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Autore: Francine    19/06/2014    3 recensioni
[http://en.wikipedia.org/wiki/Space_Battleship_Yamato_2199]
Ogni uomo è solo, a calpestare la polvere del pianeta su cui vive. Che sia Gamilius, Iscandar o quella palla di guano che è la Terra, le cose non cambiano. Ogni uomo, alla fine del giorno, è da solo a solo con se stesso, quando la mente abbassa i propri scudi e lo sguardo si perde a contemplare lo spazio profondo. Sconfinato. Freddo. A volte può dare le vertigini. A volte può ispirare un sentimento così intenso e sottile e persistente da annichilire anche la più forte delle volontà. Non la sua. Abelt non è incline a questo tipo di debolezze. Per lui lo spazio è frontiera, terra su cui issare il vessillo di Gamilius e reclamare come propria. Mondi da soggiogare, popolazioni inferiori da civilizzare, conquistare, pacificare. A colpi di cannone, se necessario. In guerra è tutto lecito. Ciò che conta è il risultato.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da un'altra porta
 
La luna nuova.
Lei pure la guarda
da un'altra porta.

(Jorge Luis Borges)
 
 
Anno terrestre 2199
Ogni uomo è solo, a calpestare la polvere del pianeta su cui vive. Che sia Gamilius, Iscandar o quella palla di guano che è la Terra, le cose non cambiano. Ogni uomo, alla fine del giorno, è da solo a solo con se stesso, quando la mente abbassa i propri scudi e lo sguardo si perde a contemplare lo spazio profondo. Sconfinato. Freddo. A volte può dare le vertigini. A volte può ispirare un sentimento così intenso e sottile e persistente da annichilire anche la più forte delle volontà. Non la sua. Abelt non è incline a questo tipo di debolezze. Per lui lo spazio è frontiera, terra su cui issare il vessillo di Gamilius e reclamare come propria. Mondi da soggiogare, popolazioni inferiori da civilizzare, conquistare, pacificare. A colpi di cannone, se necessario. In guerra è tutto lecito. Ciò che conta è il risultato.
Starsha, la Splendente Starsha, non concorda con lui. La pace, per gli occhi dorati della Regina di Iscandar è un sentiero dritto e ben tracciato, lastricato pur se tortuoso, scevro da ogni macchia d’erba o avvallamento di sorta. Starsha ne è fermamente convinta, come tutte le donne. Ma Starsha non sa che per avere una strada pavimentata e sgombra di erbacce e rifiuti occorre sporcarsi le mani. Occorre spianare il terreno da ogni ostacolo, appianare le fosse, tracciare dei confini ben visibili. E solo dopo, solo dopo essersi lordati le vesti, si può pensare a pavimentare la strada. Di mattoni dorati, come i capelli di Starsha, pensa sorridendo al proprio riflesso. Starsha è pur sempre una donna, e certe cose non le può capire. Non è nella sua natura. È nata per essere bella e amabile e una fiera regina. È nata per stare al suo fianco. E lui è nato per assecondare e tramutare in realtà i suoi sogni. Anche a costo di macchiarsi le mani del sangue dell’Universo. Non è questo quello che fanno gli innamorati?
«Zar Belk
Abelt alza il bicchiere in un brindisi solitario. Fissando Iscandar. Là dove splende la gemma più preziosa dell’Universo.

 
Anno terrestre 2190
Iscandar Sasha è la più giovane delle tre sorelle.
Ha il sorriso spontaneo della giovinezza, la freschezza dell'adolescenza e grandi occhi del colore del cielo al tramonto. I lunghi capelli, splendente filigrana d'oro, le scivolano in avanti a coprirle il viso quando abbozza un inchino con la testa per salutarlo.
«Benvenuto a Iscandar, Lord Dessler. Spero abbiate fatto buon viaggio.»
«Il viaggio è stato splendido, ma nulla di paragonabile alla vostra bellezza, Nobile Sasha.»
Le bacia la mano con reverenza, gli stivali bianchi che schioccano, un colpo leggero dato coi talloni. È più alto di lei. Più forte. Le lascia la mano. È un ufficiale militare. Un gentiluomo. Perfetto. Impeccabile. Dalla divisa di un bianco accecante.
«Siete in visita ufficiale, Lord Dessler?», gli domanda Sasha, sorridendo.
«In un certo senso», risponde lui. Sibillino.
Sasha sbatte le lunghe ciglia scure, poi si decide a voltarsi. «Mia sorella vi riceverà nei giardini», gli dice, facendogli strada verso la sala del trono dove lo attende lei. Starsha. Il gioiello più prezioso di Iscandar. Il gioiello che Abelt spera di incastonare nel proprio scettro al più presto possibile.



