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Autore: lumieredujour    13/06/2014    0 recensioni
Questa storia partecipa al contest "OC mania!" indetto da ColeiCheDanzaConIlFuoco sul forum di EFP
Dicembre, 1994. Hogwarts.
Come riuscire a sentirsi una vera Grifondoro quando ogni tua cellula sembra gridare a gran voce Tassorosso? Forse è una semplice questione di punti di vista. Forse serve qualcun altro per riuscire a vedere lati del nostro carattere nascosti.
“Non che non fossi fiera della mia Casa, ma pensavo che il Cappello Parlante avesse semplicemente avuto un abbaglio e mi avesse confuso con qualcun altro.
I cappelli possono avere abbagli? Beh, sicuramente lui sì.”
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grifondoro, Hermione Granger, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Capitolo 1. Sabato mattina e farfalle

 
Svegliarmi e trovarmi davanti agli occhi le pesanti tende cremisi dei Dormitori Femminili mi provocò un brivido lungo la schiena che, diciamolo, non mi fece iniziare la giornata al meglio. Non che non fossi fiera della mia Casa, ma pensavo che il Cappello Parlante avesse semplicemente avuto un abbaglio e mi avesse confuso con qualcun altro.

I cappelli possono avere abbagli? Beh, sicuramente lui sì.

Appena i miei genitori videro, sette anni fa, quel gufo grassottello planare nella nostra cucina, iniziarono a parlarmi di come sarei diventata un’ottima maga, migliore certamente di quello scapestrato di mio fratello Alfred, che aveva deciso di scappare in Francia con la sua ragazza appena terminati i M.A.G.O. e –puf!- li aveva abbandonati al loro misero destino.

Tutti in famiglia erano stati smistati nella casa dei Tassorosso, dove l’odore di cannella e spezie invadeva calorosamente i Dormitori, dove non vi erano stupide faide con le Case rivali, dove ci si aiutava per cooperare ed arrivare assieme ai risultati migliori. Ero stata abituata a pensare che anch’io sarei stata smistata in Tassorosso e che anch’io avrei passato i miei anni ad Hogwarts in totale tranquillità. Quel Cappello Parlante non aveva preso semplicemente un abbaglio, ma direttamente tutto il faro da palcoscenico nell’occhio (metaforicamente parlando, ovvio)

-Vi prego, ditemi che sto sognando- dissi aprendo l’occhio destro e guardando al di fuori del mio letto a baldacchino.

No, era tutto rosso e dorato, segno che il mio non era un sogno. Il tutto venne confermato dal pesante corpo di una delle mie compagne di stanza, la cara Nicole Kipling che si era seduta sul mio piede destro.

-Buongiorno Myra, no non stai sognando anche perché sono le nove e credo che la tua testolina abbia semplicemente finito tutti i sogni a sua disposizione. E’ ora di alzarsi, stai dormendo da dodici ore!- parlava un po’ troppo ad alta voce per i miei gusti.

Le risposi con un verso non meglio identificato e seppellii la mia testa sotto le coperte. Quel sabato non avevo nessuna intenzione di mettere naso fuori la mia stanza. Quel sabato in generale non volevo pensare a niente: né ai M.A.G.O. che dovevo sostenere a giugno, né al fatto che nessun ragazzo mi aveva ancora invitato al Ballo del Ceppo, né al fatto che le persone normali si vestano invece di rimanere tutto il giorno in pigiama.

Forse avrei voluto solo qualche fetta di torta al cioccolato da farmi recapitare in camera, pensai crogiolandomi nel caldo piumino. Calore che svanì immediatamente nel momento in cui Nicole, maledetta ragazza, con un gesto secco di bacchetta fece Levitare le coperte ai piedi del letto, lasciandomi in camicia da notte e imprecazioni.

-Maledizione Nicole, è sabato, lasciami vivere nella mia pigrizia!- gridai, sicura del fatto che la mia amica stesse sorridendo.

