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Autore: Mary P_Stark    09/06/2014    2 recensioni
Summer è la più focosa tra i gemelli Hamilton. ll suo carattere rispecchia appieno il suo Elemento, il Fuoco, che lei domina con sapienza e attenzione. Vulcanologa di professione, verrà inviata alle Hawaii assieme al suo collega e amico J.C. per studiare il locale vulcano e, in quell'occasione, verranno a galla non solo l'antico retaggio della Dominatrice del Fuoco, ma anche i doni dell'apparentemente innocuo John. Questo scatenerà forze a stento controllabili, ma anche la passione sopita di entrambi. Sarà in grado, Summer, di gestire tutto come suo solito, o le forze in campo, stavolta, la travolgeranno? E Nonna Shaina accetterà di perdere la partita contro i nipoti, o stavolta partirà all'attacco? TERZO RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" (riferimenti alla storia presenti anche nei racconti precedenti)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Cap. 8

 

 

 

 

 

 

Le strade di Hilo erano percorse dai turisti, accarezzate dalla brezza che giungeva dal mare e dal brontolio sommesso – ma non noto ai più – dei sommovimenti terrestri che plasmavano la Terra.

Summer godeva di quegli elementi in egual maniera, ma i suoi occhi erano solo per il suo accompagnatore, per il suo Fulcro, per la sua anima gemella.

Anima gemella che, in quel momento, stava contrattando – anche in maniera piuttosto energica – con un commerciante di ninnoli per avere una collana dall'aspetto piuttosto esotico.

La donna ridacchiò nel vederlo animarsi a quel modo - J.C. solitamente era compassato e tranquillo - e quando lo vide riuscire nel suo intento, non poté che applaudirlo festante.

Tutto contento, l'uomo si volse nella sua direzione e, con occhi che contenevano soltanto il grande amore che provava per lei, le disse: “Girati, così posso mettertela.”

“Grazie” mormorò lei, sollevando la chioma di riccioli ramati per facilitargli il compito.

Mike non aveva gradito molto vederli uscire assieme, mano nella mano, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco.

Senza attendere neppure un secondo, era uscito dall'albergo con tutta l'intenzione di andare a caccia.

Amanda, invece, aveva colto al volo l'occasione per prenotare un'intera sessione di massaggi nella SPA dell'albergo e, con un gran sorrisone, aveva augurato loro di passare una bella giornata.

Quello che l’aveva stupita era stato Sean.

Si era limitato a sollevare il bicchiere del suo succo d’arancia – neanche fosse stato pregiato Dom Perignon – e aveva brindato a loro, lanciandole un sorriso velato di preoccupazione prima di distogliere lo sguardo.

Summer non aveva affatto gradito, ma aveva preferito rimanersene zitta per non rovinarsi la giornata prima che questa avesse inizio.

Sean l’aveva pregata più volte di poter parlare in separata sede, in quei giorni, ma lei gli aveva sempre negato questa possibilità.

Ascoltare ciò che Shaina, per bocca sua, aveva intenzione di dirle, non era esattamente il modo migliore per chetarsi e, se ci avesse anche solo provato, le sarebbe venuto un mal di testa tremendo.

Quella giornata era solo per lei e J.C.

Punto.

Un brontolio sordo nel Kilauea, però, parve contraddirla, ma lei preferì non ascoltarlo.

Per una volta, avrebbe voluto tanto essere una comune ragazza con il suo uomo, non un’Accolita degli Elementi, una Dominatrice del Fuoco, una Pirocinetica Creatrice.

E, per una volta, avrebbe tanto voluto che anche J.C. fosse solo un uomo, e non il depositario di un antico credo cui lui non faceva il minimo affidamento, ma a cui era legato pur negandolo.

Era difficile non badare ai loa che lo seguivano docili e speranzosi che, un giorno o l’altro, lui rivolgesse loro le proprie preghiere o i propri desideri.

Lei poteva scorgerli senza alcun problema, e loro erano altrettanto coscienti di questa sua capacità, e la rispettavano e temevano per questo.

Pur appartenendo a due credi differenti, lei stimava e apprezzava il mondo degli spiriti e i loa, pur non riconoscendola come depositaria dei Sacri Misteri, le dovevano rispetto e stima.

Summer sapeva bene quanto fosse frustrante, per loro, non essere accettati.

