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Autore: TheSwordmaster    09/06/2014    5 recensioni
un buonsalve (ma sì dai) a tutti!!! questa è la mia prima fic su FEA, che in teoria avrebbe dovuto essere una one-shot, ma che per questioni di lunghezza taglierò in due capitoli.
In ogni modo!
dal momento che nel videogame ogni volta che si passa ad una classe che include una cavalcatura la suddetta cavalcatura pare comparire come per magia dal NULLA... mi è venuta l'insana idea di dedicare una fanfiction sul modo tutt'altro che ordinario in cui il mio avatar avrebbe incontrato il suo fedele grifone (beh vi ho avvisati che è un'idea insana no XD?)
perciò... se vi va di dare un'occhiata a questa mia piccola follia siete ben accolti :3 e anche le recensioni sono ben gradite naturalmente!
“Oh questa è bella! E da quando i grifoni farebbero le fusa come dei dolci teneri gattin…AHIA!!!” La stratega ritrasse di colpo la mano dolorante, massaggiandosi il dito mignolo con l’altra, dal momento che nell’istante in cui aveva detto “dolci gattini” quello le aveva schioccato una clamorosa beccata.
“Ehi non c’è bisogno che mi stacchi un dito sai?”
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UN NORMALE, COMUNE INCONTRO



Il sole tramontava lento e agonizzante sull’ormai silenzioso campo di battaglia, come se anch’esso fosse stato ferito mortalmente nello stesso modo a cui era toccato a tutti quei soldati Plegiani, che giacevano ora su quel suolo polveroso e sudicio e il cui sangue si confondeva con i raggi scarlatti della grande stella.
Tenebris sfilò la spada dall’ennesimo ed ultimo cadavere che aveva mietuto in quella battaglia, gesto accompagnato da un freddo brivido di ribrezzo e rammarico, che le percorreva la schiena ogni volta che le toccava di dover spegnere la vita di un altro uomo con le sue mani, a prescindere che fosse un nemico o meno; a quella sgradevole sensazione ci aveva praticamente fatto l’abitudine ormai e non le dava peso, ma dentro di sé non poteva fare a meno di sentirsi ogni volta adirata: tutta colpa di quella maledetta guerra.
Chrom aveva appena sconfitto il cavaliere oscuro a capo dell’esercito e ora insieme ad Olivia, girava per la piana, chiamando ad appello gli altri Pastori, assicurandosi che non ci fossero feriti gravi, o peggio ancora, delle perdite, che grazie a Naga fino a quel momento non avevamo ancora mai registrato.
Tenebris pulì frettolosamente la lama della sua arma e raggiunse gli altri. Non mancava nessuno e pareva che di feriti gravi non ce ne fossero stati, solo qualche graffio e scorticatura e il bernoccolo sulla fronte di Donnel, causatogli da una freccia nemica scoccata nella sua direzione ma che fortunatamente era stata bloccata dal pentolino che portava sempre in testa (e per l’ennesima volta Tenebris si dovette stupire della resistenza granitica di quell’inusuale cappello salva-vite); Il cuore della stratega si sollevò con gioia poi, quando tra i vari volti del gruppo, scorse quello di Lon’zu, stanco e sporco dal tumulto della battaglia, ma che in ogni caso, la stratega trovava sempre e comunque affascinante, se non addirittura di più in quel momento, con quello sguardo feroce, dagli occhi ancora fiammeggianti e i capelli scuri spettinati, che gli donavano un’aria ancora più virile di quella che già possedeva solitamente. Già, era un po’ di tempo in effetti che aveva iniziato a relazionarsi con lui, che fosse stato in battaglia combattendo fianco a fianco, durante gli allenamenti insieme o anche solo nei pochi preziosi momenti liberi di cui si può godere nelle giornate particolarmente tranquille, e avevano iniziato ad andare anche abbastanza d’accordo, tenendo conto la ginofobia del Mirmidone e negli ultimi tempi, l’immagine che la ragazza aveva di lui era mutata notevolmente e ogni volta che lo vedeva si sentiva al settimo cielo e quando questo le rivolgeva la parola addirittura arrossiva. Non era da lei giungere a conclusioni affrettate, ma aveva il presentimento che il suo cuore si fosse cacciato in “quel tipo” di enorme pasticcio.

“Mio signore, tutti i Pastori sono presenti e non ci sono feriti gravi; Ho anche provveduto a setacciare il campo di battaglia, parrebbero non esserci rimasti più soldati Plegiani nei paraggi.”Annunciò Frederick.

“Ottimo lavoro, Frederick.” Rispose Chrom “Abbiamo rinvenuto qualcosa di racimolabile che ci possa tornare utile?”

