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Non presto quanto
desideravo, ma almeno bello lungo! E parecchio denso di avvenimenti.
Nuovo capitolo per salutare l'estate che arriva. Buone vacanze a chi
fosse già partito o in procinto di farlo.
Mel Kaine
PS. In questo capitolo
succede una cosa la cui idea mi era stata ispirata da alcune fanfiction
che avevo letto quando iniziai questa, riportate nel primo capitolo.
Ringrazierò sempre quelle due autrici inglesi per le loro storie,
perchè è così che ho potuto iniziare questa, spinta dalla loro
ispirazione. Leggere è il cibo dell'anima.
The Heart of Everything
28 -
/ The howling /
Quella sera Sirius mangiava svelto ed in silenzio.
Pessimo segno, disse fra sé e sé Remus.
La causa per le sue proprietà non doveva essere cominciata nel migliore
dei modi e poi Harry lo aveva chiamato ancora ‘signore’.
La serata sarebbe diventata difficile, Lupin poteva prevederlo e
avrebbe voluto intervenire, ma Sirius non lasciò tempo a nessuno per
fare niente.
Ordinò ad Harry di seguirlo in salotto per un’altra inutile e
frustrante conversazione, probabilmente.
Nessuno poteva dire che Sirius non avesse provato qualsiasi strada con
Harry, nei limiti del tempo a sua disposizione e delle sue conoscenze
sui bambini, ovviamente.
Non era un cattivo padrino, questo lo avrebbe potuto vedere chiunque,
ma Azkaban non lo aveva lasciato con più pazienza di quando era entrato
e per sua natura Sirius desiderava ottenere i propri risultati subito,
senza mai comprendere quando invece era meglio ritirarsi per
riorganizzare la strategia.
Probabilmente si era convinto di riuscire a catturare l’attenzione del
figlio di James con i suoi ripetuti inviti a sedersi accanto, con i
suoi racconti su lui e James da ragazzi, con giornali di Quidditch e le
caramelle.
E questo, presumibilmente, avrebbe convinto qualsiasi altro bambino,
col tempo.
Ma non Harry.
Harry non era come gli altri bambini.
Remus ne era certo ormai.
C’era qualcosa nei suoi occhi, nei rari momenti in cui nessuno parlava
in salotto ed Harry si avvicinava al fuoco, qualcosa che possedeva una
profondità innaturale per i pochi anni che aveva vissuto. Qualcosa che
Harry condivideva con chi, come lui, Sirius e Snape, aveva visto
l’inferno ed era sopravvissuto per raccontarlo.
Ma Harry non avrebbe mai potuto ricordare la prima guerra contro
Voldemort, era troppo piccolo e quindi le ombre nel verde foglia dei
suoi occhi non avevano una spiegazione, ma lo inquietavano. Lo
lasciavano turbato, lo riempivano di dubbi che Remus non sapeva a chi
sottoporre.
Albus? Con la sua potente, sapiente mente? Con i suoi misteri e le sue
trame intrecciate?
Sirius? Con tutta la sua buona volontà? Con tutti i demoni della follia
e della vendetta?
Minerva?
Madam Pomfrey?
Severus Snape?
Certamente il Maestro di Pozioni non gli avrebbe mentito a discapito
del figlio di Lily. Dopo quelle parole sulle scale e quella lettera
Remus lo sentiva.
Qualcosa li legava, ma cosa?
Non ebbe modo di riflettere ancora perché Sirius lo interruppe con i
suoi goffi tentativi di attirare l’attenzione di Harry.
Prima aveva provato con le parole, poi gli aveva offerto dei dolci.
Ma il bambino aveva rifiutato.
“Il Maestro dice che non fa bene mangiare dopo… aver mangiato, signore.
Grazie, signore”.
“Certo, il ‘Maestro’…” sputò Sirius, gettando di lato la confezione di
biscotti che aveva comprato quel pomeriggio.
Si alzò in piedi.
“Perché lui sa cosa è bene e cosa è male” rise, sprezzante.
“Sirius” lo riprese bonariamente Remus.
