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Autore: Clockwise    21/06/2014    1 recensioni
«Sicura di non aver ucciso il gatto di nessuno, rubato qualche fidanzato, avvelenato qualcuno, fatto ritratti offensivi, non so… Sei piuttosto pericolosa quando ti ci metti.»
Mel finse di pensarci su.
«No, non negli ultimi tempi.»
«Beh, dovremmo cominciare a indagare sulle tue passate e presenti relazioni, allora, e cercare di scoprire chi è che hai mortalmente offeso.»
«Suona bene, Sherlock. Ci vediamo domattina a Baker Street?»
«Ah, no, domani mattina devo fare un salto al Bart’s, poi ho merenda con Moriarty, ma potrei essere libero per le tre.»
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benedict Cumberbatch, Martin Freeman, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono tornata a tormentarvi!
Grazie di cuore a chi ha letto lo scorso capitolo, lo ha commentato e lo ha inserito fra preferiti/seguiti: siete un motivo per andare avanti!
Nello scorso capitolo ho fatto un errore (che B mi ha fatto notare ma era ormai troppo tardi - grazie comunque): ho scritto che il signor Reeves è il direttore della Galleria, mentre è il rettore dell'Università, un vecchio professore di Mel. Provvedo a correggere nello scorso capitolo e scusate l'errore.
I riferimenti nella prima parte si rifanno sempre all'altra one-shot.
A presto (spero)
-Clock

 
  Capitolo 2
Sherlock’s Time
 
 
 
Sentì dei passi dietro si sé, ma non si voltò. Sapeva benissimo chi fosse.
«Tieni.»
«Grazie» mormorò, prendendo il tè dalle mani di Benedict.
«Non dovresti stare qui, fa freddo» disse, sedendosi accanto a lei sul cassone di metallo nel piazzale sul retro della Galleria, fra camion e casse. Si sfilò la giacca e gliela posò sulle spalle.
«Non fa niente. Grazie, Ben.»
Rimasero in silenzio per un po’, ed era stranissimo per Benedict: di solito, Mel stava zitta solo quando dormiva.
«Che quadri erano?» domandò, non osando guardarla.
«I miei preferiti, quelli a cui avevo lavorato di più. La metropolitana era il più grande, olio e acrilico, e la tela me l’ero dovuta preparare da sola, perché  non ne trovavo una così grande già pronta; era la stazione di Victoria, c’erano le facce della gente… Ci stavo lavorando quando ci siamo conosciuti.»
Benedict socchiuse gli occhi, tentando di ricordare.
«Ho inserito nel quadro gli schizzi che ti ho fatto quella volta, tecnicamente ci sei anche tu. Poi il tramonto era un’altra tela grande, un metro per settanta, penso, e c’era solo un tramonto, con delle figure nere in contrasto e il cielo era dipinto in modo.. sì, tutto mio. Poi un ritratto, sempre a olio, sempre grande. Ho lavorato per mesi a tutti e tre, e sono importantissimi per me, vogliono dire tanto.»
Prese un sorso di tè, le spalle esili curve.
«Non capisco perché debbano avermeli rubati. Insomma, non sono famosa, non valgono tanto. Non…»
«Chi li ha presi, lo ha fatto per ferirti, sapendo cosa rappresentavano per te.»
Mel alzò gli occhi su di lui, un piccolo sorriso che le tirava un angolo di labbra.
«No shit Sherlock, ti stai dando da fare. Continua.»
Benedict rise e Mel lasciò che la sua risata gorgogliante le scivolasse addosso: la faceva sentire meglio.
«Dev’essere stato qualcuno che ti conosceva» riprese, tornando serio. Mel annuì, in silenzio.
«Sicura di non aver ucciso il gatto di nessuno, rubato qualche fidanzato, avvelenato qualcuno, fatto ritratti offensivi, non so… Sei piuttosto pericolosa quando ti ci metti.»
Mel finse di pensarci su.
«No, non negli ultimi tempi.»
«Beh, dovremmo cominciare a indagare sulle tue passate e presenti relazioni, allora, e cercare di scoprire chi è che hai mortalmente offeso.»
«Suona bene, Sherlock. Ci vediamo domattina a Baker Street?» chiese, stando al gioco, tentando di non sorridere.
«Ah, no, domani mattina devo fare un salto al Bart’s, poi ho merenda con Moriarty, ma potrei essere libero per le tre.»
Da dove diamine aveva tirato fuori quest’energia, questa voglia di scherzare, quando era seduto su un cassone di metallo, stava morendo di freddo – hai voluto fare il galante! – e qualcuno aveva appena rovinato la prima mostra di una sua amica?
Amica, eh?
Mel rise e a Benedict si allargò il cuore.
«Dai, ti accompagno a casa» disse, guardandola con dolcezza. Mel sospirò, bevve l’ultimo sorso di tè e saltò giù dal cassone, seguita dall’uomo. Si incamminarono verso l’uscita.
«Melancholia, eh? Un nome pittoresco
«Fai poco lo spiritoso, Benedict Timothy Carlton Cumberbatch. Porca miseria, è peggio di uno scioglilingua.»
«Come vuoi, Melancholia
«Benedict Timothy… No, non posso ripeterlo. Piantala e basta.»
«Perché ti dà fastidio? È un bel nome. Melancholia… Sa di greco.»
«Smettila, o…»
«O? Cosa mi fai, Melancholia
«Hai scelto proprio la giornata sbagliata, Benedict…»
In breve, finirono per rincorrersi nel parcheggio della Galleria, con Benedict che cercava di schivare il bicchiere di carta del tè e le scarpe di Mel, e lei che tentava di non morire asfissiata – fra il correre, il ridere e il fatto di essere fuori allenamento, ci mancò davvero poco.
Benedict si fermò di botto, si volse e la catturò fra le braccia, sperando capisse che i battiti accelerati del suo cuore erano dovuti alla corsa.
Ah-ha. Come no.
Mentre le risate si spegnevano, ripresero scarpe e giacca e si incamminarono verso casa.
«Comunque è davvero un bel nome, Melancholia, è particolare.»
«Zitto, Sherlock.»
Benedict sorrise, ma non continuò.
 