“Ho già avuto modo di controllare mio signore, l’utile è stato raccolto. Possiamo oramai avviarci all’accampamento; più tardi farò in modo che una squadriglia di cavalieri raggiunga la zona e possa ispezionare più a fondo” Rispose prontamente il Gran Cavaliere, fiero e diritto nella sua lucente armatura blu.

L’Eletto fece un cenno d’assenso e sentenziò il tanto sospirato rientro alla base ai suoi Pastori, che senza fretta e silenziosamente, si misero in marcia verso l’accampamento, stanchi, ma sollevati.
La stratega si mise in cammino a sua volta, soprappensiero, cercando di lasciarsi alle spalle la battaglia di quel giorno e di pensare al meritato riposo che le spettava quella sera: Il sole era calato quasi del tutto e si era fatto tardi: ciò significava che il rapporto di quel giorno e il consiglio di strategia per gli scontri successivi avrebbe aspettato l’indomani; in compenso quella sera poteva dedicarsi ai suoi tomi in tutta tranquillità.
Improvvisamente, il pensiero dei libri di magia la riscosse dalle sue riflessioni e la ragazza si rese conto che il Mijolnir che aveva portato con sé e che aveva utilizzato per combattere quel giorno era sparito. In effetti, ora che faceva mente locale, ricordava che nel furore della battaglia le era caduto di mano quando una folata di Vento d’Elfo di una valchiria nemica l’aveva investita e che non avendo avuto tempo di raccoglierlo, aveva sguainato la sua Lama di Roy e aveva affrontato i nemici con quella. Realizzato questo la ragazza si fermò immediatamente e fece per fare dietro-front, quando una mano dalla presa salda e amica le si posò sulla spalla, fermandola.

“Qualcosa non va Tenebris?” le chiese Chrom, con voce gentile ma che lasciava trasparire una nota di stanchezza.

“Mi sono accorta solo ora di aver perso il mio tomo magico, uno piuttosto importante, il Mijolnir, una magia del tuono potente, e mi stavo dirigendo di nuovo al campo di battaglia per cercarlo: non posso assolutamente permettermi di abbandonare un incantesimo così raro in mezzo a quella carneficina.” Spiegò lei tesa.

“Capisco… ma sei sicura che sia il caso di tornare laggiù da sola? Frederick ha già perlustrato la zona e più tardi invierà altri suoi uomini per un’analisi più approfondita, ma può essere comunque pericoloso, specialmente ora che sta calando la sera; magari puoi chiedere alla squadriglia che cerchi il tomo per te.” Rispose lui.

La stratega scosse solennemente il capo “ il terreno sarà sicuramente disseminato di altri tomi usati dai maghi plegiani e non sarebbero in grado di identificarlo.” Spiegò lei.

“la cosa non mi rassicura comunque, se proprio ci tieni a cercarlo personalmente almeno vai accompagnata da qualcuno…” L’Eletto non poté finire la frase che la ragazza lo interruppe ridendo “Avanti Chrom! Sembri un padre che parla con la propria figlioletta, non sono così indifesa sai?” Esclamò lei con un ghigno beffardo, sguainando a velocità di lampo la spada dal fodero, proprio sotto il naso dell’altro, che non diede però segni di sorpresa, ma rise a sua volta (era proprio vero che nulla lo poteva turbare, neanche una lama sfilatagli in faccia)

“Non ne dubito!”

Nel frattempo la fila di Pastori si era allontanata sempre più e accorgendosene, il ragazzo dai capelli color zaffiro si ricompose e chiese per l’ultima volta alla stratega se fosse sicura di voler tornare indietro in solitaria.

“Naturalmente!” Rispose risoluta Tenebris, rinfoderando la lama lucente con un sibilo “Tranquillo Chrommy, ci metterò un attimo, sarò di ritorno in un batter d’ali di viverna!”

“come vuoi” cedette infine l’altro “…basta che non vezzeggi più il mio nome in quel modo!”

“Stanne certo!” gridò lei già lontana, correndo di gran carriera, tant’è che l’Eletto non seppe definire se la sua risposta fosse stata ironica o seria, tuttavia non se ne curò più di tanto e sorridendo, ma con una lieve inquietudine nel petto, si avviò sul sentiero che aveva innanzi a sé per raggiungere i Pastori, ormai lontani.