“Non provare a difenderlo come fai sempre, è la verità e lo sai anche
tu – rispose Black, inalberandosi – anzi lo dovrebbe sapere anche
Harry. Giusto Harry? Vuoi sapere la verità sul tuo caro ‘Maestro’?”
“Sirius, per amor del cielo, ti rendi conto di quello che stai dicendo?
Credo che questa serata sia meglio concluderla qui…” fece per alzarsi
per portare su il bambino quando Sirius gli rispose.
“Oh no. No, no, no, Remus. Questo modo di fare non porta da nessuna
parte. Abbiamo aspettato, siamo stati pazienti, sono stato paziente, ma
in dieci giorni non gli ho mai sentito pronunciare neppure il mio
cognome. Naturalmente sono sicuro che sia colpa del maledetto Snivellus
eppure bisogna chiarire le cose, qui, adesso”.
La situazione stava precipitando, Remus non sapeva cosa aspettarsi,
impercettibilmente cercò di farsi vicino ad Harry. Non pensava
veramente che Sirius gli avrebbe fatto del male, ma doveva ammettere di
non conoscere più così bene il suo amico come faceva finta di credere.
Era già passata quell’ora della sera in cui arrivavano i suoi demoni, i
suoi tentativi con Harry avevano impegnato tutto il resto del tempo e
le ombre nei suoi occhi già neri si stavano facendo dense.
Cercò di riportare l’attenzione su di sé.
“Cosa vorresti chiarire, Sirius? Ti rendi conto che Harry ha troppi
pochi anni per capire una storia complessa come la nostra? Un giorno
saprà e potrà decidere, ma non puoi coinvolgerlo nel tuo risentimento,
non è giusto per lui”.
“Certo e quello che è giusto per me? Nessuna giustizia per Sirius Black
incarcerato senza prove e marchiato come assassino mentre adesso l’eroe
è Snivellus. Intrepido cavaliere senza macchia né peccati. Tsk!”
“Questo non ha nulla a che fare con Harry”.
“Ha tutto a che fare con Harry, invece. Sono stanco del suo fantasma
fra di noi. Harry è dove dovrebbe essere e imparerà a farselo andare
bene”.
Ecco.
Era il momento.
Anche qui sapeva che sarebbe arrivato, ma come la volta precedente
quando era stato portato via e anche se se lo era aspettato era stato
malissimo, anche ora sapeva, aveva immaginato, ma non poteva fare
niente per mandare via quella paura grandissima che lo stava afferrando.
Il signore era furioso, furioso come Zio Vernon, anche se non diventava
tutto rosso in viso perché era magro, si vedeva bene che era arrabbiato.
Ora Harry sapeva cosa fare, cosa non dire, come comportarsi, ma non ci
riusciva.
La paura gli impediva di muoversi e anche se quello che il Maestro gli
aveva detto sui grandi, che non avrebbero dovuto fargli male, che non
era giusto, gli era sembrato così vero e bello sapeva anche,
soprattutto adesso, che la realtà non era così.
Che ci sarebbero sempre stati dei grandi che avrebbero voluto fargli
del male e lui non sarebbe riuscito a fare niente per fermarli.
In quegli attimi di puro terrore tutto quello al quale poteva
aggrapparsi era il suo posto segreto nella mente, quello in cui
rivedeva il Maestro accanto al camino che lo invitava sulle sue
ginocchia.
Quanto desiderava vederlo, farsi stringere dalle sue braccia, farsi
accarezzare sulla testa dalle sue mani grandi, sentire la sua voce
profonda avvolgerlo.
Cominciò a piangere mentre i ricordi della vita prima del Maestro e di
quel momento si confondevano. Alzò due occhi disperati sul signore dai
capelli chiari che era vicino a lui.
Sapeva che non avrebbe dovuto, non in quel momento, non con il signore
furioso, pronto a portarlo vicino alle scale per picchiarlo, ma non
aveva potuto fermarsi.
Voleva il suo uomo-Sevreus, lo desiderava con tutte le sue forze.
“Dov’è il Maestro? Posso vedere il Maestro, per favoreperfavore… ?”
A quelle parole Sirius perse il controllo.
