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Autore: petitecherie    01/06/2014    6 recensioni
Sin dai tempi del mito ci viene raccontata la storia di Hades e Persefone. Un dio oscuro e severo che si innamora di una dolce fanciulla e la rapisce al suo mondo dorato, per rinchiuderla in una valle di tenebra.
Ma se non fosse andata così? Se Persefone fosse dolce, sì, ma meno sprovveduta di quanto appare. Se Hades fosse meno tormentato di quanto sembri. Se l'amore fosse vero e non costretto da un chicco di melograno.
Se fosse così, non resterebbe che dire "C'era una volta..."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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of dreams forgotten and fables untold

Allora, premettiamo che non è la prima volta che tratto di Hades e Persefone. Per la precisione, ho incontrato il mito anni fa, quando ero un'innocente (?) pupetta delle Elementari, e da allora ho sempre avuto un incredibile affetto per questa coppia atipica eppur ben riuscita. Recentemente, ho riavuto a che fare con questi due, in prima persona, quando mi fu passato questo video Hades & Persephone: Cosmic Love e non vi dico .

A quel punto, ho deciso di riprendere in mano la storia e condividere la mia versione dell'amore tra il dio degli Inferi e la dea della Vita. Spero vi piaccia :)

Ultima cosa: voglio dedicare questa storia a due persone in particolare. Una è la Saliman, l'adorabile creatura che mi ha passato il video, e l'altra è Titania76, come regalo di buon compleanno, anche se un po' in ritardo ;)









Il sangue li ricopre ancora quando la battaglia termina. Zeus, la camminata zoppicante di chi ha un ginocchio malmesso, si guarda ancora attorno stranito, meravigliandosi che il buco apertosi sotto ai loro piedi si sia richiuso così in fretta.

E' la prima volta, dopotutto, che i suoi fratelli usano i loro poteri, condannati per anni ad incanalare le loro energie in quelle paterne, vincolati com'erano in quel ventre flaccido, schiacciati tra la milza e l'intestino molle
Puzzano di carne putrida rispetto a lui, e il loro sudore non fa che renderli più sgradevoli al suo olfatto delicato. Zeus può riempirsi la testa di tutte le fole sull'eroismo che vuole, ma sarebbe sempre rimasto un reuccio schizzinoso ed egoista, con rari sprazi di coraggio ed abnegazione.
Lo sanno fin troppo bene, tutti loro, tutti gli dèi dell'Ordine, che quel caro fratello minore s'è dato tanto disturbo per un unico motivo: il potere. Potere che adesso si agita già nelle sue viscere, rendendo Zeus un doppio – più scaltro – del padre Chrono.
Tanto scaltro che quando si volta verso i suoi fratelli maggiori, Hades e Poseidone si scambiano uno sguardo consapevole e rassegnato. Il Fato e le Moire gli impongono di ascoltarlo, se non gradiscono d'esser fulminati come qualche Titano.

Quanto alle belle sorelle, bé, probabilmente sono già bagnate e pronte ad esser prese dal vincitore. Poseidone serra i denti con forza ed evita di gettare occhiate alle sue spalle, temendo di incrociare con i suoi occhi di ghiaccio, quelli di terra della più dolce delle sue sorelle, la sua carne morbida e calda. Che insomma, è inutile negarlo: chi davvero ha vinto la battaglia contro i Titani, è Zeus, e loro hanno fatto solo da spalla, supporto morale e tanta buona fortuna. I loro poteri – Poseidone non è ingenuo, ma increspato come le onde del mare – non sono ancora formati, a differenza di quelli del fratello minore.

Lo scagliasse chiunque, un fulmine. Poi ne riparliamo.