 
Cinque minuti di corsa moderata erano bastati alla stratega per giungere di nuovo su quella piana desolata, che sebbene avesse abbandonato poco prima, le provocava ancora un opprimente senso di nausea, e la cosa che la inquietava di più stavolta era il silenzio di morte che le opprimeva le orecchie come acqua ghiacciata nelle profondità di un lago. La ragazza deglutì di fronte a quello spettacolo e cercò di ignorare gli occhi di vetro dei cadaveri plegiani che sembravano fissarla insistentemente dal loro giaciglio di polvere e sangue e iniziò a guardarsi intorno, facendo mente locale per capire come durante la battaglia si fosse mossa sul terreno e dove più o meno avrebbe potuto trovarsi il Mijolnir. Dopo qualche istante di meditazione, finalmente Tenebris si mosse, facendo lo slalom tra i corpi senza vita e iniziò a scandagliare accuratamente il terreno che scorreva sotto ai suoi stivali, con occhio vigile. Passarono dieci minuti buoni, ma per quanto sforzasse la vista, del tomo ancora non se ne scorgeva traccia e talvolta, proprio quando credeva di averlo finalmente trovato, le sue mani si ritrovavano a stringere un altro libro magico assomigliante, appartenente un tempo a qualche mago nemico; la stratega ricorse persino ad alcuni incantesimi della magia rudimentale utili al ritrovamento d’oggetti (che di solito disprezzava e considerava a malapena “incantesimi”, secondo lei troppo rozzi per essere definiti tali), ma i suoi tentativi si rivelarono sempre vani.
Dopo tanto cercare senza frutti, la ragazza si fermò e portando le mani ai fianchi, come era solito fare quando era seccata, sbottò fra sé e sé:

“per tutti i tomi neri, o Naga mi sta giocando qualche tiro o sono i miei occhi che sono stati colpiti da una fattura… dove può mai essersi cacciato quel maledetto tomo? è impossibile che lo abbia preso qualcuno… e stento a credere adesso che abbia pure messo le ali e sia volato via da solo come una colomba a primav…”

Un rumore improvviso interruppe il monologo della ragazza, dalle sue spalle, facendola ammutolire di colpo. Tenebris rimase immobile, come una statua di ghiaccio, solo la sua mano, lesta, si era mossa verso la spada appesa alla cintola, soffermandosi sull’elsa, lo sguardo fisso in avanti, immobile come quello dei cadaveri plegiani abbandonati sulla terra, ma non altrettanto vuoto. Attese, tuttavia quel basso brusio pareva scomparso. Convinta che fosse stata tutta opera della sua immaginazione, la ragazza si rilassò, credendo che non ci fosse alcun reale pericolo

“questo silenzio così spettrale non mi piace, neanche un po’, mi sta facendo anche venire le allucinazioni alle orecch…”

Il rumore si levò nuovamente da dietro di lei, e questa volta la stratega si girò fulmineamente, la Lama di Roy sguainata, affilata e pungente come un artiglio di drago, lucente come un diamante, magistralmente impugnata in posizione di guardia. Ascoltò attentamente, sembrava ad un basso ringhio, fievole e lamentoso e proveniva da dietro alla carcassa di un pegaso dal manto grigio, altrettanto freddo come pietra, sdraiato su un fianco, l’ala destra accartocciata sotto la sua stessa mole e la sinistra, ampia e maestosa, distesa dietro l’animale, facendo sembrare, dall’alto, che la povera bestia stesse ancora volando, agile ed elegante, nell’immensità del cielo. Tuttavia, Tenebris notò che l’ala del pegaso s’incuneava leggermente, come se coprisse qualcosa, e quel qualcosa sembrava essere vivo e vegeto.
“Cosa accidenti era quello? Allora non me lo sono immaginata… ma cosa può essere?  forse c’è un soldato gravemente ferito lì sotto, che magari è scampato alla morte? No, impossibile, quel suono non è umano… e se fosse un risorto? Però mi sembra troppo improbabile, nessuno degli uomini di Valldar può aver avuto il tempo di venire qui e di consacrare a Grima… un solo cadavere? Così ben nascosto poi? No… ma allora…?”
Il ringhio si fece leggermente più forte, quasi avesse guadagnato più fiducia, coraggio e fece sobbalzare Tenebris, rimasta assorta nei suoi ragionamenti. Bisognava prendere una decisione, uno dei due doveva agire e se quella “creatura” non si decideva a farlo, allora ci avrebbe pensato la ragazza.
La stratega allora, preso il coraggio, si avvicinò all’ala del pegaso, pronta alla peggior sorpresa, pronta a scattare in attacco o in difesa in qualsiasi istante, con ogni singolo muscolo del corpo teso e lo sguardo sottile e lampante come la stessa lama che reggeva tra le mani. Con un piede toccò rapidamente il bozzo coperto di piume grigie e questo subito rispose agitandosi appena, tornando a lamentarsi. La stratega deglutì e infine gridò:

“se non sarai tu ad uscire allo scoperto…” sollevò la spada, stringendo saldamente l’impugnatura con ambedue le mai “…ti costringerò io a farlo!”

