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Autore: J85    04/06/2014    1 recensioni
Protagonista di questa mia prima storia urban fantasy è Sara Silvestri, personaggio secondario (ma non troppo) di un mio vecchio racconto intitolato "Casa mia".
La ragazza, alla ricerca di un edificio da adibire a negozio di parrucchiera, s'imbatte, su suggerimento di una sua amica, in un cupo e tetro fabbricato, situato in una zona isolata fuori città.
Nonostante sia estremamente titubante, alla fine la giovane si decide ad entrare, certa che al suo interno sia totalmente disabitato.
Con suo grande stupore, ed orrore, scoprirà che la situazione è ben differente da quella sperata.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9

“L’uscita”

 

 

 

Sara proseguiva, un passo dopo l’altro, nel salire i gradini una volta bianchi, scorrendo leggermente con la mano sul corrimano di ferro polveroso. Era ormai giunta a metà scala e tutto proseguiva normalmente. La cosa la preoccupava alquanto.

La bionda si mise inconsciamente a canticchiare un motivetto allegro, che risuonava come un vero e proprio concerto, nel silenzio più totale dell’ambiente.

“È  tutto troppo facile…” sussurrava, mantenendo il ritmo musicale.

Di colpo, si sentì spingere in avanti. Fortunatamente riuscì a proteggersi con le braccia contro i gradini che le stavano davanti. Voltandosi indietro si accorse che aveva fatto tutto da sé, mettendo in fallo uno dei suoi piedi.

“Cazzo!” imprecò infuriata.

Una volta spolveratasi i jeans, riprese la sua marcia verso l’alto. Natalino, con la testa ancora staccata, le teneva fedelmente compagnia.

“Se davvero questa è l’uscita, siamo a cavallo Natalino!” esclamò, in un impeto di gioia e fiducia.

“Può darsi che lo sia, oppure è solo un vicolo cieco”.

All’udire quella voce, la ragazza si bloccò impietrita.

“C-Chi ha parlato?” tentò con il dialogo la giovane.

“Io ho parlato”.

“Io chi?”.

“Ah sì, hai ragione scusami…”.

Mentre Silvestri scrutava per bene tutt’attorno, per quello che poteva vedere nell’oscurità, improvvisamente comparve davanti a lei una luminescenza bluastra, proveniente dal muro a cui si appoggiavano i gradini alla sua sinistra. Passato qualche secondo, notò che tale luce stava mutando forma, assumendo sempre di più un aspetto antropomorfe. Tale era il panico in lei che non tentava nemmeno di cacciare un urlo spaventata.

“Perdonami se non mi sono materializzato prima ma, sai com’è, gli umani non hanno mai delle buone reazioni appena mi vedono…” proseguì il discorso l’essere.

“C-Chi sei tu?” si espresse appena l’umana.

“Mi chiamo Ernest e, come avrai di certo intuito, sono un fantasma”.

Tra i due personaggi, cadde un silenzio di tomba.

L’ectoplasma aveva assunto un volto umano a cui difficilmente si poteva attribuire un’età anagrafica. A caratterizzarlo aveva soltanto dei capelli ricci presenti esclusivamente sulle tempie.

“È da un po’ che seguo le tue avventure Sara” riprese il trapassato “oh, scusami, spero ovviamente di poterti chiamare per nome…”.

L’altra fece appena cenno di sì con il capo.

“Perfetto. Sai, finora non ho potuto mai intervenire perché, tra di noi, non amiamo particolarmente aver alcun genere di rapporto”.

La fanciulla era ancora con la bocca serrata e gli occhi sbarrati.

Lo spettro la fissò per qualche istante in attesa “Comunque, mi fa davvero piacere che tu sia riuscita a ritrovare Natalino, anche se recentemente gli è capitato qualcosa di spiacevole”.

“G-Già” sussurrò appena l’interlocutrice.

Ancora silenzio tra i due.

