Cap.
8
Le strade di Hilo erano
percorse dai turisti, accarezzate dalla brezza che giungeva dal mare e dal brontolio
sommesso – ma non noto ai più – dei sommovimenti terrestri che plasmavano la
Terra.
Summer godeva di quegli
elementi in egual maniera, ma i suoi occhi erano solo per il suo
accompagnatore, per il suo Fulcro, per la sua anima gemella.
Anima gemella che, in
quel momento, stava contrattando – anche in maniera piuttosto energica – con un
commerciante di ninnoli per avere una collana dall'aspetto piuttosto esotico.
La donna ridacchiò nel
vederlo animarsi a quel modo - J.C. solitamente era compassato e tranquillo - e
quando lo vide riuscire nel suo intento, non poté che applaudirlo festante.
Tutto contento, l'uomo
si volse nella sua direzione e, con occhi che contenevano soltanto il grande
amore che provava per lei, le disse: “Girati, così posso mettertela.”
“Grazie” mormorò lei,
sollevando la chioma di riccioli ramati per facilitargli il compito.
Mike non aveva gradito
molto vederli uscire assieme, mano nella mano, ma aveva fatto buon viso a
cattivo gioco.
Senza attendere neppure
un secondo, era uscito dall'albergo con tutta l'intenzione di andare a caccia.
Amanda, invece, aveva
colto al volo l'occasione per prenotare un'intera sessione di massaggi nella
SPA dell'albergo e, con un gran sorrisone, aveva augurato loro di passare una
bella giornata.
Quello che l’aveva
stupita era stato Sean.
Si era limitato a
sollevare il bicchiere del suo succo d’arancia – neanche fosse stato pregiato
Dom Perignon – e aveva brindato a loro, lanciandole un sorriso velato di
preoccupazione prima di distogliere lo sguardo.
Summer non aveva affatto
gradito, ma aveva preferito rimanersene zitta per non rovinarsi la giornata
prima che questa avesse inizio.
Sean l’aveva pregata più
volte di poter parlare in separata sede, in quei giorni, ma lei gli aveva
sempre negato questa possibilità.
Ascoltare ciò che
Shaina, per bocca sua, aveva intenzione di dirle, non era esattamente il modo
migliore per chetarsi e, se ci avesse anche solo provato, le sarebbe venuto un
mal di testa tremendo.
Quella giornata era solo
per lei e J.C.
Punto.
Un brontolio sordo nel
Kilauea, però, parve contraddirla, ma lei preferì non ascoltarlo.
Per una volta, avrebbe
voluto tanto essere una comune ragazza con il suo uomo, non un’Accolita degli
Elementi, una Dominatrice del Fuoco, una Pirocinetica Creatrice.
E, per una volta,
avrebbe tanto voluto che anche J.C. fosse solo un uomo, e non il depositario di
un antico credo cui lui non faceva il minimo affidamento, ma a cui era legato
pur negandolo.
Era difficile non badare
ai loa che lo seguivano docili e
speranzosi che, un giorno o l’altro, lui rivolgesse loro le proprie preghiere o
i propri desideri.
Lei poteva scorgerli
senza alcun problema, e loro erano altrettanto coscienti di questa sua
capacità, e la rispettavano e temevano per questo.
Pur appartenendo a due
credi differenti, lei stimava e apprezzava il mondo degli spiriti e i loa, pur non riconoscendola come
depositaria dei Sacri Misteri, le dovevano rispetto e stima.
Summer sapeva bene
quanto fosse frustrante, per loro, non essere accettati.
La donna si era sentita
così in più di un’occasione e, temeva, J.C. non sarebbe stato tanto tenero con
lei, se gliene avesse parlato.
Forse, però, rendendolo
partecipe del suo segreto poco alla volta, avrebbe avuto maggior successo della
sua famiglia d’origine.
L’essere catapultato fin
da bambino nelle maglie dell’occultismo, aveva forse inibito la mentalità di
John ma, trattando con un uomo adulto e dalle ampie vedute, Summer avrebbe
avuto maggior fortuna.
Forse.
In quel momento, però,
né i loa né tanto meno i moniti del
vulcano dovevano preoccuparla. Era con John, e questa era l’unica cosa
importante.
