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Autore: DezoPenguin    09/06/2014    1 recensioni
Side-story appartenente alla serie 'Elementary My Dear Natsuki'. Shizuru convince Natsuki ad unirsi a lei per passare la serata fuori, e la riluttanza di Natsuki conduce le due amiche a rivelare qualcosa che tengono nascosto l'una all'altra.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Shizuru Fujino
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Elementary My Dear Natsuki'
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NDT: questa è una traduzione. Potete leggere l'originale qui. Lasciate una recensione, se vi va, così potrò tradurla e inviarla all'autore.

 

NDA: in realtà questa storia doveva essere il primo capitolo della quarta parte di "Elementary, My Dear Natsuki", ma arrivato più o meno a metà mi sono accorto che i vari problemi che erano stati sollevati tra le due protagoniste non si accordavano con l'outline di quella storia, nè come premessa nè come tema che doveva essere sviluppato. E quindi mi sono accorto che non avevo in mano un capitolo introduttivo per una storia lunga, ma un racconto a sè stante!

Quindi eccovi qua uno one-shot che si colloca tra 'Acque Profonde, Natsuki' e la quarta storia delal serie. Non preoccupatevi se 'Acque profonde Natsuki' non è ancora finita (NDT: nell'ordine di pubblicazione originale, naturalmente)—questa non ha nulla a che fare con la sottotrama della serie, quindi non vi rovinerà la lettura di quello che non ho ancora scritto o postato (a parte il fatto che, "Shizuru e Natsuki non vengono uccise in 'Acque Profonde Natsuki' il che credo non sia una sorpresa per nessuno!). Enjoy!

 

Elementare, mia cara Natsuki – Uno sguardo dietro le maschere

By DezoPenguin


Avevo perso la testa. Non c’era altra spiegazione possibile. Qualcuno avrebbe dovuto chiamare gli alienisti ed io avrei dovuto essere rinchiusa in un posto dove le mie allucinazioni ed il mio comportamento irrazionale non avrebbero potuto fare del male a nessuno.

"Mi stanno guardando tutti,” mormorai alla mia accompagnatrice.

"Questo perché Natsuki è così bella che cattura l’attenzione di tutti," disse Shizuru Viola. Naturalmente non potevo sperare in alcun aiuto da lei, questa era stata una sua idea. Era normale – adorava prendermi in giro. Ma io, a causa di un imperdonabile cedimento delle mie facoltà mentali, l’avevo assecondata!

"È una sciocchezza, Shizuru."

"Wow, Natsuki, sei bellissima!"

"Visto?" Shizuru non tentò nemmeno di nascondere la presunzione nel suo tono. Io sospirai.

"Grazie, Mikoto."

"Venite, vi accompagno al vostro tavolo." Mikoto Minagi, che avrebbe potuto avere dieci anni come sedici, mi prese per mano e mi trascinò verso uno degli stalli. La mia amica Mai aveva tolto Mikoto dalla strada, come se fosse un gattino randagio. Inciampai mentre la ragazzina mi tirava, riuscivo a malapena a mantenere l’equilibrio con ai piedi i geta di legno.

Sì, era quella la pazzia. Shizuru aveva convinto me – me, Natsuki Kuga! – a vestirmi in abito tradizionale giapponese, dal kimono ai geta, perfino nel modo in cui i miei capelli erano pettinati! Non avevo idea di come si indossasse un kimono; Shizuru era stata costretta a vestirmi con l’abito bianco e nero e a pettinarmi come fossi una bambina. Mi sentivo ridicola, inciampavo nei miei stessi piedi mentre Shizuru mi seguiva senza alcuno sforzo, come se fosse nata per farlo.

Mikoto ci accompagnò allo stallo, prese una teiera di terracotta e ci versò una tazza di tè verde ciascuna, poi corse via, lasciandoci sole.

"Mi sento un fenomeno da baraccone," brontolai.

Shizuru prese la propria tazza, stringendola con entrambe le mani, e sorseggiò tranquillamente il proprio tè.

"Non ne avete l’aspetto, Natsuki."

"Se Mikoto mi avesse tirata più forte, avreste dovuto raccogliermi dal pavimento."

Shizuru sorseggiò di nuovo il tè.

"Semplicemente non siete abituata a camminare con i geta, Natsuki. Sono sicura che con un po’ di pratica riuscirete a muovervi con facilità."

Aveva ragione, ma non era quello il problema.

"Non è esattamente quello che intendevo."

