Qualche
nota prima
di iniziare:
erano mesi che dovevo scrivere questa fanfiction. Sentivo il
bisogno di farlo perché dovevo riscattare il personaggio di
Reyna – che amo
alla follia – visto che nell’altra Jeyna che ho
scritto l’avevo fatta apparire
troppo dura e semplicemente un po’ cattiva. Se vi va di
leggerla, per vedere
quanto è maturata e quanto i suoi sentimenti sono cambiati,
l’altra oneshot si
chiama Things that should be left
unsaid. Buona
lettura, ci vediamo giù.
Sentì
Reyna sospirare.
"Jason."
Si
voltò a guardarla, aspettando che continuasse
a parlare.
"Mi
dispiace."
Era
strano, quanto dolore potevano contenere due
parole. Due misere, insulse parole. Due parole che gli spezzarono il
cuore,
anche se non sapeva nemmeno a cosa si stesse riferendo. Passarono
pochi,
interminabili secondi prima che Jason deglutisse il droppo che aveva in
gola e
fosse in grado di chiederle, "Cosa?"
Questa
volta Reyna rispose subito, senza
esitazioni nella sua voce.
"Che
Giunone vi abbia scambiati."
La
forza di quelle parole lo colpì in pieno
petto.
Non
lo
stava accusando.
Le
erano bastate cinque parole. Cinque parole
per dirgli che le mancava, che voleva che tutto fosse come prima, che
odiava
quella situazione, ma gli stava dicendo anche che non attribuiva a lui
la colpa
di quanto era successo negli ultimi due anni. Era questo che voleva
dirgli. Che
non era arrabbiata con lui. Che era stata Giunone. Non
era colpa sua. Lui aveva solo tratto il meglio dalle
circostanze in cui si era trovato: senza memoria e con una ragazza
bellissima
che già lo amava a causa di finti ricordi.
Dopo
lo shock arrivò la felicità: Reyna non
provava più astio nei suoi confronti. Sarebbe tornata -
forse - ad essere la
sua migliore amica e compagna. La sua confidente, la sua collega,
l'unica di
cui si fidava abbastanza per farsi guardare le spalle in battaglia.
Poi
Jason arrossì, dandosi mentalmente dello
stupido perché, no che le cose non
sarebbero tornate come prima. Non sarebbe tornato a casa. Il
Campo Giove non
era più la sua casa. Non lo era più da quella
ventilata mattina di dicembre in
cui aveva varcato per la prima volta le barriere protettive del Campo
Mezzosangue. E lo aveva fatto, inconsapevolmente, una volta e per
sempre. Ora
non poteva più tornare indietro, e lo sapeva. Non voleva
tornare indietro.
Perché da quando aveva messo piede al Campo Mezzosangue,
ogni volta che pensava
di ritornare a casa, pensava a modi di rendere il Campo Giove
più greco. E
quando poi infine ci era tornato, al Campo Giove, non aveva provato
alcun senso
di familiarità. Solo nostalgia per una cosa che sapeva di
avere perduto.
Non
gli mancavano le tediose sedute in senato, o
il suo appartamento sulla Via Praetoria o la toga viola. La legione era
solo un
ricordo, così come la vista su Nuova Roma e il Campo di
Marte e la cioccolata
calda preferita di Reyna.
Durante
l'impresa dell'Argo e nelle settimane
conclusive della Guerra coi Giganti, era il Campo Mezzosangue che
sognava. Il
volto di sua sorella Thalia e i campi di fragole, il sapore della
frutta e
l'odore dell'erba del prato. Gli occhi eterni di Chirone e l'interno
della sua
cabina, le riunioni del consiglio attorno al tavolo da pingpong.
E
poi c'era Piper.
Piper,
- ora poteva dirlo con certezza - l'amore
della sua vita. La figlia di Afrodite più modesta della
terra, gelosa e
testarda come poche. Si erano scelti a vicenda, tra interventi divini,
ricordi
fittizi e ricordi perduti.
Jason
tornò a guardare Reyna. Sì, gli dispiaceva
che Giunone avesse scambiato lui e Percy, sconvolgendo irreparabilmente
la sua
vita. Ma conoscendo tutte le conseguenze di quell'azione spregiudicata
di Era,
Jason pensò che gli sarebbe dispiaciuto di più se
non lo avesse fatto.
Ma
questo non poteva dirlo a Reyna.
"Già,"
rispose solo, abbassando il
capo. Non poteva guardarla, non voleva vedere l'espressione di dolore
che
campeggiava nei suoi occhi neri come l'ossidiana. Reyna era brava a
fingere, a
celare le proprie emozioni, ma Jason era sempre stato in grado di
leggerla, uno
dei pochi che riusciva a cogliere i suoi reali stati d'animo. Ma ora
non voleva
leggere dentro di lei, non voleva vedere tutto il dolore che
nascondeva. Lo aveva perdonato, si
ripeté Jason, ma
la sua assolta colpevolezza poco serviva a confortarla per il suo
effettivo
abbandono. Abbandono di cui non si
pentiva.
“Jason?”
chiamò di nuovo lei.
“Sì?”
Ora
alzò lo sguardo, perché la disperazione nella sua
voce
era troppo chiara per essere ignorata. Si domandò cosa gli
stesse per chiedere,
se avesse dovuto trovare una scusa e andarsene, prima che fosse troppo
tardi,
prima che la situazione divenisse irrecuperabile, prima che potesse
compiere
danni irreparabili per entrambi.
“Almeno
hai riavuto tutti i ricordi?” gli chiese alla fine,
abbassando il capo a sua volta.
Gli
stava chiedendo se ricordava tutti i momenti passati con
lei; gli stava chiedendo se ricordava di loro.
Voleva sapere se aveva fatto una scelta consapevole.
Jason
avrebbe potuto mentire, ma a che pro? Era sempre stato
un pessimo bugiardo e lei sapeva sempre quando mentiva. Lo conosceva
troppo
bene per cascarci. Lo conosceva troppo bene per non conoscere
già la risposta.
“Sì,”
rispose dopo interminabili attimi di silenzio. “Li ho
riavuti.”
Reyna
annuì piano. Era già preparata a quella risposta,
era
stata avvisata, ma voleva che fosse Jason a confessarglielo.
Ricordava
tutto, eppure aveva scelto i Greci. Ricordava
tutto, ed aveva comunque preferito Piper.
Angolo
autrice:
rieccoci. Spero che
vi sia piaciuta. Lo ammetto, ho pianto come una pazza mentre la
scrivevo, (e pensare
che non li shippo nemmeno!). Se avete letto anche l’altra,
avete sicuramente colto
tutte le differenze.
Pensate
che in Blood of Olympus Reyna perdonerà davvero
Jason? E Piper?
Lasciatemi
qualche recensione <3
Alla
prossima,