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Autore: mairileni    25/06/2014    4 recensioni
“Trova un modo.”
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera, qui è pwo_pah che parla! ^_^ 

A chi di voi segue The Dramatist avevo già anticipato che avrei pubblicato una OS. Beh, eccola qua! 

No, non ho sbagliato tasto, è proprio fluff. Mah, tentiamo. 

Chiaramente mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate (poi, se l'esito sarà tragico, tornerò nel mio angolino angst e non vi infastidirò più).

 

DISCLAIMER: niente di ciò che scrivo ha pretese di veridicità e non vengo pagata per pubblicare storie — oggi così, asettica.

 

Che dire, buona lettura!

 

(Un grazie ad Alex per la pazienza, per i consigli e perché sì).

 

 

pwo_

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LOVE IN A MAILBOX

 

 

 

 

 

 

Della casa sull'albero che costruii nel 1994 con Matt mi è rimasta impressa la cassetta della posta. L'aveva ricavata da una scatola di latta trovata sui gradini della sua porta dopo l'uragano Julie — un nome grazioso, per un uragano — assieme a una lattina di birra vuota, uno spazzolino, la ruota di un triciclo, un tubo, due forchette e tre uccelli morti. Avevamo discusso a lungo sull'utilità di quella cassetta, dubbia per me ed evidente per lui, e alla fine a vincere era stato lui — come sempre, e come alla fine di tutta quella storia. Chiaramente quella cassetta rimase sempre vuota. 

   Tranne. 

   Tranne quella volta in cui ero appena tornato da Stockport in compagnia di mio padre e delle bende attorno alla mano che avevo pensato bene di infilare in un alveare. L'idea era quella di restare a Stockport per tutta l'estate, ma a causa quell'incidente dovemmo tornare immediatamente a casa. Dopo avermi portato al pronto soccorso, mio padre mi aveva comunicato che ero un imbecille, e io mi ero trovato parzialmente d'accordo per il semplice fatto che deliberatamente avevo ficcato dentro a quell'alveare tutta la mano fino al polso. Però per un motivo preciso. Anche se questo mio padre non lo venne mai a sapere, perché non avrebbe capito. Quella volta mi arrampicai sulla scaletta appesa all'albero cercando di non guardare il sangue che traspirava dalle bende, e appena salito sulla piattaforma scoprii con sorpresa che Matt non era lì. Avevo ricontrollato l'orario, ed era stata solo una riconferma della mia puntualità. È stato allora che ho aperto la cassetta delle poste. Senza nessun motivo, l'ho aperta e basta. Ero convinto di trovarla vuota, eppure quella volta non lo era. 

   Quanto eravamo scemi.

 

 

 

 

 

 

 

Teignmouth, stazione, 7 luglio 1994.

Ore 10:23 del mattino.

 

A Matt hanno sempre fatto pena le persone che cadendo si rompono gli occhiali. Gli fanno venire una tristezza indicibile, perché già non è bello che una persona cada; poi, se in più a questa persona si rompono anche gli occhiali, allora il mondo è proprio ingiusto. Perso nelle proprie elucubrazioni, dà un'ultima occhiata alla bambina che sulla banchina dall'altra parte delle rotaie è inciampata sulla faccia riducendo la montatura degli occhiali a un mucchietto rosa inutilizzabile. La bambina, in compenso, non si è fatta nulla, constata tra sé e sé. Controlla l'orario. Le 10:23. Ha ancora almeno quaranta minuti, prima di potersi preoccupare legittimamente. 

 

 

 

 

 

Teignmouth, giardino di casa Bellamy, 13 maggio 1994.

Sempre ore 10:23 del mattino.

 

Dominic ha dei problemi a raggiungere la casa sull'albero: lui è giù, la casa è su, la scaletta di corda è irrisoriamente impigliata in un ramo troppo alto da raggiungere, anche mettendosi in punta di piedi.

   «Matt!», chiama per la terza volta.

