Tutto ciò
che ho.
[Mr. Hawthorne, Vick, Rory, Gale]
______________________
Premessa. I protagonisti di questa
prima storia sono Mr. Hawthorne (Joel) e Hazelle, i genitori di Gale. La one-shot
è ambientata nel passato, quando i due sono ancora adolescenti.
[1]
Joel Hawthorne sr.
Avrei voluto essere
un bravo studente,
un bravo figlio,
un bravo fidanzato,
o almeno uno dei tre.
Tutto ciò che ho. 883
Il ragazzo dai capelli neri sbadigliò vistosamente e
distese le gambe sui gradini d’ingresso, intrecciando le dita dietro la nuca.
Il libro di testo dalle pagine spiegazzate che aveva sulle ginocchia minacciò
di scivolare a terra, ma il giovane lo bloccò con uno scatto della gamba. Si passò una mano fra i capelli arruffati,
mentre le dita dell’altra scendevano a tamburellare contro la copertina del volume.
Venne distratto da due ragazzini che rincorrevano un cerchio di metallo e, quando tornò a fissare la pagina, non ricordava nemmeno dove
fosse arrivato con la lettura. A stento conosceva l’argomento che stava
cercando di ripassare. Non era sorpreso: nei suoi sedici anni di vita non gli
era mai capitato di leggere una pagina dall’inizio alla fine senza
distrarsi almeno due o tre volte, figurarsi un intero capitolo. Non che gliene
fregasse più di tanto, in fondo. Per quelli del Giacimento come lui l’esame di
fine anno – l’unica prova scritta da dare in quel buco di Distretto – era inutile
quanto un piccone senza la sua parte d’acciaio. Tanto, una volta raggiunti i
diciotto anni, in miniera ci sarebbero andati tutti, perfino i fessi irrequieti
come lui. Le mezze seghe a scuola, quelli che trascorrevano più tempo fuori
dall’aula che non dentro, i ragazzetti che da piccoli venivano catalogati come
irrecuperabili, perché impossibili da gestire: svogliati, distratti e troppo
iperattivi. Ma per scavare e puntellare pareti di roccia dodici ore al giorno,
studiare e mantenere una buona condotta era pressappoco inutile. In miniera servivano
buon senso e spalle larghe, forza e ostinazione e JoelHawthorne, di quelle, ne aveva in generose quantità. Lo
chiamavano tutti “Testa calda”, per via del suo carattere impulsivo e ribelle e
il senso della giustizia esasperato che lo portavano spesso a perdere il
controllo alla minima provocazione. Perfino Margaret, la sua ragazza, stava
incominciando a stancarsi del modo in cui reagiva alle frecciatine e agli sguardi
canzonanti dei coetanei, quando volevano infastidirlo. Joel chiuse il libro e lo lasciò scivolare a terra, picchiettandosi
le ginocchia sulle mani. In momenti come quello faticava a stare fermo e i suoi
occhi frugavano il circondario di continuo, alla ricerca di distrazioni. Spesso
era costretto ad alzarsi in piedi e a camminare avanti e indietro, spinto da un
qualche motore invisibile che sembrava avere solo lui.
Scattò in piedi quando individuò suo padre Samuel all’inizio
della strada, con la sacca della selvaggina sulle spalle: doveva essere appena
tornato dal giro di scambi al Forno. Di solito Joel andava con lui, ma quel
giorno il padre gli aveva chiesto di restare a casa per studiare.
“Lascia, ragazzo, faccio da solo” lo tranquillizzò
Samuel, nel momento in cui il figlio lo raggiunse per farsi passare la sacca.
L'uomo gli posò una mano sulla spalla ed entrò in casa, non prima di aver scoccato un’occhiata
rassegnata al libro chiuso abbandonato sui gradini. Joel notò il gesto e sospirò,
dando un calcio a una pietra. Suo padre non l’aveva mai rimproverato più di
tanto, per via del suo scarso rendimento scolastico. C’erano cose più
importanti, gli diceva qualche volta, che un paio di nozioncine imparate a
regola d’arte e una schiera di insegnanti compiaciuti. Eppure, nel corso dell’ultimo
periodo, aveva sorpreso spesso lui e sua madre a rivolgergli occhiate
preoccupate, quasi deluse. Erano in pensiero per lui: sapevano che la sua
impulsività e il suo atteggiamento attaccabrighe avrebbero potuto fruttargli
dei guai, una volta che avrebbe incominciato a lavorare. Anche Margaret la
pensava così: spesso stringeva le labbra nella sua tipica espressione
contrariata, quando lo sorprendeva in giro per il distretto, sovrappensiero per
via dei motivi più disparati, invece che a casa con i libri di scuola aperti
sulle ginocchia.