Con un calcio ben assestato sollevò la grande ala, ma proprio quando stava per calare il fendente, ciò che vide la costrinse a fermare il colpo a mezz’aria, che non arrivò mai all’obiettivo.
Un giovane grifone in fin di vita, con un’Asta Corta piantata nella coscia di una zampa posteriore, inzuppata di rosso, giaceva accasciato al suolo, dentro ad una cunetta. La ragazza, a bocca aperta ed occhi sgranati, abbassò lentamente l’arma, che per poco non le era scivolata di mano. Il grifone aprì un occhio, che sebbene sofferente, la scrutò arcigno, un po’ abbagliato; contrasse il becco, da cui uscì sommesso un suono rauco e graffiante, simile al verso dell’aquila e debolmente, cercò di agitare le ali e mosse le zampe spasmodicamente, come se l’istinto gli suggerisse di volare via o di attaccare la sconosciuta.
Tra i Pastori nessuno era Cavaliere Grifone e Tenebris non aveva mai avuto occasione di osservarne un esemplare se non durante la guerra, e mai così da vicino ed era talmente abituata a vedere quelle creature leggendarie, sempre così fiere e possenti, attaccarla con ferocia, che quella volta, vedere quel grifone morente e completamente indifeso la lasciò spiazzata. Tuttavia sapeva benissimo che anche in quelle condizioni l’animale era tutt’altro che inoffensivo, aveva avuto modo una volta di leggere un libro su vita e misteri di quella specie: bestie leggendarie, di spirito guerriero, forti,  quindi fu cauta nell’agire, perché qualcosa doveva fare, se lo sentiva dentro, non poteva lasciare quella creatura alla mercé del destino.
Tenebris si chinò sulle ginocchia e cercò di allungare una mano verso la testa d’aquila del grifone, per provare a tranquillizzarlo con una carezza, ma naturalmente quelle sono creature altezzose e molto schive e di rado si lasciano toccare da un uomo a meno che non sia il loro fidato cavaliere, e con uno scatto energico che nessuno avrebbe potuto mai aspettarsi da un essere in quello stato, fece guizzare in avanti il collo piumato facendo schioccare il becco dorato a qualche centimetro dalla mano della ragazza, sibilando. Tenebris si ritrasse, cercando di elaborare un piano migliore.
“non è facile guadagnarsi la fiducia di creature leggendarie come i grifoni…”
Puntò nuovamente i suoi occhi in quello violetto e fessurato della creatura, e questa rispose con un sibilo minaccioso, prendendolo probabilmente come un gesto di sfida da parte della ragazza. 
“... ma non posso abbandonarlo qui a morire di agonia! Un modo troverò!”
Tenebris rifletté e pensò prima di tutto di lasciare a terra la spada, per cercare di comunicare alla creatura alata le sue buone intenzioni (d'altronde un attimo prima stava per infilzarla con quella, era naturale che ora il grifone fosse ancora più indisponente e aggressivo). Prese quindi in mano la lama e lentamente e con solennità, accertandosi che il grifone la vedesse bene, la appoggiò per terra, a debita distanza e il gesto parve riscuotere il risultato sperato: l’animale smise di ringhiare e parve scrutarla con meno ostilità e un po’ più di curiosità, ma forse giusto un po’. Tenebris sapeva qual era la mossa successiva da fare a quel punto e parlò; dal libro che aveva letto infatti ricordava che uno dei passi principali per avvicinare i grifoni è far sentire loro la tua voce, in modo che essi percepiscano attraverso il suo suono, che deve essere sicuro, fermo, ma gentile, lo stato d’animo della persona interlocutrice e giudicarla, e così la ragazza fece, con tutto il sangue freddo e la serenità che le veniva dal diaframma in quel momento.

“sono qui per aiutarti. Non ti farò del male.” Disse, ma la sua voce vacillò appena e il grifone si ritrasse guardandola arcigno.

Senza perdersi d’animo Tenebris ritentò, stavolta più decisa: d’altronde è difficile che il primo tentativo sia quello buono di solito.

“Non temere, starai bene, io posso aiutarti,”

Il secondo tentativo parve andare molto meglio, la voce della stratega suonò chiara e forte e il grifone la percepì altrettanto chiaramente, infatti, non senza fatica, voltò la grande testa piumata e guardò meglio la ragazza, come a volerne scandagliare l’anima, con un’espressione che faceva sembrare che le stesse concedendo un grande onore a permetterle di guardarlo in entrambi gli occhi.
Tenebris, incoraggiata, provò di nuovo a porgergli la sua mano, senza titubanze stavolta e continuò a dire frasi d’incoraggiamento.

“Tranquillo, andrà tutto per il meglio adesso…” il grifone emise una specie di gorgoglio ovattato dalla gola, non più un ringhio aggressivo e dopo un breve indugio, abbassò il suo scudo di altezzosa diffidenza e lentamente avvicinò il muso, andando in contro alla mano della stratega Ylissiana

“sì, così, bravo!” lo incoraggiò Tenebris, regolando però la gioia nella sua voce e finalmente, dopo attimi che parvero interminabili, l’esile e gentile mano della ragazza si poggiò sul lucido e imponente becco aureo.