Mi voltai verso la suddetta che con nonchalance stava controllando lo stato delle sue unghie, fischiettando per giunta! La divisa quel sabato era stata sostituita da un maglioncino viola a rombi neri e un paio di pantaloni scuri.

-Non rompere. Devi accompagnarmi a Hogsmade e poi ci rintaniamo in Biblioteca a studiare per gli esami- disse prendendomi le mani e mettendomi in piedi.

Cercai di salvarmi in extremis, provando ad impietosirla: occhi aperti e lucidi come quelli di un cucciolo di labrador, labbro inferiore leggermente sporgente. Ad alcuni potevo sembrare ridicola, ma la mia faccia da cucciolo era stato il mio passepartout per tantissime occasioni. Nicole mi fissò attenta, catturando tutti i dettagli del mio viso, mentre il suo veniva trasfigurato dalla dolcezza. Il mio piano malefico stava funzionando. Sempre con quella faccia impietosita, però, disse:

-Sai, la mattina non riesci ad utilizzare appieno i tuoi poteri. Non attacca, bella. E- aggiunse spingendomi in bagno- non sporgere troppo quel labbro inferiore: già è enorme, così rischi d’inciamparci!- chiuse la porta, oltre la quale la sentivo ridere come una iena.

Sconfitta e ormai completamente sveglia, feci andare l’acqua calda e mi fissai assorta allo specchio: avevo una pelle olivastra, nel senso che tendeva un po' al verde il che sicuramente non era un colore sanissimo, il tutto reso ancora più tetro dai miei capelli ed occhi scuri che, un po’ lucidi per il sonno, mi fissavano dubbiosi. Il naso era troppo lungo e così stretto da sembrare quasi affilato, ma almeno le mie labbra piene erano morbide a vedersi. L’unica cosa che mi calmava durante i momenti di nervosismo era passare le dita sulle mie labbra, toccare con mano quella morbidezza insolita e ricordarmi di casa, dei baci di mamma, dei sorrisi di mio papà. Era il tratto distintivo di entrambe le famiglie dei miei genitori, il nostro marchio di fabbrica.

Una doccia calda e, avvolto l’asciugamano attorno al mio corpo, fissai assorta il tempo al di là della finestra. Il vento sembrava soffiare forte e il cielo era una pozza di metallo liquido, pieno di nuvole tipicamente invernali. Eravamo a dicembre, d’altro canto. La voglia di uscire era un po’ come la tipica temperatura invernale scozzese e cioè molto molto bassa, ma la colazione forse mi avrebbe fatto cambiare idea. Forse al tavolo avrei visto la mia cotta.

No, non la torta di cioccolato che ho nominato prima; beh, anche. Intendo solo il ragazzo più carino e intelligente di tutto Grifondoro, colui che sembrava essere nato per entrare in questa Casa e che era meglio conosciuto come William Legrand.

Insomma, uno con quel cognome non poteva certo non essere un Grifondoro, non credete? Era Caposcuola, aveva uno spiccato senso dell’umorismo e due occhi così azzurri che, se li fissavi per troppo tempo, potevi sentire l’aria salmastra che ti scompigliava i capelli. Un vero sogno ad occhi aperti, una delle poche note positive d’essere una Grifondoro.

-Vuoi uscire, piccola megalomane? Non ci sei solo tu in questa stanza- urlò la mia altra compagna di stanza, tale Lucie Rabies.

Aprii subito la porta, facendo entrare la ragazzina riccioluta in bagno. Meglio non far imbestialire Lucie di prima mattina, poteva benissimo Affatturarti senza nemmeno parlare ed era così brava ad occultare le prove, che nessuno avrebbe mai potuto scoprire la sua colpevolezza. Parlavo per esperienza.

