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Autore: Afaneia    23/06/2014    3 recensioni
La voce gli chiese: "Qual è il tuo nome?"
Egli sgranò gli occhi in quella luce, mentre le sagome ora mute, indistinte, avanzavano incombendo verso di lui da ogni parte.
Un nome? Ne aveva dunque egli uno?
Genere: Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Ultor'
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Buongiorno a tutti!

Come vedete, ho deciso di postare molto presto il capitolo conclusivo; questo perché ho altri progetti dei quali devo occuparmi, in primis la conclusione di Paternità, e perché comunque, essendo la storia conclusa, non aveva senso tirarla per le lunghe. Desidero molto ringraziarvi anche solo per averla aperta; in particolar modo, i miei più sentiti ringraziamenti vanno a Andy Black e a cristal_93 per le loro cortesissime recensioni.

Vi lascio alla lettura; spero che questo ultimo capitoletto possa chiarire ogni cosa. In ogni caso, in fondo al testo metterò una piccola noticina per eliminare ogni dubbio. Detto questo, buona lettura a tutti!

Afaneia





Lo trovarono seduto vicino alla tomba di Seel, cogli occhi vacui e assorti, completamente nudo, con la pelle irrigidita, illividita dal freddo. Ma quando lo scossero, lo agitarono, lo chiamarono, egli neppure mosse gli occhi, eppure non era cieco, né sordo: semplicemente, sembrava instupidito.

Sua madre urlò, pianse di gioia al vederlo, ma egli neppure volse lo sguardo su di lei. La donna non si perse d'animo: lo portò a casa, avvolto in una coperta, lo lavò con vigore, lo fece sedere in giardino; rimase seduta al suo fianco, tenendogli la mano, parlandogli con voce chiara e calma, invogliando la sua sorellina a fare lo stesso; a sera lo portò in camera sua, lo mise a letto, appoggiò sulle coperte vari pupazzi e vecchi giocattoli, sperando che la loro memoria lo stimolasse. Lo stesso, instancabilmente, continuò a fare ogni singolo giorno per settimane, muovendolo, lavandolo, vestendolo come fosse paralizzato, parlandogli, leggendogli storie come se ancora fosse un bambino piccolo. Sua sorella sedeva ai suoi piedi, giocando con lui per quanto la sua immobilità lo permetteva: gli appoggiava dei bambolotti sulle ginocchia, fingendo che fosse lui a dar loro la voce, e talora si arrabbiava perché non proprio non riusciva a convincerlo a partecipare; ma egli a malapena muoveva gli occhi a seguire i suoi giochi.

Sua madre giunse a spingersi lungo il percorso 8 per catturargli un Pokémon, sperando che una creatura capace di dedicargli affetto e attenzioni potesse riscuoterlo. Tornò a casa un giorno con un Meowth dall'aspetto fragile e malaticcio, e lo portò in camera sua dicendo con voce alta e chiara: "Ti ho portato un Pokémon molto debole. Ho pensato che potresti prendertene cura tu."

Ma per vari giorni egli continuò a rimanere immobile e apatico, scrutando con occhi spenti la creatura che si aggirava, per la camera o il giardino, o dormiva in fondo al suo letto o persino sulle sue ginocchia. Sua madre lo stimolava, lo invogliava, gli ripeteva di occuparsi lui stesso del Meowth, ma a nulla serviva: la sua mente sembrava irrimediabilmente compromessa.

In qualche modo fu proprio quel Meowth a salvarlo. Il Pokémon gli si avvicinava ogni giorno di più, cominciava a giocare con le sue dita, a inseguire i suoi piedi sotto le coperte; quando sua madre lo conduceva in giardino, il Meowth lo seguiva, dormiva sulle sue ginocchia, leccava la sua mano. Un giorno, finalmente, dopo aver vagato a lungo per il giardino, tornò da lui trotterellando e gli depose qualcosa di caldo in grembo. Egli chinò un momento lo sguardo, come obbedendo a un istintivo impulso, e d'un tratto lo colse un senso profondo di orrore e disgusto: forse pensando di portargli un regalo gradito, Meowth gli aveva deposto in grembo un topolino morto! Reagendo d'istinto, egli cacciò un grido disgustato e balzando in piedi gettò sul prato il topolino e gridò a Meowth: "Non farlo mai più!". Poi, come se quel suo slancio vitale avesse esaurito tutta la sua forza, egli ricadde pesantemente sulla sedia e rimase immobile e pensieroso.