E in quell’esatto momento, i corpi di entrambi furono reciprocamente attraversati dai pensieri e dalle emozioni dell’altro, con l’intensità di un’onda dell’oceano che ne rimescola le acque turbolente durante una tempesta, del boato di un tuono che fa vibrare l’aria e la terra subito dopo l’apparizione della folgore che squarcia il cielo.
Così rimasero per circa un minuto, assaporando entrambi quel contatto. Tenebris tornò a fissare il grifone negli occhi e gli sorrise con dolcezza e anche quest’ultimo, finalmente convinto, parve sorridere a sua volta, dimenticando per un  secondo il dolore alla zampa e strusciò la testa contro la mano della ragazza facendo un po’ di fusa, invitandola ad accarezzarlo. Tenebris sorrise raggiante e dopo un po’ divertita disse:

“Oh questa è bella! E da quando i grifoni farebbero le fusa come dei dolci teneri gattin…AHIA!!!” La stratega ritrasse di colpo la mano dolorante, massaggiandosi il dito mignolo con l’altra, dal momento che nell’istante in cui aveva detto “dolci gattini” quello le aveva schioccato una clamorosa beccata.

“Ehi non c’è bisogno che mi stacchi un dito sai?”

Il grifone la guardò impettito con l’aria di qualcuno che era appena stato insultato a morte.

 “Va bene, va bene, non ti piace essere chiamato “dolce gattino” ho cap… AHIO SMETTILA!” Ora Tenebris si massaggiava anche l’indice e il grifone stavolta la scrutava con aria furba, facendo il finto offeso.

“Ho capito, vostra maestà, è meglio che quella parola non la dica definitivamente più, anche se non è direttamente rivolta a voi...” La creatura ricambiò con sguardo compiaciuto, evidentemente soddisfatta.

“…però che caratteraccio…”

Il grifone ringhiò appena e la stratega continuò:

“…ah ah, ehm, davvero amorevole, no?”

Il grifone contento della risposta tornò a strusciare la testa contro la ragazza e a fare le fusa.
“Ah, ecco perché, dimenticavo che in fondo voi grifoni siete per metà dei leoni e quindi, dei felini… eppure è così… è buffo per delle creature imponenti come voi!” Esclamò lei ridendo, al che la creatura rispose con uno sguardo visibilmente accigliato come a dire “perché, non ci arrivavi anche prima?” e Tenebris sempre sorridendo, gli regalò qualche carezza prima di ritornare seria e di guardare la zampa insanguinata, con aria preoccupata; la bestia aveva perso molto sangue e la ferita avrebbe rischiato di infettarsi se non l’avesse medicata e non avesse rimosso l’Asta Corta in fretta.

“ok, vediamo un po’ cosa abbiamo qui…” borbottò la stratega tirandosi su con cura le lunghe maniche dell’elegante veste da Gran Maestro e avvicinandosi alla zampa offesa.

Immediatamente il grifone si ritrasse e le soffiò, gli occhi ridotti a fessure e le piume castane del collo irte tanto da sembrare aculei di porcospino; sebbene avesse permesso alla ragazza di farsi toccare, ancora non si fidava abbastanza da lasciarla avvicinare alla ferita sanguinante, ma Tenebris fu cauta e tranquillizzò immediatamente, con qualche parola rassicurante, la creatura leonina, che alla fine, sebbene con fatica, concesse alla ragazza di esaminare la ferita da più vicino. Ma il viso di Tenebris già si adombrò dopo una fugace occhiata: gran bel brutto infortunio, e  non sapeva nemmeno quale parte sarebbe stata più ardua tra il rimuovere l’asta e il disinfettare e curare a dovere la ferita.
In ogni modo non aveva altra scelta se non di iniziare dalla prima manovra.
In quel momento, proprio quando la stratega stava iniziando a chiedersi con crescente ansia come agire, si ricordò di un utile incantesimo che le aveva insegnato tempo addietro Lissa, quando da Sacerdotessa era stata promossa a Saggia e aveva quindi iniziato a bazzicare con la magia - sebbene si potesse definire un tipo di magia parzialmente in simbiosi con le arti curative - e proprio da queste arti, aveva avuto modo di insegnare a Tenebris un incantesimo piuttosto semplice, che anche i maghi non guaritori sono in grado di esercitare: una filastrocca composta di sole quattro parole che si ripetono all’infinito una dietro l’altra. La formula non avrebbe accelerato la guarigione della zampa, ma avrebbe anestetizzato la ferita per tutta la durata del canto, che poteva essere recitato tanto a lungo quanto uno desiderava, rendendo indolore anche la rimozione dell’aculeo, agevolando di un bel po’ le cose. 
La stratega poggiò lentamente una mano sulla zampa dell’animale, inspirò profondamente e si predispose a iniziare.