Anno terrestre 2199
Celestella non mente mai. Non ne avrebbe motivo. Celestella non sa quali siano le sue reali intenzioni. E anche se lo sapesse, e anche se volesse vendicarsi di lui – di lui che ha accolto lei e Mirenel quando erano soltanto due bambine rimaste sole in tutto l’universo? – prima di ogni cosa per Celestella viene la fedeltà all’impero. A Gamilius. A lui. Ecco perché lei è l’unica persona di cui si possa fidare. L’unica di cui non metta in dubbio le parole. Almeno per il momento.
«La nave che si è schiantata sul pianeta gemello era un cargo che trasportava prigionieri. Prigionieri terrestri.»
Trattiene a stento un’imprecazione. Congeda le sue ancelle con un gesto del mento e afferra il bicchiere ricolmo di liquido dorato.
Celestella aspetta, in silenzio, in disparte. Come un cane fedele.
Abelt deve pensare.
Alla divisione scientifica era sembrata una buona idea raccogliere e catalogare campioni da inviare all'Accademia delle Scienze. Per studiare la fisiologia di quei cani. Sezionarli, ancora vivi, per comprendere la loro corrotta ed inferiore natura. E scoprire nuovi ed interessanti modi per farli soffrire. Per assoggettarli. Per vincerli.
Peccato che ne sia bastato uno, uno solo, per mandare alla deriva la nave da trasporto, proprio ad un passo dalla meta. Proprio su Iscandar. Abelt scommette che a salvarsi è stato quell'uno che si è ammutinato. E che adesso Starsha starà amorevolmente curando. La sindrome della crocerossina, la chiamano. E la Regina Starsha è una donna, come tutte le altre. Una donna sola, ora che le sue sorelle l’hanno abbandonata per un disperato viaggio della speranza. E per lei, la Terra è un agnello accerchiato dai lupi di Gamilius. Starsha si rifiuta di credergli. Starsha si ostina a vedere del buono in chiunque, tranne che in lui. Persino in quel cane terrestre.

Sono stati loro ad aprire il fuoco. Noi ci siamo difesi! Eppure tu hai spedito le tue sorelle con i piani per il Wave Motion Gun sulla Terra. Perché, Starsha? Perché?!

Il bicchiere esplode in mille pezzi.
«Lord Dessler!»
Celestella ha percepito il suo stato. La sua rabbia. La sua frustrazione. La sua delusione. Si avvicina e gli prende la mano tra le sue. Vuole curare la sua ferita, ma per Abelt è poco più che un graffio.
«Lasciami solo.»
I grandi occhi di Celestella si allargano. I suoi talloni schioccano tra loro, riecheggiando nella sala. Il ticchettio dei suoi passi, rapidi e brevi, sparisce oltre le pesanti porte della sala. Lasciandolo da solo.

Perché, Starsha? Che cos’ho, io, che non va?

Starsha non risponde. Iscandar brilla azzurro contro lo sfondo nero del cielo, così piccolo e vicino da fargli venire la voglia di strapparlo e metterselo in tasca. Tra lui ed il suo sogno, un vetro di cristallo finissimo.