Mel non aveva mai avuto particolari problemi con il suo nome, semplicemente era stata chiamata Mel da tutti da che aveva memoria. Ma era un tipo che, quando si trovava davanti a qualcosa che la spaventava, si infuriava e scappava via. E sentire la voce da violoncello di Benedict pronunciare il suo nome le aveva dato brividi che mai avrebbe pensato di provare, e non capiva perché.
Ma, ovviamente, non gliel’avrebbe mai detto.
 
°°°
 
Domenica, 31 marzo.
Il signor Reeves aprì la porta.
«Melancholia. Prego, entra» disse affettuosamente, mettendo una mano sulla spalla della sua ex-allieva.
«Buongiorno signore. Lui è Benedict, un mio amico. È un attore, forse lo conosce, è abbastanza famoso…»
I due uomini si strinsero la mano, poi l’anziano rettore li fece entrare e accomodare in soggiorno. Versò il tè nelle tazze e lo offrì agli ospiti, poi si sedette con un sospiro.
«Allora, avete saputo altro da ieri sera?»
Mel scosse la testa.
«L’ispettore McConaghan ha detto che ci terrà informati su eventuali sviluppi.»
Curioso che l’ispettore si dedichi tanto ad un caso minore come questo, i motivi sono due: o questo è il primo incarico che gli viene affidato, di cui è pienamente responsabile, oppure si è invaghito di Mel, il che mi autorizzerebbe a dargli un pugno sul naso… pensò Benedict, prendendo un sorso di tè.
Oh, Signore… Piantala, Sherlock.
«Davvero non capisco, mia cara, perché qualcuno dovrebbe farti una cosa del genere…» disse il professore, guardando la ragazza come un nonno guarda sua nipote.
«Io e Ben pensiamo che sia stato qualcuno che mi conosce, perché i quadri non erano casuali: hanno preso quelli a cui tenevo di più, i migliori. Solo i miei amici e qualcuno di voi professori sapeva dei quadri, insomma…»
«Pensare che un tuo amico ti abbia rovinato la mostra è disgustoso…» commentò il professore. «Eppure dev’essere per forza così: chi altro avrebbe saputo quali quadri scegliere? Ma quello che mi chiedo è perché? Perché qualcuno dovrebbe avercela con te?»
Mel si strinse nelle spalle, abbassando gli occhi. Benedict frenò l’impulso di metterle un braccio intorno alle spalle.
«Oh, be’, per adesso non pensarci. Ho parlato con il Direttore» iniziò il signor Reeves, più festoso. «Ha detto che è disposto a farti rifare la mostra.»
«Davvero?» esclamò Mel, alzando la testa di scatto. Il professore annuì.
«Diciamo che farai a cambio con un altro artista che avrebbe esposto il mese prossimo: lui esporrà per un mese dalla prossima settimana, nel frattempo tu potrai ritrovare i quadri o farne di nuovi. Si inaugura il ventisette aprile prossimo, se tutto va bene. Dovrò ricordarmi di chiedere a quel McConaghan un paio di agenti per la serata…»
Gli occhi di Mel scintillavano.
«Oh, grazie mille, signor Reeves!» esclamò, alzandosi ad abbracciarlo. Il professore rise, battendole una mano sulla schiena.
«Oh, mia cara!»
Mel tornò a sedersi e sorrise a Benedict.
Chiacchierarono ancora un po’, finché Mel non vide che era ora di andarsene.
«Grazie di tutto, professore, a presto!»
«A presto, cara. Buona fortuna.»
La ragazza uscì. Benedict, dietro di lei, si voltò verso il professore e gli strinse la mano. Corrugò le sopracciglia quando l’anziano strinse la presa.
«Sono sicuro che tu non abbia nulla a che vedere con questa storia…» sussurrò, assottigliando gli occhi. Benedict lo fissò sorpreso e indignato.
«Certo che non ho nulla a che vedere, non farei mai niente di male a Mel, e non sapevo nulla dei quadri, non li ho nemmeno mai visti.»
Il professore allentò la presa, ma non lo lasciò andare.
«Perdonami. Ma non si è mai al sicuro, ormai, basta poco per diventare tanti Bruto e Cassio, basta davvero poco…»
Benedict lo scrutò quasi spaventato. L’unica cosa che voleva era scappare da quel vecchio.
«Proteggi Mel. Ne ha bisogno.»
«Non serve dirlo. Arrivederci» disse, la voce bassa e gli occhi freddi. Il signor Reeves gli lanciò un’ultima occhiata penetrante prima di lasciargli la mano e chiudergli la porta in faccia. Ancora sconcertato, Benedict raggiunse Mel sul marciapiede.
«Che ti ha detto?»
Si strinse nelle spalle, evitando il suo sguardo. Non voleva farle sospettare del suo vecchio professore, sembrava riporre tanta fiducia in lui…
«Di stare attento a te» rispose, incamminandosi, il lungo cappotto scuro svolazzante dietro di sé.
«Che intendeva dire?» domandò Mel, seguendolo. Senza badare a dove andava, inciampando su una mattonella fuori posto, fu afferrata da Benedict secondi prima di finire faccia a terra.
«Farti da babysitter.»
Mel rise e Benedict si rasserenò.
 