Veloce come un’ombra afferrò il bambino per le spalle e lo scrollò con
impeto.
“NON C’E’ NESSUN MAESTRO. NON LO VEDRAI PIU’. BASTA! SMETTILA DI
CHIEDERLO! SMETTILA!” gli urlò sul viso prima di rinsavire e
allontanarsi bruscamente.
Nel silenzio innaturale, mentre le lacrime di Harry gocciolavano ancor
più copiose sui suoi vestiti e sul pavimento Remus si pose di fronte a
bambino e guardò Sirius con uno scintillio pericoloso negli occhi
venati di giallo.
“Ti consiglio di ritirarti nelle tue stanze. Adesso”.
Sirius si passò una mano fra i capelli, improvvisamente conscio di
quello che era accaduto, di quello che aveva fatto.
In perfetto silenzio il bambino piangeva, immobile come uno di quei
nanetti di gesso nei cortili.
Il suo amico era furibondo. La situazione irreparabile.
“Remus per favore… io… lo sai che…”
“Le mie congratulazioni per esserti comportato esattamente come Snape
aveva predetto”.
Si guardarono un istante, mentre Remus consapevolmente affondava la
lama nella sua ferita più aperta.
Ma la conversazione doveva essere rimandata.
Senza aggiungere altro Sirius sparì su per le scale.
Rimasto solo nell’angosciante ticchettare del pendolo di quella sala
Lupin si volse per occuparsi del bambino.
Ancora una volta la sensazione di qualcosa di profondamente sbagliato
lo avvolse quando vide il piccolo Harry restare immoto nell’esatto
punto in cui era stato afferrato, le lacrime che gli bagnavano
completamente il viso e la maglietta, ma nemmeno un suono, un
singhiozzo, un fiato.
“Harry?”
“Sì… signore?”
Nessun capriccio, nessun urlo, nessuna crisi.
Niente.
“Parliamo, Harry”.
“Sì, signore”.
Quella risposta automatica, quella postura statica, quegli occhi
profondi e bui ed enormi. Silenzio. Che si allungava, che cresceva in
un vuoto che sembrava espandersi dallo sguardo di quel bimbo a tutto
l’universo intorno.
La sensazione si fece terrificante, soffocante.
Remus si sedé sul divano.
“Fai un passo avanti, Harry”.
Un solo passo.
La piccola schiena diritta come un palo, le mani chiuse.
Un soldato? Un servo?
“Un altro Harry, vieni qui”.
Ancora un ordine eseguito, le lacrime che scorrevano.
Tutto era così innaturale, claustrofobico.
Harry era davanti a lui, Remus avrebbe voluto sollevarlo e prenderlo in
braccio come aveva fatto innumerevoli volte con tutti i bambini che
aveva incontrato.
Ma quando fece per sollevarlo con delicatezza lo sentì irrigidirsi
completamente, come un blocco di granito. Se i suoi occhi non fossero
stati fissi sul pavimento vi avrebbe di sicuro letto dentro la volontà
di dimenarsi, di scappare. Quando aveva allungato le mani per prenderlo
non gli era sfuggito il lieve scatto indietro del suo corpicino.
Lo lasciò subito andare, come scottato.
“Possiamo parlare anche così, giusto Harry? Io qui e tu lì. E’ meglio?
Ti senti più… a tuo agio?”
“Sì, signore”.
Remus sospirò.
Era impensabile affrontare tutti i pensieri che aveva in testa in quel
momento.
Dopo quell’attimo di follia il bambino aveva solo bisogno di essere
lasciato in pace, ma Remus doveva, voleva almeno gettare le basi per
recuperare quello che Sirius aveva buttato al vento.
“Sai che Sirius non voleva fare quello che ha fatto?”
Silenzio.
“Sì, signore”.
Silenzio.
“E’ vero che ha sbagliato, ma sono sicuro che è già dispiaciuto e che
non lo farà più. Sirius, il tuo padrino, ha avuto molti problemi in
questi giorni e anche se questa non deve essere una scusa ho bisogno
che tu lo sappia, Harry. Che tu capisca che è molto… provato”.
Silenzio.
