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Autore: Shichan    05/06/2014    3 recensioni
«Te l’ho detto» lo interruppe il demone «sembra che ci sia un tuo simile. O addirittura due.»
Haruki vede cose che gli altri non vedono, e ha imparato con il tempo e a sue spese che quella capacità non è affatto un dono.
Hideyuki osserva gli spiriti passargli accanto come se non li vedesse, perché ha imparato che se fingi che non esistano, loro faranno lo stesso con te.
Chiaki, che vorrebbe poter scegliere cosa vedere e cosa no, lascia che tutto le passi davanti agli occhi perché non può fare altro che quello.
Tutti e tre pensavano di essere soli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo




I had a brief dream just now,
[…] is it the past?
Or the future?

 

Le fronde degli alberi si muovono pigramente, una brezza leggera che ne accarezza le foglie, portando con sé un assaggio dell’estate ormai prossima. Le chiome offrono un’ombra piacevole nel primo pomeriggio, come ora; il tempio è immerso nel silenzio, ad eccezione del figlio maggiore della famiglia che lo abita da generazioni: è lì, sul vialetto principale, che spazza via la polvere e qualche foglia caduta fuori stagione.
Tiene la schiena dritta e le braccia fanno fare avanti e indietro alla scopa di saggina con cui pulisce. Ha l’espressione assorta di chi compie gesti meccanici pensando ad altro.
Accanto a lui c’è un bambino, non visto: lo osserva curiosamente, girandogli intorno senza alcun motivo se non l’infantile sete di conoscenza di ogni nuova cosa su cui si posa lo sguardo, tipica dell’età che dimostra. È un cucciolo, e lo si nota dalla morbida coda che spunta fuori dal kimono.
Il ragazzo non lo nota, o per meglio dire, non lo vede. Il cucciolo ridacchia, gli gira intorno ancora una volta, poi si allontana; trotterella entusiasta verso uno degli alberi e abbraccia di slancio quella che sembra per lui una figura di riferimento.
«Kami-sama!» esclama allegro e una mano si posa con gentilezza sulla sua testa, lasciandovi qualche carezza che sembra accontentare il piccolo. Lo guida verso un punto più riparato e prende posto a terra, la schiena contro la corteccia di un albero; attende e non deve farlo a lungo: proprio come il piccolo, che prende posto accanto a lui, ci vuole poco perché piccoli youkai arrivino da ogni dove. Alcuni scendono dai rami, altri arrivano dalla terra, altri ancora spuntano vicino a qualche fiore.
Sono tutti spiriti minori che circondano quell’entità che li accoglie cordialmente, giorno dopo giorno.
«Kami-sama» il cucciolo di kitsune richiama la sua attenzione, con successo: «gli umani non ci vedono mai?» domanda con curiosità.
La divinità sorride in maniera enigmatica, a conoscenza della risposta senza bisogno di dover richiamare alla memoria alcuna nozione o ricordo; è una risposta quasi automatica quella che dà, sebbene il tono non perda mai quella sfumatura di pacata dolcezza.
«Quasi nessuno.» ammette, posando un’altra carezza sul capo del piccolo «Non più almeno. Con il passare del tempo gli esseri umani divengono sempre più increduli e scettici, e non è facile vedere le cose a cui non si crede.» replica con pazienza.
Qualche spirito confabula con il vicino, e tra loro uno si fa un poco più avanti: se il giovane umano che si sta occupando del vialetto lo vedesse, non gli sembrerebbe altro che un uomo in miniatura.
«Kami-sama, avete mai parlato con uno di loro?» gli domanda, curioso e dubbioso al tempo stesso.
Sul volto della divinità il sorriso si fa più ampio, gli occhi pieni di cose viste e custodite con cura nel cuore per molto tempo.
«Ne ho conosciuto qualcuno, sì.» confida «Molti, molti anni fa. Forse persino un centinaio.» ammette con un calcolo fatto quasi pigramente e di cui non è sicuro. Sono passati troppi anni e, per chi ha come unica realtà l’immortalità, non è facile tenere il conto.
«Uno di loro viveva qui.» continua, inclinando il collo all’indietro e guardando la chioma dell’albero sotto cui siedono: «Non mi sorprenderei se un giorno un suo erede potesse vederci.» dice, una risata leggera che riempie l’aria e desta ancor più la curiosità degli youkai.
«Era gentile?»
«Era giovane?»
«Era molto forte?»
Le domande si susseguono, e la divinità lascia che ognuno ponga la sua; quando c’è di nuovo un silenzio carico di aspettativa, una mano va ad indicare il giovane che una volta posata la scopa utilizzata si sta stiracchiando, sbadigliando senza troppa attenzione a coprire la bocca, certo di non essere visto.
«Come aspetto si somigliano abbastanza.» inizia, osservando il suo pubblico: «Era un umano difficile, con un tipo di gentilezza molto complicata.» descrive con un’immagine precisa di fronte agli occhi, come se il diretto interessato fosse lì in quello stesso momento.
Si sistema meglio, accomodandosi: sarà un lungo racconto.