Hades avverte quel maremoto di pensieri nella testa del fratello minore e scuote il capo bruno. La guerra non è ancora vinta, lo sa bene. Non ha il dono della Vista, lui, né alcuno dei suoi fratelli, ma i Titani non sono ancora caduti, solo spariti a leccarsi le ferite e Hades sa bene che Rea, madre bellissima e giusta, non avrebbe parteggiato per i suoi figli, se il potere è in gioco. Rea ha salvato Zeus solo per vendetta nei confronti del marito, non perché s'aspettasse davvero la fine dei Titani e la sorte prospettata da Gea e Urano.
Figuriamoci, a quel punto li avrebbe mangiati lei stessa e dopo averli fatti a pezzi, giusto per stare più sicura.

<< Stai bene, Hades? >> La domanda di Hestia lo raggiunge a scoppio ritardato e per la prima volta, il quartogenito di Crono si sofferma a fissare il bel volto della primogenita. Hestia, Demetra, Era, Hades, Poseidone e Zeus, questo il campionario sfoggiato dalla coppia regnante, una sestina da incubo a ben pensarci. Roba da aborto, se Rea avesse saputo.
Ma le Moire sono delle grandissime puttane e dicono solo quello che vogliono, a chi vogliono e come lo vogliono.
Quanto a Gea ed Urano, hanno imparato a farsi i fatti loro, visto com'è andata l'ultima volta.

Hestia è la più piccina delle figlie di Rea, sebbene sia la maggiore. Raggiunge a malapena il metro e quaranta e ha il corpo esile di una bambina, con occhi grigi spalancati come piattini e le labbra sottili atteggiate sempre ad invocare pace e calma. E' colei che più ha sofferto l'indifferenza dei genitori, è la bambina che ha dato il benvenuto ai suoi fratellini e alle sue sorelline, donando loro la calma e nutrendoli di sogni dolci, di case confortevoli e di genitori amorevoli, di pane e ambrosia, fiori profumati e turiboli odorosi.
Hades la ama, profondamente, come potrebbe amare un'icona o una stella del firmamento. Non c'è niente di carnale in questo affetto, ma solo grandissimo e puro amore. E' sua madre, l'unica persona che riconosce come tale. Come lei, Hades è sottile e slanciato, un adolescente e non un uomo, come già sembrano Poseidone e Zeus.
Si assomigliano poco, quei due. Sono entrambi alti e forti, muscolosi, dorati, ma Ennosigeo ha i capelli bianchi come spuma di mare mentre Zeus ha il rosso dell'oro che gli brilla sul capo. Uno è acqua e l'altro è fuoco, e Hades, suo malgrado, è terra, colui che deve bloccare ed arginare le intemperanze di uno e dell'altro.

<< Sto bene. >> riesce a dire, fissando ancora i fratelli che si fronteggiano. Hestia gli sfiora uno zigomo, con gli occhi grigi chiusi e i capelli castani che le ricadono sulle spalle, lisci e lucenti come il pelo di un ermellino. La ferita si richiude magicamente ed Hestia gli sorride timida.

<< Grazie. >> la omaggia il fratello e lei arrossisce.

E' una piccola madre ma non una donna, non come Era, fuoco primordiale, che si avvicina, come una leonessa, ai due pretendenti. E' alta, Hera, maestosa, una donna sensuale e sicura di sé e del suo fascino, con i capelli neri di Chrono e gli occhi dorati di Rea. Zeus la guarda e deglutisce e Hades sa già come andrà a finire. Hera è aria, e aria e fuoco, assieme sono incendio. Tira un sospiro di sollievo e come Hestia, volge lo sguardo a Demetra, i cui occhi di terra sono fissi su Poseidone e ricci biondi cadono inanellati sul seno grande.
Non c'è molto da capire, nota Hades, le coppie sono più che stabilite.

<< Istie, >> Hades richiama la sorella con un dolce vezzeggiativo << sarà il caso di intervenire. >>

<< E' mio dovere. >> gli sorride ancora lei << Sono la maggiore. >> Seppur delicata ed innocente, Hestia brucia e Hades sa, che se volesse, Hestia li potrebbe assoggettare semplicemente schioccando le dita, incatenandoli al suo volere. E' la primogenita, la più potente. L'essenza stessa del fulmine.
Eppure, con parole sagge, Hestia richiama i fratelli all'ordine e li blandisce, spiegando loro che è meglio unire le forze e non scontrarsi. Con pacatezza, ammette che Zeus godrà – e deve godere – del premio maggiore, perché è colui che li ha salvati dalla follia paterna e da un destino di cecità e viscere.

