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Autore: _Eleuthera_    07/08/2008    4 recensioni
Soltanto, desìderi nel silenzio di quest’anima spezzata, soltanto vorresti lasciarti indietro tutti quegli ingombranti protagonisti.
Tuo padre adottivo, distrutto sul selciato davanti a Notre-Dame.
Il lascivo capitano che ha voltato le spalle davanti alla forca di Esmeralda.
Quel poeta malaticcio che è scomparso, inghiottito dalla propria vigliaccheria.
Lasciali, lasciali andare.
Tu sarai l’unico a sfiorare quel viso immobile, infine.
Tu sarai l’ultimo.
[Missing Moment] [Tribute to Notre-Dame de Paris]
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Quasimodo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’ADIEU
solo l’ultimo addio



Piange l’occhio del ragazzo che ha vent’anni, del mostro che non ha età.

L’alba brucia Parigi e tu, Notre-Dame, taci.

Appiccicate all’acquitrino rossastro del cielo, le tue torri sono immobili e silenziose.

Il ragazzo, che ragazzo non sembra, ma che ragazzo è, ha le mani strette sulla balaustra, in una morsa mortale, convulsa, implacabile. Quell’unico occhio visibile è lo specchio di ciò che sta succedendo giù, oltre il vortice di aria e di vuoto che si spalanca tra la torre e la terra, laggiù, in Place de Greve: la ragazzina zingara che pende dalla forca, bellissimo inutile ornamento del patibolo, splendida nella sua morte assurda.

E giù, ancora, riflesso nello sguardo terribilmente consapevole del ragazzo, la sagoma disfatta di quello che una volta doveva essere stato un uomo, frammenti di persona ai piedi di Notre-Dame.

L’alba invade il buio e tu sembri un mostro di pietra, stretto alla balaustra.

E ora?

Chi guarderai ora con quegli occhi così insoliti, per te, così pieni d’amore, tu, ragazzo, tu Quasimodo?

La Esmeralda e Claude Frollo sono morti.

Ed è colpa tua, pensi.

Perché non dovevi lasciar uscire la Esmeralda dal suo rifugio, da quel nido sicuro che tu le avevi forgiato nel ventre di Notre-Dame, assicurandole che là non avrebbe mai dovuto temere nulla!

Perché tu hai gettato Claude Frollo, l’assassino, il tuo maestro, giù oltre la balaustra, mentre il tuo occhio vedeva soltanto Place de Greve, poteva vedere soltanto Place de Greve, il tuo amore che moriva col sorgere del sole.

Sei solo, Quasimodo.

E gridi, il tuo grido mostruoso di scorza di mostro e anima che ha saputo amare.

Gridi, come non hai mai gridato in tutta la tua vita, e trema la balaustra sotto i tuoi brividi, e tu ti chiedi, Quasimodo, come sia possibile che possa accadere, che possa essere successo, che sembra ieri che Esmeralda placava la tua sete in Place de Greve, quella stessa Place de Greve dove ora lei ha smesso di respirare, e ti chiedi come sia possibile!, come, che quella Notre-Dame che tu hai pregato per tutta la tua esistenza abbia martoriato il tuo spirito fino a questo strazio disumano.

Ma d’altronde, direbbero guardandoti, tu cos’hai di umano?

Saresti capace di rispondere, adesso, mentre vedi tuo padre che è morto, e il tuo amore che oscilla al vento, il pendolo di questo tuo tempo perso, lei che scandiva i tuoi respiri, lei che segnerà anche l’ultimo tuo respiro, in questo tempo che non ti ha mai voluto, dal quale faresti ogni cosa per sparire, per cancellarti, per morire, come lei, come lei mai avrebbe dovuto.

Pensi che doveva vivere, l’Esmeralda.

Tu, lo scherzo della natura, il demonio, il mostro, il rifiuto, tu saresti dovuto morire.

È tutto sbagliato.

***



Corri come ti è sempre stato facile, anche con quella gamba mancata, anche con quella croce incollata sulla schiena.