 
Parlare sull’autobus fu impossibile.
«Che razza di esibizionista. Il cappotto di Sherlock dovevi metterti, come se non fossi già abbastanza riconoscibile!»
«Volevo calarmi nel personaggio per aiutarti nelle indagini. Chi meglio di Sherlock?»
«In un autobus affollato al centro di Londra! Geniale.»
«Chi è che ha voluto prendere l’autobus?»
«I comuni mortali come me non possono dilapidare il patrimonio per andare in taxi.»
«Ma io non sono un comune mortale.»
Mel gli lanciò un’occhiata scettica. Scoppiarono entrambi a ridere.
«Sarai morto di caldo, con quel cappotto di lana, ad aprile, e quella massa di ragazzine addosso…»
«Ehi, non sarai gelosa…» ridacchiò.
«Ma per piacere…» sbuffò lei, voltandogli le spalle con uno svolazzo dei capelli.
Inserì la chiave nella toppa, ma trovò la porta già aperta. Raggelò e guardò Benedict. Lui le mise una mano sul braccio, socchiudendo le labbra per parlare, ma lei gli afferrò la mano e la strinse con forza. Benedict deglutì e si portò davanti a lei. Spinse la porta lentamente, tentando di fare meno rumore possibile.
Tanto se c’è qualcuno dentro vi avrà già sentito da quando stavate sulle scale!
Ignorò la sua vocina e fece un passo avanti nello studio. Mel, dietro di lui, era quasi in apnea.
Fece capolino molto, molto cautamente, aguzzando le orecchie, attento a captare qualsiasi rumore…
«Ma quello è Sherlock Holmes!»
Benedict sobbalzò e pestò un piede a Mel.
«Scusa, oddio, scusa… Tutto bene? Sì, sì, sono Sherlock.»
«Sì, certo, tutto…»
«Oh, porca puttana. Venite, c’è Sherlock Holmes!»
Benedict dedicò finalmente la sua attenzione al ragazzo mingherlino con i capelli rossi che aveva urlato e saltellava al centro dello studio con un dito puntato contro di lui.
«Oh, mio Dio, è assurdo, non ci credo. Oh, mio Dio. Io sono Ned, Ned Jordan» disse, stringendogli la mano con foga. Benedict sorrise, presentandosi.
«Come se non sapessi chi sei! Oh, Dio, non ci credo. Sei più basso che in televisione e… hai anche il cappotto! Oh, Dio, posso provarlo? Tipregotipregotiprego…»
«Ned, per l’amor di Dio, lascialo respirare! Non sai che colpo ci hai fatto prendere, facci entrare» disse Mel, spingendo Benedict in avanti e chiudendo la porta dietro di sé.
«Come hai fatto ad entrare?»
«Ci ha aperto la signora Hemingway» rispose distrattamente il ragazzo, senza smettere di fissare adorante Benedict, che iniziava a sentirsi a disagio. Mel scosse la testa, liberandosi della giacca e borbottando qualcosa contro la signora Hemingway, la padrona di casa impicciona della porta accanto. Alzò gli occhi al cielo allo sguardo da cagnolino di Ned e fece strada verso il soggiorno.
«Vieni, Ben, ignora la fangirl…»
«No, no, non ignorarmi!» protestò Ned, seguendoli. In soggiorno due ragazze sedevano comodamente sul divano, una, dai capelli neri, sfogliando un libro, l’altra facendo zapping in Tv.
«Ma ci siete anche voi due!» esclamò Mel. Che chiunque potesse entrare in casa sua non era rassicurante…
«Mel, tesoro!» esclamò la prima, posando il libro e alzandosi con grazia per salutarla.