<< Sta bene. >> asserisce Hades – e se il maschio maggiore abbassa il capo, anche Poseidone dovrà cedere - << Solo una cosa chiedo. >>

E di nuovo, gli animi si infiammano. Hades sogghigna, notando come lo sguardo di Ennosigeo corre a Demetra e come quello di Hera a Zeus, impegnato, invece, a fissare e studiare gli occhi d'agata del dio, del fratello maggiore che per la prima volta vede e sente. << Parla. >> proferisce, imperioso. << Svelati. >>

<< Gli Inferi. >>

<< Come?! >> esclamano tutti, perplessi. Hades è bianco come neve, gli occhi grandi e spiritati, le mani affusolate e le dita sottili come zampe di ragno. Ma gli Inferi sono una terra brulla abbandonata al caos e ai daimon, una terra senza padrone, l'ennesima lotta per un regno.

<< Sono miei di diritto. >> li informa. << Sono già stato lì. >>

<< E quando? >>

E Hades racconta:

Gli uomini già esistevano e morivano quando da Chrono e Rea nacque colui che avrebbe sottratto al padre il suo legittimo trono e Hades, uno dei primi ad essere mangiati, ebbe la facoltà in sorte di poter vedere le anime dei defunti, di poterle seguire nel loro viaggio. In quelle lunghe ore passate nel ventre paterno come un feto, Hades utilizzò parte dei suoi poteri e scese in quel regno che avrebbe reclamato come sua terra e patria.

Era un'anima come tante in quel viaggio eppure, il manto di cosmo che lo circondava era un ben chiaro segnale di chi fosse quell'uomo. Per la prima volta, Hades vide il suo regno e scoprì che i morti pascolavano come capre, gli occhi vuoti, falciati via dai daimon che abitavano le terre più nascoste di Gea. Eppure, quando i daimon lo videro, si inchinarono al suo cospetto, chiamandolo Signore e Sovrano e chiedendogli di prendere il suo posto nel palazzo della Giudecca. Hades scosse il capo, serio, e disse loro che prima avrebbe dovuto risolvere una faccenda importante con il proprio padre e riacquistare il suo vero corpo.

Pregò solo i suoi sudditi – che da subito furono cari al suo cuore – di iniziare a costruire una prigione nelle profondità del Tartaro, in cui rinchiudere coloro che lo tenevano lontano dal suo regno. I daimon annuirono e il patto eterno fu stipulato.

Ma una sorpresa più grande si svelò dinnanzi agli occhi d'agata. Tre donne dall'aspetto macilento e stanco seppur dallo sguardo acuto si pararono di fronte a lui, odorose di incenso. Hades ne aveva sentito parlare nei discorsi tra suo padre, il Cronide, e i suoi fratelli titani.

<< Le Moire. >> le appellò.

Esse chinarono il capo ossequiose e gli parlarono con voce roca, sibilline, raccontandogli la sorte che lo attendeva tra i succhi e i rigurgiti delle interiora paterne.

E l'anima incorporea, finalmente, trovò pace ed iniziò a pregare per la speranza chiamata Zeus.

Quando la speranza prese la forma della folgore e il futuro padre degli dèi calò tra di loro, liberando dal ventre marcio i figli reietti, Hades combatté con foga, fregiandosi dei poteri oscuri della kuiné e brandendo la sua spada, dono dei suoi daimon, arma forgiata con le pietre dell'Oltretomba.

Sembra una bella storia, pensano gli dèi dell'Ordine, eppure tutti loro possono vedere la spada e la kuiné. Scioccamente, credevano che fosse solo la materializzazione dei suoi poteri, come il fuoco nelle mani di Hestia e il fulmine per Zeus. Hades sa materializzare una spada, eccellente! L'importante è che sappia usarla, questo hanno pensato. Nei lunghi anni nel ventre paterno, hanno creduto che Hades dormisse e niente più. Non immaginavano che tanto potere celasse.