Il tuo unico sguardo è scivolato, lento, su quel che è rimasto di Frollo, ai piedi della cattedrale. Poi, mentre le tue mani non smettevano di torcere la balaustra, hai osservato immobile qualcuno lasciar cadere a terra l’Esmeralda, già tanto bianca che potevi sentirlo, il freddo della sua pelle, poi quel qualcuno raccoglierla, gettarla su un carro, come i frammenti di vetro di un vaso rotto rimasti sul pavimento.

Hai guardato, disperato, rompendo il silenzio con un unico grido inumano, l’Esmeralda essere spazzata via, l’ultimo atto della storia. Strano, ricordi tutto così bene, da quel tempo terribile della tortura della ruota a questo momento. Come se tu avessi iniziato a vivere solo allora.
Come se avessi iniziato a vivere solo quando, aprendo gli occhi e gridando che ti dessero da bere, un gesto di pietà che, sapevi, non sarebbe arrivato, era venuta l’Esmeralda, invece, coi suoi grandi occhi scuri spalancati di terrore che non le avevano impedito di tenerla lontana da te.

Tutto è così perfettamente impresso nella tua mente, come se fosse accaduto un attimo fa.

Sai di essere ancora un mostro, anche dopo aver amato Esmeralda con tutto il tuo cuore di ragazzo.

Sai che quella luce nel tuo unico occhio non importa a nessuno.

Neanche all’Esmeralda.

Ma quello per te non contava. Sei sceso dalla torre, rapido come lo sei sempre stato, calpestando le pietre bianche, schiacciando il battito del cuore nel rumore dei passi, scivolando piano verso le fondamenta della cattedrale.

Sai dove stai andando, perché è anche lo stesso luogo dove sta andando lei.

Nel momento in cui il tuo sguardo l’ha perduta, hai dovuto per forza correre a cercarla.

Sapere di essere, ora, così inviolabilmente lontano da lei, è un pensiero insopportabile, inconsiderabile. Corri, nell’ombra delle strade più vecchie e dimenticate di Parigi.

La vita ti ha insegnato nel modo peggiore che la luce del sole non è bene, per quelli come te.

A dire la verità, che la gente ti veda non ti importa più tanto.

Sei tu, adesso, che non vuoi vederla.

Sei stanco, ragazzo. Così infinitamente stanco.

Stanco di essere arrabbiato, deriso, odiato.

Adesso, adesso basta.

Soltanto, desìderi nel silenzio di quest’anima spezzata, soltanto vorresti lasciarti indietro tutti quegli ingombranti protagonisti.

Tuo padre adottivo, distrutto sul selciato davanti a Notre-Dame.

Il lascivo capitano che ha voltato le spalle davanti alla forca di Esmeralda.

Quel poeta malaticcio che è scomparso, inghiottito dalla propria vigliaccheria.

Lasciali, lasciali andare.

Tu sarai l’unico a sfiorare quel viso immobile, infine.

Tu sarai l’ultimo.

***



Questa morte che ti sta attorno è terribile, ma non quanto la sua.

Il tuo sguardo sfiora appena i mucchi di ossa, capitelli bianchi opachi nel buio di Montfaucon, membra alla rinfusa, senza ordine, senza bisogno di ordine.

Lei, là dentro, è così innaturale.

Se non fosse così pallida, diresti che potrebbe alzarsi da un momento all’altro, che potrebbe sorridere, curvando le labbra in quella smorfietta familiare, roteando sui piedini delicati in una vecchia danza della sua gente.

Invece no, ragazzo.

Muovi quelli che saranno i tuoi ultimi passi, sbilenchi e aspri nel silenzio tombale.

Ti avvicini a lei. Ancora troppo innamorato, troppo mostro per osare sfiorarla.

Pensi, con un pensiero che è come di un bambino, che sembra che stia soltanto dormendo.

Poi, non sai perché – forse per la stanchezza, sei così stanco di questo tempo, così stanco - le ginocchia si piegano e sei a terra, accanto a lei.

Trattieni il respiro. È tanto vicina come non lo è mai stata.

