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Autore: Suzerain    25/06/2014    3 recensioni
[Hakkenden: Touhou Hakken Ibun]
# 1. Devotion – Inuzuka Shino;
Shino sorrideva, perché è quello che fa un essere umano; sorridere di fronte alla avversità per dimostrare alle stesse di non temerle, perché quella fragile anima si auto convincesse di poter sopportare il peso della colpa – il peso dell'egoismo che l'aveva spinta a strappare alla morte non una, ma due vite.
~[All characters!centric] [Raccolta di otto flash fictions]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Les huit fleurs de la Princesse || Gli otto fiori della Principessa.
Autrice: _snowscene
Fandom: Hakkenden – Touhou Hakken Ibun (八犬伝 ―東方八犬異聞)
Pairing: Nessuno in particolare. All'interno delle prime due flashfic è, comunque, possibile trovare un leggerissimo accenno al Sousuke/Shino/Ao.
Personaggi: Shino Inuzuka, Sousuke Inukawa, Ao Inukawa, Genpachi Inukai, Kobungo Inuta, Keno Inusaka, Dousetsu Inuyama, Daikaku Inumura, Shinobu Inue.
Desclaimer: I personaggi di Hakkenden non mi appartengono, ma sono sotto il copyright di quel genio di Abe Miyuki.
Le canzoni utilizzate appartengono ai rispettivi autori.
Ambientazione: Non specificata all'interno della serie. Si tratta di una raccolta di otto flashfiction, una per ogni personaggio, quindi quest'ultima non è realmente necessaria.
To: Alle mie persone importanti, i cui nomi ormai ritengo superfluo scrivere. Visto che mai avrei potuto desiderare, fino a qualche tempo fa, un rapporto d'amicizia che mi facesse sentire così felice, nonostante la lontananza che c'è tra noi.
Note dell'autrice: Avevo giurato a me stessa che non avrei mai più scritto su Hakkenden.
Ritengo che quest'opera e la sua analisi della psicologia umana siano davvero troppo per me. Oltretutto non riesco ad essere obiettiva, essendo legata alla stessa da sentimenti forse fin troppo stupidamente profondi e complicati.
Ma... non lo so. Stavo guardando il foglio e le prime parole della flash di Shino hanno preso forma. E così hanno fatto le altre, una dopo l'altra; era come se le mie dita si muovessero sulla tastiera senza che io ne avessi il controllo, in un modo forse fin troppo personale e lontano dalla realtà dei fatti. A tratti credo ci sia anche del nonsense assurdo.
Ma è il mio modo di vederli, il mio modo di spiegare il perché delle perle. Sono le mie domande, le mie convinzioni.
E' complicato.
--------
 




 

 

# 1. Devotion – Inuzuka Shino;
« The bonds that tie our connected hands are so strong that they can't be erased;
they are the strings of pain that links our fate
»




Shino sorrideva, perché è quello che fa un essere umano; sorridere di fronte alla avversità per dimostrare alle stesse di non temerle, perché quella fragile anima si auto convincesse di poter sopportare il peso della colpa – il peso dell'egoismo che l'aveva spinta a strappare alla morte non una, ma due vite.
Shino amava, perché un essere umano ama; e lo faceva con tutto se stesso, donando fino all'ultima goccia della sua persona, della sua essenza. Delle possibili conseguenze non gli importava, ciò che avrebbe comportato concedersi completamente a qualcun altro non lo riguardava – era come se tendesse a dimenticare come su di lui gravasse il peso dell'immortalità, cosa il suo corpo ospitasse e spesso avesse minacciato di trascinare la sua esistenza verso un'oscurità che tremava al solo rammentare.
L'aveva visto lui, il vero aspetto di Murasame, il sangue ed i volti di chi nei millenni il demone aveva mietuto. Le sentiva lui, le voci delle anime che all'interno di quest'ultimo vagavano, alla ricerca di una pace che mai avrebbero trovato – sentiva persino il sapore del sangue a volte, come se le sue labbra e la sua bocca ne fossero pregne.
A dispetto dei suoi comportamenti nel profondo dell'animo lo sapeva, che di umano non aveva che la parvenza, ormai.
Eppure sorrideva, amava, piangeva, odiava.
Come un angelo che non riesce ad accettare di aver perduto le proprie ali, seguitava a rincorrere un'umanità non più sua, una natura che aveva smesso di appartenergli nell'istante in cui aveva ceduto al più infimo aspetto della stessa.

