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Autore: RoseDust    22/06/2014    5 recensioni
Quando Haymitch torna a casa dopo aver vinto la 50° edizione degli Hunger Games, pensa finalmente di essere in salvo e che nulla, nella sua vita, potrà più andare storto.
Non sa quanto si sbaglia.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Haymitch Abernathy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa FF partecipa al quarto turno del contest "1 su 24 ce la fa!" di ManuFury. Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Suzanne Collins; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Sono vivo. Sono a casa.
Questo è tutto ciò che mi interessa.
Non i soldi, non il fatto che ora quella che chiamo "casa" sia una struttura enorme in cui ognuno di noi ha la sua stanza e il suo bagno, non le acclamazioni di chi mi dice che dovrei gioire perché sono un Vincitore.
Mia madre e il mio fratellino stanno bene; all'inizio avevo paura che facessero loro del male, perché il Presidente, il giorno della mia incoronazione, mi aveva sussurrato all'orecchio di non aver apprezzato il mio scherzetto con l'ascia e il campo di forza.
Mentre ero nell'arena pensavo soltanto a salvarmi, non alle conseguenze del mio gesto: non ritenevo un errore cercare in tutti i modi di tornare vivo a casa.
Non era forse quello, l'obiettivo da raggiungere durante gli Hunger Games? Restare vivi?
Soltanto dopo il sussurro del presidente mi sono reso conto di ciò che avevo realmente fatto.
Ero rimasto vivo, è vero; avevo battuto tutti i miei avversari. Peccato che l'avessi fatto nel modo sbagliato.
Ho cominciato a temere per la vita delle persone che amo, più che per la mia: non mi importerebbe morire, l'avevo già messo in conto quando il mio nome è stato estratto da quella maledetta urna, purché la mia famiglia viva.
Ora che sono passate quasi due settimane, però, mi sento più tranquillo: sono appena stato a trovare la mia fidanzata, una ragazza dai bellissimi capelli biondi figlia di negozianti.
I suoi genitori prima ostacolavano la nostra relazione, quando ero solo un ragazzino povero del Giacimento.
Ora che sono diventato più ricco di loro, invece, non ci trovano nulla di ridire.
Nonostante la relativa tranquillità che sta cominciando a pervadermi, faccio incubi ogni notte: rivedo Maysilee, uccisa da quell'ibrido dal becco affilatissimo, e rivedo la ragazza senza nome con l'ascia conficcata nella testa.
Sogno di cadere avvelenato a causa del polline di un fiore e sogno il mio fratellino nell'arena, perché in fondo penso che sia questa la mia paura più grande: che a Cornel tocchi il mio stesso destino.
Mi faccio una doccia bollente e indosso dei vestiti puliti.
Sto scendendo in cucina, pronto per il pranzo, quando sento bussare alla porta.
Mia madre va ad aprire.
Un gruppo di Pacificatori entra in casa.
Il primo le tira un calcio in pancia, così mi lancio verso di loro per fermarli e difenderla, ma due uomini in uniforme bianca si staccano dal gruppo e vengono verso di me.
Lotto per liberarmi, ma loro sono più forti; mi appoggiano una specie di pistola alla tempia e sento come una scarica elettrica: di colpo, ancora sulle scale, mi immobilizzo, non riuscendo più a muovere un muscolo o a chiudere gli occhi davanti all'orrore che mi sta di fronte.
I Pacificatori continuano a infierire su mia madre, nonostante sia chiaro che ormai ogni traccia di vita sia svanita dal suo corpo.
Sento dei passi e un altro uomo in uniforme entra nel mio campo visivo portando di peso Cornel, facendolo inginocchiare accanto al corpo esanime di mia madre.
Vedo le lacrime scorrere sul suo viso; vedo il suo ultimo sguardo, indirizzato a me, e capisco che non mi ritiene responsabile per ciò che sta accadendo: capisco che mi perdona.
Ma come potrò mai, io, perdonare me stesso?
Un colpo di fucile e mio fratello cade a terra, morto.
Non riesco a muovere nessun muscolo, non riesco a gridare. 
Non riesco a lottare per lui, non riesco a dirgli addio.
Immagino che su di lui non abbiano voluto infierire soltanto perché era ancora un bambino, e forse è riuscito a far provare un po' di pietà a quegli esseri senza sentimenti; non lo so.
I Pacificatori che mi sorreggevano si allontanano, tirandomi un ultimo calcio sul naso e rompendolo, ma io sono ancora immobilizzato.
Mi accorgo che, prima di uscire dalla porta, lanciano qualcosa dentro casa mia, ma non riesco a capire cosa sia.
La paralisi svanisce nel momento stesso in cui identifico la strana forma tondeggiante sul pavimento; i capelli lunghi e biondi, gli occhi azzurri spalancati: quella è la testa, tranciata di netto, della ragazza che era la mia fidanzata.
Crollo a terra; non sono più in grado di pensare o di respirare. Non posso più lottare.
Non posso toccare i cadaveri delle persone che amo, sapendo che sono morti per colpa mia, non posso seppellirli o comunque spostarli.
Non ho la forza di fare una qualsiasi cosa per reagire.
Dicono che io sia forte, perché sono un Vincitore, ma non è vero: io sono debole.
Il più debole degli abitanti del Distretto 12, perché coloro che mi davano forza ora non ci sono più.
  
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