Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
Ricorda la storia  |      
Autore: MusicDanceRomance    25/06/2014    23 recensioni
Elsa/Jack Frost
Elsa sapeva che dalla vita non si scappa. E la vita a lei si era presentata feroce, quando un potere di ferro le aveva stroncato l’infanzia, e quando aveva capito che a sprigionare ghiaccio dalle mani non tutte erano brave. [...]
Jack aveva vissuto sulle note di un’immortalità carogna: non ricordava perché fosse venuto al mondo né sapeva di chi fosse stato figlio o cosa effettivamente avesse avuto prima di divenire Jack Frost.
Prima classificata al contest "Disney e Dreamworks Once Upon A Pairing" indetto da CHAOSevangeline sul forum di Efp.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nda: La prima parte della fanfiction è una sorta di prologo, spiega brevemente come Elsa e Jack Frost si siano conosciuti e come abbiano stretto amicizia. La seconda parte invece si svolge interamente dopo gli eventi di “Frozen”, e, ovviamente, un paio di secoli prima delle “5 Leggende”. Spero solo che vi piaccia, è il mio primo (e forse ultimo) tentativo.
 
 
 
 
 
 
“Allora pensò che per quanto la vita sia incomprensibile, probabilmente noi la attraversiamo con l'unico desiderio di ritornare all'inferno che ci ha generati, e di abitarvi al fianco di chi, una volta, da quell'inferno, ci ha salvato.”
 
Senza sangue, Alessandro Baricco
 
 
 
Lei  e  lui
 
Elsa sapeva che dalla vita non si scappa. E la vita a lei si era presentata feroce, quando un potere di ferro le aveva stroncato l’infanzia, e quando aveva capito che a sprigionare ghiaccio dalle mani non tutte erano brave. Si era immaginata spesso, quando il terrore aveva preso forma nei suoi incubi peggiori e chiudere gli occhi non le era bastato più per eludere il problema, che da quei suoi maledetti sentimenti incontrollati sarebbe divampato un inferno di vetro, che avrebbe avvolto nelle spire del gelo un intero regno, il suo regno, e avrebbe stretto tra pugnali di ghiaccio un popolo affamato, il suo popolo.
Elsa sapeva che non sarebbe potuta essere regina di null’altro che delle nevi, e nelle lande desolate, imbiancate da una coperta di freddo eterno, aveva cercato riparo, facendo volare via un mantello regale che doveva rappresentare tutto ciò che non poteva più essere, una regina, una signora, una donna.
Era convinta che, una volta che era stata smascherata dall’intera corte e dalla stessa sorella Anna, nessuno l’avrebbe più potuta amare, e quando poi prendeva sonno incontrava nuove forme d’incubo, vedeva forconi e lance e uno stormo di uomini violenti che le davano la caccia, additandola come la strega che avrebbe fatto risucchiare la bellezza della natura nel vortice del gelo.
Ma sapeva bene che non doveva più avere paura, perché si convinceva che nessuno l’avrebbe potuta raggiungere o minacciare, si dondolava nel suo magnifico Palazzo di Ghiaccio e giocava in libertà col suo potere elegante, un potere decisamente troppo maestoso perché venisse sprecato nel silenzio delle nevi e nessuno lo potesse adorare, come aveva fatto la dolce Anna prima che la sua memoria venisse modificata.
Elsa aveva passato più della metà dei suoi anni a combattersi come un mostro, e il mostro aveva bisogno di una tana solitaria per seppellirsi e non far agitare il mondo, e lei, che poteva esprimere nelle cascate di ghiaccio e nelle magie del vento il suo potere, non doveva più avere paura del mostro che era.
E poi era strana la vita, perché nella solitudine del suo Palazzo inaccessibile aveva avvertito un altro respiro, il respiro di lui, era stata abbracciata da una danza di fiocchi di neve che non aveva creato lei, ma che erano opera di lui, e aveva ascoltato una voce che la chiamava, una voce rassicurante, sottile, distensiva, quella di lui, che l’aveva invitata a credere negli spiriti così non sarebbe più stato un essere invisibile, almeno per la regina delle nevi.
Ed Elsa, nella solitudine del suo Palazzo, aveva conosciuto la persona che non l’aveva mai abbandonata realmente, e che aveva già incontrato, senza rendersene conto, da quando si era persuasa di covare dentro di sé il mostro del ghiaccio.
Aveva conosciuto Jack Frost così, nella carezza di una fuga, nel momento in cui aveva deciso di esplodere di vita e ribellione, nel momento in cui aveva più bisogno di venire sorretta da chi aveva il ghiaccio nel sangue come lei.
 