 
Anno terrestre 2190
Starsha è bella da spezzare il cuore.
I suoi occhi sono splendenti e tristi, colmi di una colpa che non è la sua, ma che la regina ha deciso di portare sulle sue tenere spalle. Starsha è un uccellino in gabbia. Abelt non capisce la sua ostinazione. Le ha già spiegato, offrendole parole di conforto, che la scienza prevede dei passi falsi. Degli errori. Delle cadute. Lei non lo sta ad ascoltare, testarda com’è, persa dietro a chissà quale forma di espiazione, come se lei potesse riportare in vita i morti che il popolo di Iscandar s’è lasciato alle spalle. Abelt liquida la faccenda come una romanticheria cui l’indole delicata di Starsha si è aggrappata. Sasha e Ulysha non sono così gravate dalla colpa come lei. Sono libere. Fiere. Spensierate. Senza problemi. Abelt capisce che lei è pur sempre la regina, e anche se Iscandar è un pianeta abitato solo dalle Tre Sorelle, è logico supporre che sia lei a farsi carico delle responsabilità che comporta un trono. Questo Abelt lo capisce. Lo trova naturale. Ed è per questo che è giunto su Iscandar. Per parlare con lei. E convincerla. Perché lui è pronto a portarle l’Universo intero come pegno d’amore sulla punta della sua sciabola, ma se lei gli dicesse di sì, le cose sarebbero più semplici. Più rapide. Più indolore.
Limiterei al minimo le perdite, Starsha. Tutto, pur di non far soffrire i tuoi occhi e restituirti il sorriso.
Abelt si inchina, davanti a lei. Si inginocchia. Starsha si alza.
«È una così magnifica giornata, Lord Dessler. Passeggiamo?»


 
Anno terrestre 2199
«Non puoi dire sul serio.»
Tu credi? «Sono serio, Starsha.»
Lo fissa con un’espressione indecifrabile. Oppure è il collegamento a non essere limpido a sufficienza? Per la prima volta da quando i loro occhi ed i loro destini si sono incrociati, Abelt non riesce a comprendere la donna che ama. Davvero non si aspettava che chiedesse indietro il carico del suo cargo? Davvero non pensava che potesse pretendere la restituzione di un suo prigioniero? E allora perché quell’espressione delusa inarca la sopracciglia sottili di Starsha?
La regina sospira. Un fremito impercettibile delle labbra, un lampo di determinazione che le attraversa lo sguardo e gli accende i sensi. La adora quando smette i panni della principessa ed indossa la corona della regina. Sarebbe pronto ad inginocchiarsi ai suoi piedi, qui e adesso, se solo Starsha gli dimostrasse benevolenza. L’amore verrà col tempo. Abelt questo lo sa, così come sa che il suo amore può bastare per tutti e due. Anche per tutta la vita.
«Quell’uomo è ferito», ribatte Starsha con quella nobiltà glaciale che lo affascina, prima di aggiungere:«Non è in condizione di muoversi.».
Le labbra azzurre di Abelt si incurvano in un leggero sorriso. Si aspettava quella risposta. Starsha sa che ci sono i migliori medici su Gamilius, e che quel terrestre potrebbe essere curato dai suoi ufficiali dell’Accademia delle Scienze meglio di quanto potrebbero mai fare i suoi androidi. Eppure non si fida. Di lui. Ma preferisce avere in casa un terrestre, un infido terrestre. Che potrebbe tagliarle la gola nel sonno. Starsha è sola. Sola al suo capezzale.
«Capisco», risponde Abelt. L’unificazione è più impellente che mai.

 
Anno terrestre 2190
Il cielo azzurro ceramica di Iscandar è una cupola sopra la loro passeggiata. Starsha scivola sinuosa sul camminamento più in alto. Lui ha scelto di osservare la sua snella ed aggraziata figura da quello più basso. La corona è l’unica cosa che sta più in alto del re, ed i capelli di Starsha splendono del colore dell’oro, com’erano i campi di Gamilius, tanto e tanto tempo fa.
La regina passeggia tra i fiori e le colonne di un bianco abbagliante. Passeggia e riflette sulle parole che lui le ha appena detto. Abelt sa che farà delle obiezioni, ma lui è pronto a convincerla a passare dalla sua parte. A dargli fiducia.
«Temo che le nostre strade si siano divise tanto tempo fa», dice Starsha, guardando un punto fisso davanti a sé.
«Sta a noi riunificarle», le propone. Starsha storna lo sguardo dall’orizzonte per posarlo su di lui. «Sta a noi riunire i due pianeti sotto un’unica corona. A me e a te.»
Lei sbatte le ciglia. Incredula. E lui si domanda cosa vi sia di tanto strano. Non è il destino delle stirpi reali quello di unirsi con altre stirpi reali? E chi più di Starsha ha sangue puro per unirsi a lui, nonostante la sua pelle sia chiara come quella dei gamiliani di secondo o terzo livello? Ad Abelt non importa di certi dettagli. Starsha è meravigliosa, anche se il suo colorito è quello del latte e del sangue. Avranno degli eredi meravigliosi. Purissimi. Per un gamiliano non c’è scelta migliore, così come per l’erede di Iscandar. O Starsha vuole che la sua stirpe muoia con lei e con le sue sorelle?
«Le politiche dei nostri pianeti sono diverse. Ed inconciliabili», risponde Starsha. Seria e stupita al tempo stesso.
«Iscandar e Gamilius sono gemelli. Voi eravate come noi. Una stirpe di guerrieri. Una
nobile stirpe di guerrieri.»
«Iscandar ha ripudiato la guerra, Abelt, tanto tempo fa.»
«Io non ti sto parlando di guerra, Starsha. Ti sto parlando di pace.»


