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Autore: Luce_Della_Sera    05/06/2014    4 recensioni
Dafne è una studentessa universitaria, a cui manca solo un esame prima di laurearsi; il problema è, che per quanto si sforzi, non riesce a passarlo! Così, un giorno, pensa di prendere il coraggio a due mani e passare all'azione...a modo suo. Ma alla fine, avrà un'amara sorpresa!
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una fantastica rivincita

Ma io proprio non capisco: sei sempre stata brava in italiano, quindi perché mai ti fai bocciare sempre all’esame di letteratura?”.
“Mamma”, dissi impaziente, allontanando lievemente il cellulare dall’orecchio. “Te l’ho già spiegato migliaia di volte: quella scema della professoressa è molto pignola, non vuole perdere tanto tempo e quindi ti fa una domanda sola: se rispondi come si aspetta lei, te ne fa altre, altrimenti ti manda via. Che colpa ne ho io?”.
“Oh, ma non ti vergogni?” sentii dire a mia madre, dall’altra parte. “Hai ventidue anni, e ancora dai la colpa ai professori!”.
A quel punto, mi arrabbiai di brutto. “SENTI, CARA LA MIA MAESTRINA, MA PERCHE’ NON LA PIANTI? CHI E’ CHE VA ALL’UNIVRSITA’, TU O IO?”.
Chiusi la comunicazione, ansimante e rossa in viso; cercai istintivamente di evitare le occhiate incuriosite dei miei coetanei, che erano sparsi lungo tutto il corridoio che conduceva alla porta dell’aula d’esame, e infine spensi il telefono, per evitare che mia madre mi richiamasse e iniziasse ad urlare che non dovevo permettermi mai più di gridarle contro in quel modo. Forse avevo esagerato, ma non me ne pentivo affatto! Ero stufa di sentirmi dire che se quell’esame non riuscivo a superarlo era tutta colpa mia: studiavo come una matta tutti i giorni e uscivo solo il sabato e la domenica, tra l’altro rientrando sempre prima di cena, quindi cos’altro avrei dovuto fare? Lasciare il mio fidanzato e fare una vita simile a quella delle monache di clausura fino al giorno della discussione della tesi?
“Non posso andare avanti così”, mi dissi, determinata. “Ho studiato tanto, ma so già che sarà tutto inutile … pertanto, mi rimane da giocare soltanto il mio asso nella manica!”. Non l’avevo mai utilizzato, da quando avevo iniziato la scuola dell’obbligo, pur avendo scoperto di possederlo parecchi anni addietro; ricorrervi per me significava barare. Ma a che serviva essere leali, in una situazione come quella in cui mi trovavo?
“Al diavolo, se devo farlo, lo farò!”, pensai ancora, mentre mi sedevo con la schiena contro il muro e aprivo la borsa per prendere il libro di testo.
Appena arrivai in fondo alla prima pagina, però, sentii un rumore di passi che si avvicinava; non erano molte le studentesse che si arrischiavano a portare i tacchi quando andavano all’università, quindi non c’erano dubbi sull’identità della donna che stava giungendo!
Mi irrigidii e misi via tutto, mentre osservavo la docente che si faceva strada in mezzo al mare di giovani adulti terrorizzati.
“Capelli stile He Man, vestito viola con scarpe dello stesso colore e calze  color arancio fluorescente: ha proprio dato il meglio di sé, oggi!” notai tra me e me; nonostante la tensione, mi scappò un sorriso.
“Allora, ragazzi …” cominciò l’insegnante. “Come forse alcuni di voi sanno già, io non esamino mai più di otto studenti al giorno. Pertanto, tra poco compilerò un calendario, e inserirò i vostri nomi in base all’ordine in cui vi siete prenotati; se volete fare qualche modifica, me lo comunicherete, così ci organizzeremo meglio, d’accordo?”.
Dalla folla si alzò un brusio, mentre la professoressa apriva la porta dell’aula e spariva al suo interno.
“Scusa, ma tu ci hai capito qualcosa? Cosa voleva dire quando ha detto che avrebbe fatto un calendario?” mi fece una ragazza bassa e magrolina con una gran massa di capelli neri.
“Vuol dire che oggi interrogherà otto persone, domani altre otto, e così via, finché non avrà più nessuno da sentire!”.
“Cosa? Ma ci metterà un sacco! Saremo un’ottantina in tutto, ad occhio e croce!”.
Io mi strinsi nelle spalle, non sapendo come replicare; l’unica cosa che mi interessava era risolvere la questione al più presto.
 