“Questo ti aiuterà a sentire meno dolore… davvero, cancellati quella smorfia assassina dal becco!” sbottò al grifone, che dopo un brontolio di disappunto rimase ugualmente inquieto.

La ragazza allora, raccolta la concentrazione, pronunciò la prima parola, che sebbene bassa e quieta, parve squarciare quel cielo scuro e silenzioso e come pesci di un fiume cantilenante appena bisbigliato, che si spandeva nell’aria in una dolce nenia, altre parole sgorgarono dietro quella, riempendo quel silenzioso vuoto che poco prima soffocava quello spiazzo di morte. Senza smettere di cantare, lentamente Tenebris rimosse, con mano attenta e delicata l’Asta Corta dalla coscia del grifone, che inizialmente trasalì, preparandosi ad un lacerante dolore ma che poi, sorpreso, realizzò che l’unica sensazione che avvertiva era di leggero fastidio, che sapeva solo molto vagamente di dolore e rimase a guardare, per tutto il tempo richiesto dalla manovra, il lavoro della ragazza, accertandosi che non lo facesse dolere in un qualche modo all’improvviso.
Passarono i minuti, infiniti uno dietro l’altro, e la stratega Ylissiana cantò instancabile, irremovibile e precisa nella sua opera, tanto da sembrar sotto ipnosi vista da fuori, come se nulla avesse più importanza per lei eccetto quella zampa, e infine, pronunciando l’ultima vittoriosa parola con solennità, estrasse del tutto la punta della lancia dalla coscia piumata del Grifone, che immediatamente chiuse gli occhi, emettendo una specie di miagolio stridulo e impaurito, come a volersi preparare all’inevitabile colpo di grazia che un nemico immaginario troppo più forte di lui stava per infliggergli, ma fortunatamente l’incantesimo mascherò anche quell’ultimo dolore e la bestia, presa alla sprovvista, cercò di ricomporsi assumendo la posa più dignitosa possibile, ignorando la sua stessa ultima reazione, chiaramente esagerata. La stratega sospirò, stanca e si asciugò il sudore luccicante dalla fronte con la lunga manica della tunica, tuttavia la sceneggiata dell’infortunato non le sfuggì e non poté fare a meno di ridere sotto i baffi.
“uh ma che fifoni che siamo qui eh? Ah ah ah ah! E dai, quante storie! E ringrazia che la punta non è passata da parte a parte sennò… GAH!!”

E per oggi si saluta anche l’anulare.

“non si può proprio scherzare con voi maestà eh?” brontolò Tenebris con il dito pulsante in bocca. L’altro non rispose e la fissò irritato; una cosa è certa, prima di rivolgersi a un grifone bisogna soppesare bene le parole.

“Guarda che se mi stacchi tutte le dita non sarò più in grado di guarirti, quindi, fossi in vossignoria, non esagererei con quell’arma micidiale quale il vostro becco.”

Il grifone stava per ribattere qualcosa, ma il solo verso che provenne da lui fu un sonoro lamento. L’effetto della nenia era terminato e ora il dolore dello squarcio si sentiva più vivido che mai, e bruciava. Tenebris parve riscuotersi e tornò di nuovo seria: era giunto il momento della disinfezione. Fortunatamente aveva ancora con sé l’ampolla di unguento fresco che si era portata in battaglia quel giorno ed era (sempre fortunatamente) ancora piena, così poté usarne il contenuto per pulire e curare al meglio che le fosse consesso la ferita, problematica poiché non cessava mai di sanguinare. Non appena la zampa acquisì un aspetto migliore, la stratega provvide  immediatamente a fasciarla per evitare che il nuovo sangue colasse di nuovo e vanificasse il suo medicamento, così strappò un po’ di stoffa dal sontuoso drappo del pegaso grigio (chiedendogli mentalmente scusa) e dopo averla pulita alla bell’e meglio con l’unguento rimasto, l’applicò intorno alla zampa leonina in una fasciatura improvvisata, che tuttavia pareva funzionare abbastanza bene; se non altro arginava il flusso cremisi della ferita.
Non appena ebbe finito, Tenebris si sgranchì la schiena e dopo un profondo sbadiglio comunicò la buona notizia al grifone, che pareva altrettanto esausto.

“ed ecco qua! Non avrei sperato che con le rudimentali risorse di cui disponevo sarei riuscita a fare questo però… beh guarda un po’? quasi meglio di una guaritrice esperta! Che ne pensi?”

