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Autore: vero_91    12/06/2014    7 recensioni
[Gale!centric - accenni Gale/Johanna]
Ogni volta che guardava l'edificio in fiamme però, l'immagine di altre esplosioni gli appariva davanti, sovrapponendosi alla realtà. In quei momenti si stropicciava gli occhi, imponendosi di concentrarsi, perché ricordare il passato non sarebbe stato d'aiuto quella notte, e in ogni caso ormai non c'era niente che potesse fare per impedirlo.
All'epoca invece, sì che avrebbe potuto.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fuoco e Cenere '
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Autore: vero_91/ vero_91@EFP
Titolo: Una stilla di male
Rating: giallo
Genere: introspettivo, malinconico
Avvertimenti: nessuno
Citazione utilizzata: “Basta una stilla di male per gettare un'ombra infamante su qualunque virtù.
NdA: (facoltative) Nel mio immaginario, Gale e Johanna dopo la rivoluzione convivono, ma ho già scritto parecchie storie su questo, quindi qui è dato per scontato!
Il nome del padre di Gale, Joel, è una gentile concessione di Kary91: la famiglia Hawthorne le appartiene così tanto ormai, che non riesco a immaginarla in nessun altro modo! :)
(A fine capitolo come sempre le note inutili)

 

- Distretto 12. Sessantanovesimi Hunger Games -

La paura conduce all'ira, l'ira all'odio; l'odio conduce alla sofferenza.”
[Maestro Yoda]

La prima volta che Gale percepì la paura, quella vera, profonda, radicata, la paura che ti provoca un brivido freddo lungo la colonna vertebrale e ti attorciglia lo stomaco, fu durante la sua seconda mietitura. Aveva tredici anni, suo padre era morto da un paio di mesi, e il peso di mantenere la famiglia era sulle sue spalle ora.
Non che l'anno precedente non fosse terrorizzato, ma quel giorno suo padre era lì, accanto a lui, a sistemargli l'unico completo buono che avesse guardandolo dritto negli occhi. Joel aveva i suoi stessi occhi grigi, ma dietro quello sguardo vi si poteva intravedere una rabbia furiosa e repressa che Gale non riusciva a comprendere, non ancora. Joel appoggiò una mano sulla sua spalla, e la gliela strinse per tutto il tragitto fino all'arrivo in piazza. La sua presa era salda, e infuse a Gale un senso di calma e sicurezza che non pensava di poter provare.
In quel momento, nascosto dietro a un cespuglio a vomitare bile desiderava quella stretta più di qualsiasi altra cosa. Ma suo padre era morto, sotterrato in una miniera, e non vi era nulla che lui potesse fare per cambiare le cose. Così insieme all'ultimo conato aveva inghiottito anche il terrore al pensiero di quello che sarebbe successo ai suoi famigliari se lui fosse stato sorteggiato, e respirando profondamente si era diretto verso la piazza.
Il battito del suo cuore gli rimbombava nei timpani talmente forte che a malapena riuscì a sentire che il nome estratto dalla novellina Effie Trinket non era il suo. Come balsamo su una ferita un'onda di sollievo lo avvolse, smorzata però ben presto da un acuto senso di colpa, mentre guardava sollevato un altro ragazzo andare a morire al posto suo. Si sentì inutile, impotente di fronte all'ingiustizia che stavano subendo, e ad un tratto ricordò gli occhi di Joel, ardenti di rabbia, e capì che anche suo padre si era sentito come lui. Capì che non era colpa sua se quel ragazzino stava andando a morire al posto suo, non era stato lui a condannarlo a morte, ma gli abitanti di Capitol City; capì che il senso di colpa non era il sentimento giusto per reagire a tutte le ingiustizie che erano costretti a subire, la rabbia invece era un giusto compromesso.
La prima volta che Gale percepì l'odio aveva tredici anni, e in quel momento si rese conto che era più potente di qualsiasi paura.