Sua madre aveva udito il suo grido ed era accorsa, e ora ristava immobile sulla soglia di casa, a guardarlo con occhi pieni di lacrime. Era la prima volta ch'egli si riscuoteva da quella sua terribile paralisi.

"Oh, Sakaki!" esclamò con voce spezzata. Alla sua voce egli si riscosse e alzò su di lei gli scuri occhi cupi. Poi, dopo un momento, domandò: "Chi è Sakaki?"

La sua domanda cadde come un fulmine tra loro: una luce terribile, una luce di angoscia e comprensione, si accese negli occhi di sua madre. La donna lo fissò come fissando uno sconosciuto, aprì la bocca, poi la richiuse. Infine, avanzò lentamente e andò a inginocchiarsi accanto a lui, prendendo la sua mano. Il suo petto si muoveva affannosamente, ed ella a fatica riuscì a parlargli.

"Sei tu Sakaki" mormorò infine. E, con sforzo ancora maggiore, soggiunse: "Vuoi forse dirmi che non te lo ricordi?"

Egli tacque lungamente. Poi, scuotendo il capo, rispose: "No. Tu sei mia madre?"

Ma la donna emise solo un singhiozzo disperato, angustiato, e lentamente reclinò il capo sulle sue ginocchia. Gli occorsero lunghi secondi per comprendere che, facendole quella domanda, le aveva dato un grande dolore.

"Mi dispiace" disse, e realmente provò una fitta di rimorso guardandola piangere. Incerto, confuso sul da farsi, appoggiò una mano sui suoi capelli; balbettò: "Sento, percepisco che sei mia madre, che questa è la mia casa, quella è mia sorella, ma... non ci riesco. Mi dispiace tanto" soggiunse, e gli dispiaceva ancor più per il fatto stesso che percepiva il suo pianto come se fosse quello di un'estranea, non di sua madre. "Non ricordo nulla, non... tutto è nuovo per me. Vorrei ricordarmi di voi, di me" disse con voce tremante, e l'avrebbe voluto davvero, vedendo tutto l'amore che quella donna, quella bambina provavano per lui. Ma poi non seppe più cosa dire, e tacque.

Finalmente la donna si riprese un poco, si asciugò gli occhi, rimase in silenzio. Fissando i suoi cupi occhi muti egli, Sakaki, se questo era il suo nome, trovò il coraggio di chiedere: "Mio padre... non c'è?"

Temette per un attimo che la donna avrebbe ripreso a piangere e si pentì subito di averle posto quella domanda, ma ella rimase ostinatamente, rigidamente immobile e disse lentamente: "Tuo padre è morto da più di quattro anni."

Sakaki non seppe bene come accogliere questa notizia e rimase immobile, pensieroso. Non ricordava nulla di suo padre, per lui avrebbe potuto non essere esistito mai: ma proprio questo gli causò un grande dolore.

Sua madre si alzò finalmente dal suo fianco, traendo un sospiro profondo e dolcemente appoggiò una fresca mano sul suo volto; egli percepì un caro tocco materno e affettuoso, e provò un terribile senso di colpa all'idea di essersi scordato di lei.

Quando parlò, la sua voce sembrava profondamente spezzata, eppure carica di speranza e di quiete. "Va tutto bene" disse dolcemente. "Non importa. Chiameremo il medico. Faremo qualunque cosa per te, Sakaki, mio caro tesoro... ma per favore, nel frattempo" soggiunse, e la tonalità della sua voce gli fece intuire che questa postilla era molto importante "ti prego, non farlo ancora capire a tua sorella."


Quella sera, Sakaki tornò da solo in camera sua, senza l'aiuto di nessuno, e da solo si cambiò, ma non si mise subito a letto. Sentiva sua sorella, nell'altra stanza, insistere con sua madre perché la lasciasse andare in camera sua; ma la donna, irremovibilmente, la tratteneva ripetendole: "Tuo fratello è stanco. Lascialo stare. Ci sarà tempo domani per giocare."