Sta seriamente pensando di andarsene e di passare quella domenica in compagnia di qualcun altro, quando finalmente compare dalla piattaforma della casetta una testa mora che guarda giù. Matt fa ciao con la mano.

   «La scala!», urla Dominic.

   «È impigliata.»

   «Questo lo vedo. Disimpigliala!»

   «Questa parola non esiste.»

   «Matt, cazzo, buttami giù quest'accidenti di scaletta, che sto morendo di freddo!»

   «Perché?»

   «Dio, Matt, buttamela giù e io salgo, veloce!»

   «Come vuoi.»

Matt sparisce dietro la linea della piattaforma e Dominic, mentre saltella stolidamente nel tentativo di scaldarsi, lo sente armeggiare per qualche secondo.

   «Arriva!», sente annunciare, da sopra di sé.

La scaletta di corda precipita dall'alto come un dardo, e armoniosamente si posa per terra, davanti a lui. Sì, ma tutta. Dominic sospira quando sente la risata stupida di Matt prendersi gioco di lui.

   «Matt, quando ti dico: “buttami la scaletta”, intendo solo un estremo, non tutta la scaletta.»

   «Ah, sì?», chiede Matt con la voce che trema per le risate. «Scusa, non avevo capito!»

Dominic sospira.

   «E comunque sei un cretino. Avevi pensato al fatto che, se la scaletta è qui e tu sei lì, ora non puoi più scendere?»

Dalla piattaforma della casa sull'albero compare una testa mora dall'aria piuttosto preoccupata. 

No, a questo non aveva pensato.

 

 

 

 

Teignmouth, sotto casa Howard, 24 maggio 1994.

Ore 1:34 di notte.

 

Matt ha dei problemi a raggiungere la stanza di Dominic: lui è giù, la stanza è su (primo piano) e le luci al suo interno sono spente. Sbuffa. Cerca qualcosa da lanciare sul vetro per svegliare Dom con quel rumore, ma trova solo un gatto randagio, che come dardo gli sembra eccessivo. Neanche un sassolino in vista. Decide che è disposto a sacrificarsi. Estrae la scatoletta di caramelle dalla tasca, con un sospiro coinvolto. Se solo Dom non avesse questa mania di andare a letto prima delle tre, pensa. Parte da quelle al limone, perché sono le meno buone di tutte. Lancio. Tic. Come rumore c'è di meglio, ma Matt è speranzoso. Cerca un'altra caramella al limone, lancio. Tic. Un'altra, lancio. Tic. Lancio, tic, lancio, tic, lancio, tic

   «Si prospetta una lunga serata», considera tra sé e sé.

Quando ormai ha finito tutte le palline al limone e quelle all'arancia e con orrore realizza di dover passare alle squisite palline alla fragola, la luce oltre il vetro si accende. Matt riporta la scatoletta al suo posto e attende.

   «Matt, brutto coglione, che cazzo vuoi, lo sai che cazzo ore sono?», esclama un assonnatissimo Dominic, sporto dalla finestra.

   «Che Giulietta!», è il commento sarcastico di Matt.

Dominic ride. Starà al gioco.

   «Romeo! Se ti vedono, ti uccidono!»

   «Il tuo sguardo ferisce più di venti delle loro lame!», risponde Matt, teatrale. «E ora non cagare il cazzo e sciogli la tua treccia, che mi si gelano le palle.»

   «Arrampicati, Matt. Ti aspetto con i biscotti.»

Dominic sparisce dentro la sua stanza, Matt gli urla: “Quelli al burro, per favore!”, ma non è certo di essere stato sentito. Non lo ripete per paura di essere scoperto. Del resto, è una gran fatica essere un maschio e corteggiare il figlio di due cristiani mentalmente chiusi, a Teignmouth. 

 

 

 

 

 

Teignmouth, casa sull'albero, 3 giugno 1994.

Ore 5:23 del pomeriggio.