 
Anno terrestre 2199
Questa volta è lui a chiamarla. Siede sul suo trono, l’aria annoiata di chi sa di avere ragione ed è pronto ad esibire i fatti, accanto alle proprie motivazioni. Starsha appare, un ologramma d’oro liquido e bianco perla. Abelt sorride.
«Lord Dessler.»
«Nobile Starsha.» China lo sguardo, le palpebre abbassate. E mette su l’espressione più contrita del suo repertorio. «Abbiamo brutte notizie per voi.»
Starsha si fa più vicina. Preoccupata. Gamilius non è mai stato foriero di buone notizie, non per come le intende la regina solitaria.

Che genere di notizie aspetti, mio sfavillante tesoro? Nuove su Ulysha? Su Sasha?

Abelt si volta alla sua destra.
«Fate partire», ordina ai suoi sottoposti. E osserva lo schermo bianco di fronte a sé. Vede Starsha voltarsi con la coda dell’occhio ed un piccolo, meschino sorriso di soddisfazione si delinea sul suo viso mentre le immagini si rincorrono in un caleidoscopio di esplosioni. Hanno usato il Wave Motor Gun. L’hanno usato come arma di guerra. L’hanno usato contro Gamilius. Hanno attaccato per primi. Ancora una volta. Il bel volto di Starsha impallidisce. In guerra e in amore è tutto concesso. Ed è ora che lei veda in chi ha riposto la propria fiducia.
Il viso di Starsha è una maschera di orrore.  
«Adesso mi credete, nobile Starsha? I terrestri sono esseri inferiori. Sono loro, i violenti. Sono loro, quelli pericolosi. Quelli da pacificare ad ogni costo.»

Fino ad eliminarli tutti. Uno per uno. A cominciare da quello che si nasconde dietro le tue gonne.



 
Anno terrestre 2190
«Parli di pace, ma hai in mente la guerra.»
Starsha è passata al tu. Come quand’erano ragazzi e passeggiavano per quegli stessi sentieri, sotto le fronde ombrose degli alberi. Continua a camminare lungo il camminamento più alto, fissando un punto davanti a sé, scivolando sul pavé color terracotta. Lui non può che seguirla.
«La pace non nasce se non con la guerra, Starsha», ripete stanco. Come un disco rotto. Quand’è che le loro strade si sono separate? Quand’è che Starsha s’è persa rincorrendo una colpa che non le appartiene, che non ha commesso? Quand’è che ha smesso di sperare nel futuro?
«Non sono d’accordo», ma Starsha non gli spiega più i suoi motivi. Reputa che le sue parole siano troppo preziose per essere ascoltate ancora una volta dalle sue orecchie?
«Starsha», le dice. Con tono dolce, calmo. Un tono ardente e appassionato. Quello dell’oratore che deve convincere il suo pubblico. Quello del generale che deve esortare le truppe. Quello dell’innamorato che getta il cuore oltre l’ostacolo. «Starsha, oltre i Pianeti Gemelli, oltre la Nube di Magellano ci sono una miriade di mondi da esplorare.»
«Da
assoggettare, vorrai dire», lo interrompe lei. Delusa. Ancora questi discorsi, Abelt? Davvero non ti sei stancato?, gli dicono i suoi occhi, con tono di rimprovero.
«Esplorare.» Abelt insiste. Porgendole la mano. «Quei pianeti sono da pacificare. Da riunire tutti sotto un’unica bandiera. In un regno di pace. Non ci saranno più guerre, Starsha. Mai più.»
Guardami, Starsha. Guardami. Sono il tuo principe. Dammi la mano e vieni via con me.
«E il prezzo da pagare, Abelt? Qual è?», gli domanda lei.
Non puoi fare una frittata senza rompere le uova. E Starsha preferirebbe morire di fame, piuttosto che rompere un solo guscio. Abelt resta solo, a fissare la sua schiena allontanarsi.

