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Autore: lupacchiotta blu    10/06/2014    3 recensioni
Valentina è una ragazza come ce ne sono tante: i suoi genitori la amano, ha un cane fedelissimo, un migliore amico-fratello, è determinata, intelligente,pratica uno sport che ama... ma che cosa succederebbe se il suo mondo cambiasse, se venisse invaso dagli zombie? E se la sua famiglia non volesse seguirla? Cosa farebbe lei? Scapperebbe impaurita o farebbe l'eroina della situazione? Questo è un mistero, ma ha dalla sua parte un'arma formidabile: è un po' paranoica, e non si può prenderla alla sprovvista.
Genere: Avventura, Azione, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12 marzo, tra le 3:00 e le 4:00
 

Io e Francesca entriamo in cucina. Il militare è sveglio e trema un po’, Lucio dorme ancora.
Ormai l’effetto del narcotico dovrebbe essere svanito, non sarà difficile svegliarlo.
Francesca prende un secchio di acqua gelida e glielo versa in testa, facendolo destare.
< Parla, verme! Perché sei venuto sulla montagna?! Cosa volevi fare con gli zombie?! >.
L’uomo è stordito e non riesce nemmeno a guardarla dritto in faccia.
Prende un paio di sberle in pieno viso e finalmente diventa completamente cosciente.
< Allora?! Cosa volevi fare?! > urla Francesca furente.
< Dove sono? Come mai sono qui?! Rispondete! >.
Quel coglione crede di essere ancora il capo. Dopo che ci ha fatto quasi morire di fame vuole anche che rispondiamo a tutte le sue domande?! Adesso sono io a non vederci più dalla rabbia.
Gli mollo un pugno sullo stomaco e lo faccio tossicchiare.
< Sei solo un prigioniero adesso! Vedi di rispondere alle nostre domande o farai una brutta fine! > sbraito incazzata nera.
< Ahahahah! Figurati, stronza! > risponde con voce roca < Non saprete mai niente! >.
Non ci vedo più dalla rabbia: lo prendo a calci e pugni anche se è legato e non può difendersi. Lo colpisco più volte fino a fargli sanguinare il naso e a farlo piegare in due dal dolore.
< Ti ho detto di rispondere! >.
Il soldato mugugna qualcosa ma ha la bocca imbavagliata, non può interferire.
Lucio mi guarda sgranando gli occhi: forse non si aspettava una ragazza tanto violenta.
< Cosa cazzo volevi fare con gli zombie?! > gli ringhio addosso.
< Chi lo sa, forse una bella grigliata con gli amici… > dice senza la spavalderia di prima.
Io e Francesca capiamo che sta per cedere, basta insistere ancora un po’, ma la porta che si apre ci ferma prima che possiamo continuare.
< Gente, lo abbiamo catturato! > urla Davide trascinando il sindaco per terra. È legato come un salame e si dimena come un pesce appena preso all’amo.
< Non è stato facile > spiega Giuseppe < ma ce l’abbiamo fatta. Questo stronzo ci aspettava! >.
< Come v-vi aspet-t-tava? > chiede Mosè tremando.
< Ma cosa ti è successo? >.
< N-niente, Giuseppe, ho s-solo u p-po’ di f-febbr-re >.
< Mi ero preoccupato a vederti così tremante e pallido. Ma è normale, tu sei stato trattato mille volte peggio di noi >.
Davide guarda curioso i due accanto a me e alza un sopracciglio interrogativamente.
< Niente, ci pareva solo che stesse dormendo troppo, così lo abbiamo svegliato > dico io.
< Già, poi abbiamo tentato di fare amicizia, ma lui non risponde a nessuna domanda > butta lì Francesca.
Il mio fratellone fissa me, poi lei e infine i due disgraziati che ha lasciato sotto la nostra amorevole custodia.
Sospira e alza gli occhi al cielo: sapeva che ci avremmo provato.
< lo sai che sono curiosa! > mi discolpo.
Scoppia a ridere.
< Sentite > cambia discorso Francesca  <  perché non ci spiegate com’è andata? Avete detto che il sindaco vi stava aspettando, ma com’è possibile? >.
< Sedetevi > ci suggerisce Giuseppe < potrebbe essere un racconto lungo >.
Prendiamo posto sul divano e chiudiamo i tre prigionieri in cucina.
< Allora > comincia a raccontare < Siamo andati là e stranamente la porta era chiusa male. Quando siamo entrati, questo brutto codardo lardoso ci ha sparato addosso! >.
< Come vi ha sparato?! >.
< Sì, ci voleva ammazzare! Per fortuna ha preso il muro e non le nostre teste! > esclama Davide.
< Già > riprende Giuseppe < Comunque, torniamo alla storia. Abbiamo fatto fatica a prenderlo, sgusciava via come un’anguilla. Mai visto nessuno di così cacasotto. Quando lo abbiamo preso e legato, ha vuotato il sacco in un attimo. Ora conosciamo tutto il piano >.