 
Jack aveva vissuto sulle note di un’immortalità carogna: non ricordava perché fosse venuto al mondo né sapeva di chi fosse stato figlio o cosa effettivamente avesse avuto prima di divenire Jack Frost. Si era svegliato in un lago gelato e la prima cosa che aveva trovato davanti a sé quando aveva aperto i suoi occhi nuovi era stata una luna tonda e splendente, che lo abbagliava come per battezzarlo a un destino infinito. Aveva ricevuto un nome e in cambio di tante domande irrisolte aveva ottenuto un potere speciale, che però rispecchiava pienamente la solitudine che lo marcava stretto: il potere del ghiaccio, il dominio dell’inverno. Jack Frost non era altri che lo spirito dell’inverno, e poiché il ghiaccio e la neve non morivano mai, perché il mondo aveva bisogno del lato freddo delle cose per sopravvivere, lui nemmeno se ne sarebbe più andato.
Dopo aver vagato per decenni come uno spirito ramingo Jack Frost aveva sentito il richiamo scoraggiato di un ghiaccio diverso da quello che spargeva dal suo bastone, un ghiaccio forgiato da mani tremanti, una sillaba affrettata di quella che era ormai una vita infernale, e si era precipitato, curioso come solo lui poteva essere, a constatare che tutto quel richiamo non fosse solamente il frutto di un’ennesima fantasia disperata.
E aveva così trovato una principessa bambina che si segregava in camera sua e ibernava i suoi soprammobili così come i suoi sentimenti. Jack per anni l’aveva tenuta d’occhio e aveva cercato di farle capire che lei non era la sola a detenere quel potere entusiasmante, ma la piccola rimaneva sorda alle sue parole, non si accorgeva dello spirito invisibile che tentava di aiutarla.
La bambina era diversa da lui: era mortale, non era affatto sola e odiava quel potere, e Jack si era accontentato di vederla crescere dietro uno specchio di paura, fino a quando la piccola principessa non era diventata grande e i suoi timori più forti avevano preso vita e lei era stata scoperta davanti all’intero regno, nel giorno della sua incoronazione.
La regina Elsa era scappata via con la furia della delusione, era partita in esilio volontario e aveva sciolto da sé le sue insicurezze, correndo lungo un percorso immacolato.
E poiché la regina aveva cominciato a credere in se stessa e poteva finalmente amare il suo potere, una scintilla a scaglie di ghiaccio era scattata tra di loro ed Elsa aveva cominciato a credere, sentire e vedere Jack Frost, lei, prima tra tutti gli umani.
Era stato così terribilmente semplice stringere amicizia e sfogarsi per una volta con qualcuno identico a lei. Jack ed Elsa erano la loro stessa nemesi, avevano avuto la possibilità di trovarsi e rianimarsi dopo anni impastati di silenzi.
E poi i ricordi di Jack si erano confusi in se stessi, perché le giornate trascorse a giocare e parlare con Elsa e a confortarla durante le sue crisi di paura si sarebbero indelebilmente segnate nel suo cuore; Jack Frost ed Elsa non erano fatti per armonizzare i loro poteri, perché i loro poteri erano indescrivibilmente perfetti già come li avevano ricevuti, ma forse si erano conosciuti, si erano confortati, si erano spiati e completati perché avevano bisogno l’uno dell’altra. Ma amici sarebbero dovuti rimanere.
E Jack Frost sapeva bene che Elsa era una regina con un regno da rivendicare, era una bella donna e non era fatta per governare tra gli abissi del loro isolamento.
Ed Elsa era tornata in fretta ad essere la legittima regina del suo regno maestoso, quando aveva salvato sua sorella Anna e avevano sconfitto un principe ambizioso e fin troppo ridicolo.
Ed Elsa governava con i suoi consiglieri e diventava sempre più bella e il tempo passava, ed Elsa si sarebbe dovuta sposare, ed Elsa aveva accolto con troppe cerimonie un principe moro e alto, dalla pelle scura che ricalcava i tratti di terre esotiche e lontane. Ed Elsa era una regina e il regno aveva bisogno di un erede, e forse Elsa era anche una donna e Jack semplicemente uno spirito che non sarebbe mai potuto morire, e questo pensiero lo tormentava più di ogni altro, perché Jack non avrebbe mai voluto vedere Elsa morta.
Erano sorti così i problemi, quando nel Palazzo di Ghiaccio Jack si era accontentato di renderli invisibili. Con il trionfo dell’amore della famiglia e l’ascesa al trono tutto si era invece rimaterializzato, e il fardello della verità pesava solo su Jack.
Era passato poco più di anno da quando Elsa aveva ritrovato il suo regno, il suo popolo e la sintonia con Anna, e Jack Frost le faceva spesso visita quando non era impegnato a portare l’inverno nel mondo.
Quando era tornato da Elsa l’ultima volta aveva scoperto che lei, per esigenze delle Corona, si sarebbe dovuta sposare presto.
 