¤¤¤
Destreggiandosi con
pinza e forchetta per liberare della succosa carne una chela di granchio,
Summer rise nell’infilarsela in bocca deliziata e, con un sospiro, esalò:
“Squisita. Questo piatto è adorabile!”
“Noto” ridacchiò John,
prendendo per sé un gambero alla griglia.
“Hai scelto benissimo”
lo rincuorò lei. “Ti eri informato prima?”
“Lo ammetto, ho chiesto
al direttore dell’albergo” ridacchiò J.C., versandole un po’ di vinello dalla
tinta dorata.
“Hai fatto bene, niente
da dire” assentì Summer, sorseggiando il vino assieme all’uomo.
“Sono lieto che il posto
ti piaccia e poi…” cominciò col dire lui prima di intrecciare le dita con
quelle di lei. “… adoro vederti così sorridente e serena.”
Arrossendo suo malgrado,
Summ reclinò un poco il capo e mormorò: “Non dovresti parlare così. Mi
imbarazzi.”
“Lo faccio anche per
questo. E’ difficile pensare a te come a una persona che possa imbarazzarsi per
un semplice complimento” ridacchiò John, portandosi la sua mano alle labbra
prima di lasciarla andare.
Il rossore sulle gote di
Summer aumentò e lei, burbera, mugugnò: “Non è giusto che tu ti approfitti
della cosa!”
“Sei adorabile… che ci
posso fare?” si limitò a dire l’uomo, spallucciando.
A quel punto, lei si
coprì il viso con le mani e rise sommessamente, sentendosi nuovamente una
quindicenne al suo primo appuntamento.
Con John, era difficile
mantenere il controllo, restare la spigliata donna che soleva mostrare al
mondo.
Assieme a lui, emergeva
una Summer nascosta, più dolce, più delicata, suo malgrado più debole e
insicura, e non era del tutto sicura che la cosa le piacesse.
Ma pareva mandare in
deliquio lui, perciò…
“Non mi definirei
adorabile. Qualche altro aggettivo, magari, ma adorabile? Spry è adorabile!” si schernì lei, cercando di superare
l’imbarazzo.
Ora del tutto serio,
J.C. la fissò in quei meravigliosi occhi da gatta e replicò: “No, Summ. Sei tu a essere adorabile. Non metto in
dubbio che la dolce Spry sia meravigliosa, ma io amo te, e tu sei adorabile per me.”
“John…” ansò lei,
mordendosi il labbro inferiore, preda di un dolore sordo al costato.
Il suo dominio miagolò
dentro di lei, in risposta a quelle parole, del tutto conquistato dall’uomo che
sedeva innanzi a Summer.
Il Fulcro era potente su
di lei, non poteva certo negarlo e questo, suo malgrado, la spaventò. Cosa
sarebbe successo se qualcosa tra loro fosse andato storto?
Non osava neppure darsi
una risposta, perché la temeva davvero troppo.
Forse comprendendo la
confusione della donna, J.C. cambiò argomento di proposito e, nel sorriderle,
le domandò: “Allora, per domani, come intendi muoverti? Hai davvero intenzione
di fare Indiana Jones, e infilarti in uno dei vecchi condotti lavici che ci
sono nella foresta?”
Grata per quella
deviazione, lei scosse un poco le spalle e disse: “Dobbiamo controllare tutto il Kilauea, non soltanto la bocca
e le sue emissioni di magma e, per farlo, dobbiamo prendere dei campioni anche
dai vecchi condotti. Che ci posso fare se Big Mama vuole un rapporto completo
sulle attività del vulcano?”
“Scrupolosa come tuo
solito” ridacchiò John, prendendo un pezzo di totano con la forchetta.
“Devia il tuo sarcasmo
in direzione del NOAA, grazie. Io non c’entro. Prendo ordini esattamente come
te” precisò Summer, dando una sonora martellata a una delle chele, spezzandola.
“Sei tu il
capo-spedizione, perciò me la prendo con te” ghignò lui, allungandosi per
toglierle un pezzetto di granchio dal dorso di una mano.
“Ah, ecco, mi usi da
capro espiatorio perché hai paura di Big Mama! Glielo dirò appena torniamo,
poco ma sicuro!” ridacchiò lei, regalandogli un sorriso tutto fossette.
John replicò a quel sorriso
con un leggero ansito.