- Distretto 13. Durante la rivoluzione -

Prima di intraprendere il viaggio della vendetta, scava due fosse.”
[Confucio]

Quando Gale uscì dall'ospedale era ormai sera, e gli abitanti del Distretto 13 stavano facendo ritorno alle loro abitazioni per la notte. Lui prese una direzione diversa, scendendo verso il centro di Difesa Speciale. Nei corridoi incrociò alcuni soldati, che con un sorriso in volto e una pacca sulla spalla si congratulavano con lui per la conquista dell'Osso al Distretto 2. Gale rispondeva con un cenno del capo e un “grazie” ringhiato, mentre davanti a sé vedeva ancora Catnip accasciarsi al suolo dopo il rombo di uno sparo. Di quei momenti Gale ricordava solo il battito impazzito del suo cuore e le orecchie fischiare, di come un terrore sordo si fosse impadronito di lui, di come si fosse precipitato accanto al corpo di Catnip apparentemente senza vita, di come avesse ricominciato a respirare quando si era accorto che la tenuta da Ghiandaia Imitatrice l'aveva protetta. Durante il tragitto di ritorno l'unica cosa a cui riusciva a pensare era Io ve l'avevo detto di ucciderli tutti, mentre dentro di lui la rabbia e l'odio si agitavano come un mare in tempesta.
Quando arrivò al laboratorio di ricerca Beetee era seduto alla scrivania, con un mucchio di fogli sparpagliati sopra. Fu Gale ad attirare la sua attenzione sbattendo la porta.
“Oh, sei qui. Come sta Katniss?” chiese, mantenendo l'attenzione su un grafico che aveva davanti.
“Le hanno tolto la milza e ha qualche costola ammaccata, ma niente di irreparabile. Ora è sotto morfamina.”
Beetee annuì, poi squadrò silenzioso il giovane soldato per qualche secondo. “Te la senti di continuare?” chiese, indicando con un cenno del capo le carte sparse sulla scrivania.
Gale aggrottò le sopracciglia. “Certo, perché non dovrei?”
“Pensavo potessi aver cambiato idea, dopo aver visto le conseguenze della tua idea.”
Gale digrignò i denti, e iniziò a camminare per la stanza nervosamente, come un animale in trappola. “Eccome se le ho viste. Ho visto gli abitanti del Distretto 2 sparare a Catnip davanti ai miei occhi.” Il suo tono di voce si alzò. “Non sarebbe mai successo se aveste fatto come avevo proposto, senza possibilità di fuga.”
“Lyme voleva dare loro la possibilità di sopravvivere.” disse Beetee, sistemandosi gli occhiali con noncuranza.
“Come se la meritassero!” Gale si fermò di scatto, le mani che prudevano dalla rabbia. Fece un respiro profondo, guardando ardentemente i progetti che avevano davanti. “A Capitol City non gli verrà concesso questo onore, le nostre bombe saranno delle trappole mortali.”
Beetee studiò la sua espressione, e capì che diceva sul serio. Avrebbe sacrificato delle persone e non avrebbe provato pietà, se la loro morte fosse servita a raggiungere il suo obiettivo.
Gale voleva vendetta, che per lui equivaleva alla giustizia, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per ottenerla.


- Distretto 2. Circa quattro anni dopo la fine della guerra. -

Basta una stilla di male per gettare un'ombra infamante su qualunque virtù.”
[Hamlet, I, IV, 38-40,
William Shakespeare]