Ad Inuzuka Shino fu stata assegnata la devozione.

Perché scelse di vivere, incurante della beffa che avrebbe fatto alla morte.
Perché scelse di vivere, e costrinse Sousuke a vivere a sua volta.

 

 

 


 

#2. Duty – Inukawa Sousuke;
« I want to save you
I need you
Save me too »

 

 

Un passato privo di ricordi, un'esistenza che si aggrappa alla vita per semplice capriccio; Sousuke aveva accettato ciò che un qualsiasi altro essere umano avrebbe considerato come maledizioni senza che dalle sue labbra fuoriuscisse una sola lamentela, senza che il cuore s'interrogasse sulle stesse nemmeno una volta. Si era convinto che non vi fosse altro modo per continuare a camminare accanto a lui, proteggere quella stessa persona che alla sua vita aveva restituito un senso e che si era interessata a lui quando nessun altro l'aveva fatto – quando si era ritrovato solo senza nemmeno conoscerne le ragioni, nella mente immagini sfocate e poco distinte.
Aveva fatto di Shino il centro della sua esistenza, la ragione del suo respiro; l'aveva protetto pur sapendo di star andando incontro alla morte quando quella donna aveva raso al suolo il loro mondo, aveva accettato lo spirito di un altro dentro di sé, pur di restargli accanto. Se solo gliel'avesse chiesto, avrebbe raso al suolo intere nazioni per lui (ed una parte della sua anima l'aveva fatto davvero, macchiandosi di nero – perché in tal modo sarebbe stato più forte, il contrasto con il suo candore).
Sousuke cercava di avvicinarsi a quella luce il più possibile, pur essendo consapevole che prima o poi quel bagliore l'avrebbe accecato.
Rinunciando ad un passato fatto d'oscurità – a memorie nelle quali il cremisi predominava sugli altri colori. Scaricando quel peso su una parte di sé che a causa dello stesso era arrivata a separarsi da lui – un peso troppo gravoso perché una sola esistenza potesse sopportarla, un nero troppo denso perché la luce potesse raggiungerlo. Quel nero, era divenuta poi ombra. L'ombra, aveva poi preso forma.
Ao.

Ad Inukawa Sousuke fu stato assegnato il dovere.

Proteggere Shino era il suo compito.
Distruggere Shino era il suo destino.

 

 

 



# 3. Faith – Inukai Genpachi;
« Well I need someone to hold me
But I'll wait for something more
Yes I've gotta have faith »


 

Genpachi credeva davvero nell'esistenza di un Dio, un'entità che si eleva al di sopra delle altre e come un marionettista manovra silenziosamente i fili dell'umana esistenza. Vi credeva perché più volte questo gli aveva dato prova di esistere, di essere dalla sua parte; generoso, gli aveva permesso incontrare una persona accanto alla quale si sentiva completo, capace di affrontare il mondo intero. Nella sua vita aveva fatto la sua comparsa Kobungo – il fratello che mai aveva avuto e che sempre aveva desiderato. La famiglia Inuta lo aveva accolto, crescendolo come se fosse un figlio, incurante di quelle che sarebbero state le reazioni dei compaesani. Inukai Genpachi aveva trovato tutto ciò che un essere umano potrebbe desiderare – ed era felice e grato al Creatore per avergli concesso un simile privilegio, avergli permesso di comprendere cosa significasse la parola “felicità”.
Persino quando la Guerra del Nord era scoppiata il suo cuore era leggero; sentiva che le cose si sarebbero presto risolte, che non vi sarebbero state perdite umane – così dicevano tutti. Ci aveva creduto davvero, e durante i primi mesi quella convinzione gli aveva permesso di andare avanti. Quotidianamente si ripeteva che tutto sarebbe andato per il meglio finché Kobungo sarebbe stato accanto a lui, fino a quando Nui avrebbe continuato ad irradiarlo con la sua luce.
Ma i mesi seguitavano a trascorrere e le vite dei suoi uomini gli furono strappate una dopo l'altra. Fu costretto ad assistere alla comparsa di veri e propri Demoni, all'immagine degli stessi che ferivano suo fratello senza poter fare nulla – ma la ricordava chiaramente, la sensazione dei loro artigli che gli squarciavano il petto. Ed aveva pregato, perché altro non poteva fare; pregato affinché Kobungo si salvasse, pregato di poter sfiorare ancora una volta la sua luce.
Lui si era salvato, ma quando era tornato alla Capitale si era reso conto che, in cambio della sua vita, il suo Dio era morto.
Ed aveva cercato di raggiungerlo – perché una vita senza Nui non aveva senso, perché qualcosa si era spezzato nell'istante esatto in cui aveva visto il suo corpo esanime –, rendendosi conto che qualcosa era cambiato e che se il suo Dio l'aveva abbandonato, le fiamme dell'Inferno l'avevano accolto – ed era ironico che l'avessero fatto quando stava per morire assiderato, il corpo intorpidito dal gelo delle montagne.
Il suo Dio era morto, e le sue convinzioni assieme a lui. Poi aveva incontrato Shino.
E qualcosa si era risvegliato.