 

Anno terrestre 2199
«Com’è possibile?»
Starsha non crede ai suoi occhi e lui sa che non potranno ingannarla a lungo. Tutti, ma non lei. Abelt ha intuito subito che la ragazza rapita dalla Yamato non è Ulysha. Si assomigliano in maniera spudorata, è vero, e chiunque avrebbe potuto scambiare questa terrestre con la mezzana delle tre sorelle. Chiunque, tranne lui. Ulysha ha lo sguardo libero e perso di chi scruta il mare e l’orizzonte, rincorrendo il volo delle libellule. Lo sguardo del presente, che non si preoccupa dei fasti e dei dolori del passato e non si interessa di come sarà il futuro. Per questo la prima a partire è stata Sasha. A lei interessava il futuro ed era in lei che Starsha riponeva le speranze di pace di Iscandar. Sulle spalle di una fanciulla di una manciata di primavere, pensa Abelt scoccando uno sguardo duro e deciso a Starsha.
«Vostra sorella era su quella nave terrestre che punta verso Iscandar, Nobile Starsha. La Yamato», le risponde. Usando la forma cortese dei nobili. «Mi sono permesso la libertà di sottrarla alle cure di quei selvaggi
Abelt sogghigna. Se una parte di lui non vorrebbe vedere quell’espressione preoccupata sul volto di Starsha, un lato della sua persona è soddisfatta dello spettacolo che la regina di Iscandar gli sta offrendo.
«Ulysha?», la chiama. Come se non fosse possibile. Quasi vorrebbe che non fosse possibile. E lui si chiede perché.

Perché temi che tua sorella possa confermare che razza di bestie siano i terrestri? Che razza di animale sia l’uomo che stai proteggendo nelle tue stanze?!

Ulysha, o meglio: la terrestre che si spaccia per lei, le sorride, ma è meglio che non parlino. Abelt si alza. «Provvederò a riportare a casa vostra sorella, Nobile Starsha. Personalmente.»
E la regina solitaria gli sembra un uccellino in gabbia.

 
Anno terrestre 2191
«Perché l’hai fatto?»
Starsha lo fissa dall’ologramma. Dura. La quintessenza della delusione. Lui pensa che il suo ritratto, quello che sull’affresco sopra al trono fissa con sguardo colmo d’amore e gratitudine l’impavido e biondo guerriero in armatura che le sta portando l’universo in pegno, non renda giustizia al suo viso e ai suoi capelli d’oro, ma Abelt sa che Starsha non è delusa dall’imperizia del pittore.
Nemmeno l’ha visto, il suo ritratto sulla volta della sala.
«Ci siamo difesi, Starsha.»
Abelt ci ha provato. Quant’è vero che la ama. Ci ha provato a sposare la sua visione delle cose. Tentare non costa nulla, no? E poi, ci sono battaglie che vanno vinte con la diplomazia e non mostrando i muscoli. I terrestri avrebbero visto la potenza di Gamilius al loro atterraggio su quella biglia azzurra così simile ad Iscandar. Quel pianeta sarebbe stato il pegno di fidanzamento per Starsha, qualcosa che le ricordasse casa. Ad Abelt è sembrato un pensiero gentile, così ha dato ordine alla sua nave di avvicinarsi. Di stabilire un contatto. Di tendere una mano a quelle genti. Di usare la diplomazia. E com’è finita? Che quelle bestie hanno cannoneggiato per primi la sua nave.
«Perché l’hai fatto?», gli ha chiesto.
E lui è stanco di risponderle. Stanco di parlare con chi non può sentirlo. Stanco di essere solo.