<< Le Moire hanno rivelato altro? >> domanda Hera, prevenendo questioni sciocche. Gli Inferi, se proprio Hades li vuole, sono un peso in meno. Hanno affari più urgenti da sbrigare.

<< A Zeus il cielo e a Poseidone il mare. Ad Hera le unioni e ad Hestia la casa. A Demetra le messi. >> rivela Hades. Pare che chi abbia il colore dell'agata nelle iridi, sia in grado di scrutare il futuro, pur senza avere la Vista. << Dodici divinità maggiori domineranno il cielo e la loro casa sarà - >>

<< L'Olimpo. >> termina per lui Zeus.

<< Il monte più alto di Grecia. >> considera Poseidone.

<< Dimora che avremo solo se sconfiggeremo i Titani. >> ricorda loro Demetra << E sono ben più forti di noi. >>

<< Non siamo gli unici nemici che hanno. >> sorride Hera, maligna, e gli dèi tutti si voltano a guardarla.

<< Sorella, se sai, aiutaci. I Titani sono pericolosi. >> le ricorda Hestia.

<< Hades ha dato un prezzo al suo aiuto e anch'io esigo lo stesso. >> si volta altezzosa Hera.

<< Cosa vuoi? >> chiede Zeus, e già sa che dovrà rimpiangere lo sguardo d'apprezzamento che le ha lanciato.

<< Il Cielo. >>

<< E sia, moglie. >> uno sguardo di fuoco passa tra i due e il patto è stipulato. Hera è tornado, è distruzione, e con gusto, esclama: << Gli Ecantonchiri! >>




*


Hades si svegliò di soprassalto, nel suo letto morbido, nel palazzo della Giudecca da lui presieduto da secoli.

Ogni volta che sognava della sua liberazione, della nascita e dell'accordo tra gli dèi dell'Ordine, un evento catastrofico si prospettava all'orizzonte: Pandora, il diluvio universale, l'ennesima battaglia con qualche divinità ostile, le vendette di Hera o gli amori folli di Afrodite. L'Olimpo s'era accresciuto in ricchezza e bellezza con gli anni, ma Hades non amava salire in Superficie. Il suo Regno era la sua pace e si potevano contare le occasioni in cui calpestava il marmo sonante del Palazzo del Cielo.

Eppure, un simile sogno rivelava qualcosa e bisognava approfondire la questione. Si rigirò tra le coperte, indeciso se chiamare o meno le Moire e chieder loro la verità sul futuro. Se interrogare Hypnos sui sogni e chiedergli il perché di tali manifestazioni notturne. Se inviare le Furie a qualcuno che lo malediceva, convinto che fosse suo desiderio strappar le vite ai mortali.

Hades si sollevò sul letto e si guardò attorno. La sua stanza, dalle grandi dimensioni, era spartana. Il letto piazzato al centro della stanza e ricoperto di morbide pellicce, dei cassoni istoriati regalatigli da Efesto, in cui conservava le sue vesti e la kuiné, un tavolo, ricavato da un ontano, su cui v'era poggiata una brocca d'acqua e una ciotola piena di melograni.

Il suo Regno era stato una continua scoperta. Era immenso e diviso in varie regioni, come le chiamava lui. L'Averno era attraversato da cinque fiumi e il Muro del Lamento separava i Campi Elisi ed il Tartaro dal luogo in cui lui prendeva dimora. Il Tartaro, scuro e multiforme, era un luogo che di rado visitava, recandosi solo per controllare che coloro che avevano sfidato gli dèi fossero ancora lì segregati e tenuti sotto stretta sorveglianza dai loro carcerieri.