La donna si era sentita così in più di un’occasione e, temeva, J.C. non sarebbe stato tanto tenero con lei, se gliene avesse parlato.

Forse, però, rendendolo partecipe del suo segreto poco alla volta, avrebbe avuto maggior successo della sua famiglia d’origine.

L’essere catapultato fin da bambino nelle maglie dell’occultismo, aveva forse inibito la mentalità di John ma, trattando con un uomo adulto e dalle ampie vedute, Summer avrebbe avuto maggior fortuna.

Forse.

In quel momento, però, né i loa né tanto meno i moniti del vulcano dovevano preoccuparla. Era con John, e questa era l’unica cosa importante.

¤¤¤

Destreggiandosi con pinza e forchetta per liberare della succosa carne una chela di granchio, Summer rise nell’infilarsela in bocca deliziata e, con un sospiro, esalò: “Squisita. Questo piatto è adorabile!”

“Noto” ridacchiò John, prendendo per sé un gambero alla griglia.

“Hai scelto benissimo” lo rincuorò lei. “Ti eri informato prima?”                    

“Lo ammetto, ho chiesto al direttore dell’albergo” ridacchiò J.C., versandole un po’ di vinello dalla tinta dorata.

“Hai fatto bene, niente da dire” assentì Summer, sorseggiando il vino assieme all’uomo.

“Sono lieto che il posto ti piaccia e poi…” cominciò col dire lui prima di intrecciare le dita con quelle di lei. “… adoro vederti così sorridente e serena.”

Arrossendo suo malgrado, Summ reclinò un poco il capo e mormorò: “Non dovresti parlare così. Mi imbarazzi.”

“Lo faccio anche per questo. E’ difficile pensare a te come a una persona che possa imbarazzarsi per un semplice complimento” ridacchiò John, portandosi la sua mano alle labbra prima di lasciarla andare.

Il rossore sulle gote di Summer aumentò e lei, burbera, mugugnò: “Non è giusto che tu ti approfitti della cosa!”

“Sei adorabile… che ci posso fare?” si limitò a dire l’uomo, spallucciando.

A quel punto, lei si coprì il viso con le mani e rise sommessamente, sentendosi nuovamente una quindicenne al suo primo appuntamento.

Con John, era difficile mantenere il controllo, restare la spigliata donna che soleva mostrare al mondo.

Assieme a lui, emergeva una Summer nascosta, più dolce, più delicata, suo malgrado più debole e insicura, e non era del tutto sicura che la cosa le piacesse.

Ma pareva mandare in deliquio lui, perciò…

“Non mi definirei adorabile. Qualche altro aggettivo, magari, ma adorabile? Spry è adorabile!” si schernì lei, cercando di superare l’imbarazzo.

Ora del tutto serio, J.C. la fissò in quei meravigliosi occhi da gatta e replicò: “No, Summ. Sei tu a essere adorabile. Non metto in dubbio che la dolce Spry sia meravigliosa, ma io amo te, e tu sei adorabile per me.”

“John…” ansò lei, mordendosi il labbro inferiore, preda di un dolore sordo al costato.

Il suo dominio miagolò dentro di lei, in risposta a quelle parole, del tutto conquistato dall’uomo che sedeva innanzi a Summer.

Il Fulcro era potente su di lei, non poteva certo negarlo e questo, suo malgrado, la spaventò. Cosa sarebbe successo se qualcosa tra loro fosse andato storto?

Non osava neppure darsi una risposta, perché la temeva davvero troppo.

Forse comprendendo la confusione della donna, J.C. cambiò argomento di proposito e, nel sorriderle, le domandò: “Allora, per domani, come intendi muoverti? Hai davvero intenzione di fare Indiana Jones, e infilarti in uno dei vecchi condotti lavici che ci sono nella foresta?”

Grata per quella deviazione, lei scosse un poco le spalle e disse: “Dobbiamo controllare tutto il Kilauea, non soltanto la bocca e le sue emissioni di magma e, per farlo, dobbiamo prendere dei campioni anche dai vecchi condotti. Che ci posso fare se Big Mama vuole un rapporto completo sulle attività del vulcano?”

“Scrupolosa come tuo solito” ridacchiò John, prendendo un pezzo di totano con la forchetta.

“Devia il tuo sarcasmo in direzione del NOAA, grazie. Io non c’entro. Prendo ordini esattamente come te” precisò Summer, dando una sonora martellata a una delle chele, spezzandola.

