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Autore: TheSandPrincess    21/06/2014    5 recensioni
{Storia scritta per il contest "Amore con la A maiuscola (Afrodite sarebbe fiera di me)" indetto da AnnabethJackson sul forum di EFP}
«Siediti» la invita Chris, indicandole lo spazio rimasto accanto a lui sui gradini. E lei, per qualche motivo, accetta.
Potrebbe ignorarlo, girarsi ed entrare nella cabina. Sarebbe più facile così. Sarebbe più facile continuare a evitare il problema, fare finta di nulla.
Ma il fatto è che con Chris non è mai riuscita a fare finta di nulla. Non quando la prendeva in giro, non quando la rendeva vittima di scherzi di ogni genere, non quando è andato via, non quando l’ha ritrovato, e tanto meno adesso, che la guarda e per la prima volta in così tanto tempo la
vede.
[Chris/Clarisse ♥]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris Rodriguez, Clarisse La Rue
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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{ Di sguardi e gocce di pioggia }
 
 
 
 
 






 
 
Un affondo.
Schiva, scivolando di lato, e ricambia il favore.
Sente il sudore che comincia a imperlarle la fronte, e sorride.
Clarisse non ha paura di perdere. Ha paura di fermarsi. Ha paura di mettere giù la spada e avere anche solo un attimo per pensare.
Combattere nell’arena, con il cuore che le martella nel petto e il respiro che le esce rapido e spezzato dalle labbra dischiuse, non è pericoloso. Pensare, invece, lo è.
Schiva di nuovo, fa roteare la spada e poi si lancia contro il suo avversario, un ragazzino della casa di Ermes, arrivato da qualche settimana. Forse dovrebbe andarci piano. Forse gliel'hanno pure detto. Al momento, però, non le importa un granché.
La lama di bronzo celeste si scontra con l’arma dell’avversario proprio sotto l’elsa, facendola volare lontano. E da lì a ritrovarsi con il piede piantato sul petto del ragazzo e la spada puntata alla sua gola passa più o meno una frazione di secondo.
Clarisse sorride soddisfatta, guardando il semidio che, steso a terra, ancora non riesce a capacitarsi di cosa esattamente sia successo. E, osservando la sua espressione smarrita, si rende conto che sì, devono decisamente averle detto di andarci piano. Poco male, però: finché è tutto intero non ci sono motivi per lamentarsi.
«Chi vuole essere il prossimo?» domanda, urlando per sovrastare il clangore delle spade che, tutto attorno a lei, continuano a scontrarsi fra di loro. Ma i pochi che hanno già finito di combattere alzano appena lo sguardo, stanchi. Non sembrano avere alcuna voglia di ricominciare.
Clarisse sbuffa, toglie il piede dal petto del figlio di Ermes e pianta la spada per terra mentre il ragazzino sguscia via spaventato, probabilmente pensando che sia meglio svignarsela prima che cambi idea e decida di sgozzarlo per davvero.
Per un attimo Clarisse ride di gusto, guardandolo correre via. Ma è un attimo solo, e poi torna il bisogno di sottoporsi ad uno sforzo fisico per impedire al cervello di pensare. Si guarda intorno di nuovo, e vede che i semidei che si erano accasciati per terra cominciano a rialzarsi, forse pronti per un secondo round.
Tira fuori la spada dal terreno, preparandosi ad un nuovo scontro, ed è allora che le vede. Piccole macchioline scure sulla sabbia che ricopre l’arena. Poi una goccia le atterra sul braccio, appiccicosa.
Piove.
Clarisse alza la testa al cielo e vede i grandi nuvoloni neri che veleggiano minacciosi proprio sopra di lei. Mormora fra i denti una maledizione, scagliando nuovamente a terra la spada. Le risponde un tuono fragoroso, segno che il dio del cielo l’ha sentita fin troppo bene.
Non le importa. Che la fulminasse pure, a questo punto. Tanto, peggio di così non può andare.
Perché gli altri semidei, che si sono accorti dei grossi goccioloni che stanno cominciando a cadere, raccolgono le armi ed escono a gruppetti dall’arena, commentando il repentino cambiamento meteorologico. La stanno lasciando sola, e da sola non può combattere. E se non può combattere, il cervello prende il sopravvento.
Clarisse raccoglie la spada, e cerca di non pensare. Si avvia verso l’uscita, cercando di non pensare, e intanto maledice Zeus per il suo orrido tempismo.
E’ tutta la mattina che cerca di non pensare. E la verità è che non ci riesce.
Non riesce a non pensarci da quando il Signor D, a colazione, l’ha presa da parte per un attimo e le ha comunicato la notizia. Perché adesso, proprio adesso che le cose si sono messe a posto, cominciano i veri guai. Insomma, è stato facile stargli accanto senza che lui potesse riconoscerla, senza che potesse capire. È stato facile nascondersi nella cantina e vegliare su di lui, senza che nessuno la vedesse. È stato facile, ma adesso è cambiato tutto. E Clarisse non vuole pensarci.
La pioggia le bagna la maglietta e le si infila sotto l’armatura mentre si dirige verso la cabina numero cinque, senza affrettarsi. Non le importa dei vestiti bagnati, non le importa del modo in cui il metallo le si appiccica alla pelle, forse per il sudore, forse per la pioggia. Non le importa di niente, perché ha ricominciato a pensare, e i suoi pensieri le fanno sempre più paura.
E se lui non si ricordasse niente? E se l’avesse addirittura dimenticata, mentre era al servizio di Crono?
Clarisse stringe le mani fino a scavarsi nel palmo con le unghie, corte e spezzate. Si concentra sul dolore. Per qualche motivo, riesce a confortarla. Forse, dipende dal fatto che sia una sensazione molto più familiare di quello strano nodo nel petto che la perseguita dall’inizio della giornata.
Con le unghie conficcate nella carne, perché il dolore le impedisca di pensare, Clarisse sale i gradini del patio della cabina cinque, senza neanche guardarsi attorno.
Sciocco, da parte sua.
Forse, se avesse alzato lo sguardo, l’avrebbe visto, e avrebbe fatto in tempo a cambiare strada. Forse, sarebbe riuscita a evitarlo. Ma ha sempre avuto l’abitudine di tenere lo sguardo incollato a terra quando cammina, e anche oggi procede concentrandosi sulle punte dei propri piedi.
Così, quando lo vede, è troppo tardi.
Non fa in tempo a notare le scarpe da ginnastica bianche e le gambe muscolose che occupano parte del secondo gradino, che sente il proprio nome.
«Clarisse» la chiama il proprietario delle due lunghe gambe, con una voce familiare.
