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Autore: kuutamo    17/06/2014    2 recensioni
[David Garrett ]
Beeeene, credo sia la prima fanfic su Garrett XD quindi non ha una categoria-.-
"Arrivò e mi baciò la mano, come facevano i gentiluomini che erano vissuti secoli e secoli prima, appartenuti ad un'altra epoca, un altro mondo, assolutamente lontano, ma che in quel momento, in quel palazzo, mi sembrò così vicino. Talmente vicino da portello toccare e respirare."
Buona lettura!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: 

Questa è una dream-fiction, o almeno così le chiamo.

Ho inserito un asterisco (*) nel punto in cui ho realmente immaginato la canzone. Se volete potete metterla su e godervi al meglio la storia.

La canzone è "Quando viene dicembre", e direi che lo immaginata proprio a pennello.

 

 

 

 

 

 

 

 

La stanza era piena di gente; persone con cui ero cresciuta, familiari e altre persone che non avevo mai visto. Tra di loro un uomo con i capelli chiari sfogliava un libro antico, con fare disinvolto: sembrava assorbito del tutto da quello che stava facendo, ma in qualche strano modo si accorse che i miei occhi aleggiavano curiosi su di lui come le ali di un corvo. Prima alzò lo sguardo dalle pagine e poi levò il capo verso di me, scostandosi alcune ciocche ribelli che gli erano finite davanti agli occhi. 
Non riuscivo a ricordare dove avevo visto quel ragazzo. Mi era talmente familiare, che avrei giurato di conoscerlo.
Quando incrociammo gli sguardi la sua espressione si distese in un sorriso: allora mi conosceva. Forse.
Tornò alle sue letture e io m'impegnai per scuotermi e muovere in avanti quei piedi.


Andai alla finestra, alla destra del  divano color verde scuro, e mi affacciai.
Faceva caldo quel giorno e c'era talmente tanta luce, che non riuscivo a veder nulla al di là del mio naso. Era tutto colorato e pervaso da un bianco spettrale. 


All'improvviso mi sentii afferrare per i fianchi e quando mi voltai di scatto scoprii con sorpresa che era lui: il ragazzo che leggeva.
Mi rivolse un'espressione dolce, la più dolce che avessi mai visto. Sembrava conoscermi, ed io sentivo la stessa identica impressione dentro di me.
Qualcosa mi attirava verso di lui, una forza magnetica, ma non sapevo cosa. Non riuscivo davvero a capirlo.
Mi prese le mani e mi condusse sul divano verde, dove mi fece sedere per prima, e poi mi seguì, posandosi vicino a me, cingendomi delicatamente le spalle con il suo braccio.
Aveva una t-shirt viola, consunta ormai, ma mi piaceva così com'era infondo.
La cosa che mi colpì di più fu il suo odore : era come se profumasse di un fiore sconosciuto, misto ad un olio di vaniglia, che si avvertiva appena dopo la prima inalazione.
Sembrava straniero, o meglio, aveva i tratti somatici diversi da quelli della gente che vedevo tutti i giorni. Il suo viso sembrava appartenere ad alti tempi, un viso rilassato, dai tratti gentili. La barba ricopriva quasi completamente le mascelle e contrassegnava ancor di più il contrasto con il collo, incorniciandone la forma squadrata. 
Gli occhi allungati, scuri e caldi; le ciglia foltissime che allungavano lo sguardo e lo rendevano ancor più profondo. Le sopracciglia scure disegnavano un arco attorno.
Mi guardò e mi sorprese con le mani nel sacco, e con gli occhi letteralmente intrappolati nei meandri del suo volto.
Mi sorrise, e vidi per la prima volta i suoi canini, che sporgevano un po', toccando il labbro inferiore. La bocca carnosa , impegnata a sfoderare un sorriso mozzafiato.
Improvvisamente mi baciò sulla fronte e io chiusi gli occhi, sentendomi in pace.
Poi, come se fosse stata la cosa più naturale e spontanea sulla faccia della terra, mi appoggiai al suo petto, inspirando a fondo. 
Lui si sistemò meglio e mi strinse ancor più forte.
Sentivo il calore del suo corpo avvolgermi totalmente: ero come chiusa in un bozzolo di calore e felicità, al sicuro da tutto e tutti. E maledettamente in estasi.
Tenevo la mano sinistra appoggiata anch'essa al petto: sentivo il suo cuore battere regolare e poi accelerare, forte, sempre più forte.
Gli rivolsi un altro sguardo di nascosto notando il suo collo da un'altra angolatura. Abbassai di nuovo lo sguardo verso l'addome e mi accorsi in quel momento della sua cintura. 
Era una catena a cui erano legate più catene, con dei ciondoli verdi e altri color argento. Ne presi in mano uno per vedere meglio e mi accorsi che erano piccoli teschietti. 
Lui se ne accorse e mi guardò stupito: gli feci segno toccandomi attorno alla vita prendendo la mia cintura; anch'io ne avevo una simile alla sua, quasi totalmente uguale a dir la verità. 
Mi sorrise di nuovo e poi si alzò prendendomi delicatamente per la mano, portandomi con se.