I Campi Elisi, divisi in tre isole minori, erano l'unico luogo degli Inferi che gli dèi della Superficie potevano visitare. Erano strane le leggi degli Inferi: solo chi possedeva un cosmo ctonio, permeato di terra, poteva attraversare tutte le regioni governate da Hades, ma se non si possedeva neanche un barlume di tale potere, si poteva accedere solo ai Campi Elisi. E badando comunque alle regole degli Inferi, che il Regno di Hades perdonava assai poco gli stolti e gli sbadati che osavano sfidarlo.

Gli Inferi producono ciò che a loro si adatta: gli asfodeli, i fiori di loto, la grande Magnolia, simbolo della casa di Hades. Non ha bisogno di produrre vivande. E per chi poi? Le anime che qui indugiano non si cibano che di aria. I daimon, invece, creature semidivine, possono gustare i frutti del giardino di Ascafalo, l'Eden, territorio sacro e perfetto.

Il sole brillava nei Campi Elisi mentre nell'Averno vi era quel tenue chiarore dell'alba e la notte si annidava dolce nel Tartaro, riflettendo le costellazioni che amavano i mortali.

Hades sospirò, soddisfatto. Lontano dagli dèi aveva trovato il suo ambiente ideale e le care anime che gli giungevano erano un dono più prezioso di qualsiasi fiore che Demetra avrebbe potuto creare. E allora, l'avvertì. Una piccola stilla luminosa e viva. Viva. Nel suo Regno. Il sogno consueto si rivelava ancora una volta presagio.



*



Demetra aveva tre grandi amori: la terra coltivata, Poseidone e sua figlia Persefone. Adorava il palazzo che Zeus le aveva donato sull'Olimpo, ma lo abitava bene poco, preferendo godersi il terreno roccioso e le pietre risvoltate e ricche di vermi che sollevava scavando. Mangiava frutti e sputava i noccioli per rendere la terra feconda, i contadini che l'imitavano ed insieme innalzavano inni ai miracoli del suolo, al grano che si ergeva tra le zolle e agli alberi carichi di frutti.

Cantava, Demetra, anche quando Poseidone abbandonava le acque salmastre per salire al Regno del Cielo, lasciandosi alle spalle Anfitrite e le sue squame, per entrare in lei e spargere il suo seme nel ventre fertile della dea delle messi. Demetra amava quel dio possente dai capelli bianchi e gli occhi di ghiaccio sin dalla prima volta che l'aveva visto, nel ventre paterno. E' mio, aveva proclamato, gioiosa – che lei non era come Hera, ma sorrideva sempre, di cuore -, e aveva seguito sempre, con i suoi occhi di terra, Ennosigeo. L'aveva visto crescere e mutare e anche allora era stato suo. Sarebbe sempre stato suo anche se consumavano amori con altri.

Demetra non era gelosa, come Hera.

In realtà, Demetra si considerava superiore ad Hera. Non era ambiziosa, maligna, gelosa, perfida, crudele e irosa come sua sorella e questo le bastava per ritenersi migliore e al sicuro da qualsiasi male potesse capitarle. A differenza degli altri fratelli, poi, possedeva un piccolo germoglio di cosmo ctonio, e questo era bastato per renderla sempre prudente.

Zeus non l'avrebbe mai mandata negli Inferi se fosse stata buona, si ripeteva, e così, Demetra si aggirava tranquilla tra i corridoi dell'Olimpo e sulle vie della terra.

Perché se c'era una cosa di cui aveva paura Demetra, era proprio quella: gli Inferi. Per quanto amasse la terra scura, ella temeva la terra infeconda, quella che brillava violacea nel Sottomondo dominato da Hades.

Amava suo fratello, sebbene egli fosse diverso da tutti loro, ma temeva il suo potere di morte. E temeva, Demetra, che il suo barlume ctonio la indicasse come compagna perfetta del dio degli Inferi e disperava già una vita lontana dal sole accecante che le bruniva la pelle. Zeus aveva stabilito, una volta sconfitti i Titani, che sia Hades che Poseidone avrebbero avuto una consorte. Ennosigeo aveva scelto, su suo consiglio, Anfitrite, una nereide, Hades, per il momento, aveva rimandato la questione, portando a sua difesa argomenti come le Moire ed il Fato.