 
 
Guardami bruciare
 
Elsa camminava leggiadramente verso le sue stanze, il suo nuovo vestito blu di cristalli le faceva risaltare la pelle bianca latte, e i lunghi nastri in cui erano avvolti i suoi capelli biondi ondeggiavano dolcemente sul suo viso sereno. Aveva notato che il pavimento del suo castello era più trasparente e vi si scivolava con facilità, e la maniglia della porta delle sue stanze era un fiocco di cristallo: questi segnali annunciavano sempre la visita di qualcuno.
-Jack, sei tornato!- aveva esclamato Elsa quando aveva spalancato la porta e si era trovata davanti il suo più grande amico.
Certo era stato strano trovarlo così pensieroso: si appoggiava malamente al suo bastone magico, non sorrideva e non l’aveva accolta con una palla di neve come era solito fare. Sembrava diverso.
-Ciao, Elsa.- l’aveva salutata Jack, fingendosi allegro.
-Cosa c’è? Lo spirito dell’estate ti ha cacciato prima del previsto dai continenti?- aveva scherzato mentre si avvicinava a lui cercando di intuire cosa ci fosse di discorde nel suo migliore amico.
-Non è niente, Elsa, è solo che... beh, sei bellissima.
-Grazie, ma... ti stai sforzando, non è vero? Ti conosco, cosa vorresti dirmi?- non era facile ingannare la regina.
-Oh, niente! Allora, andiamo fino ai Monti Solitari a giocare con la neve?- aveva proposto Jack largheggiando un sorriso.
-Jack!- aveva risposto Elsa oscurandosi -Non posso più, lo sai. Sono una regina, ho tante cose da fare.
-Ecco, appunto!- si era imbronciato -Hai ragione, scusami, certe volte mi sembra di essere ancora nel Palazzo di Ghiaccio, sono un egoista a volerti solo per me!
-Ci andremo stanotte, quando tutti dormiranno!- aveva sorriso Elsa con tutta la pazienza possibile -Sai che per te ci sarò sempre.
-Già, tu sei l’unica a potermi vedere.- aveva ricordato con rassegnazione.
-Non sarà più così, te lo prometto. Presto tutti crederanno in te, è questo il sogno che intendo realizzare. Tu sei stato l’unico a credere in me quando ne avevo bisogno, io farò tutto il possibile per te!
-Elsa, tu credi in me perché abbiamo poteri gemelli, era inevitabile! Ma per il mondo io non sono nessuno, sarò sempre un fantasma tra la gente!
-Anna, Kristoff e Olaf riescono a vederti da quando ho parlato loro di te!- aveva ribattuto Elsa -Tutto il mio regno lo saprà, non sarai più solo.
-Oh, Elsa, il mio problema non è che qualcuno creda in me o no! Mi basta che lo faccia tu! Ho altro per la testa!- aveva sbuffato Jack, che giocherellava col bastone di ghiaccio.
-Cosa? Io posso aiutarti, dimmi!- aveva fatto Elsa speranzosa.
-No, non è niente, non può aiutarmi nessuno. Io... devo andare. Devo portare un po’ di neve sui fiordi!
-Aspetta, sei appena arrivato, io...- aveva cercato di fermarlo, ma una tempesta di ghiaccio aveva devastato all’improvviso la sua stanza, e lei si era dovuta impegnare per farla cessare senza che provocasse troppi danni.
Tipico di Jack, sparire dietro lo stratagemma della tempesta e distrarla perché ricorresse ai suoi poteri per placare le forze che lui causava. Era nervoso, ed Elsa non ne capiva l’assurdo motivo.
 
