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Autore: _M e l_    24/06/2014    0 recensioni
Song-fic ispirata dalla canzone "Andrea" di Fabrizio De Andrè.
Dal testo:
Andrea non è più abituato ad essere solo. Si sente fragile, si sente a metà, si sente troppo piccolo per un mondo così tanto grande.
Andrea non è più abituato ad essere alla ricerca di qualcuno. Si sente in colpa, si sente arrabbiato, si sente messo da parte in un mondo così nuovo.
Andrea ci ha provato, ha iniziato a incamminarsi, ma, alla fine, Andrea si è perso.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Faber'
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Andrea non è più abituato ad essere solo. Si sente fragile, si sente a metà, si sente troppo piccolo per un mondo così tanto grande.
Andrea non è più abituato ad essere alla ricerca di qualcuno. Si sente in colpa, si sente arrabbiato, si sente messo da parte in un mondo così nuovo.
Andrea ci ha provato, ha iniziato a incamminarsi, ma, alla fine, Andrea si è perso – nei ricordi di quegli occhi di bosco, di quel profilo francese, di quei riccioli neri – e non si è reso conto di non stare andando avanti per niente, ma di star cercando sempre lui. E ha pensato di essere rimasto quindi al punto di partenza, ma si è sbagliato ancora, perché è invece tornato indietro e Andrea non è più abituato (a non averlo).
Andrea adesso è perso e non sa tornare – o non vuole. E continua a raccogliere violette e annusarle e ricordare il suo odore e fingere che lui sia lì veramente – ma Andrea non è un ingenuo, lo sa che non c'è, lo strazio che prova glielo rammenta ogni secondo e Andrea capisce che le lacrime non gli bastano più per sfogare tutto il suo dolore (specie quando cala la notte e si accorge che non ha più nulla da stringere se non un foglio su cui è scritto ch'è morto la firma di re).
Andrea è sbadato: ha perso l'amorela perla più rara. Si chiede come abbia fatto a non rendersene conto, perché il suo cuore non si sia fermato nel momento in cui accadeva, chi glielo abbia rubato – e non sa se vuole saperlo per vendetta, perché il pensiero è così fuggevole che non ha il tempo di domandarselo e si rende conto che nulla ha più importanza (e si concentra sugli occhi di bosco e il profilo francese e i riccioli neri).
Andrea è pazzo: ha in bocca un dolore la perla più scura. È acido che lo strugge dall'interno, ma a cui non sa rinunciare – e Andrea si costringe a ingoiare (gli occhi di bosco, il profilo francese, i riccioli neri).
Andrea ha rinunciato, ha trovato il suo sollievo. Glielo dicevano sempre, per spaventarlo, che la morte era profonda, ma quando ci ripensa Andrea non ha paura, riesce solo a pensare che è più fonda del fondo degli occhi, della notte, del pianto.
Andrea lascia ai suoi piedi il foglio con la firma d'oro, ci posa sopra le violette raccolte e ingoia un ultima volta (gli occhi di bosco, il profilo francese, i riccioli neri).
Non chiede molto: “Mi basta, mi basta che sia più profonda di me”
e non è più solo e non è più perso e non ha più perso.

   
 
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