< Ma come faceva a sapere che sareste andati da lui? > chiede Francesca curiosissima.
< Non è che lo sapesse per certo. Era stato avvertito dai militari che avevamo scoperto l’accampamento. Poi, qualcuno di loro che si è svegliato prima del dovuto, gli ha detto dei narcotici e del rapimento di Lucio, così lui si è preparato a una possibile visita >.
< E il piano? Qual’era? > domando io.
Questo è il momento della verità, adesso scopriremo perché siamo stati costretti a patire la fame, perché degli zombie erano sulla montagna, perché i miei compagni sono stati picchiati.
L’ansia mi sta uccidendo, devo sapere il perché!
Stringo il bracciolo del divano fino a conficcarci dentro le unghie, ho paura di quello che potrei sentire.
Giuseppe prende un respiro profondo e dice:
< Il piano in realtà non esiste >.
Lo guardiamo esterrefatti: cosa vuol dire che non esiste?!
< Spiegati > gli chiede Francesca.
< Non è come ci aspettavamo, loro non volevano dominare la montagna, niente complotti, niente di tutto questo >.
Non so più cosa pensare, la sorpresa mi ha lasciata di sasso, letteralmente.
< Vedete… l’Italia avrebbe potuto evitare che il contagio avvenisse così in fretta, ma Lucio Barbi ha fatto delle pressioni per tenere aperti i confini un giorno di più e il disastro è stato inevitabile. In cambio di ciò ha ricevuto delle tangenti belle grosse da un mafioso che deportava i malati clandestinamente >.
Divento sempre più pallida, me lo sento. Mi si sta facendo un nodo allo stomaco, mi sembra quasi che mi giri la testa.
< Quando ha capito di aver fatto un casino devastante, si è rifugiato con dei militari sulla montagna, portando degli oggetti che reputava utili allo scambio in un mondo ai limiti della sussistenza: alcool e tabacco. Una volta qui, è riuscito a contattare il sindaco e lo ha convinto a cedergli del cibo in cambio di non liberare i suoi zombie e la promessa di poter scappare presto su un’isola risparmiata dalla pestilenza. Inutile dire che quel coglione ci ha creduto e quel che è successo dopo lo sappiamo tutti. In poche parole, voleva vivere a scrocco il più a lungo possibile >.
Quindi, la colpa di tutte le mie sventure è colpa di Lucio? La fuga, la disperazione, il freddo, le urla, il sangue, la morte, la mia vita, la mia casa, mamma, papà… papà, ti ho perso per colpa sua? Ti ho dovuto ammazzare per la seconda volta per colpa sua?
Mi premo le mani sulla faccia, poi solo sulla bocca. Stringo i denti, respiro affannosamente, voglio urlare, quel bastardo ha ucciso mio papà!
< Quel sacco di merda deve pagarla cara! > sbotto alzandomi in piedi.
Sbatto la porta della cucina fino a romperne il vetro, afferro Lucio e lo riempio di botte.
< Devi morire, bastardo! È solo colpa tua! >.
Lui mi schernisce:
< Tanto è troppo tardi, ahahah! Anche se mi uccidi non cambierà nulla! >.
La sua felicità nel vedermi incazzata mi fa arrabbiare ancora di più. Le vene sul collo mi pulsano.
Lo riempio di calci finché il suo viso non diventa una maschera di sangue.
< Muori, muori! È colpa tua! Stronzo! >.
Davide mi strattona via da lui, mi urla di calmarmi, che adesso avrà quello che si merita, ma io non riesco a fare a meno di dimenarmi e cercare di agguantarlo ancora.
Dopo qualche minuto passato a lottare, la rabbia sbollisce un po’ e Giuseppe e Davide mi mollano.
Ha ragione lui… anche se muore nulla sarà più come prima…
Calde lacrime mi solcano il viso; sanno di rabbia, di odio, di tristezza e disperazione.
Mi accorgo che non sono l’unica a piangere: Francesca è messa come me, Giuseppe e Davide  piangono per non impazzire e non finire quello che io ho cominciato.
Possibile che un uomo solo abbia distrutto così tante vite?
Lo lasciamo in cucina ancora sanguinante. Gli altri due hanno guardato spaventati e il sindaco ha quasi vomitato dalla paura.
Giuseppe cerca di calmarsi abbastanza per parlare, poi dice:
< Ora è troppo presto, ma tra un paio d’ore riuniremo tutti e presenteremo i prigionieri. Una squadra di guardie ha già imprigionato tutti gli altri militari che stavano ancora dormendo, li ho mandati appena sono partito con Davide >.
Francesca lo prende per mano e cerca di calmarlo a parole, ma per lui è difficile trattenersi.
Facciamo ei turni di guardia mentre andiamo a dormire per un paio d’ore.
 