 

Dominic ha dei problemi a capire a cosa possa servire una cassetta della posta alla casa sull'albero che ha costruito con Matt: lui la trova inutile, Matt la trova essenziale ed entrambi avevano già concordato che, in caso, sarebbe stata rossa. Se la rigira tra le mani, la pittura si è appena asciugata. 

   «Questa cosa non ha senso», sentenzia, lapidario.

   «Taci.»

   «Ma perc...?»

   «Voglio che la mettiamo, ok? Per favore.»

   «Ma Matt... mh... ok.»

Dom ha portato il nastro isolante come gli è stato chiesto il giorno prima, e ora lo porge diligentemente all'architetto della coppia, che glielo toglie dalle mani, fissa la cassetta delle poste a un ramo sporgente e torna a sedere accanto a lui, naso all'insù e gambe incrociate.

   «Fatto.»

   «Lo sai che rimarrà sempre vuota, vero?»

   «Abbi fiducia.»

 

 

 

 

 

Teignmouth, stazione, 7 luglio 1994.

Ore 10:34 del mattino.

 

Si era ripromesso di non angosciarsi troppo, ma ora Matt è già in agitazione. Controlla ancora l'orario, dopodiché torna a guardare i binari. Il suo treno partirà alle undici. Il borsone che ha preparato con cura per l'occasione lo fissa insistentemente dal basso, la bambina-con-gli-occhiali-rotti-che-in-compenso-non-si-era-fatta-nulla è sparita sul regionale di dieci minuti fa. C'è ancora tempo, per iniziare preoccuparsi, ma Matt fatica a convincersene.

 

 

 

 

 

Teignmouth, aula di storia contemporanea, 12 giugno 1994.

Ore 9.12 del mattino.

 

Matt ha dei problemi ad arrivare alla schiena di Dominic: lui è nel banco dietro, la schiena di Dominic è nel banco davanti e la professoressa di storia li fissa con insistenza, perché sa che, quando possono, quei due chiacchierano. Matt afferra un righello e ne picchietta la punta sulla spalla dell'altro, che annuisce. Sta ascoltando. 

   «Dom, quando hai detto che partirai per Stockport?», 

   «Il 2 luglio.»

   «Non partire», prega infantilmente Matt, accarezzandogli il collo con il righello. 

   «Devo, purtroppo. Ci rivedremo, a settembre.»

   «Non partire.»

   «Devo.»

   «E allora torna prima.»

Matt si è impuntato. E quando Matt si impunta, si impunta sul serio, come un bambinetto.

   «Non posso, Matt», fa pazientemente Dominic, toccando il righello sulla sua nuca con un dito.

   «Torna prima.»

   «Matt...»

   «Torna prima, torna prima, torna prima.»

   «Ma come faccio?»

   «Trova un modo. Torna prima, Dominic. Torna prima e subito. Trova un modo.»

   «Ma...»

   «Howard e Bellamy! Volete anche dei biscotti, mentre chiacchierate?», strilla la professoressa.

   «Quelli al burro, per favore!», risponde Matt sollevando un dito con aria beffarda.

Un attimo prima di uscire dalla classe per raggiungere l'ufficio del preside, Matt si volta verso Dominic e mima tre parole con le labbra: “Trova un modo”.

 

 

 

 

 

Teignmouth, salotto di casa Howard, sempre 12 giugno 1994.

Ore 8.50 di sera.

 

Dominic ha dei problemi a capirsi con suo padre: lui non ha voglia di parlare, suo padre non ha voglia di ascoltarlo ed entrambi sono fermamente convinti che non esista altra verità se non quella che ognuno di loro professa. Il signor Howard è sprofondato poco fa nella poltrona accanto al divano dove siede Dom, mentre la moglie si è eclissata nella propria stanza come di consueto. La tensione si taglia a fette.

   «Ieri è entrato dalla finestra», comincia il padre di Dominic senza inutili preamboli.

   «Chi?»

   «Sai benissimo chi. Quel Matthew.»