Fare la strada a piedi quando le serate al locale giungevano al termine era diventata un’abitudine.
Il suo appartamento non era né vicino né particolarmente distante da dove si esibiva con la band, e forse il clima ormai quasi invernale avrebbe preteso di approfittare almeno di una bicicletta; tuttavia, benché ne possedesse una e fosse conscio che a quell’ora l’ultimo treno fosse già partito, capitava che di tanto in tanto coprisse la distanza fino al suo monolocale a piedi.
Portò una mano a coprire uno sbadiglio, portandola poi di nuovo nella tasca della giacca e affondando un poco il viso nella sciarpa blu che aveva al collo. Quello era l’unico indumento che indossava quasi tutto l’anno: doveva pur preservare la propria voce, dal momento che era il vocalist.
La serata era andata bene, erano stati pagati e avevano tempo per decidere la scaletta della prossima esibizione. Poteva tornare anche più tardi del previsto a casa con la consapevolezza di poter dormire di più la mattina dopo, libero da impegni di alcun genere. Occhieggiò la busta che teneva nell’altra mano, contenente del cibo gentilmente offerto dal locale, avanzato alla chiusura dello stesso; sembrava proprio che potesse evitare la deviazione verso il conbini vicino casa sua.
«Ohi, fermati!» sentì esclamare, il tono piuttosto irritato a quanto sembrava.
Aveva proseguito senza badare troppo ai pochissimi passanti che si potevano incrociare a quell’ora – per lo più impiegati attardatisi sul posto di lavoro e qualche ubriaco innocuo se lasciato andare per la sua strada – e si sentì quasi risvegliato dal proprio torpore da quella voce squillante.
Assottigliò lo sguardo, cercando di distinguere qualcosa di preciso nel buio davanti a sé, fuori dalla luce dei lampioni sulla via; apparentemente nulla.
Inspirò. Di nuovo youkai, forse?
«Stupida, inutile lanterna!» sbottò di nuovo la stessa voce e allora riuscì a distinguere un movimento al proprio fianco; voltando appena il viso, si ritrovò ad osservare un ragazzo che lo sorpassò, svelto.
A dire il vero, prima ancora di lui era stata una luce vista solo con la coda dell’occhio a portarlo per istinto a girarsi: la lanterna in questione – un cosiddetto chochinobake se non ricordava male, uno youkai minore del tutto innocuo – era sfrecciata oltre lui, fuggendo da chiunque fosse il padrone della voce che le inveiva contro. E proprio quest’ultimo era stato il ragazzo rientrato poco dopo nel suo campo visivo.
«Questo succede perché accetti lavori stupidi.» lo redarguì annoiato quello che a una prima occhiata scambiò lui stesso per un altro umano; l’unica cosa che lo fece ricredere fu la sensazione che gli dava: era diversa da quelli di spiriti minori come quella lanterna, ma simile nell’essenza di base.
Hideyuki li vedeva da che aveva memoria e, con il tempo, aveva imparato a non prestarvi troppa attenzione sia per non destare sospetti in chi non li vedeva, sia per non stuzzicare la loro curiosità. A forza di incontrarne, però, era riuscito a distinguere sempre più chiaramente quando erano inoffensivi: aveva letto qualcosa in merito, ma il più era una questione di puro istinto – o, come alcuni lo chiamavano, di “sensibilità”.