Già, non poteva proprio
farci niente, era innamorato cotto, e nulla di quanto avrebbe potuto fare, o
dire, l’avrebbe allontanato da quella realtà.
Non gliene importava
nulla se nella sua famiglia erano matti da legare, e se sull’isola si trovava
il suo non desiderato promesso sposo.
Summer era sua, e così sarebbe stato fino al suo
ultimo respiro.
¤¤¤
“Posso assicurarti, zia,
che non è successo nulla, a parte l’arrivo a sorpresa di Sean” brontolò Summer,
il telefonino attaccato all’orecchio mentre, con la mano libera, si stava dando
lo smalto alle unghie dei piedi.
“Già quello è una mezza
tragedia. Come si è permessa, la mamma, di mandare lì Sean?!” sbottò la donna,
contrariata.
Le imprecazioni si
sprecarono, e Summ sorrise. In quello, lei e la zia si erano sempre somigliate.
Non ci erano mai andate leggere, con le parole.
“La conosci meglio di
me. Dimmelo tu” replicò la nipote, scrollando ironica le spalle.
“Non la conosco meglio
di chiunque altro di noi, credimi. Ha sempre avuto una mentalità contorta…
forse perché è una Pirocinetica, non so…”
“Quindi, anch’io sono
così?” sghignazzò Summer.
“Eccome se lo sei,
tesoro” la accusò dolcemente Brigidh, ridendo sommessamente. “Neppure Spring è
così contorta. Tu hai un autentico dedalo in testa e, se solo un giorno riuscissi
ad arrivarne a capo, potrei ritenermi soddisfatta.”
“Non pensavo di essere
così complessa da capire” asserì la nipote, vagamente sorpresa.
“Non complessa, cara, ma
barricata all’inverosimile, sì. Ti nascondi dietro una marea di muri, fossati e
ponti levatoi, e dio solo sa cos’altro. Da cosa dipenda, ancora non lo capisco,
ma so che queste barriere ci sono” la mise al corrente la zia.
“Non è che la vita, con
noi, sia stata quella gran pacchia. Se non mi fossi costruita un po’ di
barricate, sarei morta da tempo” brontolò Summ, accigliandosi e passando
all’altro piede per completare l’opera.
“Non dico che tu non
abbia fatto bene, Summy, ma è chiaro che queste barriere ti bloccano, anche se
non ho capito bene in che modo. Sicura che, con John, vada tutto bene?”
“Ottimamente… in tutti i sensi, e il mio elemento è
soddisfatto come un gatto che ha appena divorato uno stormo di uccellini. Sto
bene, davvero” la rassicurò la nipote,
avvertendo chiaramente nel tono di voce della zia una profonda preoccupazione.
“E con la questione ‘verità’, come la mettiamo?”
Accigliandosi
leggermente, Summer mormorò: “Voglio arrivarci poco alla volta. Sai com’è John.
Neppure crede ai loa che lo seguono
fin da quando era un bambino, figurarsi se crederebbe in quello che sono io!”
“Attenta a quel che fai,
tesoro, perché nascondersi dietro frasi smozzicate può portare a guai seri” la
mise in guardia Brigidh.
“Oooh, adesso basta! Mi
hai messa al corrente del tuo modo di vedere, ma ora ne ho abbastanza! Sto
bene… stiamo bene, e tutto andrà per
il meglio. Ora devo andare. Ho una riunione con i miei colleghi, perciò non
posso tardare. Un bacio” brontolò Summer, chiudendo in fretta la comunicazione.
Un ‘ma, Summ…’ fuoriuscì dal microfono del cellulare, prima che la
chiamata fosse del tutto interrotta.
Fissando malamente il
telefonino, fu tentata di distruggere anche quello.
Quella totale mancanza
di controllo avrebbe dovuto metterla in allarme – se il suo elemento era così
soddisfatto, perché i suoi nervi erano tesi all’inverosimile?
Del tutto sorda a questi
messaggi, però, uscì dalla stanza senza fare null’altro se non scuotere il
capo.
Non c’era niente che non andasse in lei, in John,
nel loro rapporto.
Tutto era semplicemente
perfetto.
E avrebbe continuato ad
esserlo ancora per un bel po’.
Il cellulare trillò e
Summer, nel sollevarlo, si ritrovò innanzi un messaggino di Autumn.
Non infuriarti con la zia. Ha ragione da vendere, Testa Rossa.