Lei alza lo sguardo, con un grugnito, e subito dopo si pente di averlo fatto. Vorrebbe tornare a marciare verso la porta della cabina, ma resta ferma. Immobile, con tutti i pensieri che ha cercato di arginare per ore e ore che le riempiono la testa, guarda il ragazzo che le sta davanti, e non sa cosa fare.
«Non sapevo dove fossi, così ho deciso di aspettarti qui» dice semplicemente lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se non avesse passato le ultime settimane rinchiuso in una cantina, con la vista offuscata da immagini di cunicoli e gallerie senza fine, con la bocca piena di parole senza senso. Parla come se non fosse passato un giorno, eppure sembrano passati secoli.
Clarisse glieli vede tutti sulla faccia, i giorni che sono passati. Li vede nelle occhiaie profonde, nel sorriso tirato, nei capelli cresciuti a dismisura, ormai assolutamente indomabili. Li vede, e ricorda il giorno in cui lui è andato via. L’ultimo giorno in cui si sono visti per davvero.
Non risponde. Non sa cosa dire.
«Siediti» la invita Chris, indicandole lo spazio rimasto accanto a lui sui gradini. E lei, per qualche motivo, accetta.
Potrebbe ignorarlo, girarsi ed entrare nella cabina. Sarebbe più facile così. Sarebbe più facile continuare a evitare il problema, fare finta di nulla.
Ma il fatto è che con Chris non è mai riuscita a fare finta di nulla. Non quando la prendeva in giro, non quando la rendeva vittima di scherzi di ogni genere, non quando è andato via, non quando l’ha ritrovato, e tanto meno adesso, che la guarda e per la prima volta in così tanto tempo la vede.
Così, Clarisse si siede accanto a lui, in silenzio. Lo spazio sui gradini è talmente stretto che è un miracolo riuscire ad entrarci con l’armatura, ma quasi non ci fa caso. Quello a cui fa caso, invece, è quanto sia vicino Chris. Le loro gambe sono premute l’una contro l’altra, e Clarisse evita di girarsi perché sa fin troppo bene che si ritroverebbe con il viso a pochi centimetri da quello di lui – l’ultima cosa di cui ha bisogno, al momento.
Non dice nulla, non ancora. La sua mente è ancora troppo piena di pensieri contrastanti, di domande, di supposizioni e di dubbi perché possa riuscire a formulare una qualsiasi risposta coerente.  Sente il nodo nel petto stringersi più che mai e, adesso che non c’è modo di fuggire, riesce finalmente a dargli un nome: è paura. Paura, allo stato puro. Anche se di cosa ancora non riesce a capirlo. O, forse, l’ha capito fin dall’inizio, ma ancora non riesce ad ammetterlo.
Ascolta la pioggia che cade, ormai insistente, e guarda il mondo che si bagna. Tiene lo sguardo dritto davanti a sé, e sente il peso dell’armatura sulle spalle, e la sgradevole sensazione della maglia bagnata che le si appiccica addosso. Ma più di tutto sente lo sguardo di Chris, che non la lascia un momento.
Sente i suoi occhi su di sé, e non ce la fa a sopportarlo, perché le viene da chiedersi cosa stia pensando, ed è troppo. Preoccuparsi non solo dei propri pensieri, ma anche di quelli di lui, è veramente troppo.
Guarda la pioggia che cade, ne sente l’odore, prende coraggio.
«Perché?» dice soltanto, con lo sguardo sempre fisso davanti a sé, sovrastando per un attimo il rumore del temporale.
Non sa che risposta vorrebbe sentire. Non sa cosa sperare. Ha paura di tutto, ormai, e si sente una codarda. Ha paura che lui non ricordi nulla delle settimane appena trascorse, delle sue cure instancabili, del modo in cui non l’ha mai abbandonato. Ha paura di essere soltanto una figlia di Ares come le altre, nulla più di quello che era quando lui è andato via. E allo stesso tempo ha paura che lui ricordi tutto, che ricordi come l’ha tenuto stretto, come lo ha cullato, nel tentativo di calmarlo. Ha paura che ricordi e che la cosa li allontani, che possa metterlo in imbarazzo.
Ha paura, e per la prima volta in vita sua non sa come combatterla, perché non c’è nessuno con cui prendersela.
«Cosa?» chiede Chris, senza smettere di guardarla, come se stesse cercando di obbligarla a ricambiare il suo sguardo. Anche lui ha paura, ma al momento si sente coraggioso. Non sa perché. Forse, è merito di quello che ha passato. Forse, quando rischi di perdere tutto, anche la ragione, ti rendi conto di quali siano le cose che non vuoi perdere.
«Perché mi stavi aspettando?» domanda Clarisse, a sua volta decisa a non cedere. Si concentra sulle gocce di pioggia che cadono, cerca di seguirne una fino a terra, senza riuscirci: è troppo veloce. Così anche le sue compagne. Sembrano sparire non appena lei riesce a individuarle.
Adesso anche Chris distoglie lo sguardo, per rivolgerlo a un punto indefinito davanti a sé. Clarisse sente gli occhi del ragazzo che la lasciano, e non sa se essere sollevata o meno.
Forse, si dice, ha paura anche lui. E non può saperlo, ma non ha mai avuto più ragione che in questo istante.
Perché Chris, adesso che è arrivato il suo momento, sembra aver perso il coraggio che era riuscito a tenere insieme finora. Chris, convinto fino a un attimo prima, adesso vacilla, e non sa più se sia stata poi tanto una buona idea.
Continuano a tenere gli occhi fissi al cielo, e il silenzio – che silenzio non è, perché la pioggia che cade fa rumore, così come i loro respiri, così come le foglie mosse dal vento – diventa pesante.
Chris si passa una mano sul viso, come se stesse cercando di cancellare i segni che Clarisse vi ha individuato poco prima, e trova da qualche parte – non saprebbe dire neanche lui dove – il coraggio di parlare.
«Volevo ringraziarti» risponde, con un respiro profondo, e Clarisse sente il fiato che le si mozza.
Ricorda, allora. Di nuovo, non sa se esserne felice o meno. Quello che sa per certo, però, è che così almeno metà delle domande che le affollavano la testa sono svanite. Adesso, delle due possibilità iniziali che la tormentavano, ne resta solo una. Certo, di dubbi ce ne sono ancora in abbondanza, ma anche una sola certezza è meglio di nulla.
«Per cosa?» chiede, girandosi verso di lui, per la prima volta dall’inizio di quella conversazione. Sente ancora il nodo nel petto, ma sembra essersi allentato un po’. E poi, adesso che la sua testa è presa d’assedio dalla metà dei pensieri che la occupavano giusto qualche istante prima, riesce a riflettere più chiaramente. E se è vero che quella che sente è paura, allora tanto vale guardarla dritto in faccia.
Ci mette un po’ a rispondere, Chris, ma Clarisse non ha fretta.
«Per tutto» dice infine, distogliendo lo sguardo dal cielo per posarlo nuovamente su di lei.
E per la prima volta da tanto, troppo tempo, si guardano negli occhi.
Sembra quasi che abbia smesso di piovere.




