“Sei tu il capo-spedizione, perciò me la prendo con te” ghignò lui, allungandosi per toglierle un pezzetto di granchio dal dorso di una mano.

“Ah, ecco, mi usi da capro espiatorio perché hai paura di Big Mama! Glielo dirò appena torniamo, poco ma sicuro!” ridacchiò lei, regalandogli un sorriso tutto fossette.

John replicò a quel sorriso con un leggero ansito.

Già, non poteva proprio farci niente, era innamorato cotto, e nulla di quanto avrebbe potuto fare, o dire, l’avrebbe allontanato da quella realtà.

Non gliene importava nulla se nella sua famiglia erano matti da legare, e se sull’isola si trovava il suo non desiderato promesso sposo.

Summer era sua, e così sarebbe stato fino al suo ultimo respiro.

¤¤¤

“Posso assicurarti, zia, che non è successo nulla, a parte l’arrivo a sorpresa di Sean” brontolò Summer, il telefonino attaccato all’orecchio mentre, con la mano libera, si stava dando lo smalto alle unghie dei piedi.

“Già quello è una mezza tragedia. Come si è permessa, la mamma, di mandare lì Sean?!” sbottò la donna, contrariata.

Le imprecazioni si sprecarono, e Summ sorrise. In quello, lei e la zia si erano sempre somigliate. Non ci erano mai andate leggere, con le parole.

“La conosci meglio di me. Dimmelo tu” replicò la nipote, scrollando ironica le spalle.

“Non la conosco meglio di chiunque altro di noi, credimi. Ha sempre avuto una mentalità contorta… forse perché è una Pirocinetica, non so…”

“Quindi, anch’io sono così?” sghignazzò Summer.

“Eccome se lo sei, tesoro” la accusò dolcemente Brigidh, ridendo sommessamente. “Neppure Spring è così contorta. Tu hai un autentico dedalo in testa e, se solo un giorno riuscissi ad arrivarne a capo, potrei ritenermi soddisfatta.”

“Non pensavo di essere così complessa da capire” asserì la nipote, vagamente sorpresa.

“Non complessa, cara, ma barricata all’inverosimile, sì. Ti nascondi dietro una marea di muri, fossati e ponti levatoi, e dio solo sa cos’altro. Da cosa dipenda, ancora non lo capisco, ma so che queste barriere ci sono” la mise al corrente la zia.

“Non è che la vita, con noi, sia stata quella gran pacchia. Se non mi fossi costruita un po’ di barricate, sarei morta da tempo” brontolò Summ, accigliandosi e passando all’altro piede per completare l’opera.

“Non dico che tu non abbia fatto bene, Summy, ma è chiaro che queste barriere ti bloccano, anche se non ho capito bene in che modo. Sicura che, con John, vada tutto bene?”

“Ottimamente… in tutti i sensi, e il mio elemento è soddisfatto come un gatto che ha appena divorato uno stormo di uccellini. Sto bene, davvero” la rassicurò la nipote, avvertendo chiaramente nel tono di voce della zia una profonda preoccupazione.

“E con la questione ‘verità’, come la mettiamo?”

Accigliandosi leggermente, Summer mormorò: “Voglio arrivarci poco alla volta. Sai com’è John. Neppure crede ai loa che lo seguono fin da quando era un bambino, figurarsi se crederebbe in quello che sono io!”

“Attenta a quel che fai, tesoro, perché nascondersi dietro frasi smozzicate può portare a guai seri” la mise in guardia Brigidh.

“Oooh, adesso basta! Mi hai messa al corrente del tuo modo di vedere, ma ora ne ho abbastanza! Sto bene… stiamo bene, e tutto andrà per il meglio. Ora devo andare. Ho una riunione con i miei colleghi, perciò non posso tardare. Un bacio” brontolò Summer, chiudendo in fretta la comunicazione.

Un ‘ma, Summ…’ fuoriuscì dal microfono del cellulare, prima che la chiamata fosse del tutto interrotta.

Fissando malamente il telefonino, fu tentata di distruggere anche quello.

Quella totale mancanza di controllo avrebbe dovuto metterla in allarme – se il suo elemento era così soddisfatto, perché i suoi nervi erano tesi all’inverosimile?