"Allora cosa? Se c’è qualcosa che non va perché non dirlo?"

"Ve l'ho spiegato fin da quando vi è venuta in mente questa idea, Shizuru. Semplicemente non mi avete ascoltata."

Shizuru inclinò il capo da un lato, guardandomi incuriosita.

"Oh? Ma non capisco cosa vogliate dire?"

"Questo." Accennai a quello che stavo indossando. "Il kimono, i capelli, tutto, mi sento come una bambina che gioca a travestirsi. Questa non sono io. Invece voi siete diversa. Non importa che abbiate ereditato i tratti di vostro padre; il modo in cui vi muovete, il modo in cui agite, tutto, dal modo in cui parlate alla postura, potreste essere una nobile di Kyoto. Per quanto mi riguarda, è come…come far indossare un abito di corte ad una prostituta di Whitechapel. Invece di farla sembrare bella, enfatizza tutto quello che non è—e avere accanto l'originale lo rende ancor più ovvio."

Shizuru posò bruscamente la tazza, tanto forte da far tremare il coperchio della teiera.

"Natsuki! Non è assolutamente vero, e non ho intenzione di sentirvi dire ancora questo genere di cose. Vi assicuro che qui nessuno lo pensa! Tutto quello che vedono è una giovane donna che indossa un abito elegante che le dona moltissimo, niente di più."

Sembrava fosse sul punto di dire altro, ma si interruppe quando mai si avvicinò al tavolo. Era la proprietaria del ristorante, e onestamente venivo qui spesso era più perché lei era una dei miei pochi, veri amici, non per il cibo. Non che non fosse una cuoca eccellente, perché lo era, ma solo perché preferivo la cucina europea a quella giapponese.

"Natsuki, Viola-san!" ci salutò allegramente. Era scivolata in un attimo nel giapponese; dopotutto era la sua lingua madre e una di quelle di Shizuru—l'inglese, in effetti, era la sua quarta lingua—e anche se lo capivo abbastanza non potevo negare che mi facesse sentire la mia lamentela con intensità ancora maggiore.

"Wow, Natsuki, non credo di averti mai vista in kimono, prima!"

"Buonasera, Tokiha-san," rispose Shizuru, sorridendo disinvolta come se la sua protesta di poco prima non fosse mai accaduta. "Non è bellissima?"

Mai annuì convinta.

"Sì. Quel colore ti dona molto, Natsuki, e il verde dei ricami fa risaltare i tuoi occhi. Viola-san, dovreste convincerla ad indossare abiti giapponesi più spesso."

"Farò del mio meglio."

"Bene! Tanto per cambiare è bello vederla vestita elegante e fuori a divertirsi. Cosa vi piacerebbe mangiare, stasera?"

Shizuru fece diventare il proprio sorriso più accattivante, per poi dire, "Perché non scegliete voi per noi, Tokiha-san?"

Mai annuì.

"Perfetto! Un’occasione per fare faville! Prendetemi in parola, questa sarà la cena migliore che farete fino al nuovo secolo!" E su quella nota corse in cucina.

"Ecco, vedete?" disse Shizuru non appena Mai se ne fu andata. "Anche la vostra amica pensa che questo abbigliamento vi doni."

"Sì, e sapeva anche che lo indosso solo perché siete stata voi a convincermi."

"La signorina Tokiha"—eravamo tornate all'inglese—"vi conosce molto bene, Natsuki. L’ha detto a causa della vostra ostinazione, non per il vostro aspetto."

Infilai un dito dentro il colletto, che mi sembrava proprio stretto e scomodo.

"Sentite, Shizuru, lasciamo perdere, va bene?"

"No, non finché Natsuki continuerà a credere, erroneamente, di non essere adatta ad un abito che le dona così tanto."

Ingoiai la prima cosa che mi venne alla mente con un sorso di tè, che mi bruciò la lingua mentre scendeva.

"Dannazione!" imprecai. "Non riesco a bere nel modo giusto nemmeno questo maledetto tè!"

Strinsi il pugno in grembo, e riuscii ad impedirmi di sbatterlo sul tavolo per la frustrazione solo perché era il ristorante di Mai, e non volevo causarle problemi.

"Natsuki!"