“Torna a studiare,
testa calda!” lo spronava in un tono che avrebbe dovuto essere scherzoso, ma
che suonava più spazientito, prima di allontanarsi verso casa.
In quei momenti Joel si rifugiava nei boschi, abbandonandosi all’unica cosa che
riusciva a tenerlo concentrato per più di una manciata di minuti: cacciava a
lungo, mettendo da parte il pensiero di quelle cose che avrebbe dovuto ritenere importanti, ma che spesso gli sfuggivano, perchè troppo distratto da altro.
Margaret stava minacciando di diventare una di queste.
Sbuffando Joel raccolse il libro e incominciò a
bighellonare per la stradina, giocherellando con un angolo spiegazzato di una
pagina. Dopo qualche minuto si sentì addosso lo sguardo di un paio di ragazze
sedute sui gradini d’ingresso della casa di fronte. Una delle due aveva un
libro sulle ginocchia e stava probabilmente ripassando a sua volta per l’esame
finale. L’altra stava lavando dei panni in un catino di legno; quando incrociò lo sguardo di Joel, il ragazzo
la riconobbe: l’aveva vista qualche volta a scuola e doveva anche aver sentito
il suo nome, di tanto in tanto, ma in quel momento gli sfuggiva. Le due giovani
erano entrambe del Giacimento, lo si poteva intuire facilmente per via della
carnagione olivastra e dei capelli corvini, così simili a quelli di Margaret.
Quasi tutti i giovani originari del Giacimento li avevano neri e lisci. Quelli
di Joel, invece, erano mossi e spettinati, a tal punto da sembrare quasi ricci;
ribelli e ostinati, quasi volessero fare il verso al carattere del loro
proprietario. Rivolse alle due ragazze un sorriso sghembo e una delle due
ridacchiò, facendogli un piccolo cenno con la mano. L’attenzione di Joel,
tuttavia, si focalizzò sull’altra giovane, quella china sul catino per lavare.
I capelli leggermente ondulati le ricadevano morbidi sulle spalle,
incorniciando un viso dai lineamenti dolci. Il suo sorriso era meno vistoso di
quello della sua amica, ma i suoi occhi erano ancora occupati ad osservarlo,
più con curiosità che con interesse o sdegno – al contrario di come lo
fissavano spesso le sue coetanee.
“Che ti guardi, testa calda?” esclamò in quel momento un
ragazzo, uscendo dall’abitazione di fronte. Prese posto sui gradini di
fianco alla ragazza con il libro sule ginocchia. Cyron, il suo
vicino di casa, aveva l’aria giusta per uno che viveva da quelle parti: i suoi
capelli erano lisci, come era tipico per la gente del Giacimento e la sua aria fiera e controllata non veniva compromessa da
un’espressione spesso assente e distratta, o dagli scatti di impulsività che
erano tipici, invece, di Joel.
“La tua ragazza” rispose il giovane con un sorriso di
scherno, molleggiandosi sulle punte dei piedi. Nei momenti di nervosismo, il
motore invisibile che lo costringeva a muoversi di continuo accelerava. Cyron cinse le spalle della fidanzata con un braccio,
scoccando un’occhiata di sfida al coetaneo. Aprì la bocca per rispondere
qualcosa, ma la voce di Samuel Hawthorne si frappose
alla sua, mentre la testa dell’uomo spuntava dall’uscio della porta.
“Quattro vieni dentro, ho bisogno di una mano” ordinò al
figlio, fiutando il pericolo in arrivo. Cyron
inarcò un sopracciglio in direzione di Joel.
“Quattro?” esclamò, scuotendo il capo con espressione
divertita. “Cos’è, il voto più alto che hai preso a scuola?”
Joel scattò verso di lui senza riflettere, ma il padre lo
trattenne per il braccio.
“Vieni dentro, ragazzo” ribadì, indicando la porta con un
cenno del capo. Joel obbedì, pur liberandosi con uno strattone dalla presa di
Samuel.
“Come se tu prendessi voti molto più alti, Cyr…” esclamò in quel momento una delle due ragazze - quella
che stava lavorando - in tono di voce infastidito.
“Sta’ zitta, ‘Elle” fu la risposta brusca di Cyron. La ragazza gli rispose a tono, ma Joel era ormai
dentro e non riuscì a distinguere ciò che stava dicendo.
Qualche minuto più tardi, scostò le tendine della
finestra con uno strattone e sbirciò sui gradini d’ingresso dell'abitazione di fronte. Cyron e la sua ragazza erano ancora lì. La giovane col
catino, invece, se ne era andata.