La bestia accennò appena un sorriso, poi si concentrò sulla zampa, analizzandone la trasformazione… e quale sorpresa! Niente più sangue né sporcizia, sembrava quasi nuova se non fosse stato per la benda, che tuttavia le dava quasi un tocco decorativo, elegante.
Il grifone ruggì felice e strusciò entusiasta la testa piumosa contro il ventre di Tenebris, che altrettanto felice gli rispose con qualche gentile carezza e che nel frattempo si guardò intorno. Quanto tempo aveva passato lì per terra? Sicuramente troppo, era praticamente notte e le stelle brillavano come frammenti di cristallo nel cielo scuro e probabilmente i fantini di Frederick erano già giunti sul luogo da un po’; di quel passo sicuramente sarebbero arrivati da lei e il grifone.
Nel momento in cui realizzò questo, la mente di Tenebris fu attraversata da un dubbio, rapido ma profondo: era davvero il caso di farsi trovare lì? Che loro vedessero il grifone? Avrebbero potuto ucciderlo non appena avrebbero capito che apparteneva al nemico, specialmente vedendolo emaciato e debole, o forse avrebbero costretto lei ad abbandonarlo lì, e dentro di sé Tenebris sentiva che non poteva permettere una cosa del genere; quando si erano toccati la prima volta, ognuno dei due aveva percepito i sentimenti dell’altro, ed ognuno dei due ne era rimasto folgorato, come se un primordiale legame li avesse già legati a quel timido contatto, come due placche di metallo incandescente che s’incontrano rimanendo incollate e che aspettano solamente di venire saldate completamente. Anche senza questo vincolo particolare, la ragazza aveva pianificato di tornare all’accampamento non appena la ferita del grifone fosse stata fasciata, tuttavia avrebbe dovuto aspettarsi che dopo la bestia sarebbe stata ancora troppo debole e che la ferita andava vigilata periodicamente fino alla completa guarigione, quindi, non poteva lasciarlo in ogni modo.
Le venne un’idea. Si trovavano quasi al margine dell’altopiano, oltre il quale s’intrecciavano gli scuri alberi di una foresta e dei grandi cespugli: un perfetto nascondiglio per il grifone, tuttavia anche se si trattava di qualche passo, solo portarlo fin lì sarebbe stato arduo, ma Tenebris non si scoraggiò per questo e si rivolse alla creatura.

“senti, questo posto non è sicuro e sei troppo debole per difenderti.” La stratega fece una pausa, guardando bene il grifone negli occhi, che ora la ascoltava attento.

 “In oltre, la tua zampa ora è fasciata, certo, ma occorrerà ancora tempo prima che torni come un tempo e va tenuta sotto controllo.” La ragazza sollevò un braccio e puntò il dito in direzione del bosco “lì potrai attendere che la ferita guarisca al sicuro e sarai anche lontano da eventuali predatori…” Il grifone borbottò a queste parole, ma Tenebris continuò ugualmente, cercando di trovare le parole giuste.

 “…sì, so che la vostra è una razza leggendaria che di sicuro non recita la parte della preda, tuttavia, nelle tue condizioni anche tu potresti diventare cacciabile.”

Il grifone non poté contestare quelle parole e fece solamente un lento cenno affermativo con la testa. Tenebris, sollevata dalla sua collaborazione sorrise e arrotolate nuovamente le larghe maniche della tunica si avvicinò alla bestia e l’aiutò come meglio poteva a mettersi sulle zampe, operazione ardua, poiché anche le tre zampe sane erano, a causa della seria perdita di sangue, troppo deboli per reggere da sole la mole del grifone, che nonostante tutto, dopo un bel po’ di fatica riuscì finalmente a mettersi in piedi e a trascinarsi fino ai piedi di una grossa quercia, dietro ad un grande cespuglio di bacche, mentre la stratega lo guidava e sorreggeva facilitandogli il più possibile il tragitto, ostacolato dai mucchi di corpi esanimi dei soldati e le loro ex cavalcature.

“ecco qua! Vedrai, starai benissimo qui! Non sei scoperto e neppure troppo addentrato nel folto della selva, quindi sarai al sicuro anche da eventuali predatori… e ci sono pure queste bacche dall’aspetto invitante a portata di mano! Le ho già viste una volta, sono commestibili, anche se forse per voi grifoni che siete carnivori non sono proprio un piatto adatto… ma meglio di niente no? Allora, che ne pensi?” Tenebris si inginocchiò di fronte alla creatura leonina e gli sorrise amichevolmente; quella ricambiò con gratitudine e gracchiò sommessamente, sembrava abbastanza felice.