«Ned, perché gridavi prima, sembrava che… Oh, per le galosce di mia nonna, tu sei Benedict Cumberbatch!» urlò l’altra, alzandosi di scatto e affrettandosi verso di lui, spingendo via Ned che gli stava accanto.
«Io sono Bernadette, ma puoi chiamarmi Bernie.»
«Benedict, tanto piacere.»
«Ooooh….» esultò, deliziata, stringendogli la mano. Mel sbuffò, incrociando le braccia.
«Volete smetterla? Non capisco perché tutte queste feste, è solo un tipo qualunque con un lavoro particolare, insomma…»
«Oh, Mel, non fare la gelosa, non te lo rubiamo» la stuzzicò Bernie.
«Almeno lasciatelo respirare, su…» continuò Mel, facendo cenno di sedersi. «Ah, Ben, questa è Ruth. Ruth, Benedict» disse, presentandogli la ragazza che era rimasta in disparte, rossa in viso. Benedict le strinse la mano, socchiudendo gli occhi. Aveva qualcosa di familiare, come un vago velo, ma non sapeva perché.
Finalmente si sedettero e Bernie andò in cucina, preparando da bere, conscia dell’incapacità di Mel di gestire ospiti.
«Come mai siete venuti?» chiese Mel, cercando Matisse in giro per la stanza.
«Abbiamo saputo della mostra di ieri» rispose Ruth, guardandola nervosamente. «Volevamo parlarne, ma la signora Hemingway ci ha detto che eri uscita, però ci ha fatto entrare.»
«Ci dispiace tanto non essere venuti, ieri sera, Mel, ma te l’ho detto, mamma non stava bene, Ned è rimasto con me…» disse Bernie, dalla cucina, voltandosi verso Mel.
«E io… avevo quell’impegno…» si scusò Ruth, abbassando il capo.
«Ve l’ho già detto, non fa niente. Anche perché non c’è stata nessuna mostra.»
«Abbiamo saputo. Come mai?» disse Bernie, raggiungendoli con un vassoio con dei bicchieri pieni di aranciata. Si sedette vicino a Ned e gli diede una gomitata, perché smettesse di fissare Benedict, seduto scomodamente accanto a lui. Mel fece uscire Matisse dalla sua camera da letto, dove si era rintanato, afferrò una sedia e raggiunse gli altri.
«Hanno rubato tre quadri: la metropolitana, il tramonto e il ritratto. Il ladro ha bloccato le telecamere, non si sa molto» raccontò, scura in viso.
«Quindi niente mostra?» chiese Ned, dopo qualche istante di silenzio, passando un braccio intorno alla vita di Bernie.
«No: il signor Reeves ha parlato col direttore della Galleria, me la fanno rifare fra un mese, durante il quale devo ritrovare i quadri o farne altri.»
«Be’, ma è una buona cosa» sorrise Bernie, allungandosi per prenderle una mano. Mel sorrise. 
Rimasero in silenzio per un po’.
Mel alzò gli occhi su Benedict, accorgendosi che si mordicchiava il labbro, a disagio.
«Questi erano tutti miei compagni di università, Ben. Ned e io seguivamo gli stessi corsi, e adesso lui è un illustratore di fumetti nerd…»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi.
«Se Superman e Spiderman sono nerd per te, io sono orgoglioso di essere nerd» proclamò fiero. Benedict si voltò verso di lui.
«Lavori in quei fumetti? Wow, è grandioso, io li adoravo!»
E conosco Loki di persona. Ma questo non glielo dirò.
Ned lo fissò in silenzio con gli occhi sgranati e un sorriso ebete, annuendo. Dentro di sé urlava.
Mel nascose un sorriso.
«Anche Ruth era al nostro corso, ma adesso ha cambiato strada e fa la modella» continuò. Ruth arrossì e guardò altrove.