“Ti prometto che farà attenzione, che faremo attenzione, anche io,
affinché non capiti più. E’ stato un attimo di… rabbia, ma lo conosco
bene Harry, si è già pentito e domani ti chiederà scusa, vedrai”.
Silenzio.
“Va bene, Harry?”
“Sì, signore”.
Silenzio.
“D’accordo, andiamo a letto, è stata una giornata… lunga”.
Lo accompagnò su, si assicurò che entrasse in camera poi scese a
prepararsi del tè bollente.
Ne aveva bisogno.
Naturalmente avrebbe anche potuto raccontare ad Harry che Sirius era in
realtà una scimmia con un vestito a pallini scesa dalla Luna e la
risposta sarebbe stata sempre ‘Sì, signore’.
Vuota, ripetitiva, priva di qualsiasi sentimento.
Le cose stavano precipitando, se lo era già ripetuto fin troppe volte,
ma non sapeva come fermarle.
Rimase a riflettere fino alle prime luci del mattino poi si ritirò in
tempo per sentire Sirius uscire di casa.
Il feroce malditesta che lo tormentava dalla sera prima non si era
placato nemmeno un attimo e lo lasciava senza la concentrazione per
decidere quali tomi prendere da portare via.
Si era preparato una lista mentre ingoiava scotch nel buio di una sala
dal camino spento.
Il libro piccolo a destra no, il secondo sotto da sinistra sì, i due
trattati sulla scrivania alle fiamme e poco sotto la scatola dei
compiti…
La scatola dei compiti ad Albus, così che potesse farla avere ad Ha….
al piccolo Potter.
Forse non gliel’avrebbe neppure consegnata di persona, un elfo poteva
farlo al posto suo.
Vedere Albus era inutile, inutile e dannoso.
E naturalmente non appena ebbe finito di pensarlo sentì la sua presenza
fuori dalla porta.
Gli garantì l’accesso senza alzarsi, tentare di chiudere la porta in
faccia al padrone di casa non aveva nessun senso.
Passò molto tempo prima che uno di loro parlasse, ovviamente fu Albus a
farlo per primo.
“Ragazzo mio, nel caso, pensavi di passare per l’ultimo saluto o avevi
immaginato di allontanarti nella notte?”
Inutile chiedersi come facesse quel dannato vecchio a sapere qualcosa
che Severus non aveva ancora deciso.
Certo, aveva accarezzato l’idea più di una volta…
Ah, la disperazione portava sempre verso gesti teatrali, come gettarsi
ai piedi di un Signore Oscuro o vendersi subito dopo al suo nemico…
Non che li sentisse ‘consoni’ alla sua indole, ma non si poteva certo
scegliere cosa provare e le azioni avventate erano tali proprio perché
nessuno si sedeva prima a ponderarle.
“Non saprei, Preside, abbiamo altro da… dirci?”
“Volevo soltanto assicurarmi di avere il tempo di chiederti se posso
fare qualcosa per te, ragazzo mio. Qualcosa che desideri, per farti
cambiare intenzioni, magari”.
Severus posò lentamente il bicchiere vuoto che aveva in mano e chiuse
gli occhi.
Anche attraverso le trame fitte dell’oscurità in cui erano immersi era
come avere quel viso davanti agli occhi, continuamente.
Serrare le palpebre non lo cancellava, ma almeno fermava quelle lacrime
folli, vergognose.
“Harry. Semplicemente voglio Harry. Le mie stanze non sono mai sembrate
tanto vuote” sussurrò.
Albus chinò la testa, rammaricato.
Poi, incredibilmente, fece la cosa che Snape meno si aspettava da lui.
Rise.
Non era certo una delle sue risate gioviali, ma questo non lenì il
dolore e la furia che Severus improvvisamente sentì per quello scherno.
“Quanto devo essere caduto in basso se persino il sensibile,
compassionevole Dumbledore ride di me – sibilò trattenendosi a stento
dall’alzarsi per buttarlo fuori con le sue mani. – Lasciami, prima che…”
“No, no, ragazzo mio, non adirarti. Questa risata vuota non era per te,
come potrei, non mi conosci forse abbastanza? Ridevo di me stesso, dei
miei piccoli sotterfugi, dei miei mirabolanti piani segreti, Severus.