Del tutto sorda a questi messaggi, però, uscì dalla stanza senza fare null’altro se non scuotere il capo.

Non c’era niente che non andasse in lei, in John, nel loro rapporto.

Tutto era semplicemente perfetto.

E avrebbe continuato ad esserlo ancora per un bel po’.

Il cellulare trillò e Summer, nel sollevarlo, si ritrovò innanzi un messaggino di Autumn.

Non infuriarti con la zia. Ha ragione da vendere, Testa Rossa.

“Anche tu ti ci metti…” ringhiò, spegnendo il telefonino perché nessun altro potesse inviarle le sue perle di saggezza non desiderate.

Quando infine raggiunse il piano bar dell’albergo dove Mike, Mandy e John la stavano aspettando, stava letteralmente andando a fuoco.

Si accomodò poggiando possessivamente una mano sulla coscia di J.C., fulminò con lo sguardo Mike perché non osasse dire una sola parola in merito e, rivoltasi a Mandy, dichiarò: “Possiamo anche cominciare.”

Amanda comprese al volo che qualcosa non andava, e così pure John che, nell’intrecciare una mano con la sua, le sorrise comprensivo prima di dedicare la propria attenzione a ciò che la loro collega stava esponendo.

Summer annuì più e più volte, confermò i dati fin lì raccolti, chiese spiegazioni su un paio di punti di cui non si era occupata personalmente, dopodiché fece procedere Mike con la sua parte di lavoro.

Competente non meno di lei, Mike dimostrò ancora una volta quanto fosse utile al NOAA, nonostante la sua propensione a correre troppo dietro alle sottane.

Sul lavoro, era un mostro di bravura, indispensabile quasi quanto l’aria che respiravano.

Il suo carattere, doveva passare in secondo piano.

Da ultimo, Summer lasciò John, che le espose quel che era di sua pertinenza prima di lasciare a lei la parola.

La donna assentì a tutto, trovando il loro lavoro più che esauriente dopodiché, estratta da una carpetta morbida una cartina dell’isola, indicò un paio di punti in particolare.

“Prenderemo dei campioni in questi vecchi canali sotterranei per stimarne la vecchiaia, oltra alla differenza dei basalti presenti nella lava. Dobbiamo avere un quadro complessivo il più preciso possibile, per quando torneremo da Big Mama.”

“Possibilità che il Kilauea utilizzi ancora quei condotti?” domandò Mike, scrutando la cartina con aria aggrottata.

“Nessuna. Sono canali vecchi di decenni, perciò siamo relativamente al sicuro” scrollò le spalle Summer.

“Mi piace il modo in cui dici ‘relativamente’. Lo fai passare per una bella cosa” ironizzò l’uomo, lanciandole un’occhiata divertita.

Lei sogghignò, replicando: “Quando studi un vulcano, è tutto relativo.”

“Scommetto che se ci fossi stata tu, sul Saint Helens, non saresti rimasta sommersa sotto la colata piroclastica1” ribatté l’uomo, fissandola con enorme rispetto.

“Mi piace pensarlo” ammise Summer, lanciando uno sguardo dubbioso all’indirizzo di John.

Quello scambio di battute non lo aveva minimamente infastidito, nonostante potesse sembrare che Mike ci stesse provando con lei.

Questo la rincuorò. Sarebbe stato atroce soppesare ogni mezza parola,  in sua presenza, se la gelosia l’avesse fatta da padrona.

Chiusa che ebbe la cartina, Summer dichiarò: “Direi che possiamo terminare qui. Domattina dovremo alzarci di buon’ora, perciò non fate le ore piccole. A domani.”

Mike e Mandy assentirono e Summ, nell’alzarsi, tenne nella sua la mano di John.

Silenziosi, si diressero verso la sua stanza per passare la notte assieme.

Per nulla al mondo, specialmente dopo la telefonata di zia Brigidh, sarebbe rimasta sola a piangersi addosso per ciò che non aveva ancora detto a J.C.

Ci sarebbe stato tempo per tutto, anche per quelle scomode verità.

Per il momento, doveva solo farlo abituare al loro nuovo rapporto e, poco per volta, lo avrebbe riportato in seno alla sua famiglia.

Una volta fattolo riconciliare con il suo retaggio, Summer l’avrebbe messo a conoscenza del proprio.

Non poteva fare diversamente.