Ad Inukai Genpachi fu assegnata la fede.

Perché comprendesse che nemmeno Dio è onnipotente.
 

 

 

 

#4. Brotherhood – Inuta Kobungo;
« When we grow up we'll both be soldiers
And our horses will not be toys
And I wonder if we'll remember when we were here
Two little boys
»


 

Quando si erano incontrati per la prima volta erano poco più che ragazzini. Kobungo ricordava quella situazione con chiarezza, perché il ricordo si era impresso indelebilmente nella sua anima, nemmeno fosse un marchio; nonostante i tratti del volto non ancora pienamente maturi, aveva gli occhi pieni di una forza che in nessun altro essere umano aveva mai visto. Quella volta, Genpachi gli aveva sorriso, gli si era avvicinato (« Tu sei Inuta Kobungo, vero? Diventiamo amici! Io sono Genpachi. Inukai Genpachi! » ) e gli aveva stretto la mano. Una stretta forte ed al tempo stesso delicata – che poco si addiceva ad un militare ed ancor meno ad un ragazzo che qualcosa come la delicatezza non aveva avuto modo di conoscerla pienamente.
Genpachi era diventato il suo sostegno, il suo ideale. E più il tempo trascorreva, più finemente si intrecciavano le loro esistenze; ne era sempre più convinto, Kobungo: quell'incontro non era stato una casualità.
Era stato destino.
Poi Genpachi aveva incontrato Nui, e quel rapporto aveva assunto una piega differente, più intima.
Sorridendo aveva potuto osservare il loro legame svilupparsi, era stato il primo a venire a conoscenza del loro fidanzamento (« Questo fa ufficialmente di te mio fratello! Non credi, Genpachi? »), a dare loro la sua benedizione; si disse che non avrebbe potuto chiedere altro, si convinse di non avere desideri alcuni – e forse fu davvero così, fino allo scoppio della Guerra del Nord.
Seguì Genpachi di sua spontanea volontà, perché mai gli avrebbe permesso di avventurarsi in una simile impresa sapendo di non potergli essere di sostegno. Assicurò a Nui che sarebbero tornati entrambi, che quel giorno avrebbero festeggiato e che “il loro sarebbe stato il matrimonio più bello a cui l'intera Capitale Imperiale avesse mai assistito”. E sua sorella gli aveva sorriso – lo ricordava chiaramente, perché quando la vita gli fu strappata non vide altro che quell'immagine, come se tutto il resto fosse scomparso; era stato allora che aveva sperato, desiderato.
Aveva pregato affinché suo fratello si salvasse, perché il volto di sua sorella si animasse ancora di quello stesso sentimento.
Aveva desiderato l'altrui salvezza – ma inconsciamente aveva desiderato di vivere.
E se ne rese conto una volta fatto ritorno, quando i suoi genitori gli mostrarono quello stesso corpo che portò Genpachi alla follia – aveva desiderato la vita e questa era stata strappata ad una delle persone che per lui più contavano.
Quel giorno, Kobungo si sentì morire, assieme al Dio che Genpachi aveva per tutta la vita inseguito.

Ad Inuta Kobungo, fu assegnata la fratellanza.

Se il Dio di suo fratello era morto, sarebbe andato avanti anche per lui.