Di come tutto sia andato esattamente nella direzione che meno
desideravo e adesso ho perso il piccolo Harry, ho perso Sirius e Remus
e sto per perdere te. Te, che con tutte le mie forze ho provato a
salvare dal dolore e ripetutamente ho deluso”.
Per la prima volta da quando era entrato Severus si volse a guardarlo.
Per la prima volta sembrava quello che era. Un vecchio stanco, un
monarca sconfitto.
“E’ così. Sembrava proprio ciò di cui avevamo bisogno, Severus. Ciò di
cui avevi bisogno. Una ragione per continuare”.
“Non temere, quando sarà il momento tornerò per compiere il mio dovere,
non tradirò la mia parola se questo è quello che ti preoccupa”.
Albus scosse la testa, mestamente.
“No, è più di questo, per quanto tu possa non credermi, e ne hai tutti
i diritti, è più di questo. Non cercavo un motivo per farmi obbedire,
so che alla fine farai sempre la cosa giusta, nonostante i tuoi ordini,
nonostante me, nonostante tutti. Ma questi anni, Severus, per te
sarebbero passati come una lenta, vuota agonia. Non possiamo vivere
senza una ragione nel nostro cuore. Nemmeno tu. E volevo darti quella
ragione, qualcosa, qualcuno, il figlio di Lily, l’unico legame con lei.
Non volevo un soldato grato di morire per terminare la propria
sofferenza, voglio un uomo che combatta per la libertà di vivere
felice.”.
Severus non lo interruppe, come avrebbe potuto con la gola serrata da
emozioni che non voleva provare.
Lo sentì alzarsi, farsi vicino. Nel buio poteva vedere quei suoi
dannati occhi brillare.
“Tu devi essere qui con me, Severus, perché quando la lotta contro il
male che attanaglia il nostro mondo si farà aspra, quando io mi
spingerò troppo oltre il buonsenso, quando non vedrò altro che un’arma
in quel bambino tu dovrai essere qui a mitigare il suo dolore, a
minacciarmi, a mettere un freno alla mia follia, per non lasciare che
io divenga peggiore di Voldemort nella mia battaglia contro di lui”.
L’anziana voce tremò impercettibilmente, prima di spegnersi nella
quieta oscurità.
Severus ingoiò il groppo in gola che non si era accorto di avere.
“Sono finito vittima delle mie stesse macchinazioni, mio caro ragazzo,
e non posso biasimare nessun altro per questo, se non me stesso. Non mi
devi niente, sei libero di trovare la tua pace dove meglio credi”.
E con queste ultime parole se ne andò, senza voltarsi.
La notte si prospettava molto più lunga di quanto Severus non avesse
immaginato.
Il mattino avrebbe portato la sua decisione.
Il piccolo Harry sognò il signore quella sera. Alto, enorme,
minaccioso. Lo inseguiva, lo afferrava, lo scuoteva e poi lo portava da
zio Vernon e si sedevano tutti sul divano, il signore, Zio Vernon, Zia
Petunia, i signori col cappuccio nero e gli dicevano ‘Da adesso vivrai
con noi ed imparerai a fartelo andare bene’ …
‘…a fartelo andare
bene’…
‘… bene’…
Si svegliò di colpo, spaventato, in lacrime, non cadde dal letto solo
perché non ci era mai salito, non era permesso, non era permesso il
letto, non erano permessi i libri, non era permesso chiedere del
Maestro, non era permesso più essere felici.
Si coprì gli occhi con le piccole manine e pianse in silenzio fino a
che fuori non si fece giorno.
Attese con paura tutto il tempo che si facesse sera. Non voleva
rivedere il signore, non voleva di nuovo essere afferrato. Il signore
dai capelli chiari aveva detto che l’altro signore aveva sbagliato, ma
non lo aveva fermato, non era come il Maestro. Il Maestro lo aveva
sempre difeso, quando uno dei signori incappucciati che li avevano
portati via tempo fa lo aveva sollevato per le braccia il Maestro si
era gettato contro di lui e l’aveva colpito per salvare Harry. Anche se
il signore dai capelli chiari sembrava buono non aveva difeso Harry,
non aveva allontanato l’altro signore, non l’aveva protetto come il
Maestro aveva fatto. Non si aspettava nessun aiuto da loro. Era solo.