*
Nonostante quel pomeriggio fosse riuscito a trattenersi,
lo stesso non si poté dire dei giorni successivi. Le provocazioni di Cyron continuarono e, un paio di pomeriggi più tardi, l’impulsività
di Joel ebbe la meglio sul buon senso, spingendolo ad avventarsi contro il
coetaneo. Lo colpì allo stomaco, ma ricevette a sua volta un pugno in pieno
volto, procurandosi un labbro ammaccato e un’aria furente che non lo abbandonò
nemmeno durante il ritorno a casa. Le sue dita tamburellavano con insistenza
sulla cinghia della sacca che usava per andare a caccia e, tanto era preso dal
rumore ritmico dei suoi polpastrelli contro la stoffa, quasi non si accorse che
qualcuno gli stava camminando a fianco. Istintivamente pensò a Margaret, ma nel
voltarsi riconobbe la ragazza che aveva attirato la sua attenzione di fronte a
casa di Cyron.
“Ehi, straniero!” lo appellò in tono di voce scherzoso la
giovane “Sembra un brutto taglio” commentò poi, analizzando con circospezione
il suo labbro.
Joel passò il dorso della mano della ferita per rimuovere
un po’ del sangue.
“Sto bene” minimizzò poi, in tono di voce un po' brusco. La ragazza inarcò appena un sopracciglio,
ma non ribatté. Non sembrava impressionata dai suoi modi di fare scontrosi. Joel cercò comunque di rimediare sorridendole, ma
sapeva che l’increspatura un po’ storta che arricciava le sue labbra quando lo
faceva risultava ammiccante, più che amichevole.
“Posso farti una domanda?” chiese a quel punto la
ragazza, attirando la sua attenzione. Joel diede una scrollata di spalle.
“Perché tuo padre ti chiama Quattro?”
Il giovane riprese a far tamburellare le dita sulla
bretella della sacca. Tentò di rimanere concentrato sulla domanda che gli aveva posto, ma continuava a distrarsi guardandola. C’era qualcosa di contraddittorio nel suo aspetto, che la rendeva particolarmente attraente ai suoi occhi. Forse era quell’aria ferma
e determinata che contrastava la dolcezza dei suoi lineamenti. O il modo
amichevole in cui gli sorrideva, nonostante i suoi occhi si ostinassero ancora
ad analizzarlo con attenzione, e una punta di circospezione tipica delle
persone del Giacimento.
“Mi piace il numero quattro” si limitò a rispondere, dando
un'altra scrollata di spalle. “Quando ero piccolo mio padre mi ricordava sempre di
contare fino a quattro prima di dire o fare qualcosa che avrebbe potuto
mettermi nei guai” aggiunse poi, nell’accorgersi che la giovane lo stava ancora
osservando incuriosita. "La gente, di solito, conta fino a cinque, ma per me
erano già troppi: mi distraevo prima. Così abbiamo scalato a quattro secondi.”
“E funzionava?”
chiese la ragazza. Joel le rivolse un sorrisetto malandrino.
“Non ha mai funzionato. Ma mio padre me lo ripeteva
talmente spesso che alla fine lui e mia madre hanno incominciato a chiamarmi
Quattro.”
La giovane si mise a ridere.
“È una bella storia, per un soprannome” ammise, tornando
a voltarsi verso di lui. “Forse il quattro è il tuo numero portafortuna.”
“Beh, il mio nome ha quattro lettere” rispose Joel,
passandosi una mano fra i capelli arruffati. “E un giorno avrò quattro figli”
aggiunse, sorridendo sghembo in direzione della sua interlocutrice. La giovane
rise di nuovo.
“Quattro, eh?” ripeté poi, scuotendo il capo con
espressione divertita. “Beh, buona fortuna a te e alla tua futura moglie,
allora!” proseguì, incominciando ad avviarsi verso una delle prime case sulla
sinistra: sulla soglia una donna seduta su una sedia era china su un asse di
legno, intenta a sfregare un panno con il sapone. Fece un cenno di saluto alla
ragazza e Joel intuì che dovesse trattarsi della madre. Avevano gli stessi
capelli lunghi e ondulati e la stessa aria ferma e determinata, mitigata dalla
dolcezza dei lineamenti del volto. Nell’osservarla all’opera, a Joel tornò in
mente il pomeriggio di due giorni prima, quando aveva sorriso alle due ragazze
sui gradini di fronte a casa di Cyron. Ricordò le provocazioni del suo vicino di casa e la
risposta a tono della ragazza che lavorava al catino. Cyron,
a quel punto, l’aveva chiamata ‘Elle. Fece mente locale per un po’, ma alla
fine riuscì a ricordare il suo nome completo.
“Ti
chiami Hazelle, vero?” chiese, rivolgendole un mezzo
sorriso compiaciuto. La giovane gli indirizzò un’occhiata sorpresa, prima di
ricambiare il sorriso.
“Allora
non sei così distratto come dicono!” osservò, incamminandosi verso la madre.
“Ci vediamo, straniero!”