“Mi raccomando, tu non tentare di muoverti di qui o di fare qualsiasi cosa di dubbia sicurezza, mangia qualche bacca e non toccare la zampa, io devo andare ora, ma tornerò presto, te lo prometto”

a quelle parole il grifone protestò gracchiando e tirò insistentemente con il becco un angolo del mantello della stratega

“ah! Il mio mantello da Gran Maestro! Vacci piano! Questa è stoffa pregiata!” esclamò Tenebris cercando di strappare di becco al grifone il lembo di mantello.
Il grifone la guardò storto e tirò ancora più forte

“no… molla! Così la strappi! Sigh, ti ho promesso che tornerò, davvero…  tranquillo…” la stratega si arrese e prese dolcemente la testa aquilina tra le mani e lo guardò dritto negli occhi, sorridendo “farò di tutto affinché tu possa rimetterti presto, verrò a trovarti spesso, veglierò sulla tua zampa fino all’ultimo e se sarai bravo… ti porterò anche qualcosa di buono! Magari anche un pezzetto di carne dalla mensa se saremo fortunati!” A queste rassicurazioni il grifone parve rasserenarsi un po’ ma non lasciò ancora il mantello.

La stratega continuò “prima ti sei fidato di me, pensi di poterlo fare anche adesso?” a quella domanda il grifone rispose solennemente, gli acuti occhi da rapace dal colore così inusuale non avrebbero potuto essere più seri, e chinò il capo in avanti in cenno di assenso.

La ragazza, sollevata, gli scompigliò affettuosamente le piume del capo dietro le orecchie e ringraziò la maestosa creatura, ma proprio quando fece per alzarsi, uno strattone la fece barcollare all’indietro, seguito poi da un brutto, sonoro “strrrrrapp!”

“AAARRG!!! DEI, IL MIO MANTELLO!!” gridò la ragazza spostando continuamente lo sguardo dal brandello di stoffa che il grifone teneva il bocca con soddisfazione al suo mantello, con incredulità.

“p-perché l’hai fatto??”

In risposta il grifone si lasciò sfuggire una specie di risata gracchiante e iniziò a giocherellare con la stoffa rubata, dopodiché con gran gusto, se la mangiò sana sana; era evidente che, promessa o non promessa, quel mantello gli andava particolarmente a genio a prescindere.
Tenebris lo guardò con tanto d’occhi, non sapendo se arrabbiarsi, continuare ad inveire, o ridere; il risultato fu che rimase troppo confusa per fare qualsiasi cosa e rimase a fissarlo a bocca aperta.
Il grifone, tanto per cambiare, si leccò il becco soddisfatto, tornò impettito come prima e la guardò di traverso, infastidito dal sentirsi osservato in quel modo e così a lungo, riscuotendo così la stratega dal suo torpore.

“ma cos… COSA STAI FACENDO?? Anzi… cosa hai fatto!! E poi da quando in qua i grifoni… oh Naga, certo che siete strani! Bah, ci rinuncio, meglio che vada ora.”

La stratega si alzò, ancora stupita, borbottando qualcosa fra i denti del tipo “sigh, il mio mantello…” oppure “che assurdità… un grifone che mangia i mantelli…” o ancora “cosa gli avrà fatto mai di male  il mio mantello? sigh” e fece per incamminarsi verso l’accampamento dopo aver rivolto un fugace saluto, quando qualcosa di soffice le urtò la mano. Il grifone faceva le fusa e strusciava il capo in cerca di qualche coccola dalla ragazza.

“mh… ma sai che sei proprio un bel ruffiano te?” sospirò lei, lasciandosi sfuggire un sorriso e carezzandogli affettuosamente la testa come ultimo gesto di saluto.

“ora però devo andare sul serio, saranno in pensiero per me gli altri… mi raccomando, stai attento, non combinare nulla… e in particolare non mangiare altra stoffa!”

la bestia leonina alzò gli occhi al celo e fece cenno di sì, non troppo convinta.

“mah! Chissà che combinerai qui… in ogni modo buona notte!” disse infine Tenebris, e con un cenno di saluto si congedò finalmente al grifone che da lontano le sorrise prima di accucciarsi per dormire.
 


Tenebris camminava tranquilla, volgendo lo sguardo alle stelle della volta celeste che fedeli la accompagnavano durante il tragitto per tornare all’accampamento, illuminandole la strada che aveva innanzi, vegliando su di lei con il loro scintillare. Era decisamente una magnifica serata, ottima per meditare e allentare la tensione dopo una faticosa giornata come quella, per di più ricca di avvenimenti… bizzarri. La ragazza non riusciva a smettere di pensare al Grifone e di come si fosse divorato la stoffa della sua veste da Gran Maestro in mezzo secondo e il ricordo, più che scocciatura, ora le procurava una strana sensazione ilare, e la faceva sorridere divertita.
“per tutti i tomi, che giornata…” pensò tra sé e sé, mentre le luci dell’accampamento iniziavano ad apparire fioche in fondo alla strada.
Improvvisamente Tenebris si fermò di colpo, come folgorata, sebbene quella sera di fulmini non ce ne fossero nel cielo sereno. Ma il fulmine che l’aveva colpita in pieno era un altro e paradossalmente non si trovava lì con lei dove avrebbe invece dovuto essere.

“per tutti gli dèi, altro che tomi… il Mijolnir.”
  
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