J.C. aveva troppi conti in sospeso con il passato. Procedere con maggiore fretta, sarebbe solo servito a farlo allontanare o, peggio, a farsi odiare da lui.

E il solo pensiero la atterriva.

Avrebbe voluto dire perdere una parte del suo cuore, se non tutto.

Quando finalmente entrarono in camera, Summer si chiuse la porta alle spalle e John, turbato, le domandò: “Cos’è successo, Summ?”

“La zia mi ha fatto girare le scatole, tutto qui. Sembra che, ultimamente, la mia famiglia stia cospirando contro la mia salute mentale” brontolò lei, accoccolandosi contro il suo torace ampio e forte.

“Dubito che tua zia possa anche soltanto assomigliare a sua madre, quanto a cattiveria…” ironizzò John, baciandole i capelli vaporosi. “… ma, se mi dici che ti ha fatto arrabbiare, la sgriderò.”

Summer rise sommessamente e, nel dargli un casto bacio sulle labbra, mormorò: “Cosa farei, se non ci fossi tu?”

“Spero proprio tu non debba mai scoprirlo!” ironizzò lui, sciogliendole i lacci della blusa di lino che lei indossava.

Scoprendole il reggiseno di pizzo bianco, John chinò il capo a baciarle la pelle eburnea e profumata di gelsomino.

Inspirò a fondo quel profumo delicato e che sapeva tanto di Summer e, nel sospingerla delicatamente sul letto, le depositò caldi baci su tutta la pelle, sentendola inarcarsi deliziata al suo passaggio.

“Ti farò dimenticare ogni cosa. Niente ti infastidirà” le promise lui, tra un bacio e l’altro.

Summer lo lasciò fare, sospirando e godendo di quel passaggio di labbra infuocate e lingua.

Affondò le unghie nelle sue spalle quando la denudò completamente e, nell’ammirarlo alla luce fioca della luna, sorrise sorniona e lo attirò a sé per un bacio divorante.

Uno ad uno, sfiorò con le dita i molti tatuaggi che gli ricoprivano le braccia – retaggio del suo passato pugilistico – e, mentre le labbra giocavano con la sua bocca, avvolse i suoi fianchi con le gambe.

John non attese altro.

Affondò dentro di lei e la amò con dolcezza, mettendo tutto se stesso in ogni spinta, in ogni bacio, perché le rughe di ansietà sulla sua fronte svanissero una dopo l’altra.

Fu molto tempo dopo, con Summer addormentata tra le braccia e la frescura della notte a sfiorare le loro carni accaldate dall’amplesso recente, che John ne scrutò il viso con aria meditabonda.

Neppure nel sonno, il suo volto era disteso.

Cosa poteva turbarla al punto da non lasciarla mai, neppure un attimo?

Nel sentire vibrare il suo telefonino, si accigliò.

Scostandosi da lei in modo tale da non svegliarla, John infilò in fretta i jeans e, afferrato che ebbe il cellulare, uscì sulla veranda per parlare agevolmente con chi aveva avuto l’idea di chiamarlo a quell’ora di notte.

Non appena si accorse che era sua madre, i suoi tratti si addolcirono.

“Ciao, ma’. Come stai?” domandò premuroso lui, appoggiandosi al muro dell’albergo mentre la brezza di mare ne solleticava il torace nudo.

“Ho sbagliato fuso orario, vero?” mugugnò la donna, spiacente.

John sorrise nella notte e replicò: “Non importa, mamma. Tanto ero sveglio.”

“Che ore sono, lì?”

“Le due di  notte. Avevi bisogno di me, mamma?”

Un attimo di silenzio, la voce sommessa di qualcuno in sottofondo e, quasi controvoglia, Angelique mormorò: “So che non vuoi sentir parlare di queste cose, figliolo, ma…”

Accigliandosi immediatamente, John disse con durezza: “Non propinarmi delle stronzate sul vudù, mamma, perché riattacco immediatamente.”

“Non usare quel tono con me, Johnathan Carlton Graham!” sbottò la madre con tenacia, incurante dei suoi settanta anni di età e del suo doppio by-pass coronarico. “Ti ho chiamato per avvisarti di un pericolo imminente, non per sentirti parlare come un ragazzaccio di strada! Ti ho dato un’educazione, per l’amor di Dio!”