Mi ritrovai in un corridoio buio, da sola, da dove riuscivo a vedere una luce relativamente lontana. Ma cos'era?
Mi avvicinai, di più e ancora: una porta. Una porta antica, con delle tende ai lati, una porta di un palazzo.
Quando fui abbastanza vicina alla luce, uno strano luccichio proveniente dalle mie gambe catturò la mia attenzione: un vestito.
Man mano che mi avvicinavo alla famigerata porta da dove filtrava la luce, il vestito si svelava a me : era nero, o blu, forse. Velato, e dalla pesantezza doveva avere diversi strati in tulle e raso. Sulla superficie riuscivo a sentire la grana dei brillantini della stoffa. Mi cinsi la vita e mi accorsi che era molto avvitato, e da quel punto in poi era arricciato , per permettere alle pieghe lunghe e profonde di ondeggiare ad ogni passo. Aveva una scollatura a cuore, dai tratti morbidi e non molto accentuati, e dalle spalle partivano delle maniche a tre quarti, molto ampie e larghe, ariose, fatte di un velo trasparente tendente al blu. Avevo i capelli raccolti e qualcosa incastonato tra essi. Solo due ciocche rosse scendevano giù dalle tempie.


Finalmente raggiunsi la porta, e varcai quella soglia: appena misi piede nella stanza per poco non svenni. Era davvero un palazzo: tempestato di tappeti, con lunghi drappeggi che si calavano dalle alte finestre in vetro colorato. Nell'aria si distinguevano bene l'odore del legno e quello dei colori ad olio. Feci qualche passo in avanti e mi accorsi di trovarmi al piano superiore: da lì infatti potevo affacciarmi dalla balconata e vedere la meraviglia. Una lunga e grande scala di marmo bianco portava ad una sala da ballo, lunga e infinita, il pavimento lucido in legno chiaro: gli immensi dipinti dei discendenti di una famiglia che sembrava molto importante si alternavano alle enormi finestre colorate e costeggiavano entrambe le pareti opposte della sala. Dai soffitti alti pendevano lampadari maestosi, frutto delle mani di artigiani esperti e maestri ; le gocce di cristallo brillavano come goccioline d'acqua al sole, anche quelli più minuti, emanando una luce che andava dalle tonalità del blu al verde.E infine, infondo alla stanza c'erano delle sedie, poltrone tappezzate dalle stoffe più pregiate, dai velluti più morbidi. Avevano l'aria di essere dei troni.


*All'improvviso delle deboli note pervasero l'aria, invadendola  con dolcezza. Una dolcezza che avevo già assaggiato prima.
Ci vollero poche note perché mi accorgessi che conoscevo quella strana e dolce melodia. 
Man mano che la musica si fece più forte riuscii a capire da dove venisse e guardai dritto davanti a me: infondo alla sala da ballo c'era una figura in piedi che porgeva in collo verso sinistra, cullato dalle note che le sue dita percorrevano con perfetta maestria premendo dolcemente le corde del suo violino. Con passione. 
Quando si voltò, mostrandosi a me, mi resi conto che nel profondo sapevo fin dall'inizio chi fosse. 
Era lui, quell'uomo misterioso con cui attimi prima mi ero sentita perfettamente a mio agio.