Anno terrestre 2199

La donna che amo ama un altro.

Iscandar brilla azzurro contro lo sfondo nero del cielo, così piccolo e vicino da fargli venire la voglia di strapparlo e metterselo in tasca. Tra lui ed il suo sogno, un vetro di cristallo finissimo. Ma quel sogno, quel pianeta di un colore struggente è evaporato. Come la nebbia al mattino, avrebbe detto Starsha. Che ha accolto quei cani. Ha dato loro quello che volevano. Nonostante tutto. Nonostante lui le abbia dimostrato, in più e più occasioni la sua lealtà. La sua devozione. Il suo amore. Invece no. Lei ha visto qualcosa in loro. Lei ha voluto vedere qualcosa in loro. Colpa del suo cuore di donna, certo. Una donna sola, una donna rimasta sola. Una donna che ha voluto rimanere da sola. Una donna che crede nella speranza. Una donna che non l’ha voluto accettare, per capriccio. Perché la natura delle donne è così. Non vogliono la mela che hanno tra le mani, ma s’intestardiscono nell’ottenere quella sul ramo più alto. Perché? È più rossa? È più buona? È più divertente vedere gli sforzi fatti per arrampicarsi su quel maledetto albero, strisciare sul ramo e acciuffare quella dannatissima mela?
Abelt non lo sa. E adesso, non gli interessa. Adesso Iscandar che brilla azzurro brucia come il sale su una ferita aperta mentre la Yamato ritorna al suo pianeta. Starsha li starà osservando, il naso in su, l’occhio prossimo a riempirsi di lacrime, il cuore gonfio di speranza ed il ventre del seme di… di quel cane. Come lui, l’ultimo bicchiere di vino tra le mani.

Eppure, avrei dovuto saperlo.

Quand’erano poco più che ragazzi, cento anni prima, Abelt era salito sull’albero che si trovava nel giardino. Per coglierle quel frutto, tondo e dorato, su cui gli occhi luminosi di Starsha si erano posati. Gliel’aveva porto, il vestito strappato e qualche graffio sulle ginocchia, le mani e il viso; gliel’aveva porto solo per vederla sorridere. E quale espressione aveva assunto il delicato visino di Starsha?
Perplessità.
E quali soavi parole gli aveva rivolto?
«Non ce n’era bisogno…», mormora. Facendole il verso.
Abelt serra le labbra. Il bicchiere si spezza.
E invece sì; ce n’era bisogno. Perché lei aveva visto quel frutto. E lui poteva darglielo. E non c’è peccatore più grande di chi ha le ali, ma non vola.
Ma Starsha è una donna. E una donna certe cose non può capirle. Certe cose per lei sono un mistero. E Abelt sa che lei non capirà neppure perché lui stia aspettando la Yamato per il confronto finale. Nascosto. Paziente. In attesa che l’avversario sia a portata. O meglio: Starsha lo capirà. Ma per le ragioni sbagliate. Penserà che si tratti di un infantile capriccio – il suo! – quello del bambino che distrugge i giocattoli con cui non può baloccarsi. Un tentativo di tenere il punto. Una maschia e misera autodeterminazione. Questo penserà la Splendente Starsha, Regina di Iscandar.
Ma non penserà mai, nemmeno per un attimo, che lui lo faccia per vendetta, sì. Ma per vendicare i suoi uomini periti. Lo faccia perché Abelt Dessler è e sarà sempre un guerriero, fino al suo ultimo respiro. Perché la guerra è così. La guerra va avanti fino a quando non ne resterà soltanto uno. Che si alzerà, le braccia al cielo, un grido roco di vittoria a sgorgare potente dalla gola. E quel qualcuno sarà lui. E lo sarà per lei. Per dimostrarle chi, dei due, avesse ragione. Per principio, sì. Per vendetta, sì. Per amore, sì. Un amore solo, cieco e disperato. Che sarebbe bastato per tutti e due. Se solo lei l’avesse ascoltato.

Se solo tu non mi avessi lasciato da solo, Starsha…
 
 
 
   
 
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