"No! Maledizione, Shizuru, non sono come voi. Non ho avuto una madre affettuosa che mi insegnasse la mia cultura, che mi mostrasse come leggere e scrivere e parlare, come vestirmi o come eseguire la cerimonia del tè o come sedere nella posizione seiza senza strapparmi i muscoli o tutta l’etichetta necessaria ad una persona della vostra posizione sociale. Parlo a malapena la lingua, non la so leggere, e le uniche cose che conosco del mio retaggio giapponese le ho imparate da libri scritti da persone che erano estranee a quella cultura proprio come me! Quindi non tentate di dire quanto mi stia bene questo vestito, perché la verità è che non c’è differenza tra me e qualsiasi altra ragazza inglese, a parte il fatto che i miei capelli sono del colore giusto."

Pronunciai con rabbia quell'ultima frase e buttai giù un altro sorso di tè in un modo che sarebbe stato considerato maleducato in qualsiasi continente. Sapevo che mi stavo comportando in modo petulante, ma a quel punto non ne potevo più, dopo due ore passate a desiderare di strisciare fuori dalla mia pelle e gridare.

Shizuru aveva si nuovo quell'espresisone simile a una maschera, quell'impenetrabile sorriso che non dava indicazione di cosa stesse pensando o provando. Ero migliorata nella mia capacità di leggere le sue espressioni, dalla prima volta in cui avevamo cominciato a vivere assieme, ero diventata più sensibile nel percepire i piccoli cambiamenti, ma non questo.

A volte pensavo che fosse appropriato che il lato italiano del suo sangue fosse veneziano, perché portava la sua Bauta personale senza doverne indossare fisicamente una.

Poi il suo sorriso svanì.

"Non sapevo che Natsuki provasse tutto questo," disse a bassa voce.

"Sì, beh, ora lo sapete."

"Perché non me l’avete detto?"

"Ve l’ho detto. Circa sei dozzine di volte, per l’amor di Dio! La grande consulente investigativa dovrebbe conoscere il significato di una parolina di due lettere come ‘no’."

"Non l’avete fatto!" sbottò. Il che mi prese completamente di sorpresa. Shizuru non sbottava mai! Lei provocava, insinuava, suggeriva, aveva innalzato la sottigliezza a forma d’arte.

E quando non girava attorno ad un argomento, lei lo affrontava in modo paziente, passo dopo passo. Il confronto emotivo e diretto non era affatto da lei!

"Cosa diavolo volete dire?"

"Intendo esattamente quello che ho detto. Avete fatto proteste che non erano proteste, mi avete dato motivi che non erano motivi, ma non mi avete mai detto tutta la verità. Ammetto di avervi provocata, incoraggiata e spinta a fare tutto questo, ma pensavo che per una volta sarebbe stato bello vedervi vestita con abiti giapponesi, ecco tutto. E qualsiasi cosa ne pensiate, siete radiosa vestita così. Amalgamate così perfettamente il lato asiatico e quello europeo della vostra discendenza che avete una bellezza unica, totalmente vostra, e credevo  sarebbe stato bello vederla in un ambiente giapponese."

Stavo per parlare, ma quel complimento stravagante, ovviamente fatto con sincerità, mi colse di sorpresa.

"Confesso di aver pensato che sareste stata un po’ imbarazzata," continuò Shizuru, "perché vi sareste trovata in una situazione poco familiare e perché avreste attirato l’attenzione. Siete carina quando siete un po’ in difficoltà. Ma non sapevo che vi avrei messa tanto a disagio! Non l’avete mai detto; vi siete limitata ad assecondarmi senza problemi e brontolando un po' come sempre fate quando vi prendo in giro."

"Per l'amor di Dio, Shizuru, io—" poi mi fermai, perché aveva ragione. Sapevo per esperienza che lei riusciva sempre a vedere cosa c'era dietro le mie balbettanti, confuse reazioni alle sue provocazioni. Accidenti, ne avevo perfino approfittato quando avevo avuto qualcosa da mantenere privato, fingendo di avere una reazione imbarazzata. "Natsuki che balbetta come un'idiota" di solito la incoraggiava, perché le dava più divertimento. Anche se non mi ero comportata così mentre mi vestiva, avevo nascosto i miei sentimenti e, come lei aveva detto, avevo dato motivazioni false per la mia riluttanza che, visto che Shizuru era Shizuru, lei aveva immediamente classificato come false. Ma lei era intelligente, non sensitiva, poteva vedere le bugie, ma non conoscere per miracolo la verità che stava dietro di esse, e quindi aveva continuato con il proprio divertimento.

Feci un profondo respiro.