Ma cosa ci facevo lì? Dov'ero?
Quel luogo d'altri tempi era spuntato dal nulla, semplicemente venendo fuori alla fine di un corridoio buio. Guardavo il pavimento lucido oltre la scala da cui stavo ammirando quel miracolo di bellezza, e mi accorsi che David stava venendo verso di me.
-David?-
La mia mente era molto confusa, come se fosse stata annebbiata da nuvole di luce.
David continuava a suonare mentre attraversava l'immensa sala deserta, i suoi passi scanditi sul pavimento in legno. 
Vestito di tutto punto, in nero, sembrava quasi un miraggio, mentre una rosa blu scintillava, sbucando fuori dal taschino.
Mi guardava, continuava a guardarmi in maniera fissa e costante, quasi come se suonare fosse totalmente superfluo.
Quando arrivò ai piedi della scala vi posò con delicatezza il violino, e solo allora mi accorsi magicamente dell'orchestra che continuava a suonare al suo posto la canzone dimenticata. Arrivò e mi baciò la mano, come facevano i gentiluomini che erano vissuti secoli e secoli prima, appartenuti ad un'altra epoca, un altro mondo, assolutamente lontano, ma che in quel momento, in quel palazzo, mi sembrò così vicino. Talmente vicino da portello toccare e respirare.
Al suo contatto un brivido si sprigionò in tutto il mio corpo, raggiungendo gli angoli più remoti e segreti della mia anima. Le sue mani erano esattamente come piacevano a me, perfette in ogni loro venatura ed ombra. La musica le aveva modellate per me.
Mi prese dalle mani e mi studiò per bene: pregai di sembrare almeno decente, anche se avevo un vestito fantastico, cosa che doveva sicuramente stonare sul mio corpo imperfetto. Invece a lui parve piacere, toccò la stoffa blu all'altezza della coscia, verificandone la consistenza, ma sembrava più interessato a capire se fossi vera, o soltanto un'allucinazione. O almeno così mi parve.
Mi guidò verso la balconata marmorea, diafana, e mi ci appoggiò contro: continuava a studiarmi, a guardarmi, ad imprimersi ogni particolare, come se avesse il timore di dimenticarli troppo in fretta.
Poi mi guardò negli occhi, con determinazione, cingendomi la vita e il busto con le braccia possenti in cerca di complicità.
Ed era semplice, era così naturale abbandonarsi a quelle braccia che quasi mi stupì. Non avevo idea di chi fosse, eppure mi sentivo al sicuro. Eppure mi sentivo legata a lui, come se lo conoscessi da sempre, come se facesse parte della mia vita, come se fosse totalmente mio.
Appoggiò la sua fronte sulla mia e rimase a guardarmi, non perdendo mai quel sorriso dolce che permeava le sue labbra. Sfiorava il mio naso, inalava il mio odore socchiudendo gli occhi, cercava il mio sguardo e adulava la mia bocca.
I cuori battevano più forte, e intanto la musica si agitava, riflettendo ogni fibra dei nostri corpi, che stavano entrando in collisione, pericolosamente.
I nostri nasi si accarezzarono e le bocche iniziarono  a  sfiorarsi in una danza infinita, fatta di sospiri e sguardi ammiccanti.
Le labbra si accarezzarono lasciando la propria essenza sulle altre. David assaggiò il mio sapore guardandomi dritto nell'anima, sciogliendomi. 
Entrambi sentivamo l'altro che riusciva sempre meno a reprimere l'istinto. 
Così ci avvicinammo di più, e bastò un centimetro perché le nostre bocche s'incontrassero, ricongiungendosi.

 

 

 

 

 

Note(2):

 

I sogni a volte sono strani, vero? Giuro che nemmeno io capisco cosa sogno. Premetto che di questo artista non ho mai ascoltato nulla, tantomeno ora, e così, all'improvviso compare. Chissà, forse ora inizierò ad ascoltarlo ;)

 

Ringrazio chi leggerà.

Kiitos

 

 

-kuutamo

 




 
  
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