“Anche tu ti ci metti…”
ringhiò, spegnendo il telefonino perché nessun altro potesse inviarle le sue
perle di saggezza non desiderate.
Quando infine raggiunse
il piano bar dell’albergo dove Mike, Mandy e John la stavano aspettando, stava
letteralmente andando a fuoco.
Si accomodò poggiando
possessivamente una mano sulla coscia di J.C., fulminò con lo sguardo Mike
perché non osasse dire una sola parola in merito e, rivoltasi a Mandy,
dichiarò: “Possiamo anche cominciare.”
Amanda comprese al volo
che qualcosa non andava, e così pure John che, nell’intrecciare una mano con la
sua, le sorrise comprensivo prima di dedicare la propria attenzione a ciò che
la loro collega stava esponendo.
Summer annuì più e più
volte, confermò i dati fin lì raccolti, chiese spiegazioni su un paio di punti
di cui non si era occupata personalmente, dopodiché fece procedere Mike con la
sua parte di lavoro.
Competente non meno di
lei, Mike dimostrò ancora una volta quanto fosse utile al NOAA, nonostante la
sua propensione a correre troppo dietro alle sottane.
Sul lavoro, era un
mostro di bravura, indispensabile quasi quanto l’aria che respiravano.
Il suo carattere, doveva
passare in secondo piano.
Da ultimo, Summer lasciò
John, che le espose quel che era di sua pertinenza prima di lasciare a lei la
parola.
La donna assentì a
tutto, trovando il loro lavoro più che esauriente dopodiché, estratta da una
carpetta morbida una cartina dell’isola, indicò un paio di punti in particolare.
“Prenderemo dei campioni
in questi vecchi canali sotterranei per stimarne la vecchiaia, oltra alla
differenza dei basalti presenti nella lava. Dobbiamo avere un quadro
complessivo il più preciso possibile, per quando torneremo da Big Mama.”
“Possibilità che il
Kilauea utilizzi ancora quei condotti?” domandò Mike, scrutando la cartina con
aria aggrottata.
“Nessuna. Sono canali
vecchi di decenni, perciò siamo relativamente al sicuro” scrollò le spalle
Summer.
“Mi piace il modo in cui
dici ‘relativamente’. Lo fai passare
per una bella cosa” ironizzò l’uomo, lanciandole un’occhiata divertita.
Lei sogghignò,
replicando: “Quando studi un vulcano, è tutto relativo.”
“Scommetto che se ci
fossi stata tu, sul Saint Helens, non saresti rimasta sommersa sotto la colata
piroclastica1” ribatté l’uomo, fissandola con enorme
rispetto.
“Mi piace pensarlo”
ammise Summer, lanciando uno sguardo dubbioso all’indirizzo di John.
Quello scambio di
battute non lo aveva minimamente infastidito, nonostante potesse sembrare che Mike
ci stesse provando con lei.
Questo la rincuorò.
Sarebbe stato atroce soppesare ogni mezza parola, in sua presenza, se la gelosia l’avesse fatta
da padrona.
Chiusa che ebbe la
cartina, Summer dichiarò: “Direi che possiamo terminare qui. Domattina dovremo
alzarci di buon’ora, perciò non fate le ore piccole. A domani.”
Mike e Mandy assentirono
e Summ, nell’alzarsi, tenne nella sua la mano di John.
Silenziosi, si diressero
verso la sua stanza per passare la notte assieme.
Per nulla al mondo,
specialmente dopo la telefonata di zia Brigidh, sarebbe rimasta sola a
piangersi addosso per ciò che non
aveva ancora detto a J.C.
Ci sarebbe stato tempo
per tutto, anche per quelle scomode verità.
Per il momento, doveva
solo farlo abituare al loro nuovo rapporto e, poco per volta, lo avrebbe
riportato in seno alla sua famiglia.
Una volta fattolo
riconciliare con il suo retaggio,
Summer l’avrebbe messo a conoscenza del proprio.
Non poteva fare
diversamente.
J.C. aveva troppi conti
in sospeso con il passato. Procedere con maggiore fretta, sarebbe solo servito
a farlo allontanare o, peggio, a farsi odiare da lui.
E il solo pensiero la
atterriva.
Avrebbe voluto dire
perdere una parte del suo cuore, se non tutto.