Joel la osservò allontanarsi con espressione divertita,
passandosi una mano fra i capelli arruffati. Si sfiorò poi il labbro ammaccato
con il dorso della mano e sbuffò, riprendendo a camminare in direzione di casa
sua. Pensò ai suoi genitori, all’occhiata rassegnata che si sarebbero scambiati
nel vederlo tornare a casa conciato così, e anche a Margaret: a come aveva
stretto le labbra ancora una volta, dopo aver saputo della lite. Da quel
pomeriggio non gli aveva più rivolto la parola e probabilmente non l’avrebbe
fatto per un bel pezzo.
Scrollò poi le spalle, interrompendo bruscamente il
tragitto e si voltò, puntando verso il bosco. Il sorriso divertito di quella
ragazza, di Hazelle, stuzzicò più volte i suoi
pensieri, mentre controllava le trappole che aveva sistemato quel mattino.
Dovette fare il giro due volte, perché continuava a distrarsi e a
dimenticarsene qualcuna, ma quando alla fine contò la selvaggina, sorrise fra
sé, soddisfatto del ricavato. Erano scattate quattro trappole su sei: aveva
preso quattro conigli. Per la prima volta da quando aveva fatto a botte con Cyron mise completamente da parte il turbamento per quello
che non era, concentrandosi sul suo bottino di caccia. Avrebbe voluto essere
uno studente migliore, un figlio più diligente, un bravo fidanzato per Margaret… o
almeno uno dei tre. Tuttavia, forse, era stato proprio quel tre a fregarlo: il
suo numero era il quattro. Aveva fallito su tre fronti, ma prima o poi ne avrebbe dovuto affrontare un quarto e forse, su quello, se la sarebbe cavata meglio. Magari nel giro di qualche anno sarebbe diventato
un buon collega e un ottimo minatore, si disse. O un bravo marito. Forse un giorno sarebbe stato
un buon padre.
Rise fra sé e sé, dandosi mentalmente dell’idiota. Non
riuscì comunque ad evitare di sorridere, tornando a contare il numero delle sue
prede. Hazelle, Joel se lo sentiva, aveva avuto
ragione. Il quattro era decisamente il suo numero portafortuna. Nota dell’autrice. Nonostante abbia
già una raccolta sulla famiglia Hawthorne in corso e un
sacco di one-shot da concludere entro fine mese, ho
deciso comunque di lanciarmi in questa missione suicida. La canzone a cui è
ispirata questa raccolta, Tutto ciò che ho
degli 883 è una canzone che mi sta
particolarmente a cuore sin dall’infanzia e mi sono resa conto che i suoi versi
si associano piuttosto bene a come ho scelto di immaginare i maschietti della
famiglia Hawthorne (il babbo, Gale, Rory e Vick), così ho pensato di scrivere qualcosa per
ognuno di loro. Posy e Hazelle faranno comunque
comparsa nella maggior parte dei capitoli e nel penultimo, quello su Gale, c’è
anche Johanna Mason. Questo primo capitolo è dedicato a Mr. Hawthorne
da giovane. È piuttosto diverso dalla sua controparte adulta che mi è spesso
capitato di introdurre negli altri miei racconti incentrati sulla famiglia Hawthorne, ma io da ragazzo l’ho sempre immaginato un po’
una testa calda, soprattutto poiché nel
mio head!canon personale Joel era affetto da ADHD (Sindrome da deficit di attenzione
e iperattività) che ha come caratteristiche principali proprio iperattività,
impulsività e disattenzione. Il motivo di questa mia stramba decisione verrà
forse, un giorno, approfondito, quando troverò il coraggio e l’ispirazione per
scrivere su un certo personaggio che qualcuno già conosce. Mr. Hawthorne, comunque, ha conservato molte di queste
caratteristiche anche da adulto, in particolare l’impulsività, ma crescendo è
maturato molto e ha perso soprattutto molta dell’iperattività che lo
caratterizzava, per via del lavoro estenuante in miniera. Il soprannome, Quattro, mi è venuto in mente prima che
leggessi del caro Tobias in Divergent, ed è dovuto alle
questioni che avevo già accennato in E.Y.E.S. O.P.E.N.
e in Four Children. Four Names. Four
Letters. Mi ha sempre incuriosito il fatto
che i fratelli Hawthorne fossero quattro e tutti con
nomi da quattro lettere e mi è sempre piaciuto pensare che ci fosse una qualche
storia dietro a tutto questo. Penso di aver detto tutto. Il prossimo capitolo
sarà su Vick, anche se faranno
comparsa anche Posy, Hazelle e Gale. So che la
famiglia Hawthorne non è particolarmente popolare,
specialmente Vick e il babbo, ma non riesco proprio fare a meno di scrivere di
loro, ormai ci sono veramente tanto affezionata! Un abbraccio e alla
prossima!
Laura