Solo.
E la sera arrivò. Harry era sempre più agitato. Non riusciva a stare a
sedere in terra vicino alla vecchia poltrona. Il signore dai capelli
chiari era lì con lui, leggeva e lo guardava ed Harry sapeva che
aspettava anche lui che l’altro signore tornasse così da poter vedere
lo spettacolo quando Harry sarebbe stato picchiato, esattamente come
faceva sempre Dudley.
Perché? Perché tutto l’orrore era ricominciato? Perché non poteva
essere felice? Perché doveva sempre avere paura?
Perché?
Remus guardava il bambino, sfogliando distrattamente un libro di
Incantesimi, sospirando.
Il figlio di James sembrava profondamente angosciato, guardava in
continuazione la porta, poi lanciava occhiate furtive verso di lui e di
nuovo cercava di rimanere fermo anche se si vedeva perfettamente che
avrebbe voluto muoversi, correre, fuggire.
Harry non sembrava affatto un bambino, ma un adulto in miniatura.
Lui e Padfoot non sapevano niente della sua vita con i suoi parenti
prima di Hogwarts e, dannazione, non sapevano nulla nemmeno della sua
vita assieme a Snape. Sirius non aveva pensato ad altro che a prendere
il bambino per portarlo lontano dal suo acerrimo nemico, non aveva
domandato niente, non aveva chiesto niente e se non fosse stato per
quella lettera avrebbero continuato ad essere all’oscuro persino delle
cose più banali sui suoi bisogni.
Erano stati stupidi. Stupidi e presuntuosi.
Cosa sarà mai occuparsi di un bambino? L’avevano pensato, sia lui che
Sirius, doveva ammetterlo, e adesso non sapevano affrontare
la situazione.
Che idioti!
Intanto l’agitazione del piccolo Harry cresceva, si guardava intorno
come un animale in gabbia, in attesa di essere ucciso e mangiato.
Quando si sentì in lontananza il rumore di Sirius che rientrava il
bambino sussultò vistosamente e prese a guardare la stanza. Sembrava
davvero cercare un posto dove nascondersi eppure non si mosse
nonostante il terrore nei suoi occhi.
Remus si alzò per dargli qualche parola di conforto e calmare la sua
agitazione, ma non fece in tempo a dir nulla per rassicurare Harry che
non gli sarebbe stato fatto alcun male. Sirius spalancò la porta
della biblioteca e cercò subito Harry con gli occhi.
Gli si avvicinò troppo velocemente per la sanità mentale del bambino e
quando si fermò a riflettere era ormai troppo tardi.
Harry si era accucciato sulle ginocchia e con le mani si riparava la
testa come se si aspettasse di essere colpito senza pietà.
Il dolore che esplose negli occhi di Black non era paragonabile nemmeno
ad un Cruciatus.
Remus si fece vicino per offrire conforto sia all’uno che all’altro.
“No, no, Harry, non avere paura di me – lo pregava Sirius, la voce
supplichevole, sincera. – Ti prego, Harry, mi dispiace per ieri, ti
chiedo scusa, non avrei dovuto, non volevo, te lo giuro, ci sono tante
cose che non sai che sono successe fra me e… il Maestro, ma credimi,
non voglio farti del male. Per farmi perdonare ti ho portato un regalo,
tieni, Harry, prendi”.
E così dicendo gli allungò un pacchetto oblungo.
Il piccolo Harry si permise di aprire un occhio.
Spiò il signore e sembrava che dicesse la verità. Gli aveva chiesto
scusa e gli aveva comprato un regalo. Sembrava gentile, sembrava capire
di avergli fatto male.
Molto, molto lentamente si rialzò appena ed il signore gli mise fra le
braccia il suo regalo.
Era il secondo regalo di tutta la sua vita e non poteva farci niente,
anche se aveva ancora paura, era così bello ricevere un regalo.