“Tornando al discorso di prima” riprese la parola il fantasma “Hai detto che qua su potrebbe esserci l’uscita. Dunque, tecnicamente è possibile ma, fidati, non è l’uscita che ti aspetteresti”.

“In che senso?”.

“Vedi, se vuoi davvero uscire di qui, devi passare da una zona che si trova al di là dei mondi e al di là del tempo”.

“E come posso fare per attraversarla?”.

“A dir la verità, ci sei già passata una volta…”.

“Davvero? E quando?”.

“Mentre eri dentro l’ascensore”.

“Cosa?! Quel posto assurdo?! Con tutti quegli orrori?!”.

“Esattamente”.

“Oddio! E come dovrei fare per andarci?”.

Il fantasma questa volta non parlò, ma indicò direttamente la semplice porta a cui portavano quelle scale.

Sara tenne lo sguardo alto verso la sua meta per qualche secondo. Poi, ricominciò a salire.

“Sara…” la richiamò Ernest.

Lei si girò indietro, verso quella sua nuova ed assurda conoscenza.

“Tranquilla. Se rischierai di perderti, verrò io stesso a riprenderti”.

La bocca della ragazza si piegò in un lieve sorriso “Sicuro che facendo così potrò uscire di qui?”.

“È l’unico modo” le rispose lo spettro “Oppure hai deciso di rimanere qui con noi?”.

“Non ci penso nemmeno!” rispose secca lei.

I due si fissarono ancora per qualche attimo. Infine la bionda si rigirò e riprese il suo cammino. Con un ultimo passo, il più pesante, raggiunse il piccolo pianerottolo di fronte l’uscita. Dopo un’iniziale esitazione, la giovane afferrò saldamente la maniglia annerita dal tempo.

Tornò a fissare la luminescenza.

“Forza Sara!” la incoraggiò a voce bassa lui.

Con un impeto improvviso spalancò l’uscio, finché fu tutto buio.

 

Riaperti gli occhi, si ritrovò seduta su di una panchina. Sotto i suoi piedi vi era una banchina ferroviaria e, proprio davanti a lei, dei binari del treno.

“Non mi dire che ci risiamo con il treno fantasma” esclamò la bionda, girando la testa verso entrambe le direzioni del tracciato.

Non ebbe tempo di aggiungere altro che una forte luce, come un vero e proprio treno ad alta velocità, le sfrecciò davanti.

Sara richiuse gli occhi urlando.

 

Riapertili nuovamente, vide comunque tutto nero. Allontanando però leggermente il viso, scoprì di trovarsi davanti ad una lavagna scolastica.

“Si decide a concludere, signorina Silvestri?”.

Voltatasi di soprassalto, si trovò davanti un uomo di circa mezza età, con occhiali dalla montatura di tartaruga e la classica faccia da professore antipatico.

Ruotato leggermente il suo corpo, vide un’intera aula universitaria ricolma di studenti, tutti intenti ad osservarla attentamente.

“Dunque, signorina Silvestri?”.

Lei per qualche secondo fissò il docente, per poi tornare con lo sguardo su quanto era scritto sulla pietra scura.

 

 

La giovane non aveva la minima idea di cosa significasse quella curiosa formula, con tutte quelle strane lettere.

Picchiettando nervosamente il gesso sulla superficie nera, sempre più nervosa, le cominciarono a sudare le tempie. Alla fine, come se fosse stata folgorata dall’ispirazione, alzò in aria la mano, da cui lasciò cadere sul pavimento il gessetto, e la strinse a pugno. Senza attendere l’intervento di qualcuno dei presenti, la sbatté violentemente contro di essa, mandandola letteralmente in mille pezzi.

 

Nell’evitare che tali frantumi le finissero sul volto, la ragazza si girò di scatto. Trovandosi a finire quasi contro le sbarre di una cella.

“E ora dove mi trovo?” urlò, aggrappandosi con forza ai tubi d’acciaio.

“Silenzio, prigioniera!” la zittì un soldato, puntandole contro la mitraglietta che aveva appesa a tracollo.