 
 Ore 6:30

 
Siamo tutti svegli, pronti alla marcia.
Io ho dormito pochissimo, proprio come tutti gli altri.
Carichiamo gli uomini su un vecchio carretto di Mosè e trainato dal suo cavallo.
Ci avviamo verso la piazza a passo lento. Non ho mai sentito le gambe così pesanti. Anche Asso è stanco, anzi, esausto. Chissà se ha capito qualcosa di quello che è successo negli ultimi mesi; magari non ha capito nulla. Se è così, vorrei tanto essere un cane adesso.
Arrivati alla piazza illuminata da una marea di fiaccole, vediamo che gli altri militari, circa una ventina, sono tutti incatenati e imbavagliati in file ordinate, tenuti d’occhio da almeno quaranta uomini armati.
Questi volontari, però non hanno fucili con i narcotici, gli stessi che hanno usato contro i miei compagni il primo giorno qui, hanno solo armi con proiettili al piombo.
Un sacco di gente ignara si sta riversando attorni a noi, nelle strade, sui balconi. Un sacco di facce curiose scruta la scena dalla finestra.
Un uomo su un balcone prende parola e spiega chi sono i prigionieri e cos’hanno fatto. Questo basta a far infiammare gi animi.
Le grida si alzano in un attimo, sono assordanti. Sento solo parolacce, bestemmie, pianti… vorrei unirmi a loro, ma devo stare calma.
Qualcuno cerca di superare la barriera creata dalle guardie per picchiare i militari: alcuni vengono fermati, altri mettono a segno un paio di calci.
Quest’uomo, che dovrebbe essere il vice-sindaco, parla da un po’ e finalmente giunge al verdetto: sono tutti condannati a lasciare la montagna per sempre. Non importa dove vadano, basta che non vi mettano più piede.
I cittadini sembrano scontenti, ma non hanno capito che questa è la punizione peggiore di tutte: se le altre città li accoglieranno, verranno usati come schiavi, probabilmente; se neanche loro li vorranno, saranno costretti a morire in pianura tra gli zombie.
Vengono caricati sui carri che portano il cibo alle guardie delle barricate, ma dopo neanche un centinaio di metri, vengono travolti dalla folla urlante.
Io e i miei compagni restiamo in disparte, è troppo pericoloso avvicinarsi.
Sento degli spari, i prigionieri che urlano, vedo cittadini accecati dalla rabbia alzare i bastoni su di loro. Le guardie che prima li tenevano lontani, adesso li aiutano nella loro missione assassina.
La rabbia è come una nuvola densa e asfissiante che ti entra nei polmoni, ti soffoca e ti contagia.
Il vice-sindaco prova a calmare gli animi ma è impotente; Giuseppe ci porta tutti dentro la casa da cui sta parlando perché la folla ci stava travolgendo e rischiavamo di farci del male.
Non resisto alla tentazione e vado sul balcone, ricevendo un’occhiata stupita e triste dall’uomo.
Contempliamo assieme il macabro spettacolo che si consuma poco lontano da noi: il sangue ha già sporcato la strada, molti corpi esanimi vengono brutalizzati e la folla urlante agisce come un solo uomo.
Tempo mezz’ora e le urla di rabbia si tramutano in grida di dolore e pianti di tristezza. Piangono tutti, dal più duro al più sensibile, nessuno escluso.
Piango io, piange il vece-sindaco, piangono i miei amici, piange anche mia madre che vedo affacciata a una finestra.
Adesso che li hanno ammazzati tutti non hanno più niente su cui possano scaricare il proprio dolore.