 


 

#5. Wisdom – Inusaka Keno;
« Your string of lights is still bright to me
Oh, who you are is not where you’ve been
You’re still an innocen
t »

 

Era bastato un attimo perché tutto ciò che conosceva ed amava gli fosse strappato via. Era una consapevolezza che a distanza di anni ancora lo feriva, un dolore che, ne era certo, non sarebbe mai riuscito a guarire – un male dell'anima e non del corpo. Keno trascorreva le sue giornate in attesa, alle stesse quasi non prestava attenzione, costantemente alla ricerca di un indizio, indipendentemente da quanto piccolo questo potesse essere.
Ma più a quell'uomo si avvicinava, più questo svaniva dalle sue mani, come se si trattasse di fumo.
Inspirava, espirava, inspirava ancora; danzava sulle note di una melodia che solo a lui era dato sentire, un battito che gli apparteneva ed allo stesso tempo era sconosciuto. Espirava, inspirava, ancora espirava, le mani che si portavano verso l'alto e si muovevano con eleganza, il volto nascosto da una maschera bianca. Non ascoltava il suono prodotto dagli strumenti delle proprie compagne, non udiva le voci degli spettatori né i loro applausi; si limitava a seguire quel ritmo, quel battito.
Come se altra guida non avesse.
Quando aveva visto per la prima volta Sousuke, quella melodia era per la prima volta mutata. Si era fatta più rapida, quasi impaziente: ed allora si era convinto, Keno – istintivo, preda di sentimenti troppo forti. Si era convinto di essere finalmente in grado di afferrarlo, quel fumo.
Si era lanciato contro di lui senza pensare ad altro appena ne aveva avuto l'occasione, l'aveva guardato con superiorità, sperando di trovare in lui un qualche riscontro, desideroso di scatenare in lui una qualche reazione. Poi era comparso Shino, la voce di Kokonoe aveva rotto il silenzio venutosi a creare e lui aveva messo lentamente a fuoco.
Keno aveva desiderato così tanto la vendetta da non rendersi conto di come questa lo stesse accecando.
Si rese conto della necessità di metterla da parte – e ci provò, ripetendosi il destino avrebbe permesso al suo desiderio di realizzarsi, che quel crimine non sarebbe rimasto impunito.
E mentre camminava per strada, l'ombra che disperatamente aveva inseguito gli passò accanto.
Il tempo si fermò.

Ad Inusaka Keno fu assegnata la saggezza.

L'inseguiva, pur senza essere in grado di impadronirsene davvero.
 


 

 

#6. Loyalty – Inuyama Dousetsu;
« You'd know, how the time flies.
Only yesterday, was the time of our lives.
We were born and raised in a summer haze,
Bound by the surprise of our glory days.
»

 

Dousetsu ricordava chiaramente quel giorno. Il suono prodotto dalla pioggia, il calore della mano di Mutsuki che stringeva la sua, le sue guance rigate dalle lacrime – era una bambina ma cercava di essere forte, e questo lo rendeva fiero e lo rattristava al tempo stesso. Non sapendo che altro fare, nella sua ingenuità di neo-adolescente, le aveva sorriso, dicendosi che forse questo l'avrebbe calmata e che la sua mano avrebbe smesso di tremare. Le aveva promesso che l'avrebbe ritrovata ed a se stesso che ci sarebbe riuscito davvero; e non gli importava di cosa gli altri potessero dire o di quanto disperato quel gesto potesse sembrare.
L'avrebbe trovata, non contava il resto.
Per questo, quando le forze l'avevano abbandonato e si era lasciato cadere nella foresta, troppo stanco per andare avanti, aveva provato nei suoi confronti odio. Odio per essere tanto debole, odio perché, mentre quella ninna nanna lo cullava, si ritrovò a pensare che lasciare che la Moira facesse il suo corso sulle note di un tanto magnifico suono non fosse poi così male.
Si odiò per la sua debolezza, conscio di non essere altro che preda di qualcosa più grande. E mentre osservava il cielo, lottando perché le palpebre non si chiudessero e combattendo per tenere lontano Morfeo, ebbe l'impressione che lo stesso l'avrebbe di lì a poco divorato, inglobato. Gli venne da sorridere: erano state così vane le sue parole? Era stata la promessa di un marinaio, la sua?
Dousetsu aveva inseguito un'immagine che diventava sempre più sfocata, preda di emozioni che non riusciva a controllare.
E sospirò, mentre fiocchi di neve leggeri si poggiavano sul suo volto e le note di quella canzone si facevano più alte, come se l'autore della melodia si stesse avvicinando. Sospirò una seconda volta, sentendosi debole – troppo stanco per rifiutare quella possibilità.
« Vuoi vivere? Allora esaudirò il tuo desiderio. »
Mentre i suoi occhi si chiudevano, sentì delle labbra che sfioravano le sue.

Ad Inuyama Dousetsu fu assegnata la fedeltà.