Il telefono squillò verso le due di notte. Gale ci mise circa una decina di secondi a capire che si trattava di una chiamata invece che della sveglia. Si alzò a sedere di scatto, la voce tesa e la mente già in allerta. Dall'altro capo gli comunicarono che vi era stata un'esplosione in una fabbrica per una fuga di gas, e che all'interno vi erano numerosi lavoratori per il turno di notte. Gale troncò la telefonata con un deciso “arrivo subito”, si vestì con i primi abiti che gli capitarono in mano e si precipitò fuori, scarabocchiando su un foglietto in cucina due semplici parole Emergenza fabbrica.
Quando Gale arrivò sul posto la situazione era peggiore di quello che si era aspettato: le fiamme ormai avvolgevano l'intero edificio, e l'intervento repentino dei vigili del fuoco non era sufficiente a limitare i danni. Gale si avviò alla postazione di soccorso, mentre la cenere e l'odore di carne bruciata gli invadevano le narici.
“Quante persone ci sono ancora all'interno?” chiese a uno dei suoi collaboratori.
Il ragazzo scosse freneticamente la testa. “Non lo sappiamo, c'è troppa confusione per fare una stima al momento. So solo che vi erano circa centocinquanta lavoratori a fare il turno notturno.”
“D'accordo.” disse con voce ferma, cercando di ignorare la voce nel suo cervello che gli bisbigliava che probabilmente erano già morti tutti. “Chiama l'ospedale e fai allestire un campo di primo soccorso per i feriti nel cortile qui vicino, digli di mandare tutte le ambulanze, i dottori e gli infermieri che hanno a disposizione.” Poi si rivolse a Frank, un suo sottoposto: “Quando i pompieri avranno finito, avremo bisogno di più braccia possibili per tirare fuori le persone da sotto le macerie. Organizza una squadra e andate a bussare a ogni porta per cercare dei volontari, i civili ci aiuteranno. ”
Detto questo Gale fece un respiro profondo e si diresse alla postazione dei vigili del fuoco, cercando di ignorare le urla di dolore che risuonavano intorno a lui e i corpi carbonizzati che gli passavano accanto trasportati sulle barelle.
Per tutta la notte Gale si sforzò di concentrarsi sui dettagli tecnici, su cosa realmente potesse fare in quel momento, su come organizzarli e gestirli, minimizzando i tempi e cercando di salvare più persone possibili. Ogni volta che guardava l'edificio in fiamme però, l'immagine di altre esplosioni gli appariva davanti, sovrapponendosi alla realtà. In quei momenti si stropicciava gli occhi, imponendosi di concentrarsi, perché ricordare il passato non sarebbe stato d'aiuto quella notte, e in ogni caso ormai non c'era niente che potesse fare per impedirlo.
All'epoca invece, sì che avrebbe potuto.

Era più o meno l'alba quando le ultime fiamme furono spente, e della fabbrica non rimaneva che lo scheletro di ferro, un mucchio di detriti sopra l'altro. Nel frattempo un gran numero di civili era arrivato per aiutare, che Gale suddivise per compiti.
Passò poi l'intera giornata con le varie squadre di soccorso, a cercare sopravvissuti tra le macerie. Inutile dire che non ne trovarono. Durante la ricerca Gale si imbatté in due cadaveri, ma chiamò subito le infermiere lì intorno, ed evitò di guardare il loro viso.
Il sole era tramontato da un pezzo quando a Gale fu chiesto di controllare il campo di emergenza che ospitava i feriti: l'aveva evitato fino a quel momento, ma sapeva che non avrebbe potuto sottrarsi in eterno. Il campo che avevano visitato al Distretto 8 era simile a questo, così quando entrò nell'accampamento cercò di convincersi che non era niente che non avesse già visto, che non avesse già affrontato, ma dentro di sé sapeva che le cose all'epoca erano diverse. Quel giorno accanto a lui c'era Catnip, stavano combattendo una guerra, e gli orrori che aveva visto fino a quel momento non erano nulla in confronto a quello che avrebbe dovuto affrontare in futuro. E soprattutto, lui non era ancora un assassino.
Gale attraversò il campo improvvisato guardando sempre dritto davanti a sé, posando gli occhi sulle persone ustionate intorno a lui solo quando era strettamente necessario. Il capo reparto gli illustrò velocemente come avevano organizzato i turni di soccorso e medicazione, ma a Gale la voce arrivava solo come un eco lontano, sovrastata dalle domande sempre più insistenti della sua coscienza. Si chiedeva se anche le vittime delle sue bombe avessero avuto lo stesso trattamento. Se anche i cittadini del Distretto 2 avevano organizzato squadre di civili per tirare fuori i cadaveri dal L'osso che lui aveva fatto crollare. Se anche i corpi dei volontari giunti a Capitol City erano stati ritrovati carbonizzati. Se anche il volto giovane e innocente di Prim era stato sfigurato in quel modo dalle fiamme.
Gale riuscì a malapena a stringere la mano del medico all'uscita dell'accampamento, poi a passo spedito si diresse nella boscaglia che vi era lì intorno e nascosto dietro a un albero vomitò bile, mentre il panico dilagava senza pietà dentro di lui. Strinse i pugni, inspirando ed espirando profondamente, cercando di riprendere il controllo del suo corpo e della sua mente. Dentro di sé si sentiva ancora come il tredicenne spaurito alla sua seconda mietitura, sperduto e incapace di controllare il panico che lo attanagliava. Stavolta però non era il terrore che doveva affrontare, ma qualcosa di molto più subdolo, qualcosa che una volta provato ti si ancora dentro e difficilmente riesci a lasciare andare, devi solo imparare a conviverci. Il senso di colpa.
Rimase nascosto lì dietro per un tempo che gli sembrò interminabile, aspettando che il sudore freddo se ne andasse e che le mani smettessero di tremare. Quando finalmente si alzò, fu invaso da un senso di nausea e vertigine, e in quel momento l'unica cosa che desiderò era di tornare casa. La sua vera casa. Scosse la testa, provando pena per se stesso. Il Distretto 12 non era più la sua casa, ormai. Ora viveva al Distretto 2, ed era lì che si sarebbe dovuto rendere utile.