Ora capisco perché prima mi hanno fermata: avevano ragione, non è cambiato nulla. Papà non è tornato indietro, io non sono a casa mia a mangiare una pizza con tutta la famiglia, la radio non è ritornata a trasmettere canzoni d’amore, Asso non scodinzola allegro per il giardino, mamma non si complimenta per i miei voti a scuola… non è cambiato niente.
Cosa faranno adesso i paesani? Chi mi dice che non si uccideranno stanotte nelle loro case per i sensi di colpa? Chi mi assicura che non li troveremo a penzolare dalle travi del soffitto?
No, loro sono stai spinti dalla disperazione, dallo smarrimento; si sono sentiti mancare la terra sotto i piedi e hanno agito senza pensare, ma non hanno colpa di nulla. Non devono lasciarsi morire.
Ho la bocca asciutta ma sento di dover dire qualcosa. Afferro il megafono usato prima dl vice-sindaco e parlo:
< Abitanti della città di Oasi, ascoltatemi! >.
La mia voce esce tremante e rotta dall’ emozione ma vado avanti.
< So cosa provate adesso: avete paura che non ci sia un domani, avete paura di non poter resistere, credete che sia finita, ma io vi dico che non è così >.
In molti smettono di struggersi e alzano lo sguardo verso di me, ho la loro attenzione.
< E’ vero, viviamo  in un mondo crudele, ostile, assassino, intriso di tradimento. Dobbiamo soffrire la fame e il freddo, il dolore e lo sconforto, ma possiamo farcela!
Se resteremo uniti e se ci aiuteremo riusciremo a sopravvivere! Non dobbiamo farci prendere dai pensieri negativi, dobbiamo essere fiduciosi nelle nostre capacità!
Io non sono nata qui, ma da quello che ho visto, so che voi montanari siete tutto tranne che arrendevoli! Siete forti, determinati, coriacei, resistenti!
Quindi alzatevi!  Non lasciatevi portare in basso dalla tristezza, combattete! >.
A decine si asciugano le lacrime e si ricompongono, tantissimi si alzano in piedi e mi guardano.
< Chi siete voi?! Ditemelo, chi siete?! > urlo rossa in viso.
Le loro grida mi portano all’orecchio diverse risposte ma nessuna è la risposta che cerco.
< No! Voi non siete questo! Ora non siete italiani, non siete cittadini! Adesso siete tutti guerrieri di Oasi! e ditemi: cosa fanno i guerrieri?! >.
Tutti urlano come un solo uomo:
< Combattono! >.
Qualche timido raggio di sole si insinua tra le vie buie, ma non riesce ancora a illuminare bene.
Hanno ripreso coraggio e fiducia, hanno una forza che potrebbe muovere le montagne, prosciugare i mari, sciogliere i ghiacci e congelare i deserti, basta solo che se ne rendano conto.
< E allora fatelo! Combattete ogni giorno da oggi e per sempre! Giuratelo! >.
< Si! Giuro! > urlano tutti insieme. Sbattono i piedi, applaudono, gridano.
< Con il sorgere di questo giorno, dichiaro conclusa la nostra epoca oscura! Da oggi si comincia a lottare! >.
E finalmente il sole illumina la piazza: non porta solo luce, porta anche speranza.
Da adesso non si sopravvive, da adesso si ricomincia a vivere.


FINE

Angolo dell'autrice:
E anche questa storia è finita.
Valentina e i suoi compagni inizieranno un'era nuova, per davvero stavolta. Iniziano una nuova vita.
Spero che il mio racconto vi sia piaciuto e non vi abbia annoiato:)
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite, chi ha recensito, ma anche chi l'ha solo letta in silenzio. Grazie a tutti! :D

Lupacchiotta blu
  
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