 
Pochi minuti dopo, il calendario era stato fatto, ed io ero capitata come terza il terzo giorno; ma, avendo fretta di togliermi l’impegno, avevo chiesto di essere spostata, e così ero diventata l’ultima di quel pomeriggio stesso.
“Sarò pure l’ottava, ma tanto lo so come andrà a finire: visto che l’esame dura dai venti ai trenta minuti solo per chi è ritenuto bravissimo, e questo succede assai raramente, tra un’oretta al massimo toccherà a me!”.
Le mie previsioni si rivelarono quasi esatte: i primi sei studenti restarono nell’aula circa cinque minuti ciascuno, e soltanto il settimo riuscì a durarne venticinque precisi: per me, quel lasso di tempo fu comunque sufficiente per trovare la sicurezza e l’energia che mi servivano.
Quando alla fine venne il mio turno, però, non potei evitare di sentirmi nervosa!
 
 
“Bene signorina, si sieda. Lei è?”
Fornii senza fretta il mio nome, il mio cognome e il mio numero di matricola, aggiungendo inoltre anche il numero di punti che dovevo raggiungere con quell’esame e il corso di studi che frequentavo; dopodiché, presi un bel respiro ed entrai in azione…
Sollevai entrambe le mani in aria, e da esse partirono due raggi di luce che si espansero per la stanza, per poi scontrarsi e fondersi insieme qualche centimetro sopra le nostre teste; mentre mi sentivo inondare dal calore emanato dalla neonata sfera luminosa, iniziai a parlare.
“Ora, professoressa, le ho fornito tutti i miei dati universitari, come voleva; per correttezza, quindi, dato che siamo qui e in qualche modo dobbiamo pur perdere tempo, le dirò cosa sta succedendo, anche se in realtà è inutile perché tanto non se ne rende conto. Vede, in questo momento lei è convinta che mi sta interrogando, e si sente anche piuttosto soddisfatta di come sta andando; mi terrà qui per una ventina di minuti, e poi mi manderà via con un bel … un bel ventotto, che ne dice? Le chiederei di più, ad essere sincera, ma visto che lei non va mai oltre, un ventinove o un trenta mi sembrano una esagerazione!” Feci una pausa, e guardai l’orologio che portavo al polso sinistro. Erano passati soltanto sette minuti!
“Andiamo bene!” pensai. “Credevo di aver perso più tempo!”.
Tornai a fissare l’insegnante, che era ancora sotto l’influsso del mio incantesimo.
“Ora che mi viene in mente, sa cosa dovrebbe fare? Rivedere completamente il suo metodo in materia di esami. Voglio dire, non crede che interrogare solo otto persone, fare loro solo una domanda a testa e poi mandarle via perché ha fretta di andarsene a casa sua sia una cosa poco professionale? E so che il motivo per cui lo fa è questo, perché l’ultima volta che ho tentato l’esame ha promosso solo due persone,  e mi ha mandata via dopo la prima domanda anche se le avevo addirittura risposto bene … se ha così poca voglia di ascoltare gli studenti, perché non fa l’esame in forma scritta, invece che in forma orale? In questo  modo, lei ci guadagnerebbe in termini di tempo e i suoi studenti si stresserebbero meno. Oppure, se proprio desidera fare l’orale, dovrebbe fare solo cinque o dieci minuti per ognuno, e magari fare due o tre domande minimo a ciascuna persona; non dovrebbe essere difficile, per lei che insegna qui da decenni! Lo so che molti di voi docenti pensano che, se uno studente ha studiato, si vede subito, ma può capitare che l’esaminando non abbia compreso bene un argomento rispetto agli altri; e le pare giusto che venga mandato via immediatamente, se magari per sfortuna gli capita un quesito proprio sulla cosa che ricorda meno, quando magari s’è impegnato tanto? Facendogli più domande, invece, allora sì che si può capire bene quanto ha effettivamente studiato!”
Feci una pausa, e sorrisi: anche se la donna di fronte a me aveva l’illusione di fare una normalissima azione di routine che tante volte aveva fatto nella sua carriera, sapevo che, una volta che avessi lasciato l’aula, avrebbe rimuginato su quanto le avevo appena detto. In pratica, pur non capendo cosa era successo davvero, in qualche modo coglieva inconsciamente il messaggio che le stavo mandando: era uno dei segreti del mio potere!
Sbirciai di nuovo l’orologio, e aggrottai la fronte. Erano passati solo altri 3 minuti!
“Che fatica!” esclamai tra me e me. “Ma perché diavolo vuole fare sempre minimo venti minuti d’esame? E adesso, come li faccio passare gli altri dieci?”.
Mi concentrai. Forse con il mio potere potevo fare in modo di far passare il tempo più velocemente?
Osservai la sfera di luce sopra di me, e vidi che si era fatta più opaca. Un brivido mi corse lungo la schiena. Il mio incantesimo era a tempo? Non avendovi mai fatto ricorso prima di allora, non potevo esserne certa; pertanto, presi una decisione repentina, e mi rivolsi ancora alla professoressa, che mi fissava con occhi vacui.
“Sa una cosa? Pensavo che, vista la sua abitudine, avrebbe dovuto cominciare a ridurre i tempi delle interrogazioni dalla prossima sessione; invece, dopotutto, perché non cominciare da oggi? Sarebbe un bene anche per lei! Ora tirerò fuori il foglio del verbale dove dovrà scrivere data, voto e firma, dopodiché me ne andrò e lei sarà libera”.
Tirai fuori il pezzo di carta in questione, e osservai la docente scrivervi sopra tutto quel che doveva; poi allungai le mani verso la sfera luminosa e la tirai verso di me.
Nel momento esatto in cui la assorbii, la professoressa tornò in sé.
“Allora, arrivederci!”, le dissi. Senza neanche aspettare la sua risposta, mi alzai e filai via di corsa.
Appena fuori dall’aula, mi feci largo tra i miei compagni, senza neanche guardarli: l’unica cosa che volevo era andarmene da lì!
Ben presto, l’ansia e la tensione lasciarono posto all’euforia e alla soddisfazione: finalmente ci ero riuscita. Da allora in poi, non sarei più stata costretta a sentire mia madre che mi chiedeva di continuo dell’esame, ma potevo finalmente dedicarmi alla laurea senza avere altri pensieri!
“Non sarà stata una cosa molto onesta, forse, ma non mi importa: d’altronde si sa, il fine giustifica i mezzi!”.
Mentre scendevo le scale per uscire dall’edificio, mi morsi il labbro per non scoppiare a ridere: sapevo che, se l’avessi fatto, le mie risate sarebbero state così piene di gioia e di sollievo da risultare sguaiate, e avrebbero allarmato le altre persone circa la mia salute mentale più di quanto avrebbero già fatto se fossero state normali…
 