Non aveva sposato Poseidone, perché, come non poteva sentirsi costretta dalle maglie dell'oscurità della terra, allo stesso modo non v'era vita per lei sotto il mare. Amava Poseidone, ma amava ancora di più la sua libertà, l'aria, e i frutti che gli uomini potevano ancora darle.

Altro motivo per cui si sentiva superiore ad Hera: non aveva vincolato il suo uomo a se stessa, ma gli aveva donato amore e libertà. Non nutriva sentimenti folli di vendetta e gelosia nei confronti delle donne che Poseidone usava per disperdere i suoi umori, anzi, gioiva con lui del miracolo della nascita. E a tanta libertà, si aggiungeva libertà per essa stessa: se Demetra si riempiva gli occhi con un mortale di suo gradimento, non v'era dubbio che l'arte della semina e del solco avrebbe acquisito un ulteriore senso.

Infine, Demetra amava sua figlia Persefone, che considerava una piccola se stessa, la sua Kore, l'eterna fanciulla. Persefone era identica a sua madre: lunghi capelli color del grano e morbidamente ondulati, penetranti occhi cangianti, in grado di passare dal colore del tramonto a quello del mare, e pelle baciata dal sole, il ritratto perfetto della dea della vita. Purtroppo, per beffardo destino, la giovine ereditò anche, in misura inferiore al suo cosmo luminoso, il cosmo ctonio di Demetra. Sebbene questo non fosse un segreto per nessuno – chiunque nell'Olimpo era in grado di avvertire l'odore dolciastro della morte provenire da Persefone -, Demetra ne fu tremendamente spaventata e pregò con tutto il cuore che suo fratello Hades, bellissimo e terribile, non puntasse mai i suoi occhi d'agata sulla figlia.

Pensieri sciocchi i suoi, d'altra parte. Hera, Signora delle Nozze, non avrebbe acconsentito ad un matrimonio di facciata. Un pizzico d'amore doveva esserci tra i regnanti. Persefone era salva ed al sicuro sull'Olimpo. O lì, con lei, come in quel momento, sotto il suo occhio vigile e quello delle sue ninfe. Il bosco attorno al Lago Pergusa era carico di frutti e le sue compagne danzavano felici, attorniando la sua bambina. E in quel momento, Demetra si riscosse. << Perché avete fermato il canto? >> domandò, un'angoscia improvvisa che le risaliva dallo stomaco per arrivare alla gola.

<< Mia dea, >> la richiamò ansiosa una delle ninfe che l'accompagnava << vostra figlia è scomparsa. >>



*


Hades era confuso, più di ciò che sarebbe stato ammissibile. Comprendeva perfettamente che quella creaturina dall'espressione confusa non era una mortale sperduta, ma una dea. A giudicare dal suo aspetto, dai suoi colori, Hades avrebbe giurato di trovarsi di fronte a sua nipote, la figlia di Demetra e Poseidone. Le Moire gli avevano accennato della nascita di una piccola dea dal cosmo in parte ctonio e lui l'aveva persino vista quando i suoi fratelli l'avevano presentata al Concilio degli dèi, ma erano anni – secoli? - che non saliva in Superficie.

Possibile che quella bambina che ricordava a malapena fosse cresciuta così tanto? E tralasciando ciò, com'era possibile che fosse qui? Gli dèi non potevano calpestare il suolo degli Inferi.

<< Chi c'è? >> domandò allarmata la ragazzina.

<< Chi siete? >> chiese di rimando lui, uscendo dal cono d'ombra. La fanciullina fece un balzo indietro, spaventata, nel vederlo. Non che Hades fosse un mostro da fiaba, solo che i suoi occhi, quei pozzi d'agata verde, erano pietosi e terribili da far male, che quasi diveniva impossibile reggere lo sguardo del Signore degli Inferi.