   «No, non è entrato dalla finestra.»

Effettivamente era entrato dalla porta mentre i genitori di Dominic dormivano. Era la prima volta che tentavano di vedersi così, comodamente e senza rocambolesche arrampicate su per la grondaia o rischiose uscite notturne. Pensavano di non essere stati visti, ma evidentemente si erano sbagliati.

   «Dominic.» 

Come ammonimento bastava.

   «... È entrato dalla porta.»

   «Non mi interessa da dove entrato; non deve entrare. Punto.»

   «Dio, papà, non abbiamo mica scopato!»

   «Modera i termini! Quel ragazzo non mi piace e voglio che tu ne stia alla larga, d'accordo?!», grida il signor Howard.

   «Non ti piace solo perché è gay!», sbraita di rimando Dominic. «E anch'io lo sono!»

   «Sta' zitto, non sai quello che dici! Supererai questa tua... fase durante l'estate, a Stockport, e con il rientro a casa ti sarai già scordato di quel ragazzo e di tutta questa assurda faccenda.» 

Dominic sospira pesantemente. Gridare non servirà a nessuno dei due. 

   «Papà, perché non posso stare con una persona con cui mi sento bene?»

   «Ti passerà», insiste cocciutamente il signor Howard. «Non voglio che quel Matthew entri in casa nostra, Dominic. Quel ragazzo ti sta fuorviando.»

   «Ma che cosa dici, papà?!»

   «Non alzare la voce con me, ragazzino! Così ho deciso!»

   «Ma...»

   «Niente “ma”!»

Il signor Howard alza il Dito Indice Della Disapprovazione ed esce dalla stanza con la stessa velocità con cui è entrato. 

   «Se proprio vuoi saperlo, non ci siamo nemmeno mai baciati», sussurra il “ragazzino” al vuoto. 

Ed è vero, lui e Matt non si sono ancora mai baciati. Dominic ha gli occhi lucidi, ma più per rabbia che per altro — odia la gente retrograda.  Sospira e poi resta incantato a fissare il tappeto per dodici secondi precisi — non che li conti, ma effettivamente passano dodici secondi precisi prima che alzi la testa e si decida ad andarsene in camera sua. 

   Mentre prepara lo zaino di scuola per il giorno successivo, scorge un foglio a quadretti piegato in quattro parti che spunta dal suo diario e che ha tutta l'aria di essere stato strappato da un quaderno. Lo apre. In una scrittura tremolante, sul foglietto è scritto: “Trova un modo.”

 

 

 

 

 

Teignmouth, reparto surgelati del supermercato “Tesco”, 1 luglio 1994.

Ore 11.11 del mattino.

 

Matt e Dom hanno dei problemi a scegliere ambientazioni romantiche: Dom è costretto a essere cauto perché i suoi genitori non ne approvano la sessualità, Matt ha cattivo gusto, quindi non se ne accorge, e il “Tesco” si trova esattamente a metà strada tra le loro case. Hanno scelto di trovarsi lì, Dominic con la scusa di voler comprare una crema solare prima della partenza, Matt comunicando serenamente alla famiglia che sarebbe andato a salutare Dom.

   A pochi metri da lì, una signora molto grassa e con un gran cappello di nome Caroline — la signora, non il cappello —, sorride intenerita alla vista di due ragazzini, uno biondo e uno moro, che si abbracciano forte prima di separasi per l'estate. 

 

 

 

 

 

Teignmouth, stazione, 7 luglio 1994.

Ore 10:48 del mattino.

 

L'ansia ora è quasi insostenibile. Matt doveva immaginarsi che sarebbe andata così, ma in qualche modo ha sperato fino all'ultimo, e in questo momento sta ancora sperando. Una vecchietta gli chiede a che ora passerà il prossimo regionale per Exmouth, e lui risponde stringatamente che il prossimo regionale per Exmouth passerà tra poco e che non c'è da preoccuparsi. Da che pulpito, poi. Si accuccia sul suo borsone morbido e porta le ginocchia al petto. Canticchia tra sé e sé una canzone a cui sta lavorando, ma rinuncia praticamente subito al tentativo di creare dei nuovi versi. È troppo agitato. 