Yaw.

Allora. Allora – da dove cominciare?
«Dall'inizio», lo so, lo so. Sappiate che non è molto d'aiuto.
Credo di dover dire come prima cosa che questo è stato il mio ritorno alle fanfiction dopo mesi di inattività, ed è stato a dir poco epico. Insomma, eccomi là, che decido che è ora di darsi una mossa, e mi metto a cercare qualche contest che mi possa ispirare... E trovo questo. Che non solo è su PJO, ma ha anche dei pacchetti da paura. E allora come posso resistere?! Semplicemente, non posso.
E così nasce questa storia, perché Chris e Clarisse - e questa è una delle tante cose che sosterrò fino alla fine dei miei giorni - sono semplicemente troppo carini insieme. Non so perché mi piacciano tanto, ma è così. 
Quando ho letto la citazione all'interno del pacchetto è come scattata una scintilla, e sapevo che avrei scritto su di loro, e cosa avrei scritto. Poi, che questi miei lampi di genio si siano esauriti fra questo e un altro contest (la cui storia posterò presto, si spera) è un altro paio di maniche...
La mia idea era, comunque, quella di mostrare Clarisse in uno dei momenti in cui penso sia stata più fragile: al risveglio di Chris. Perché è quando Chris si è risvegliato che lei ha dovuto affrotare i propri sentimenti, e non penso sia stata esattamente una passeggiata, conoscendola.
Insomma, spero di averle reso giustizia, anche perché sennò credo che la nostra figlia di Ares me la farà pagare cara :'D

-TheSandPrincess-

 
  
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