"Mi dispiace. Avrei dovuto essere onesta con voi su quello che stavo provando invece di eludere la conversazione. Non sono…brava in queste cose, e credo che l'abbiate notato."

Il sorriso di Shizuru tornò, ed era lievemente divertito.

"È una strana esperienza sentire qualcuno scusarsi per non avermi rivelato i suoi sentimenti."

"Questo mi sta spingendo ad apprezzare la parola 'ironico,'" aggiunsi, ricambiando il sorriso.

Quella era la cosa strana della nostra amicizia. Shizuru era letteralmente l'unica persona a cui avrei affidato la mia vita, ed ero abbastanza sicura che lei provasse lo stesso per me—a,meno per quanto riguardava l'affidare, non ero certa del fatto che fossi l'unica. Però, la parte privata delle nostre vite restava, bè, privata.

Forse…questo avrebbe dovuto cambiare?

"Lo sapete," cominciai in tono esitante, "Non ho mai detto a nessuno che mi dispiace di non conoscere il lato giapponese del mio retaggio."

"Nessuno?" Shizuru era chiaramente sorpresa.

Arrossii un po'.

"No, a nessuno. È solo che…non so…"

"Sono sorpresa che voi non passiate più tempo a cercare di saperne di più. Come minimo, sarei felice di aiutarvi a leggere e scrivere la lingua."

Sorrisei.

"Grazie per l'offerta, Shizuru, dico sul serio. È che…non ci provo più perché mi ricorda troppo il perché sono finita in questo posto."

"Oh?"

Lei ricominciò a bere il tè, aspettando con pazienza di ascoltare qualsiasi cosa mi sentissi di dirle.

"Sapete che sono una bastarda, vero?"

"Ero a conoscenza del fatto che Natsuki è figlia illegittima," disse lei, addolcendo l’espressione.

"Mio padre è un industriale tedesco." Aveva visto i tratti tedeschi nei miei lineamenti durante il nostro primo incontro. "Mia madre era la sua amante. Lei morì quando avevo cinque anni." Fui costretta a lottare per impedire che la mia voce tremasse, e per non correggere l'impreciso 'morì' con 'fu assassinata'. Potevo anche aprirmi ma quella particolare verità era mia, mia da custodire finchè tutto non si fosse concluso con la cattura degli assassini.

Però superai quella difficoltà senza sussultare, e continuai la storia.

"Mio padre non aveva intenzione di accogliere la propria figlia bastarda in casa sua, ma aveva un codice etico, anche se era senza morale. Si assicurò, tramite i suoi dipendenti in Inghilterra, che io avessi una casa, una governante che si occupasse di me e più tardi fui mandata in un costoso collegio femminile – che a dire il vero smisi di frequentare dopo i quindici anni, dopo aver stipulato un accordo finanziario con la preside, ma questa è un’altra storia. Il punto è che, anche se sono tedesca per metà, sono inglese per cultura ed educazione, perché mia madre morì e l’attenzione di mio padre nei miei confronti cominciò e finì con la chiusura dei conti in banca. O in altre parole, me ne sto lontana dalla cultura giapponese perché ogni volta che non conosco qualcosa mi ricordo del perché."

Shizuru annuì.

"Capisco, Natsuki, davvero. Avrei voluto saperlo prima." Giocherellò con la propria tazza. "Comprendo in parte quello che provate."

Il mio primo pensiero fu quello di esplodere di rabbia. I suoi genitori erano vivi e stavano bene. Il loro rapporto non era stato un'illecita transazione d'affari, ma una classica storia d'amore in cui avevano sfidato le loro famiglie e la loro cultura per sposarsi. E Shizuru era stata cresciuta come una figlia di due mondi, riusciva a passare da Oriente ad Occidente con la stessa difficoltà che aveva a scegliere fra il tè nero e quello verde. Per lei fare un paragone tra le nostre storie era più una presa in giro che simpatia.

Per questo non dissi nulla. Doveva esserci di più.

"Sapete qualcosa dei miei genitori, per via del caso di Odessa," disse. "Di come il loro è stato uno di quegli epici scandali romantici dove l’amore ha fatto perdere la testa a due persone?"

Annuii.

"Me lo ricordo. Vostro padre era un diplomatico, vero?"