 

 

 

 

 

Stockport, casa estiva della famiglia Howard, 6 luglio 1994.

Ore 9.52 del mattino.

 

Dominic ha dei problemi ad abbronzarsi: lui è bianco come un morto, il sole è rovente come... be', come il sole, effettivamente, e la sua crema protettiva è rimasta da qualche parte a Teignmouth. Sospira guardando per un'ultima volta le nuvole nel cielo terso della sua città natale e si rassegna alla necessità di trovare un po' d'ombra. Attaccata alla villetta che i signori Howard hanno a Stockport, una graziosa veranda che corre per due lati dell'edificio crea un piacevole corridoio d'ombra in cui è rilassante riposare quando il caldo è insostenibile. Dominic si siede su una delle seggiole in legno, pensando che questa casa sembra uscita da quel telefilm, “Lassie”, di cui sua madre non perderebbe una puntata nemmeno sotto tortura. Gli sembra di aver salutato Matt un milione di anni fa, ma in realtà da quel saluto sono passati solamente quattro giorni. “Torna prima, e subito. Trova un modo”, gli aveva sussurrato all'orecchio mentre si abbracciavano. Poi Dominic gli aveva staccato le braccia dal collo, e le labbra di Matt si erano stirate in un sorriso tranquillo, come se il sospetto di non rivedere più Dom per tutta la successiva estate non gli fosse sembrato neanche lontanamente plausibile.

   Dom viene riportato alla realtà da un forte ronzio. Si guarda intorno, controlla sulla sedia, controlla sotto la sedia... nulla. Di nuovo quel ronzio, ma ora ha capito che proviene da qualche parte alla sua destra. Ah, ecco. C'è un alveare, nell'angolo tra l'architrave del tetto e il sottostante pilastro di legno, e le api che volano attorno ad esso si stanno dando un gran daffare. Già. Mh. 

   ... Aspetta un attimo.

 

 

 

 

 

Stockport, pronto soccorso, sempre 6 luglio 1994.

Ore 10.24 del mattino.

 

   «Sei un imbecille, Dominic.» 

Sì, Dominic non può dargli torto, lo è, è un imbecille. Però quello che suo padre non sospetta è che se ha ficcato la mano in un alveare magari un motivo c'è. Però, effettivamente, un po' imbecille lo è stato. Ma va bene così. Ora deve solo aspettare che lui dica quelle tre parole magiche: “Torniamo a Teignmouth”, ma è sicuro, sarà solo una questione di tempo. La dottoressa che gli ha fasciato la mano consiglia analisi più approfondite e un periodo di riposo, perché a quanto pare essere punti da un numero indefinito di api è più grave di quanto sembri. Dom doveva capirlo dal dolore lancinante che provava fino a un attimo fa, prima di ingollare due antidolorifici per calmarsi.

   «Dom», chiama suo padre.

   «Sì?»

   «Temo che dovremo tornare a Teignmouth.»

Di parole ne ha usate sei, ma a Dominic va bene lo stesso.

 

 

 

 

 

Teignmouth, per strada, 7 luglio 1994.

Ore 8.46 del mattino.