Dopo quel momento di panico, Gale non si concesse più un attimo libero. Passò la notte in bianco, a studiare la struttura della fabbrica crollata, e a cercare l'origine dell'esplosione. Poi controllò i dati e le informazioni di tutte le altre fabbriche in zona, per evitare che un simile danno potesse ripetersi.
Per l'intera giornata successiva organizzò le operazioni di smantellamento della fabbrica e programmò il trasporto dei feriti in ospedale, dividendoli in base al grado di emergenza.
Saltuariamente sentiva il panico riaffiorare: in quei momenti prendeva il controllo di una situazione esterna, convincendosi così di riuscire a controllare anche quello che succedeva dentro di lui.
Fu la mattina del terzo giorno, mentre Gale programmava con un gruppo di tecnici il controllo dell'impianto gas delle altre fabbriche, che Johanna entrò nel suo ufficio improvvisato senza prendersi la briga di bussare, restando a fissare con astio i suoi collaboratori che dopo alcuni secondi se ne andarono intimoriti, lasciandoli da soli.
Fu Johanna a rompere il silenzio.“Torna a casa, Hawthorne.”
Gale non alzò lo sguardo dai documenti che aveva davanti e scosse la testa. “Non posso, ho molto lavoro da sbrigare e...”
“Sono sicura che qui riusciranno a sopravvivere per qualche ora anche senza di te.” disse la ragazza, interrompendolo.
Gale la fulminò con lo sguardo. “Forse non sai esattamente cos'è successo, Johanna...”
“Lo so benissimo invece. So anche tutto quello che hai fatto in questi tre giorni. I tuoi colleghi cominciano a temere che tu sia una specie di ibrido di Capitol City dato che non mangi e non dormi da tre giorni.”Johanna si appoggiò alla scrivania, gli occhi che cercavano quelli di Gale.
“Non dire sciocchezze.”
“E tu smettila di fare l'idiota. Verrai a casa con me Hawthorne, mangerai la zuppa schifosa che ho preparato, ti farai una doccia e andrai a dormire.”
“Dopo, devo prima finire questo...” Gale indicò con un gesto vago i fogli che aveva sparsi sulla scrivania.
Johanna incrociò le braccia, sentiva che la sua pazienza era ormai al limite.“No, adesso. Non costringermi a usare la forza.”
“Oh, questa vorrei proprio vederla.”
“Non sfidarmi, Hawthorne, sei ridotto così male che mi basterebbe un pugno ben assestato per stenderti.”
Gale fece una smorfia infastidito, ma un parte di lui temeva fosse vero; inoltre conosceva Johanna abbastanza bene da sapere che non stava bluffando. Così fu decisamente sorpreso quando invece di un pugno sentì solo la mano della ragazza posarsi delicatamente sulla sua.
Gale rimase come paralizzato a guardare le loro mani stringersi, godendosi quel tocco di calore inaspettato. Il contatto gli ricordò inspiegabilmente la presa salda e determinata di suo padre durante la sua prima mietitura, alleviando il panico che fino a quel momento stava disperatamente tenendo a bada.
Quando Gale alzò lo sguardo dopo alcuni minuti, fu quasi stupito di incontrare gli occhi grandi e color cioccolata di Johanna invece che quelli grigi di Joel. Il suo senso di colpa era ancora lì, pesante come un macigno, ma all'improvviso non si sentì più solo. Sentì che oltre al dolore, alla rabbia e alla colpa il suo corpo reagiva e percepiva anche qualcos'altro, e per il momento questo gli bastava.
Johanna accennò un sorriso, intrecciando le dita con quelle di Gale. “Forza, alzati. Non voglio che la mia zuppa si raffreddi.”
Gale sospirò e senza replicare si lasciò condurre fuori dall'accampamento, le gambe improvvisamente pesanti. “Non avevi detto era terribile?”
“Lo è infatti. Immagina fredda quanto può peggiorare.”
La stanchezza era piombata addosso a Gale tutta in una volta, e si sarebbe stupito se fosse riuscito a sentirne il sapore.
Arrivati a casa, Gale si sedette al tavolo della cucina sporco di sangue e polvere, gli occhi cerchiati da brutte occhiaie. Johanna gli posò sul tavolo una scodella di zuppa tiepida e gli accarezzò delicatamente i capelli scuri fino a quando lui non ne ebbe bevuto l'ultima goccia.

