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Autore: Valvonauta_    14/06/2014    0 recensioni
Il Dottor John Watson è a pochi giorni dal suo matrimonio che lo legherà per sempre a Mary Morstan ma Sherlock, con la sua presenza, inconsapevolmente, insinuerà dei dubbi nella mente dell'amico, che, dopo due anni di assenza, inizierà a vederlo in un modo diverso e del tutto inaspettato...
Dal 1° capitolo:
«Watson osservò la figura slanciata e longilinea del suo compagno di avventura. Ancora non riusciva a credere che fosse vivo. A volte osservandolo accanto a sé, mentre lui era distratto e neanche lo considerava, gli pizzicavano stranamente gli occhi, in una maniera del tutto inedita, quasi si commuovesse della sua vicinanza.
Rivederlo di nuovo li, aveva dovuto ammettere, su quella poltroncina consumata dell’appartamento, certe volte gli dava euforia, gli veniva voglia di mettersi ad urlare dalla gioia ed abbracciarlo.
Focalizzò la sua attenzione al viso dell’uomo e notò quanto fosse… bello. Si, era bello.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Una scelta difficile
Capitolo 6 - Ritorno da te


Sto perdendo la ragione, sto perdendo la ragione, sto perdendo la ragione.
Questa litania continuò a ripetersi mentalmente mentre usciva trafelato con la testa tra le mani dall’appartamento di Baker Street.
Provò con tutte le forze a calmarsi, a rientrare da quello stato mentale, ma sembrava che non ci fosse modo di uscirne.
Da un lato il caos gli attanagliava la mente, dall’altra la paura gli rodeva il cuore.
Sherlock non solo aveva eluso il suo più grande interrogativo – quello per cui era rimasto rinchiuso in quei cinquanta metri quadri per tre giorni - ma aveva chiaramente espresso il desiderio – sotto forma di ordine (e prima ancora di azione) – di non volerlo vedere più.
Quella sua uscita scenica l’aveva sconvolto più di quanto avesse mai potuto immaginare.
Sul momento era rimasto quasi intontito, come se non potesse credere a quello che lui aveva detto e fatto. Poi avevano iniziato a punzecchiargli pericolosamente di occhi e si era ritrovato sbalzato in men che non si dica sull’orlo di un pianto. Ma fortunatamente era riuscito a tenere a freno l’enorme fiume di lacrime tramite la diga dei suoi occhi, stringendo le mani a pugno: aveva già patito troppo per lui, non voleva – e non poteva - continuare a quella maniera.
E dopo quella fase si era susseguita quella della rabbia e si era ritrovato a prendere a calci il tavolino e a strappare le riviste di Sherlock.
Ripensando a quello scatto d’ira improvviso gli venne quasi da ridere, dato che gli ritornò alla mente una scena ridicola di quei programmi che guarda Miss Hudson, dove ci sono queste primedonne, intente in scenate teatrali per la conquista del proprio uomo.
Che lui fosse diventato caratterialmente una donna isterica, un uomo senza palle a forza di stare dietro a Sherlock, a forza di compiacerlo?
Quel pensiero non lo fece poi così ridere.
Si incanalò in una vietta laterale scura, lercia e stretta, e lasciò che la nebbia che gli offuscava il flusso dei pensieri si diradasse.
Respirò, cercando di mettere a freno i battiti del cuore un po’ troppo accelerati.
Sono mezz’ora dopo fu in grado di staccarsi dal muro di mattoni scuri a cui si era appoggiato, un po’ più lucido, e con in mente ben chiara l’unica alternativa possibile: ritornare da Mary.
Dove sarebbe potuto andare altrimenti?
L’idea non era delle migliori, lo sapeva bene. A lei avrebbe detto la verità del perché del suo ritorno - in generale era un pessimo bugiardo, figuriamoci con lei che aveva la capacità di captare le emozioni altrui tramite un solo sguardo – e lei avrebbe sofferto, in silenzio, senza fiatare, lasciandogli il suo spazio.
Si rese conto di quanto enormemente la stava facendo soffrire, di quanto il modo in cui la stava trattando fosse profondamente ingiusto. E per chi? Sherlock Holmes, un idiota con uno stupido cappellino ridicolo quasi quanto i suoi atteggiamenti.
Non aveva molto senso, eppure lo stava facendo. Stava rovinando una bellissima relazione per una persona che era sempre stata egocentrica, incapace di vedere emotivamente al di là del proprio naso, che… diede un pugno al cassonetto della spazzatura poco vicino a lui, passandovi accanto.
Si fece male, ma non gli importò: la rabbia stava rimontando, di nuovo, e chi sa quante volte per colpa sua sarebbe successo.
Uscì dal vicolo e si avviò verso casa, la sua.
 