 

Matt ha dei problemi. Punto. O almeno, secondo Dom deve averli. Perché non può costringerlo a tornare prima dalle vacanze, fregandosene del come e del quando, e poi non farsi trovare né a casa, né al parco, né nel reparto surgelati del “Tesco”. Eppure la signora Bellamy non sa dove si trovi di preciso il figlio, uscito presto quello stesso mattino. La sua ipotesi è che sia da Chris Wolstenholme, un ragazzo più grande che Matt vede spesso, ma né lui, né Humphrey del pub prevedibilmente chiamato “Humphrey's Pub” l'hanno visto. L'unico posto dove Dominic sperava di non dover guardare è anche l'unico posto dove ora potrebbe trovarsi lo scomparso: la casa sull'albero. Questa volta la scaletta c'è. Ogni piolo gli costa una fatica immensa, perché può usare una mano sola e perché l'altra ha iniziato a sanguinare, ma alla fine, sudato e ansante, Dom arriva in cima. Ci avrà impiegato almeno cinque minuti, ma ce l'ha fatta. Matt non è nemmeno lì. Strano. Brutto e strano. Prende fiato per qualche istante, massaggiandosi la testa con la mano buona. Alza lo sguardo. Su un ramo sporgente, davanti a lui, c'è la cassetta della posta, rossa e inutile. Dominic sospira.

   «Ma dove si è cacciato?», domanda in un sussurro alla cassetta — non che si aspetti una risposta, certo. 

Poi gli viene in mente quella strana frase che Matt gli ha rivolto poco tempo fa, non appena aveva completato l'opera con quella cassetta della posta: “Abbi fiducia”. Dominic si avvicina alla scatola in latta dipinta. La apre, pronto a trovarla vuota come sempre, però non lo è. C'è un biglietto di carta. Strano. Lo apre, anche se a fatica perché il vento soffia come non mai. La scrittura la conosce fin troppo bene, è quella di Matt: “Il 7 luglio alle 11:00 del mattino parte un treno per Exmouth dal binario 2. Scappa con me”.

 

 

 

 

 

Teignmouth, stazione, sempre 7 luglio 1994.

Ore 10:54 del mattino.

 

Matt sta per lasciar perdere. La signora che gli ha chiesto quell'informazione, poco fa, ora ha già preso posto dentro al treno. Dovrebbe farlo anche lui. Solleva il borsone a due mani e se lo carica in spalla, mentre si chiede se ci sia un senso in tutto quello che sta facendo. Si chiede anche cosa sia successo, e trova tre opzioni di risposta alla propria domanda:

   A) Dom non è tornato a causa di impedimenti improvvisi che l'hanno costretto a Stockport contro la sua volontà; impedimenti quali un drago volante, un assassino pazzo o un'invasione di locuste. 

   B) Dom è tornato e non ha letto il biglietto.

   C) Dom ha letto il biglietto e l'ha rimesso al suo posto fingendo di non averlo mai preso. 

   Sceglie la A perché è quella che gli piace di più, e la accendiamo, per cortesia. Si incammina verso la porta del treno, ora sono le 10:56. Timbra il suo biglietto e poi anche quello che aveva comprato per Dominic, giusto per avere un posto in più in cui sistemare il borsone. Sale sul primo gradino.

   «Matt!»

Si volta. Dominic ha il fiato corto, le guance arrossate, una mano fasciata, le occhiaie e la fronte sudata. È bellissimo.

    «Dom... pensavo che non saresti più venuto.»

A pochi metri da lì, una signora molto grassa e con un gran cappello di nome Caroline — la signora, non il cappello — assiste alla scena mentre attende il treno che la porterà da sua zia. È convinta di aver già visto quei due ragazzini, uno moro e uno biondo, ma non riesce proprio a ricordarsi dove. 

   «Mah. Mi verrà in mente», risolve, e prende a farsi aria al viso con la tesa del suo cappello.

 

 

 

 

 

 

 

Le cose sono andate così, anche se quanto ho detto finora potrebbe sembrare una favoletta da due soldi. Chiaramente, dopo poco più di un mese tornammo a Teignmouth, perché la nostra avventura l'avevamo avuta, il nostro primo bacio era arrivato e noi, in fondo, ci accontentavamo di poco. Però il ricordo di quel mese passato assieme a Matt è ancora vivido: ci eravamo sentiti due re, due libertini, due vagabondi senza radici, due ribelli, fuggitivi clandestini e inafferrabili.

   Quanto eravamo scemi.

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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