tema della settimana: "Ninfe e spiriti"
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kariya Mato
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve a tutti!
Faccio parte dei FateWarriors, un esiguo gruppetto di persone che ha deciso di sfidarsi con una serie di one-shot con personaggi e tema settimanale scelti a random.

Tema: Ninfe e spiriti
Personaggi: Sola-Ui Nuada-Re Sophia-Ri, Kariya Matou
Avvertimenti: AU, OOC

Buona lettura!
 

Sola-Ui era particolarmente felice. Quel codardo di Kayneth per evitare la sua ira per una sua mancanza le aveva regalato un mese, da sola, in una città italiana a sua scelta. Casualmente le era capitato sott’occhio un appartamento affittabile nel periodo di carnevale nei pressi del centro di Venezia e aveva colto l’occasione al volo.
 
Sfinita dopo aver ballato per ore assieme a un certo Roberto che aveva conosciuto quella sera, si era avviata verso l’appartamento. Presa dai suoi pensieri, sobbalzò spaventata sentendo uno strano rumore strozzato provenire da un vicolo buio sulla destra. Si guardò attorno: la strada era deserta nonostante sentisse ancora un gran vociare dalla piazza e musica a volume altissimo per quell’ora. Titubante si inoltrò nel vicolo stretto e sudicio, talmente buio che non vide il giovane accasciato contro il muro e gli colpì lo stinco con lo stivaletto, provocando un mugolio di dolore. Sorpresa, le sfuggì un urlo ma non fu avvertito da nessun altro se non dal ragazzo a terra. “E-ehi, tutto bene?” chiese, rimanendo a distanza. Non era una donnicciola, non temeva un ubriaco, ma non si era mai troppo cauti. Quello alzò lo sguardo velato e roco balbettò “N-non proprio” prima di svenire a faccia a terra.
 
Non sapeva perché l’aveva portato all’appartamento. Non aveva nemmeno idea del perché si fosse premurata di togliergli gli abiti sudici e laceri che indossava e di averlo messo a dormire nel suo, almeno temporaneamente, letto candido. Non era da lei aiutare amici e conoscenti, figurarsi sconosciuti, men che meno drogati o ubriachi. Il ragazzo, che non doveva avere più di venticinque anni, doveva essere un tossicodipendente prossimo alla morte: i capelli erano di un innaturale grigio perlaceo, quasi bianco, e la parte sinistra del volto era sfigurata da una brutta cicatrice. Che cavolo pensava di fare?
 
Kariya si sentiva a pezzi come al solito, ma c’era qualcosa di differente. Non sentiva freddo per aver dormito all’aperto e non aveva la schiena dolorante per aver dormito in una posizione decisamente scomoda. Per il resto stava di merda, proprio come al solito. Aprì gli occhi con cautela, ritrovandosi, per suo sommo stupore, in un appartamento lussuoso. La stanza era avvolta nella penombra e lui era nudo in un letto matrimoniale. “Che cazzo…” sussurrò, stringendo occhi e denti alla fitta che gli trapanò il cranio. “Sei sveglio” disse una voce femminile che non aveva mai sentito. O forse sì? “Come ti senti?” chiese, avvicinandosi. Si voltò in direzione della voce e rimase senza fiato. Una bellissima donna dai capelli rossi come le foglie d’acero rosso gli invase il campo visivo. Un angelo? No, lui agli angeli non credeva. Il mondo era troppo crudele perché potessero esistere e soccorrere dei disgraziati come lui. La mitologia greca, piuttosto, gli era sempre piaciuta. Poteva definirla una ninfa, forse. “Bene. Ora me ne vado” disse, volendo svignarsela il prima possibile da quel luogo, sentendosi a disagio. “Fermo lì” gli ordinò lei con voce perentoria, bloccandolo all’istante. “Di cosa ti sei fatto?” continuò impassibile, come se stesse chiedendo come stesse sua madre. Kariya la fissò con sdegno: la ninfa era divenuta improvvisamente una strega. “Non sono affari tuoi” disse lui a fatica. “Lo sono da quando t’ho portato qui. Quindi, se non ti dispiace, dimmi di cosa ti sei fatto. Cocaina? Eroina?”. Il giovane era spiazzato. In Giappone non erano così diretti e già in Italia si era ritrovato un po’ in difficoltà, ma questa tizia, che dall’accento sembrava inglese, gli sembrava quasi peggiore degli italiani. Senza dire una parola si alzò dal letto ma quando ricordò di essere nudo di fronte a una donna, si coprì rapidamente con il lenzuolo, arrossendo suo malgrado. Questa sorrise, sorniona. “Vestiti” sogghignò, lanciandogli degli abiti puliti ed uscendo dalla stanza.
 