“Scusa, mamma… ma tu calmati, per favore, va bene?” asserì in fretta lui, preoccupandosi immediatamente per la salute della donna.

“Non mi farò venire un infarto mentre parlo con te, ragazzo, ma farai meglio a cambiare tono, se vuoi che io ti parli ancora, è chiaro!?”

“Affermativo” mormorò J.C., calmandosi immediatamente.

“Bene” sbuffò Angelique, chetandosi. “La mamaloa è stata chiara. Un’ombra oscura ti è vicina, perciò devi prestare attenzione a ciò che farai.”

“Mamma, sono su un vulcano. E’ normale che io presti attenzione a ciò che faccio” brontolò suo malgrado John, trovando quelle raccomandazioni del tutto inutili.

Come se avesse potuto permettersi di fare il pazzo in una situazione del genere!

“Non sarà il vulcano a metterti alla prova, ma il tuo stesso cuore, presta attenzione, caro” lo mise in guardia la donna, il tono profondo e stanco.

Accigliandosi J.C. ringhiò infastidito: “Senti, maman, con tutto il rispetto parlando…

Interrompendolo sul nascere, Angelique liquidò le sue scuse con un secco ‘taci!’.

John, sorpreso dal suo tono, che profumava di inquietudine come mai lo era stato in quegli anni, se non dopo la morte prematura di sua madre durante un antico rito vuduista, mormorò: “Maman, cosa c’è, davvero?”

“Ah! Come se quello che ti ho detto fin qui fossero menzogne!” brontolò la donna. “Mettiti bene in testa, figliolo, che i loa non porteranno pazienza in eterno, e potrebbero rivoltarsi contro di te, se tu continui a ignorarli bellamente come stai facendo! Non capisci quanto è importante che tu comprenda quanto sei potente?!”

Passandosi una mano sul viso con espressione stanca, J.C. dichiarò seccamente: “Mamma, non mi convincerai mai. La nonna se la sono portata via le sue credenze e i suoi spettri mentali. Non ha voluto andare in ospedale, perché era convinta che i suoi ‘spiriti’ …” e così dicendo, mimò le virgolette con una mano. “…l’avrebbero salvata. Non credo ad altro. Mi spiace.”

Il respiro affannoso di Angelique fu l’unica cosa che John percepì, all’altro capo del telefono e, suo malgrado, gli spiacque essere stato così duro con lei.

Erano mesi che non si vedevano e, per quanto riguardava il vudù, erano addirittura anni che non toccavano seriamente l’argomento.

Ma, di sicuro, parlandole a quel modo, non aveva voluto ferirla.

“Senti, mamma. Facciamo così; quando torno mi spiegherai qualcosa, va bene?”

“Sarà già tardi” sospirò allora Angelique. “Ti auguro tutta la fortuna di questo mondo, figlio mio, ma rammenta le mie parole. Io ti avevo avvertito.”

“Buonanotte, mamma” mormorò John, chiudendo la comunicazione con un sospiro.

Rimasto solo con sé stesso, l’uomo lanciò uno sguardo al cielo sgombro di nubi, dove le rade stelle – divorate dalla luce pallida della luna – ammiccavano seriose sopra di lui.

Il vento, da calda brezza che era stata, si tramutò ben presto in serpeggiante e gelido tocco e, con un brivido, rientrò nella stanza di Summer per tornare sotto le coperte.

Non visti, almeno ai suoi occhi, i loa gridarono verso il cielo la loro frustrazione e, da speranzosi e affranti, i tratti dei loro volti si contorsero, accigliandosi, distorcendosi, aggrottandosi.

Il sibilo del vento divenne gemito e, furiosi e insoddisfatti, gli spiriti si diressero verso la bocca del vulcano abbandonando, dopo anni di infruttuosa protezione, il fianco del loro predestinato.

E segnarono di fatto l’inevitabile.

 

 

 

 

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1 Colata piroclastica: La colata piroclastica (o flusso piroclastico) è un flusso di materiale magmatico e gas ad alte temperature che scende dai fianchi di un vulcano grigio ad alta velocità. Nello specifico, può essere definita come una corrente bifasica, costituita da particelle solide (materiale juvenile, pomici, scorie e cristalli, e non juvenile, litici accessori ed accidentali), disperse in una fase gassosa (prevalentemente vapore d‘acqua e subordinatamente biossido e monossido di carbonio). 


  
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