"Sì, era un funzionario minore nel consolato italiano in Giappone. Mia madre proveniva da una rispettata famiglia di Kyoto le cui origini risalivano al periodo Heian. Si incontrarono ad una cena di stato e si innamorarono perdutamente. La famiglia di lei ne fu offesa a sangue, e lei fuggì. Mio padre riuscì a farla salire di nascosto su un veliero americano, e si sposarono a Macao. Fu un grave incidente diplomatico e mio padre non solo fu licenziato dal lavoro ma anche diseredato, così lui e mia madre furono costretti a farsi strada nel mondo possedendo poco più degli abiti che avevano addosso. Ora gestiscono una scuola, molto rinomata, tra l’altro."

"Le cose sono andate male?" chiesi.

Shizuru rise dolcemente, quasi con rimpianto.

"Intendete se la loro storia d’amore è naufragata e si sono disamorati? No, esattamente il contrario, infatti. Non ho assolutamente alcun dubbio che rifarebbero tutto senza esitazione. Hanno camminato nel fuoco l’uno per l’altra ed hanno commesso atti disperati per il bene della loro unione."

"Allora non sono certa di capire."

"Avete idea di che cosa significhi essere la figlia di Romeo e Giulietta, di Paride ed Elena, di Sigfrido e Brunilde? Mio fratello maggiore Hideo è emigrato a Parigi, mia sorella Yukari ha sposato un americano e si è trasferita ad Atlanta, mio fratello minore Masashi frequenta l’università a Ginevra e, naturalmente, io vivo e lavoro a Londra. Nessuno di noi odia i nostri genitori, o li disprezza – ma dal momento in cui abbiamo raggiunto l’età della ragione abbiamo capito, con la stessa certezza con cui un sacerdote crede in Dio, che verremo sempre per secondi nella vita di nostra madre e nostro padre. Il loro amore per noi era come la luna, un pallido riflesso dell’amore che provano l’uno per l’altra.”

Tacque, poi ammise, "Ma sono certa che mi comporterei allo stesso modo con la persona che amo, quindi forse non ho imparato nulla dal mio esempio.”

"O forse avete solo imparato a non avere figli?"

Shizuru rise.

"Natsuki è una persona molto pratica."

"Proprio così," dissi, sorridendo. "Um...grazie, Shizuru."

"Per cosa?"

"Per avermi portata fuori questa sera."

"Natsuki si sente più a proprio agio ora?"

"Bè, non con questi vestiti addosso, ma…in altri modi forse sì."

Per un attimo, la sua maschera se ne andò completamente e vidi solo pura gratitudine sul suo viso. Capivo, perché per gente come noi non c’è nulla di più spaventoso che aprirsi e condividere una parte di sé.

"Ookini, Natsuki."

"Di nulla."

"Molto bene, signore!"

Girammo la testa per guardare Mai che si avvicinava. Lei e Mikoto stavano portando un vassoio stracarico. Anche se, francamente, Mai avrebbe potuto stare tranquillamente in affari vendendo solo ramen, lì in Inghilterra serviva una selezione di cibi un po' più eclettica, e avrei potuto giurare che almeno metà del menu era su quel vassoio.

"Mai, cos’è tutta questa roba?"

"Sembra che voi due stiate celebrando qualcosa di importante, quindi mangiate e godetevi la cena! Il sakè," aggiunse, posando la fiaschetta e le coppe, "lo offre la casa. Chiamate quando ne volete dell'altro!"

"Mai—" cominciai a protestare, ma lei si allontanò, seguita da Mikoto. "Quella ragazza..."

"Oh, non lo so," disse Shizuru. "Ho avuto l’onore di vedere Natsuki in kimono ed inoltre lei ha condiviso con me un pezzo del suo cuore. Credo che la signorina Tokiha abbia ragione. Questa è una serata speciale."

Di riflesso, fui sul punto di protestare, ma mi fermai subito e sorrisi.

"Passatemi il sakè," dissi.

***

Note dell'autore: In una strana applicazione del classico consiglio 'scrivi di quello che conosci', ho chiesto a mia moglie cosa pensava della logica che Natsuki usa in questo racconto—il modo in cui nasconde i propri sentimenti, cerca di coprirli, Shizuru li capisce, eccetera—e se tutto questo le sembrava credibile. Lei ha detto che lo era...perchè più di una volta abbiamo avuto delle liti/discussioni di questo genere. A quanto pare io sono Shizuru (psicologicamente, almeno)!

Note del traduttore: volevo avvertire che la prossima storia di 'Elementary My Dear Natsuki' verrà pubblicata a luglio. Tenete d'occhio il calendario di aggiornamento sulla pagina dell'autore.

  
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