Lo guardò a lungo, prima che il signore parlasse all’improvviso,
spaventandolo un pochino.
“Aprilo Harry. Apri il pacchetto”.
Fece come gli veniva detto e lo scartò.
Quello che provò quando lo ebbe aperto non avrebbe potuto farlo capire
a nessuno.
Un dolore così grande che dallo stomaco gli salì alla testa
riempiendogli gli occhi di lacrime disperate.
Una scopa.
Questo era quello che si meritava per essersi dimenticato il suo posto.
Doveva stare zitto e lavorare. Sudicio, piccolo, disgustoso verme.
Come aveva potuto pensare che qualcosa era cambiato, che forse era vero
che non tutti i grandi erano come i suoi zii.
Il signore era esattamente come suo zio.
Il signore era suo zio.
E gli regalava una scopa, così che Harry non dimenticasse mai che prima
o dopo avrebbe dovuto lavorare per guadagnarsi da mangiare e se avesse
parlato o si fosse rifiutato il signore l’avrebbe afferrato. Gli aveva
fatto vedere il giorno prima cosa l’aspettava e adesso gli aveva dato
il suo lavoro da fare ed Harry era così triste perché tradiva il
Maestro, ma non avrebbe detto di no. Era troppo importante poter
mangiare e dormire al chiuso, così un giorno sarebbe diventato grande e
sarebbe scappato ed avrebbe cercato il Maestro.
Adesso doveva solo fare quello che gli chiedevano.
Sapeva bene cosa dire e cosa fare e lo avrebbe detto e fatto.
Per il Maestro.
Guardò il signore, stringendo forte il manico della piccola scopa al
petto.
“Grazie molte, signore”.
E nel silenzio e nello stupore Sirius e Remus lo videro andare in un
angolo della sala e cominciare a spazzare.
Quei suoi occhi verdi, profondi come incubi, afflitti come quelli di un
uomo morente avevano chiuso loro la bocca.
Si guardarono senza capire perché Harry non saltava di gioia a cavallo
della sua nuova Nimbus per volare nella stanza e perdonare loro le loro
colpe.
Lupin si passò una mano sul viso.
Un gesto che tradiva la sua enorme inquietudine. Ancor più preoccupante
in un uomo pacato e sereno come lui.
“Non capisco, Remus. Harry, cosa stai facendo?”
Il bambino li guardò, terrorizzato.
“Harry ha sbagliato stanza? Se il signore dice ad Harry quale deve
pulire Harry la pulisce, signore”.
“No, non devi pulire, Harry e perché dici ‘Harry’, io… Remus, cosa
significa?”
Il suo amico lo guardò negli occhi, impotente.
“Sirius, dobbiamo guardare in faccia la realtà. Non siamo pronti ad
affrontare tutto questo”.
Il tempo era scaduto. Sentiva che fuori, metri e metri sopra di lui, il
sole sorgeva.
Il tempo era scaduto.
Lasciare o combattere.
Il nulla lo chiamava. Lo invitava sinuoso a lasciarsi ammaestrare, gli
avrebbe insegnato a non avere scopi, non avere voleri, non avere
desideri, gioie, affetti preziosi, ma al tempo stesso prometteva niente
più dolore, nessuna afflizione.
Quel nulla che lo conosceva bene, che faceva leva sui ricordi di quella
notte, gli occhi vuoti e morti di Lily, il suo cadavere a terra, come
spazzatura.
Non si sarebbe mai più sentito come quella notte semplicemente perché
non avrebbe avuto più niente e nessuno da perdere.
Mai più.
Nessuna felicità, nessun dolore.
Sembrava equo, sembrava giusto.
Ma non avrebbe accettato.
Aveva perso troppe battaglie, adesso era tempo di vincere la guerra.
Avrebbe usato tutte le armi a sua disposizione.
Avrebbe fatto l’impossibile.
Era tempo di riprendersi Harry.
Continua…
Nota
grammaticale: per mia decisione personale in
questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono
mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per
rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché
non approvo la dilagante malattia del
‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi
è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini
italiani corrispondenti. Grazie mille.
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