Velocemente mi vestii, optando per un paio di jeans chiari e un maglione rosso, ultimo regalo di compleanno da parte di mio fratello. Sulla parte posteriore del maglione vi era l’immagine della Tour Efeil, una delle mie opere babbane preferite. Alcune volte i babbani erano persino più bravi di noi perché, voglio dire, quale mago sarebbe stato capace di creare un enorme coso di metallo senza nemmeno l’ausilio della magia? Mi chiedevo quale fosse la sua utilità, perciò decisi che alla prossima lezione di Babbanologia avrei chiesto sicuramente alla professoressa Burbage delucidazioni a riguardo.

-Smettila di estraniarti o giuro che ti schiaffeggio con un pancake- disse Nicole sedendosi di fronte a me in Sala Grande, prendendo una forchetta e agitandola con fare minaccioso –odio quando il criceto che c’hai al posto del cervello inizia a lavorare-

Alzai gli occhi al cielo senza nemmeno risponderle e mi accinsi a riempirmi il piatto con tutto il ben di dio che avevo attorno. Torte al cioccolato, pancake, uova, pancetta e salsicce si stagliavano davanti a me, pronti per essere mangiati.

Ero sempre stata una ragazza particolarmente attenta alla linea, ma da quando ero arrivata ad Hogwarts, la mia buona forchetta era stata viziata. Avevo con successo deciso di stringere amicizia con qualche elfo domestico cercando di sporcare di più la mia parte della stanza e parlando ogni tanto con quei cari elfi che, all’occorrenza, riempivano il mio letto di leccornie dolci e salate che mangiavo durante lo studio. In altre parole, mangiavo sempre. Anche se poi passavo periodi di magra, cercando così di fare ammenda per la mia golosità. Addentai decisa una succosa salsiccia, sporcandomi per di più tutto il mento col suo caldo succo.

Mentre, tra piccole maledizioni, stavo pulendo la parte inferiore del mio viso, una mano si appoggiò sulla mia spalla. Era una mano pesante e, bloccandomi immediatamente col fazzoletto a mezz’aria, un profumo di legno entrò in contatto con le mie narici. Solo un ragazzo profumava di legno affumicato.

-Ehi Myra, posso parlarti?- chiese la voce calda e un po’ bassa di William.

Non osai girarmi, ma annuii mentre il mio sguardo era rimasto fisso su Nicole che, con la forchetta a mezz’aria, m’indicava rabbiosa d’alzarmi.

-Sì certo, fammi solo poggiare le posate- dissi portando il fazzoletto al mento e pulendomi frettolosamente. O almeno pensai d’essermi pulita, mentre invece avevo spalmato inconsciamente tutto il succo sul mio mento. Bene, pensai alzandomi e seguendo il ragazzo al di fuori della Sala Grande, il mio alito sapeva di carne. Se lui avesse provato a baciarmi, avrebbe sentito la puzza di salsiccia.

William ed io non uscivamo insieme, semplicemente eravamo due studenti dello stesso anno. Scherzavamo ed eravamo compagni di calderone durante le temibili lezioni di Pozioni del Professor Piton, ma negli ultimi mesi i sentimenti che nutrivo nei suoi confronti si erano evoluti, diventando più profondi. Ora anche solo la sua presenza vicino a me rischiava di chiudere quella voragine che avevo come stomaco e di riempirla di farfalle.

Arrivammo alla base della scala, dove due ragazzini stavano parlando animatamente. Erano Ron Weasley ed Hermione Granger, notai distrattamente, i due amici del mitico Harry, entrambi studenti del Quarto anno.

-Senti Myra, volevo parlarti riguardo ad una cosa- disse William voltandosi verso di me e guardandomi dritta negli occhi.

La sua voce era regolare come sempre, ma i suoi occhi brillavano di una luce particolare, notai passandomi un dito sulle labbra.

-Dimmi tutto- parlare risultò difficile, le farfalle stavano andando in avanscoperta all’interno del mio corpo ed ora avevano assalito la mia gola.

-Stavo pensando che quest’anno è il nostro ultimo anno. E che forse non ci rivedremo mai più-

-Già, che cosa desolante – al solo pensiero le mie farfalle iniziarono a guaire sofferenti (ma le farfalle guaiscono? Mah)

-Però abbiamo l’occasione di festeggiare la nostra scuola, siamo comunque nell’anno del Torneo Tremaghi!- dichiarò sorridendomi apertamente.