Sara, impaurita da quella mortale minaccia, si allontanò immediatamente il più che poté, battendo la schiena contro il muro di mattoni alle sue spalle.

Di colpo, l’attenzione del militare fu attirata dall’arrivo di un suo commilitone. Appena i due si scambiarono le prime battute, l’italiana capì subito che essi non stavano parlando la sua lingua madre. Dopo qualche altro secondo di ascolto, ipotizzò che parlassero in tedesco. Finché non notò un particolare piuttosto inquietante sulle uniformi dei suoi carcerieri: Una svastica nera dentro ad un tondo bianco su di una fascia rossa al braccio.

“Oh no! Ci mancavano pure i nazisti!” imprecò rassegnata, facendosi scivolare a terra.

Passato qualche minuto, iniziò a sentire una lieve voce che la chiamava “Sara… Sara… Sara…”.

Giratasi alla sua destra, trovò il volto incorporeo di Ernest che sbucava dalla parete.

“Erny! Allora mi hai davvero seguita!” esclamò, con una felicità improvvisa.

“Certo Sara, avevi qualche dubbio?” la bacchettò ironico lui “Ora dammi la mano, che il tuo viaggio non è ancora terminato”.

L’umana ubbidì e, appena stretta la mano dello spettro, fu nuovamente tutto bianco.

 

Un nuovo colpo alla schiena la fece ridestare. Mentre con le mani si teneva la parte dolorante, un scroscio d’acqua le bagnò tutta la parte destra del corpo. Sentendo in bocca che quel liquido era salato, si alzò in piedi più in fretta possibile. Come nel peggiore degli incubi, si trovava dentro una nave da pesca nel bel mezzo di una tempesta marina.

“Signorina stia giù!” urlò una voce nella tormenta.

“Cosa?” urlò di rimando lei, vedendo a mala pena il suo interlocutore.

“Ho detto stia giù!” le rispose un uomo, vestito con una delle più classiche tenute marinare “Che c’è il rischio, con questa tormenta, di finire in mare!”.

“Dove siamo?” cercò di informarsi la bionda.

“Nel bel mezzo dell’inferno!” tagliò corto lui.

Un’altra violenta sciabordata e la giovane si ritrovò nuovamente distesa sul pavimento del ponte. Tra i forti rombi dei tuoni, lei urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.

 

Tornato il silenzio, Silvestri riaprì i suoi occhi color nocciola, sentendosi ancora tutti i vestiti bagnati. Tutto il suo corpo dondolava dolcemente. Aprendo i palmi delle mani, riconobbe dei tronchi di legno disposti sotto di lei. Tirandosi su con il busto, vide subito un’immensa distesa azzurra.

“Sono ancora in mare?” si chiese tra sé e sé.

Rimettendosi faticosamente in piedi, rigirò in pochi secondi tutta la zattera sopra cui si trovava, cercando di orientarsi il più possibile. Lo spettacolo era sempre il medesimo: cielo ed acqua che s’incontravano in un tripudio di celeste.

“Chissà ora quanto mi toccherà aspettare…”.

Come a dare risposta alla giovane, la zattera si arenò su di una spiaggia comparsa dal nulla.

“E questa? Per lo meno la fortuna gira anche un po’ dalla mia” disse Sara, sbarcando su quella misteriosa isola.

L’aspetto era del tutto simile agli ambienti tropicali, con alte palme a svettare su una vegetazione bassa e fitta.

“Lassù c’è del cocco. Almeno non morirò di fame” osservò la bionda, mettendosi una mano sopra gli occhi per pararsi dal sole.

“Sara!”.

Quella voce era diventata familiare all’umana.

“Erny! Ma come diavolo ti sei conciato?”.

L’affermazione dell’amica era dovuta alla pesante armatura che, con sua gran sorpresa, il fantasma stava indossando, completa anche di gambali e calzari.

“Almeno ora ti vedo anche le gambe…” scherzò lei, indicandogli le relative appendici.