«Del resto, guarda che bel faccino che ha…» fece Bernie, dandole un pizzicotto affettuoso sul braccio. 
«Uscire con lei, al college, era uno strazio: non c’era un ragazzo, dico uno, che ti guardasse, dopo che avevano visto lei. Era terribile» raccontò Mel, facendo ridere Bernie e arrossire ancora di più la ragazza. 
In effetti, dovette constatare Benedict, era molto bella, con i grandi occhi azzurri, i tratti decisi e la massa di ricci scuri.
Ma non batte quell’altra, eh?
«Invece io ho fatto design, ho incontrato Ned in biblioteca, mi ha chiesto di uscire, ho conosciuto Ruth e Mel e sono finita in questo circolo di matti» raccontò Bernie. 
«E io e Ruth ancora non ci siamo messe d’accordo sui nomi dei vostri figli, dopo quasi dieci anni…» disse Mel.
I ragazzi risero e Bernie diede un buffetto sulla mano alla ragazza, arrossendo. Ned la baciò sulla guancia, scherzosamente. Mel si rivolse a Benedict.
«E tu dove hai studiato? Sei andato all’Università?»
«Posso dirtelo io se vuoi» disse Ned, beccandosi un’occhiataccia sia da Bernie che da Mel, mentre Benedict rideva.
«Sono andato all’Università di Manchester e alla LAMDA a Londra, ho studiato Teatro.»
«Ah-ha, sei attore secchione…» mormorò Bernie.
«In cosa hai recitato la prima volta?» chiese Mel. Benedict socchiuse gli occhi cercando di ricordare, poi rise.
«La mia reputazione andrà a farsi friggere ma… Ho fatto Titania, la regina delle fate.»
Gli altri lo guardarono increduli e perplessi.
«Come diavolo ti hanno preso? Hai una voce da trombone!» esclamò Mel, facendo ridere Bernie e Ned.
«Avevo dodici anni!» si affrettò a spiegare Benedict, alzando le mani. Mel annuì, sollevata, poi sogghignò.
«Sai che potrò ricattarti per sempre? Che dirò a chiunque ti conosca e voglia ascoltarmi che hai interpretato Titania la regina delle fate, omettendo casualmente il fatto che avevi dodici anni?»
Benedict abbassò la testa e alzò le mani in segno di resa.
«Tenterò di non suscitare mai la vostra ira: sarò alla vostra mercé, milady, da ora e per sempre.»
Bernie e Ned esultarono, come se stessero seguendo la loro soap opera preferita.
«Te lo sei accalappiato, Mel!» esclamò Bernie.
«Ora sono cavoli tuoi, amico» disse Ned, battendo una pacca sul braccio di Benedict con aria compassionevole. Mel arrossì e gli altri risero.
Continuarono a chiacchierare e scherzare, e Benedict si trovava benissimo con loro, perfettamente a suo agio. Solo Ruth rimaneva in disparte, lanciandogli ogni tanto occhiate oblique che lo confondevano.
Stava raccontando un episodio divertente che gli era capitato a scuola, quando il cellulare gli notificò un messaggio. Senza smettere di parlare, lo tirò fuori di tasca e controllò. Ammutolì e alzò lo sguardo su Mel.
«È l’ispettore McConaghan, dobbiamo andare. Hanno una pista.»







 


"No shit Sherlock" è un'espressione gergale che si usa per prendere in giro qualcuno che dice l'ovvio.
Sì, secondo Wikipedia, Benedict Cumberbatch è stato Titania. Quell'uomo non smetterà mai di sorprendere.
  
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