Come poteva sorridere così tanto il sabato mattina? Le mie labbra si tirarono in una smorfia che, in teoria, doveva sembrare un sorriso, ma che molto probabilmente sembrò solo un ghigno.

-Che fortuna! Mi dispiace solo per i problemi che si sono creati fra le Case. Sai, per il fatto di Cedric ed Harry-  dissi, mostrando la mia filantropia simil-Tassorosso.

-Già quei meschini  dei Serpeverde hanno fatto in modo che le Case litigassero fra di loro. Dovrebbero essere severamente puniti- disse con voce tagliente William, mostrando così da buon Grifondoro il suo odio per la Casa rivale- ma non volevo parlarti di quello. Volevo dirti che una delle cose buone che il Torneo offre a noi studenti è la possibilità di avere un ballo, il Ballo del Ceppo!-

I miei occhi lo fissarono sorpresi mentre la mia mente stava andando a duemila. Cosa voleva dirmi? Stava cercando d’invitarmi? Ovvio, altrimenti perché avrebbe dovuto parlarmi del Ballo? O no? Però l’aveva presa da lontano, insomma aveva iniziato a parlare del nostro settimo anno. Forse voleva dirmi che saremmo dovuti andare come amici tutti assieme, magari voleva chiedermi se per caso Nicole e Lucie  erano ancora disponibili e forse…

-… quindi che ne dici?- concluse il ragazzo fissandomi speranzoso e appoggiandosi un po’ all’enorme scala di marmo.

Lo fissai confusa e un po’ in colpa perché avevo completamente staccato le orecchie dal cervello e mi ero persa parte del suo discorso. Ed ora pretendeva anche una risposta, quindi dovevo assolutamente tirarmi fuori da quella situazione senza però risultare una stralunata (cosa che invece dovevo essere).

In quel momento dalla scala stava scendendo Harry Potter, raggiungendo i suoi amici che lo stavano aspettando. I suoi capelli erano completamente spettinati e gli occhiali pendevano un po’ sul naso. Affrontava gli scalini con movimenti veloci e stava torturandosi le mani. Ancora una volta, pensai che quel ragazzo era troppo giovane per partecipare al Torneo e che fosse una pazzia farlo concorrere.

-Terra chiama Myra! Myra, ci sei? Hai sentito cosa ho detto?- chiese di nuovo William, avvicinandosi.

Il ragazzo stava fissando non più i miei occhi, ma le mie labbra che stavo tormentando col solito dito.

-Cosa? No, scusa, ero sovrappensiero. Sai com’è, con i M.A.G.O quest’anno sono più esaurita che mai!- ridacchiai isterica continuando a fissare i suoi occhi sulle mie labbra ed immaginando un mio possibile incontro con le labbra di William.

Sembravano particolarmente invitanti e, la curiosità di sapere come fossero i suoi occhi a distanza bacio, per poco non mi fece sporgere verso il suo corpo.

-Stavo dicendo- e qui abbassò un po’ la voce, costringendomi ad allungare il collo verso la sua bocca, verso la sua voce, come una falena attratta dalla luce – vorresti venire al Ballo del Ceppo con me?-

Le farfalle che avevo nominato precedentemente avevano preso a vorticare velocemente all’interno del mio stomaco e della mia testa. Stavo sognando o davvero il ragazzo per cui avevo una cotta mi aveva appena invitata al Ballo? E, cosa molto più importante, perché non stavo già gridando un entusiastico sì?

-Mi piacerebbe moltissimo- dissi con voce ancora più bassa della sua, per poi ripeterlo con voce normale.

Era una mia paranoia, o stavo davvero tremando? Le sue dita lasciarono il passamano avvicinandosi alla mia persona e, per un attimo, sperai in una carezza. Il ragazzo però poggiò semplicemente il pollice sul mio mento e, con movimenti circolari, lo toccò.