Tremi, ascoltando, come se ti aspettassi di sentire il battito del cuore di lei.

Ma nessun rumore trapassa la tenebra.

La guardi, l’Esmeralda, l’occhio spalancato, quella dolcezza straziante.

Il tuo sguardo chiede scusa.

Scusa se sono qui, mia piccola Esmeralda. Scusa se sono qui anche adesso, se ti perseguito, io, che non dovrei stare accanto ad una persona così bella, io.

È tutto sbagliato.

E la guardi.

Piangi, ancora. Non hai mai pianto così tanto.

Perché hai vent’anni, dannazione, vent’anni e non hai un corpo né da ragazzo né da essere umano, uno sguardo che non interessa, dei pensieri incatenati alle vertebre che ti porti appresso.

Non sono pochi, vent’anni, per essere un mostro?

Ma il tempo non ti è mai stato amico, Quasimodo.

Lo senti già strisciare via dai tuoi polmoni, quel tempo che forse ti è stato dato per sbaglio.

Lentamente, come se avessi davvero paura di spezzare qualcosa di già rotto e disfatto, allunghi una mano tozza, schizzo abbozzato di una mano vera, verso la piccola spalla di Esmeralda.

Il contatto è un’esplodere di dolcezza che non avresti mai immaginato.

L’accarezzi, piano, prendendo coraggio vedendo che quelle dita mostruose non fanno nulla di terribile alla pelle fredda della Zingara.

L’accarezzi con la dolcezza che avresti voluto da lei, che non hai mai sperato. Piano, la tua mano passa sulla spalla della ragazzina. E piangi.

La circondi con le tue spalle possenti di creatura malriuscita, la tieni stretta a te.

Così sarà come dormire.

Bello il pensiero di addormentarsi.

Lasciandosi dietro tutto, anche quella stanchezza, anche quella disperazione.

Tu vuoi morire così, Quasimodo, abbracciato all’Esmeralda come mai avresti potuto fare in vita.

Nei tuoi occhi balena la luce che mai nessuno avrebbe immaginato.

Come se non ti importasse che lei sia morta.

È come un cullarla, lento e candido, tra le tue braccia, perché si addormenti.

Mentre quello che deve addormentarsi, invece, sei tu.

Le tue labbra si increspano, amare.

Vent’anni hai dovuto attendere, perché finisse.

Ma finisci accanto ad Esmeralda, lei, lei così bella e così sola, alla fine, nessuna passione ha potuto sfiorarla. Alla fine, sei rimasto solo tu, con lei.

E allora, quando cala il torpore del respiro che fugge, quando inizi a non sentire più neanche l’oscurità, quando avverti il freddo del corpo che abbracci diventare il tuo freddo, allora capisci.

Non sarà mai un addio.


Mourir pour toi n'est pas mourir...











.................corner A
Devo tanto all'opera di Victor Hugo.
Questo è per il personaggio di Quasimodo, per il quale non trovo ancora un aggettivo che riassuma il suo carattere, le sue sfumature, le sfaccettature.
Sì, c'è Frollo che è un altro personaggio complesso, Gringoire che sarebbe bello approfondire. Ma io ho scelto Quasimodo.
Perché nessuno, nel libro o nel musical o nei film e cartoni che hanno girato, ha saputo emozionarmi più di lui.
Ho provato a raccontare quella piccola parte di eventi che Hugo non descrive nel suo bellissimo romanzo: come Quasimodo raggiunga l'Esmeralda e muoia accanto a lei.
Non so quanto sia rimasta fedele al personaggio, né quanto Hugo potrebbe apprezzare un testo scritto a proposito della sua opera. Io l'ho scritto perché me lo sentivo dentro, quel bisogno di scrivere.
Spero abbia suscitato qualche emozione in voi, che state leggendo ora queste righe. Non sono all'altezza di Hugo, non tento di esserlo. Questo è solo un piccolo tributo senza pretese ad uno dei miei romanzi preferiti, al mio adorato musical, al Maestro che è Hugo.

Sayonara,
Ele.

   
 
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