La norma era quel chochinobake: spiriti deboli, magari fastidiosi o dispettosi, ma innocui. Poteva essercene qualcuno di medio livello, quello era indubbio, ma non aveva mai incontrato uno youkai che gli desse quella sensazione di pura violenza.
Anche se sembrava del tutto a proprio agio vicino al ragazzo umano che era ormai diversi passi davanti a lui.
Con discrezione, Hideyuki lo guardò; mentre si chiedeva se quel ragazzino fosse vittima di un suo giogo o se ci fosse qualche altra motivazione per quella sospetta vicinanza, lo youkai stesso incrociò il suo sguardo. Un istante di genuina sorpresa fu quello che scorse nei suoi occhi, prima di notare il sorriso divertito che gli dipinse sul volto.
«Oh-oh. Sembra che ci sia un tuo simile, Haruki.» disse, anche se apparentemente non bastò ad attirare l’attenzione del compagno: «Grazie al cazzo, sono in una strada pubblica!» sbottò, credendo erroneamente che quello dell’altro fosse un avvertimento in merito alla presenza di un umano e quindi di orecchie indiscrete.
«E comunque sarà pure inutile ma è un lavoro, e puoi andartene dove ti pare se ti annoi tanto. So occuparmi da solo di una stupida lanterna!»
«Andarmene perdendomi il divertimento delle tue imprecazioni? Mai.» ribatté l’altro.
«Uhm…»
Non era il tono dubbioso né dell’uno né dell’altro, e Hideyuki fu probabilmente l’unico ad accorgersene, perché la voce apparteneva a qualcuno che – dalla posizione dei due litiganti, che al momento si guardavano ignorando la strada – solo lui aveva inquadrato.
«State cercando questa?» azzardò di nuovo avvicinandosi al ragazzo che era stato chiamato Haruki, che finalmente si voltò vedendo la lanterna quasi afflosciata su se stessa che gli veniva porta. La guardò stupito e confuso, prima di inquadrare chi effettivamente l’aveva allungata verso di lui: una ragazza.
«…Tu la vedi.» fu ciò che disse – attestando l’ovvio, a giudicare dal sigillo che proprio lei sembrava aver applicato sulla lanterna.
«Sì.» replicò lei semplicemente, avvicinandogliela ulteriormente.
«Fregato da una ragazzina.»
«E sta’ un po’ zitto!» sbottò all’indirizzo del suo “compagno”, senza allontanare lo sguardo da lei, guardingo.
«Se non ti serve, la libero.» disse solamente lei, piuttosto tranquilla, passando lo sguardo da Haruki allo youkai al suo fianco; Hideyuki era certo che lo vedesse, oltre che sentirlo.
«Mi serve.» disse brusco, prendendola fra le mani senza troppe cerimonie. Lei non parve badarci troppo, interessata più a chi lo affiancava che non al chochinobake.
«Curioso trovare un’umana che non si spaventi di fronte a certe cose.» buttò lì con disinvoltura lo youkai.
«Mai quanto vedere un demone vicino ad un essere umano senza che il primo cerchi di mangiare il secondo.» ribatté, ma non particolarmente seccata.
Hideyuki sbuffò divertito, e questo lo tradì, perché Haruki finalmente sembrò notarlo.
«Che diavolo…?»
«Te l’ho detto» lo interruppe il demone «sembra che ci sia un tuo simile. O addirittura due.»

 

 



 

Note
Conbini:
mini-market aperti 24 ore su 24.
youkai: traducibile con “apparizioni”, “spiriti” o “demoni”, sono una classe di creature della mitologia giapponese. (wikipedia)

La citazione in apertura è della canzone “Buddy”, opening di Last Exile: Fam the Silver Wing, cantata da Sakamoto Maaya.

   
 
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