Quando il ragazzo entrò nel salotto la donna potè osservarlo meglio. I capelli sporchi gli ricadevano sul volto coprendogli in parte la cicatrice ma lasciando scoperto l’occhio cieco che la impressionò non poco. Inoltre, sembrava avere seri problemi alla parte sinistra del corpo che si trascinava dietro a fatica. Anche il solo vestirsi doveva essere stato complicato.  Senza dire nulla spinse sul tavolo una tazza di caffè, invitandolo a sedersi. Kariya, imbarazzato come non mai, accolse l’invito ma non bevve il liquido scuro. “Eroina” mormorò rauco, stringendosi il braccio sinistro e rivolgendo lo sguardo altrove. “Come scusa?” chiese lei, sorpresa. “Mi sono fatto di eroina” ripetè. “Una dose tagliata male, anni fa, m’ha fatto questo” continuò senza che lei lo chiedesse. L’aveva detto spontaneamente, senza nemmeno pensarci. Non che avesse importanza ormai. Sola si sentì improvvisamente protettiva nei confronti del ragazzo. Avrebbe potuto aiutarlo. Avrebbe potuto addirittura portarlo con sé a Londra, a Kayneth non sarebbe importato. Scosse la testa: perché aveva iniziato a farsi viaggi mentali del genere? Che le prendeva? “Hai una famiglia?” chiese lei. “Nessuno” fu la risposta. “Hai intenzione di curarti?”. “Se avessi ancora tempo sì, lo farei, ma non ne ho più” mormorò. La voce gli si era spezzata in quelle ultime parole e la debolezza si era impadronita di lui. Dopo anni di solitudine, avere qualcuno con cui parlare era un sollievo. Non aveva importanza se era una sconosciuta: dopotutto l’aveva aiutato. Una lacrima gli solcò il viso. “Dovrei morire entro pochi giorni, o per astinenza o per overdose” le sorrise tristemente.
 
Sola-Ui aveva sentito il bisogno di uscire di casa. Non era tanto sensibile da lasciarsi commuovere da storielle strappalacrime ma l’atteggiamento di Kariya l’aveva scossa nel profondo. Sembrava rassegnato al suo destino, come se non ci potesse essere nulla da fare. Estrasse il cellulare dalla borsa e compose rapidamente il numero di Kayneth che rispose al terzo squillo. “Pronto Sola, è successo qualcosa?” “Il tuo amico, Carl Michael, si occupa di tossicodipendenti vero?” chiese, fermandosi all’ombra di un palazzo. Il cielo era così azzurro. “Sì, perché?” la voce del marito celava il sospetto. “C’è una persona che vorrei aiutare. Può occuparsene lui?” “Ovviamente. Ma chi è?” “Un ragazzo che ho incontrato qui. Partiamo questo pomeriggio, prepara tutto il necessario per il volo” disse, o meglio, ordinò, chiudendogli il telefono in faccia e, senza perdere tempo, tornò rapidamente a casa.
 
Aprì la porta col sorriso stampato sul volto. “Che ne dici di venire a Londra con me?” chiese, raggiante. Il sorriso, però, gli morì sulle labbra, trasformandosi in un grido. Kariya era riverso a terra, in una pozza di sangue. Sola si precipitò su di lui, sperando che fosse ancora vivo ma l’unica cosa che strinse tra le braccia fu un corpo morto, nonostante fosse ancora caldo. Gli occhi le si annebbiarono e le lacrime iniziarono a riversarsi sulle guance impallidite, cadendo sul volto sporco del giovane. Sola non riusciva a fermarsi, le lacrime continuavano a scorrere imperterrite. Non conosceva quel ragazzo dai tratti orientali, non sapeva nulla della sua storia se non che era un tossicodipendente da alcuni anni, eppure stava soffrendo così tanto per la sua morte. Non aveva senso. E intanto, il sangue le imbrattava gli abiti e le mani.
 
“Pronto, Sola?” rispose alla chiamata un Kayneth decisamente frustrato. “Spiegami cosa succ-” “Non parto più oggi” sussurrò con un filo di voce. “Ehi, Sola, che è successo così all’improvviso?” domandò, preoccupato. Non provava nulla per lei, ma rimaneva comunque sua moglie. “Ti spiego quando torno, non dire nulla al tuo amico” continuò per poi chiudergli un’altra volta la telefonata in faccia. Lanciò il cellulare sul tavolo e si portò le mani al volto rigato di lacrime. Era rimasta abbracciata al cadavere per almeno un’ora prima di essere trovata inginocchiata sul pavimento sporco di sangue da Roberto, con cui aveva un appuntamento quel giorno. Prontamente aveva chiamato un’ambulanza e si era occupato di lei per quanto potesse fare: non aveva idea di cosa fosse successo e lei si rifiutava di proferir parola. L’unica cosa che aveva trovato era stato un foglio sul tavolo, su cui era scritta la storia di un giovane tossicodipendente che, in preda al delirio, era stato salvato da uno spirito dei boschi, una ninfa dai capelli del colore delle foglie di acero rosso che in autunno coloravano i giardini del suo paese natale. E un’unica parola si stagliava in fondo alla storia: grazie.

 

Note dell'Autrice:
Ok, ho scritto anche all'inizio, ma quella era una presentazione u_u
Non è stato semplicissimo abbinare questi due personaggi e il tema, perciò perdonatemi se non vi soddisfa xD
Gli altri FateWarriors sono Rachel Aori e Cailan Blake, cercate le loro ff e recensite, mi raccomando! [Prima o poi imparerò a mettere i link diretti..]
Consigli e commenti sono sempre ben accetti, anche le critiche purchè costruttive ;)
Alla prossima!
Keimi
  
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