Il suo tocco, lo ammetto, fu come una scossa elettrica. Da un lato non volevo assolutamente staccare gli occhi dai suoi, dall’altro quel contatto iniziava a bruciare e rischiava di farmi morire per autocombustione. Non ero semplicemente cotta, ero carbonizzata ormai.

-Eri un po’ sporca, scusami- disse scostandosi distrattamente da me, mentre le farfalle nel mio stomaco avevano ricominciato a girare placidamente, creando un turbine di piacevole movimento – ora devo andare, ho gli allenamenti di Quidditch-

Si allontanò velocemente ed io rimasi alla base della scala, cercando una qualsiasi cosa su cui poggiare lo sguardo, conscia del fatto che le mie guance fossero in fiamme. I miei occhi si poggiarono su Nicole e Lucie che stavano avvicinandosi a passo di marcia. In men che non si dica le due iniziarono a tempestarmi di domande, cercando d’estorcermi la verità.

-Cosa è successo?- chiese Nicole toccandomi il braccio

-Ti ha baciata? Perché hai quella faccia da pesce lesso?- chiese Lucie

-Oddio è andata in catalessi, l’ha baciata- disse Nicole, voltandosi verso la nostra compagna di stanza.

Da qualche parte sentii la mia voce dire un “invito” e “Ballo del Ceppo”, ma i miei neuroni erano ancora troppo sovraccaricati (e sovraeccitati) per poter creare una frase di senso compiuto. Grazie a Morgana, le due capirono al volo e, tutte e tre, iniziammo a saltellare giulive e a gridare frasi stupide da femmine del tipo “oddio non ci credo”. Non che io fossi una femmina giuliva, ma diamine il ragazzo per cui ero carbonizzata mi aveva invitata al Ballo e mi aveva anche pulito il mento e aveva degli occhi particolarmente…

-Miseriaccia!- gridai allarmata, facendo fermare immediatamente le mie amiche –ragazze ho fatto una pessima figura! William mi ha pulito il mento perché ero sporca. Ecco perché aveva quella strana luce divertita negli occhi. Oddio gli sarò sembrata una bambina deficiente- mormorai sconfitta, sgonfiandomi come un palloncino.

Lucie e Nicole si guardarono complici prima di tirarmi verso le scale in direzione del nostro Dormitorio.

-Lo sai cosa farà dimenticare a te d’essere una completa cretina e a lui il fatto che tu sia attenta come una bambina di cinque anni?- chiese la prima strattonandomi un po’

-Cosa?-

-Un vestito assolutamente perfetto- rispose l’altra aprendo la porta della nostra Sala Comune e scostando il mio gatto Edgar dall’entrata oltre la Signora Grassa.

-Prendi il cappotto, dobbiamo andare a comprare qualcosa ad Hogsmade!- gridò eccitata la mia amica.
Io non ero tipa da shopping, né avevo uno stile ben definito. Non mi truccavo nemmeno! Fissai sconsolata quel gattone nero che era Edgar e, a ben pensarci, credo d’aver visto una nota di compassione passare nei suoi occhi. I suoi enormi occhi chiari furono l’ultima cosa che vidi prima d’uscire dalla Sala Comune dove il gatto, ritornato di nuovo padrone indiscusso della stanza, potè poltrire piacevolmente vicino al caminetto, beandosi della compagnia degli altri gatti della Casa Grifondoro.

Perfino il mio gatto era più Grifondoro di me! 


*lumos*
Salve gente, come va? Questa storia partecipa al contest "OC mania!" di ColeiCheDanzaConIlFuoco, per il quale dovevo creare un nuovo personaggio e collocarlo nel magico mondo di Harry Potter ed è così che è nata Myra! ( Piccola citazione di Edgar Allan Poe nel nome di William). Fatemi sapere cosa ne pensate (se dovete lanciare frutta, che sia almeno matura)
tanti cuori,
Em
*nox*
  
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