Sarebbe stato a causa del suo inseguire i fantasmi del passato, che sarebbe andato incontro alla sua fine.
 

 



 

#7. Gratitude – Inumura Daikaku;
« Let me see you through
'cause I've seen the dark side too
Nothing you confess
Could make me love you less.»


 

A Daikaku potevano, senza ombra di dubbio, essere rimproverate molte cose: aveva un pessimo carattere, era burbero e tendeva a spazientirsi facilmente. Al tempo stesso come Inumura Norikiyo era solito raccontare con il sorriso sulle labbra, era una persona leale, una di quelle che nel momento del bisogno ti rendi conto di essere felice di poter definire “amica”. Lo ripeteva spesso, ed ogni volta Daikaku arrossiva in modo leggero e si allontanava con una scusa – “Mi spiace padre, devo completare l'ordine che ci è stato assegnato!” o anche “Perdonatemi padre, è l'ora di dare ad Hinaginu la sua medicina!”.
Quelle parole, il moro, non aveva mai saputo come gestirle; nessuno gli aveva insegnato qual era il comportamento da tenere, ed in tutta onestà mai avrebbe creduto che qualcuno avrebbe parlato di lui in quel modo – l'aveva trattato come un rifiuto, quell'uomo, tanto che lui aveva finito per il convincersi di esserlo davvero. E perché mai ad uno scarto sarebbe dovuto essere insegnato qualcosa?
Non ve n'era il motivo.
Ad insegnargli a vivere era stato Norikiyo, e non c'era giorno in cui, per questo motivo, Daikaku non lo ringraziasse. Fu per questo che prese Noro con sé, accudendolo con la stessa amorevolezza che gli era stata riservata. Fu per questo che quando quell'essere, ciò che di suo padre restava, gli si era avvicinato, non aveva fatto altro che chiudere gli occhi ed attendere.
Se l'uomo che gli aveva donato la vita avesse voluto riprendersela, lui non avrebbe protestato.
Ma non sentì il contatto avvenire, no; fu un miagolio ciò che catturò la sua attenzione prima che la minuta figura s'avventasse contro quella creatura, lasciandosi divorare da una luce troppo abbagliante perché potesse guardarla direttamente. Ed ancora fu la pioggia che sentì sulla pelle quando questa scomparve, lasciando di Noro nient'altro che il ricordo, vivido nella sua memoria.
Quella e nient'altro.

Ad Inumura Daikaku fu assegnata la gratitudine.

E stavolta, quel nome non l'avrebbe più dimenticato.
 

 



 

#8. Benevolence – Inue Shinobu;
« I throw away my useless pride. 
May kindness come to this world. »


 

Shinobu è sempre stato un bambino come tanti altri. Gli piaceva giocare con i suoi coetanei, passare del tempo insieme a sua nonna, ma, più di ogni altra cosa al mondo, Shinobu adorava sua madre. I suoi lunghi capelli biondi, il calore della sua stretta; era gentile, bella, e per lei avrebbe fatto qualunque cosa, di questo era certo; lo testimonia il fatto che non si ribellò in alcun modo quando lo svegliò nel cuore della notte, trascinandolo in un posto che, nella sua innocenza di bambino, lo terrorizzava. O che nonostante si rifiutasse di rispondere alle sue domande ed inspiegabilmente avesse preso a trattarlo con freddezza continuasse a seguirla, docile. Ma il sentiero diventava sempre più tortuoso, e dopo poco la paura ebbe il sopravvento.
« Non voglio, mamma! » L'aveva urlato, l'aveva strattonata e poi, semplicemente, aveva perso l'equilibrio.
Ciò che accadde poco dopo non l'ha mai rammentato – fu un attimo e si trovò a fissare le stelle, il piccolo corpo dolorante ed il respiro affannoso. Tese la mano verso il corpo esanime della donna, cercando un riscontro, cercando il suo calore; la chiamava, nella voce una disperazione che mai aveva prima di quell'istante udito.
Poi una piuma gli sfiorò il viso, e Kagetsu lo strinse a sé.
Non era più solo.
Ed avrebbe ripagato il suo debito, pensò, mentre si avvicinava al corpo senza vita di Kagetsu: ciò che gli era stato donato, l'avrebbe restituito. Ne era sicuro.
Poi sentì la lama di Ochiba e niente più.

Ad Inue Shinobu fu assegnata la benevolenza.

Ciò che aveva ricevuto in dono, l'avrebbe donato a sua volta.


 

 
 
   
 
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