Gli pareva di essersi risvegliato quel giorno da un sonno incredibilmente lungo, e ora non aveva voglia di andare a dormire. Cominciò ad aggirarsi per la camera, senza scopo, e si soffermò davanti all'ampio cassettone nell'angolo della stanza, dove lo attiravano alcune foto incorniciate, vagamente impolverate, sorridenti. Sì: lui, sua madre, sua sorella... era quello suo padre? Rimase a lungo a fissare quella foto, il suo volto spigoloso e virile, i suoi neri occhi sorridenti; nella foto, suo padre era alle sue spalle, entrambi chini su una torta di compleanno con dieci candeline. Assomigliava molto a suo padre, pensò: quanto avrebbe voluto ricordarsi di lui! Era stato un uomo affettuoso, severo, irascibile, pigro, sportivo, silenzioso? Sentì una fitta di rimpianto a quel pensiero, il pensiero non solo d'aver perduto suo padre, ma soprattutto di averlo dimenticato. Anche la sua sorellina era orfana come lo era lui; ma a lui, quelle identità che vedeva vagamente riemergere dalla nebbia della sua memoria, avevano strappato i soli ricordi che mai avrebbe potuto avere di suo padre... e non solo. Era dunque quello che doveva scontare per qualche peccato che aveva commesso? Perdere tutto, il suo passato, la sua stessa identità... non avrebbe mai ritrovato suo padre, pensò dolorosamente, strappandosi bruscamente da quella foto; si sentiva gli occhi bruciare. Ah, ma egli sapeva a chi doveva tutto ciò! Egli ricordava, come primissima memoria nella sua mente, ciò che quelle presenze gli avevano fatto...

Udì un ticchettio sonoro proveniente dalla finestra: quando si voltò, scorse il suo Meowth che graffiava il vetro per farsi aprire. Povera creatura! pensò lanciandosi ad aprire la finestra per farlo entrare: doveva essere scappato quando lui gli aveva urlato quel pomeriggio in giardino, ed egli insensibilmente se n'era scordato...

"Vieni dentro, caro" mormorò. "Ti ringrazio per l'aiuto che mi hai dato oggi. Perdonami: non avrei dovuto urlarti contro. Oggi mi hai aiutato a riprendermi, e io mi prenderò cura di te, d'ora in poi..." Accarezzò il suo morbido capo peloso, e la creatura fece le fusa e cominciò a pulirsi il pelo.

Sakaki riprese le sue riflessioni: era ancora davanti alla finestra aperta e la brezza accarezzava il suo volto già di giovane uomo. Sì: egli sapeva chi gli aveva tolto la memoria, chi lo aveva privato l'unico ricordo che mai avrebbe potuto avere di suo padre... chi, per finire, gli aveva rubato il suo nome, la sua identità, sottraendolo a se stesso! Erano state quelle presenze che lui aveva percepito nello svegliarsi al buio in quella stanza, quegli spettri che aveva visto chiaramente ridere di lui! Sì, egli sapeva che essi avevano tentato d'ingannarlo per mantenere il segreto sulla loro identità, sul potere con cui tenevano avvinta la città... Essi avevano voluto fargli credere di essere sue allucinazioni, ma avevano fallito: egli ricordava quel loro aspetto di spettri; sapeva che avevano un potere tanto grande da fargli scordare persino il suo nome...

Le sue dita strinsero spasmodicamente il davanzale della finestra, le nocche illividirono: ebbene! poiché essi per impedirgli di scoprire la loro identità gli avevano sottratto il suo nome, egli per vendetta avrebbe scoperto il loro! A qualunque costo egli avrebbe dato loro un corpo fisico, un corpo su cui potersi vendicare, poiché da spettri era per lui impossibile agire su di loro: ma come miserabili, impotenti Pokémon mortali li avrebbe catturati, avvinti come essi avevano avvinto lui! Avrebbe svelato, mostrato a tutti le presenze di quella Torre, che volevano restar nascoste!

Avrebbe avuto bisogno di qualche cosa, certo, di un qualche strumento, probabilmente di molto aiuto, ma non avrebbe desistito, a costo di impiegare anni. La sua mente lavorava già meccanicamente, incessantemente su quel progetto, che di tutta la sua vita era la sola cosa che gli fosse rimasta. Accarezzò pensierosamente il capo di Meowth, sentendosi il petto pieno di eccitazione e ambizione, del desiderio grande della sua vendetta, continuando a meditare: si sentiva preso da un'emozione folle, avida, ambiziosa. Gli sarebbe occorso uno strumento capace di mostrargli il vero volto di quelle creature, la loro vera identità... un oggetto che lo aiutasse a sondare quei corpi ectoplasmatici, impalpabili, quegli spettri...

Sì...! egli aveva bisogno di una Spettrosonda!


Nota dell'autrice: come forse alcuni di voi già sanno, Sakaki è il nome giapponese di Giovanni. Ho scelto di utilizzare il nome giapponese per differenziare questa versione di Giovanni da quella che compare nella mia Saga della Prescelta Creatura, in quanto questa storia non fa riferimento a quella serie.


   
 
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