Quando finalmente
entrarono in camera, Summer si chiuse la porta alle spalle e John, turbato, le
domandò: “Cos’è successo, Summ?”
“La zia mi ha fatto
girare le scatole, tutto qui. Sembra che, ultimamente, la mia famiglia stia
cospirando contro la mia salute mentale” brontolò lei, accoccolandosi contro il
suo torace ampio e forte.
“Dubito che tua zia
possa anche soltanto assomigliare a sua madre, quanto a cattiveria…” ironizzò
John, baciandole i capelli vaporosi. “… ma, se mi dici che ti ha fatto
arrabbiare, la sgriderò.”
Summer rise
sommessamente e, nel dargli un casto bacio sulle labbra, mormorò: “Cosa farei,
se non ci fossi tu?”
“Spero proprio tu non
debba mai scoprirlo!” ironizzò lui, sciogliendole i lacci della blusa di lino
che lei indossava.
Scoprendole il reggiseno
di pizzo bianco, John chinò il capo a baciarle la pelle eburnea e profumata di
gelsomino.
Inspirò a fondo quel
profumo delicato e che sapeva tanto di Summer e, nel sospingerla delicatamente
sul letto, le depositò caldi baci su tutta la pelle, sentendola inarcarsi
deliziata al suo passaggio.
“Ti farò dimenticare
ogni cosa. Niente ti infastidirà” le
promise lui, tra un bacio e l’altro.
Summer lo lasciò fare,
sospirando e godendo di quel passaggio di labbra infuocate e lingua.
Affondò le unghie nelle
sue spalle quando la denudò completamente e, nell’ammirarlo alla luce fioca
della luna, sorrise sorniona e lo attirò a sé per un bacio divorante.
Uno ad uno, sfiorò con
le dita i molti tatuaggi che gli ricoprivano le braccia – retaggio del suo
passato pugilistico – e, mentre le labbra giocavano con la sua bocca, avvolse i
suoi fianchi con le gambe.
John non attese altro.
Affondò dentro di lei e
la amò con dolcezza, mettendo tutto se stesso in ogni spinta, in ogni bacio,
perché le rughe di ansietà sulla sua fronte svanissero una dopo l’altra.
Fu molto tempo dopo, con
Summer addormentata tra le braccia e la frescura della notte a sfiorare le loro
carni accaldate dall’amplesso recente, che John ne scrutò il viso con aria
meditabonda.
Neppure nel sonno, il
suo volto era disteso.
Cosa poteva turbarla al
punto da non lasciarla mai, neppure un attimo?
Nel sentire vibrare il
suo telefonino, si accigliò.
Scostandosi da lei in
modo tale da non svegliarla, John infilò in fretta i jeans e, afferrato che
ebbe il cellulare, uscì sulla veranda per parlare agevolmente con chi aveva
avuto l’idea di chiamarlo a quell’ora di notte.
Non appena si accorse
che era sua madre, i suoi tratti si addolcirono.
“Ciao, ma’. Come stai?”
domandò premuroso lui, appoggiandosi al muro dell’albergo mentre la brezza di
mare ne solleticava il torace nudo.
“Ho sbagliato fuso
orario, vero?” mugugnò la donna, spiacente.
John sorrise nella notte
e replicò: “Non importa, mamma. Tanto ero sveglio.”
“Che ore sono, lì?”
“Le due di notte. Avevi bisogno di me, mamma?”
Un attimo di silenzio,
la voce sommessa di qualcuno in sottofondo e, quasi controvoglia, Angelique
mormorò: “So che non vuoi sentir parlare di queste cose, figliolo, ma…”
Accigliandosi
immediatamente, John disse con durezza: “Non propinarmi delle stronzate sul
vudù, mamma, perché riattacco immediatamente.”
“Non usare quel tono con
me, Johnathan Carlton Graham!” sbottò la madre con tenacia, incurante dei suoi
settanta anni di età e del suo doppio by-pass coronarico. “Ti ho chiamato per
avvisarti di un pericolo imminente, non per sentirti parlare come un
ragazzaccio di strada! Ti ho dato un’educazione, per l’amor di Dio!”
“Scusa, mamma… ma tu
calmati, per favore, va bene?” asserì in fretta lui, preoccupandosi
immediatamente per la salute della donna.