 

 

--- angolo autrice ---

Salve! So che ogni volta che scrivo una storia sul povero Gale lui ne esce sempre malissimo, ma giuro che non ce l'ho con lui! E' solo che mi piace analizzarlo, soprattutto dopo quello che succede in Mockingjay, con il suo coinvolgimento nell'uccisione di Prim. L'idea della storia comunque non era metterlo in cattiva luce o far di lui un personaggio “cattivo”, volevo però approfondire la sua sete di giustizia e di vendetta, che soprattutto nel terzo libro tende a confondere e a farsi prendere un po' troppo la mano. So benissimo che Gale ha una morale molto ferrea, e che tutto quello che fa è proprio per aiutare delle persone innocenti, ma purtroppo alla fine si è fatto prendere un po' troppo la mano.
Riguardo al finale ero piuttosto indecisa (strano!), in realtà avevo scritto un bel discorso di Johanna sul senso di colpa, ma alla fine ammetto che non era quello di cui volevo parlare. Quello che volevo trasmettere era che fino a quel momento Gale si era portato sulle spalle il suo senso di colpa e il suo dolore da solo, facendo di tutto per non pensarci, ma l'esplosione della fabbrica lo “obbliga” ad affrontare certi ricordi che preferiva evitare. In tutto ciò la figura di Johanna è solo di conforto, non volevo ci fossero frasi consolatorie o catartiche, ma una semplice contatto per ricordargli che non è solo, che oltre al suo senso di colpa c'è anche dell'altro, qualcosa di buono.
Spero comunque non vi sia risultata una soluzione semplicistica o affrettata!
Bene credo di aver detto tutto, come sempre insulti o commenti sono sempre ben accetti, e per la prossima Ganna prometto fluff giuro! :D
A presto spero
Vero

p.s: so che stona un po' mettere il maestro Yoda insieme a Confucio e Shakespeare, ma le sue frasi mi piacciono troppo! (e se non sapete chi è il maestro Yoda, shame on you! XD)

  
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