 
***
 
 
Bussò: non voleva coglierla di sorpresa, voleva che sapesse, almeno con qualche secondo di anticipo, grazie allo spioncino, chi si accingeva ad incontrare.
Sentì chiaramente qualcosa muoversi dietro al pesante portone e dei rumori di catenacci rimossi.
Ed eccola finalmente, in tutto il suo splendore casalingo: i jeans logori, la maglietta larga, una bandana a tirare indietro i corti capelli biondi.
“Hey” disse per prima. Sembrava sinceramente sorpresa di trovarselo davanti.
Si avventò sulle labbra della donna prima che avesse anche solo il tempo di aggiungere qualcosa, anche una sola sillaba.
Nelle sue intenzioni avrebbe dovuto trascinarla fino al letto, lasciare che i loro corpi si scontrassero, ma lei facendogli resistenza non glielo permise.
“John!” gridò una volta libera dalla sua stretta.
“Ti voglio” disse convinto, con voce dura sulla porta di casa, non curandosi dei possibili vicini che avrebbero potuto sentire.
La vide guardarlo con gli occhi quasi sgranati e la bocca socchiusa dallo stupore, per poi scoppiare improvvisamente in una risata.
E lui non poté fare a meno di chiedersi: cos’ho fatto perché oggi tutti mi ridano in faccia?
La risata durò poco, ma fu significativa di quanto John fosse incapace a sedurre una donna… o anche una carpa.
“Scu… scusami, tesoro… è che…” cercò di dire, ancora colta da alcuni attacchi di risate. “Sei buffo!”
Si sentì pizzicato nell’animo: “Buffo, addirittura?”
“No, no, non fare quella faccia, non è in senso negativo” tenne a precisare, ritornando seria.
“Immagino in che senso” e si ritrovò suo malgrado a sorridere, per la prima volta dall’inizio della giornata.
“Dai, entra playboy” disse prendendolo per una manica della giacca e trascinandolo all’interno, sbattendogli la porta dietro.
Lui la guardò, mentre lei ricambiava pienamente lo sguardo.
“Si sono un playboy!” e imitò le pose dei culturisti. Si ritrovarono entrambi a ridere.
Era un suo brutto vizio quello di fare l’idiota nei momenti di stallo, quelli in cui non sai che dire, in cui c’è imbarazzo.
Poi il tono grave di lei nella domanda successiva lo riportò alla realtà.
“Che ci fai qua?”
Lui smise di fare il cretino e sentì le spalle incurvarglisi sotto il peso di ciò che gli stava accadendo.
La vide incamminarsi verso la cucina, senza attendere una sua risposta, e sedersi al tavolo e lui silenzioso la seguì, prendendo posto accanto a lei.
Lei lo guardava in attesa di risposte, ma stentavano ad uscirgli dalla bocca.
“Mary, è difficile per me…” iniziò.
“Ho tempo, non ti preoccupare” lo interruppe risoluta. Voleva – pretendeva – delle risposte, e non poteva darle torto.
“La situazione con Sherlock è degenerata. Abbiamo chiuso.”
Ne seguì un lungo silenzio, che nessuno dei due sembrava avere intenzione di riempire.
“Non ci posso credere” e la donna si mise una mano davanti la bocca, dopo averlo guardato allucinata.
“Già” disse lui, abbassando la testa. “Da non credere che abbia passato tutti questi anni della mia vita all’ombra di uno stronzo del genere.”
“Oh, John caro” e la mano di lei si allungò ad accarezzargli una spalla e sentì la sua compassione passare attraverso i vestiti ed arrivargli sotto pelle.
“Non mi compatire Mary, non c’è niente da compatire” disse tirandosi un po’ indietro per evitare la sensazione spiacevole che quel tocco gli procurava.
Lei riportò immediatamente la mano verso di sé: “Perdonami”
“Fanculo, Mary, fanculo.”
“Perché dici così? Sei arrabbiato con lui, con me, col mondo…”
E il suo tono diventò arrabbiato: “Sherlock sta cercando di mandarmi fuori di testa, te lo dico io. Ma non ci riuscita quel bastardetto psicopatico. No, non ci riuscirà.”
Agitò un dito davanti a sé, a casaccio, per rimarcare il concetto.
Cercò di rassicurarlo, ma non aveva capito che così gettava solo benzina sul fuoco: “Non reagire così, vedrai che le cose si sistemeranno, come sempre, non temere.”
“Sherlock pensa solo a se stesso, al suo fottuto sedere, non pensa a me, agli altri, a nessuno, perché…”
Mary sembrò quasi cercare di difendere l’uomo: “Lo sai che è così, lo ha dimostrato più di una volta…”
Le parlò quasi sopra: “Non pretendo che mi tratti da amico, ma neanche da animale domestico!”
Lei questa volta non cercò nemmeno di replicare e lasciò che si sfogasse.
“Lascia i cadaveri in cucina per giorni, vi inserisce dentro chiavette usb dentro a delle buste sigillate e pretende che nessuno lo tocchi. E’ normale? E’ normale? No, perché se è normale… beh, beh…”
Si alzò in piedi e stringendo i denti continuò, quasi rischiando di urlarle in faccia: “Io ho chiuso. Non lo voglio più vedere. Basta.”
“Non sai quello che stai dicendo” lo contraddisse lei, con voce dolce.
“Ed invece si, Mary, lo so e come!” esclamò.
“Perché ce l’hai tanto con lui?” chiese, e lui bloccò ogni movimento.
Bella domanda, davvero. Però trovò qualcosa con cui replicare.
“Sono stato ad aspettarlo tre giorni a Baker Street, preoccupato per lui, che fosse rimasto morto in qualche sparatoria… o che ne so… e ritorna e gliene va anche a lui.”
Mary alzò brevemente un sopracciglio: “Per questo ce l’hai tanto con lui?”
“Si” disse sicuro, ma in fondo al cuore sapeva che non era così.
Vide gli occhi di lei scrutare i suoi in cerca di risposte, per un tempo lunghissimo, infinito.
Poi la vide alzarsi sospirando e abbracciarlo a livello del collo, stringendolo a sé forte.
Stettero abbracciati così, senza dirsi niente, per un bel po’ e il calore placido che emanava il corpo di lei riuscì quasi a fargli dimenticare tutto il resto.

 
 
   
 
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