“Non mi farò venire un
infarto mentre parlo con te, ragazzo, ma farai meglio a cambiare tono, se vuoi
che io ti parli ancora, è chiaro!?”
“Affermativo” mormorò
J.C., calmandosi immediatamente.
“Bene” sbuffò Angelique,
chetandosi. “La mamaloa è stata
chiara. Un’ombra oscura ti è vicina, perciò devi prestare attenzione a ciò che
farai.”
“Mamma, sono su un
vulcano. E’ normale che io presti
attenzione a ciò che faccio” brontolò suo malgrado John, trovando quelle
raccomandazioni del tutto inutili.
Come se avesse potuto
permettersi di fare il pazzo in una situazione del genere!
“Non sarà il vulcano a
metterti alla prova, ma il tuo stesso cuore, presta attenzione, caro” lo mise
in guardia la donna, il tono profondo e stanco.
Accigliandosi J.C.
ringhiò infastidito: “Senti, maman,
con tutto il rispetto parlando…”
Interrompendolo sul
nascere, Angelique liquidò le sue scuse con un secco ‘taci!’.
John, sorpreso dal suo
tono, che profumava di inquietudine come mai lo era stato in quegli anni, se
non dopo la morte prematura di sua madre durante un antico rito vuduista,
mormorò: “Maman, cosa c’è, davvero?”
“Ah! Come se quello che
ti ho detto fin qui fossero menzogne!” brontolò la donna. “Mettiti bene in testa,
figliolo, che i loa non porteranno
pazienza in eterno, e potrebbero rivoltarsi contro di te, se tu continui a
ignorarli bellamente come stai facendo! Non capisci quanto è importante che tu
comprenda quanto sei potente?!”
Passandosi una mano sul
viso con espressione stanca, J.C. dichiarò seccamente: “Mamma, non mi
convincerai mai. La nonna se la sono portata via le sue credenze e i suoi
spettri mentali. Non ha voluto andare in ospedale, perché era convinta che i
suoi ‘spiriti’ …” e così dicendo,
mimò le virgolette con una mano. “…l’avrebbero salvata. Non credo ad altro. Mi
spiace.”
Il respiro affannoso di
Angelique fu l’unica cosa che John percepì, all’altro capo del telefono e, suo
malgrado, gli spiacque essere stato così duro con lei.
Erano mesi che non si
vedevano e, per quanto riguardava il vudù, erano addirittura anni che non
toccavano seriamente l’argomento.
Ma, di sicuro,
parlandole a quel modo, non aveva voluto ferirla.
“Senti, mamma. Facciamo
così; quando torno mi spiegherai qualcosa, va bene?”
“Sarà già tardi” sospirò
allora Angelique. “Ti auguro tutta la fortuna di questo mondo, figlio mio, ma
rammenta le mie parole. Io ti avevo avvertito.”
“Buonanotte, mamma”
mormorò John, chiudendo la comunicazione con un sospiro.
Rimasto solo con sé
stesso, l’uomo lanciò uno sguardo al cielo sgombro di nubi, dove le rade stelle
– divorate dalla luce pallida della luna – ammiccavano seriose sopra di lui.
Il vento, da calda
brezza che era stata, si tramutò ben presto in serpeggiante e gelido tocco e,
con un brivido, rientrò nella stanza di Summer per tornare sotto le coperte.
Non visti, almeno ai
suoi occhi, i loa gridarono verso il
cielo la loro frustrazione e, da speranzosi e affranti, i tratti dei loro volti
si contorsero, accigliandosi, distorcendosi, aggrottandosi.
Il sibilo del vento
divenne gemito e, furiosi e insoddisfatti, gli spiriti si diressero verso la
bocca del vulcano abbandonando, dopo anni di infruttuosa protezione, il fianco
del loro predestinato.
E segnarono di fatto
l’inevitabile.
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1 Colata piroclastica: La colata
piroclastica (o flusso piroclastico) è un
flusso di materiale magmatico e gas ad alte temperature che scende dai fianchi
di un vulcano grigio ad alta velocità. Nello specifico, può
essere definita come una corrente bifasica, costituita da particelle solide
(materiale juvenile, pomici, scorie e cristalli,
e non juvenile, litici accessori ed accidentali), disperse in una fase gassosa
(prevalentemente vapore d‘acqua e subordinatamente biossido e monossido di carbonio).