“È da tanto che aspetti?”

“No, dai. Temevo peggio”.

“Qualcosa mi dice che sei a metà del tuo percorso” la informò l’ectoplasma.

“Davvero? E poi potrò uscire?” domandò esultante la ragazza.

“Penso di sì. Però non arrenderti proprio ora”.

 

“Stai tran…” ma le parole gli morirono in gola, dato che tutto attorno a lei era tornato a farsi buio e silenzioso.

“Ancora non si decide ad andarsene, signorina?”.

L’interessata si girò, trovandosi davanti un’altra persona conosciuta recentemente.

“Tiziana? Anche te sei qui? Allora sai come si esce da qui?”.

“Devi solo proseguire nel tuo cammino, giovane Sara” s’intromise uno gnomo.

“Parf! Sono felice di rivederti! Aiutami ad uscire di qui, ti prego”.

Poi l’attenzione dell’umana fu catturata da delle flebili risatine sataniche. Era già infuriata prima ancora di voltarsi.

“Brutti figli di puttana! Con voi non ho ancora finito!” sbraitò come impazzita, mentre tentava inutilmente d’inseguire un quartetto di folletti dispettosi.

D’un tratto, come fosse un gatto che gioca, si mise a cercare di afferrare una piccola fonte luminosa che danzava nell’aria.

“Sei la fata della fontane!” gridava euforica “Allora stai bene! Non sei morta!”.

Nel bel mezzo di questa sua danza gioiosa, fu afferrata violentemente al braccio. Preoccupata, la bionda si voltò di scatto, trovandosi davanti un essere dal viso di serpente.

“Sssara, resssta con noi!”.

“Col cazzo, brutto stronzo! E ora lasciami!”.

Ma lo spettro degli specchi obbedì soltanto al gran frastuono provocato dall’orco.

“IO DIRETTORE!” urlò rabbioso l’enorme creatura.

Con una nuova scossa del terreno sotto ai suoi piedi, Sara si ritrovò inizialmente a barcollare, per poi perdere definitivamente l’equilibrio.

Per sua fortuna, delle braccia snelle ma toniche l’afferrarono al volo.

“Come stai Sara? Ti sei fatta male?” le domandò preoccupato il manichino vivente.

“Leroy!” gridò felice la ragazza, accarezzandogli le guance di plastica “Tranquillo, sto bene e te?”.

“Anch’io sto bene. Vai Sara, prosegui che sei quasi alla fine!”.

L’umana lasciò a malincuore il suo prezioso amico, per poi trovarsi d’innanzi ad un ammasso di rottami. Questo, nel giro di qualche secondo, si animò.

“Dimentichi un fedele compagno” l’ammonì esso, facendo comparire, per la seconda volta, un peluche a lei molto caro.

“Natalino!” lo strinse forte al petto “Speravo di ritrovarti anche dentro questo mondo assurdo!” poi rivolse il suo sguardo verso la creatura “Grazie ancora di tutto!”.

I suoi piedi fecero automaticamente qualche passo in avanti, mentre lei proseguiva con l’accarezzare affettuosamente il suo balocco.

“Fuori dai coglioni!”.

Quello sproloquio la mise subito sull’attenti. Voltatasi a scatti, si ritrovò davanti il rinoceronte volgare e con sigaro. Senza dire altro quest’ultimo la caricò. la giovane fuggì più veloce che poteva, trovandosi di colpo in un dirupo che, da quella stramba isola, dava sul vuoto assoluto.

Sara Silvestri non ci pensò su un attimo e si buttò.

 

Una voce molto familiare la risvegliò questa volta. Lì per lì non credette alle sue orecchie: quella voce era proprio la sua. Spalancò immediatamente gli occhi e si vide. Era più grande, vestita con un lungo camice bianco e, attorno a lei, vi erano nove persone vestite di giallo e rosso. Quando quella decina si voltò improvvisamente verso di lei, tutto fu nuovamente buio.

 

  
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