 
 
Uno strano suono sembrava arrivarmi da lontano. Era una sorta di vibrazione!
“Ma cosa???” mi chiesi, assonnata. Aprii lentamente gli occhi, cercando di capire da dove provenisse quel rumore; poi, alla fine, capii. Il cellulare!
Lo presi in mano e, dopo aver dato una veloce occhiata al nome sul display, mi affrettai a schiacciare il tasto verde.
“Pronto?” dissi, soffocando uno sbadiglio.
“ Dafne, tesoro, ti ho svegliata?”.
“Ehm…”
“Ti ricordi che tra poco devo passare da te, vero? Ieri mi chiesto di darti una mano per ripassare in vista del tuo esame di letteratura italiana!”.
“Brian, amore, ma che dici? Guarda che io l’esame …” iniziai, pronta a raccontargli della fantastica rivincita che avevo avuto con la professoressa; ma poi mi bloccai. Una strana consapevolezza si stava facendo strada nella mia mente.
“Dunque”, riflettei. “Se Brian dice che ieri gli ho chiesto di aiutarmi con il ripasso … questo vuol dire che …”
Il telefonino mi cadde di botto sul letto, mentre tutto mi diveniva chiaro. Era stato solo un sogno!
La mia rivincita quindi, era sì fantastica, ma solo perché era frutto della mia fantasia.
Feci un verso di disappunto, e mi affrettai a recuperare il cellulare, per calmare il mio fidanzato che chiedeva se ero ancora in linea.
“Non è affatto giusto …” pensai, mentre lo rassicuravo dicendogli che c’ero ancora, “Un po’ di magia per risolvere i problemi non guasterebbe! E invece, bisogna sempre impegnarsi su tutto: la vita è un esame dopo l’altro, una lotta dopo l’altra, e va affrontata solo con le proprie forze, al meglio delle proprie possibilità. Purtroppo, o per fortuna a seconda dei casi, è così, e non ci si può fare molto!”.

  
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