<< Mi chiamo Persefone. >> la fanciullina prese coraggio << E credo d'essermi perduta. >>

<< Negli Inferi. >>

<< Come? >>

<< Questi sono gli Inferi, Persefone. >> il Re si inchinò << E io sono Hades, il loro sovrano. Vostro zio. >>

Persefone spalancò gli occhi che, a causa dell'oscurità dell'Averno, avevano acquisito un'intensa sfumatura violacea, tale da ricordare ad Hades un'ametista. << Gli Inferi? Com'è possibile? Ero con mia madre e le sue ninfe, nei pressi del Lago Pergusa, e d'un tratto il paesaggio è cambiato. >>

Hades sospirò << Avete attraversato un passaggio tra i mondi. Di solito è impossibile, ma chi, come voi, ha un cosmo ctonio, è più sensibile. >>

Se fosse stato possibile, Persefone avrebbe spalancato ancora di più gli occhi. << Cosa volete dire? >>

<< Non l'avvertite voi stessa? La parte oscura di voi, ciò che permette la nascita... >> Hades si fermò notando come la fanciullina lo guardasse stranita. Possibile che quella stolta di sua sorella avesse preferito tacere e che quei folli dell'Olimpo avessero accettato tale decisione? Persefone era dea della Primavera e della Vita ma come poteva comprendere il suo potere se non ne conosceva la vera natura?

Calò il silenzio fino a che un lieve guaire non li riscosse. Vicino a loro, intento a strusciarsi sulla veste di Persefone, c'era un cucciolotto di pochi mesi, fornito – bontà divina sapeva perché – di tre teste.

<< Oh, è il cane che mi ha guidata. >> sorrise la fanciullina e Hades rimase abbagliato sia dalla luminosità della creatura che dalla facilità di adattarsi alle stranezze del luogo in cui regnava.

<< Non avete paura? >> si trovò a domandare, ricordando perfettamente come le sue sorelle e gli altri dèi si ritraessero schifati dalle creature generate dagli Inferi, mostruose e grottesche, come le Graie, ma non per questo meno belle delle farfalle che percorrevano il cielo.

<< Paura? E' così grazioso. >> gli rispose Persefone, già impegnata a coccolare il cucciolo che, oltre alle teste, iniziava a presentare quei segnali che l'avrebbero reso una creatura piuttosto pericolosa in futuro. << Tanto grazioso con tutte queste macchioline. Ti chiamerò Kerberos. >> e il cane a tre teste scodinzolò felice come se il nome scelto gli piacesse. << Ho visto altre cose così insolite e meravigliose mentre camminavo. Tutti, sull'Olimpo, descrivono il vostro Regno oscuro e desolato, ma non è così. >> asserì Persefone, rialzando gli occhi di viola su di lui.

Hades perse un battito e le porse la mano << Vi piacerebbe visitare il mio Regno, dolce Persefone? >>

***

NdA

Sì, versione molto rielaborata del mito, I know. Infatti, ho preferito seguire la tradizione mitologica dove Persefone è presentata come figlia di Poseidone più che di Zeus, perché tornava meglio ai fini della trama. Tralasciando il video, nella mia mente, Hades è molto simile a Ville Valo degli HIM e Persefone ad Amanda Seyfried. L'etimologia di Cerbero/Kerberos è ancora sconosciuta, nel senso che non si capisce esattamente da dove provenga la radice del nome. L'ipotesi più comune è che voglia dire "macchiato". Qui ve lo mostro come cucciolotto adorabile. Le tre teste, comunque, indicano il passato, il presente ed il futuro e secondo la tradizione classica, i cani (a differenza dei gatti in Egitto) erano i veri messaggeri dell'Oltretomba. 

ps: approfitto, least but not last, per fare gli auguri di buon compleanno anche alla mia amica Cele :* 

disclaimer: i pg presentati mi appartengono solo in questa personale disposizione, non scrivo a scopo di lucro e blablabla. Il titolo dato a questa storia è tratto dall'album dei The Moon and the Nightspirit.

   
 
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