 
Il gioco delle nevi era come una canzone esaltata. Se ti lasciavi trascinare dalla corrente impetuosa del vento, diceva Jack, allora eri in grado di volare insieme a esso, di sentirti valanga, una valanga che non avrebbe portato alcun danno ma solo un’incredibile scarica di vitalità.
Elsa non aveva più il tempo di giocare con la neve, malgrado ne fosse stata una volta la regina. Ormai lei si preoccupava di mantenersi una degna sovrana di qualcos’altro, di un mondo di cui Jack sapeva che non avrebbe potuto fare parte, nella sua eternità imprecisa.
Ma farsi rincorrere da lei era divenuto uno scherzo fin troppo facile. Mentre Jack meditava in cima a una collinetta di ghiaccio Elsa era sopraggiunta, nella notte fredda, servendosi di una delle sue solite scale di cristallo che le permettevano di scavalcare le vette più alte.
-Mi spieghi cosa c’è che non va?- aveva pronunciato.
-Ti sposerai. Tutto cambierà, non credi? Non conviene che una regina e futura sposa passi del tempo con...- non aveva potuto terminare la frase.
-Stai pensando al mio matrimonio?- sembrava punta -Jack, se proprio ci tieni a saperlo io sono costretta a sposarmi, e lo faccio con piacere anche se l’idea mi disarma, perché...- un’altra volta aveva spezzato la frase.
-Se desideri sposarti perché dici che ne sei costretta? Dovresti essere innamorata prima, no?
-Oh, sei uno stupido insensibile!- sbottava -Io non sono innamorata e non vorrei sposarmi, ma è necessario, e poiché è una cosa che porterà del bene mi sacrifico con piacere! Perché non capisci quello che intendo?
-Ma per cosa esattamente è necessario questo matrimonio?- Jack tirava indietro il suo bastone, con la rabbia che covava dentro avrebbe rischiato di scatenare una nuova tempesta di neve.
-Se proprio ci tieni a saperlo, è per te!- Elsa non si era tirata indietro.
-Per me?- Jack era arretrato di un passo.
-Sì. Lo faccio perché altri credano in te. Il mio popolo crederà in te, e se mi unirò grazie a un matrimonio al popolo di un altro principe allora anche lì potrò fare in modo che più gente possibile ti conosca e si fidi, voglio che lentamente tutti comincino a parlarti esattamente come faccio io, così non sarai più solo!
Si era liberata del suo piano segreto. Persino Anna aveva pensato che sua sorella si fosse innamorata sul serio del bel principe moro e dagli occhi color pece che tanto infastidiva Jack Frost.
Jack non era stato in grado di proferire parola, aveva tartagliato un debole “Cosa?” e poi aveva riappoggiato il suo bastone a terra.
-Ora lo sai.- arresa e sconfitta, Elsa stava per ridiscendere per la sua scala di cristallo.
Lui era rimasto sbigottito e non aveva intenzione di lasciarla andare.
-Non lo devi fare per me! Io sono felice se mi puoi vedere solo tu, tu sei tutto ciò che conta!- si era messo a gridare, mentre lei ancora scivolava giù lungo la sua scala di cristallo.
-Elsa, aspettami!
-Non provare a seguirmi o ti creo una barriera qui!- lo aveva avvisato.
Elsa, che si era addestrata a trattenere il suo potere in sé, era ben allenata nel far rimarginare dentro anche i suoi sentimenti più profondi.
Correva oltre il vento, ma non lo faceva più per sentirsi assolta; anzi, forse scappando via da lui stava mettendo da parte ciò che rimaneva della sua libertà.
Era già mattina, e il tepore del sole nordico accarezzava lievemente il viso affaticato della regina.
Lei stava per tornare al castello, doveva assolutamente rientrare prima che i domestici e i consiglieri potessero notare la sua assenza.
Un passo, due passi, tre passi, stava arrivando. Intravedeva già la sagoma del castello davanti a sé, doveva solo costruire un nuovo scivolo di ghiaccio, ghiaccio sottilissimo che il sole avrebbe sciolto con le forti luci del mezzogiorno, per permettersi un piccolo riposo.
Aveva inseguito Jack fino ai monti per niente. Anzi, a Jack non voleva pensare, ed Elsa non riusciva ancora a capire chi dei due avesse ferito chi o perché fossero arrivati a quel punto ostico. Non erano capaci di recitarsi a vicenda un chiaro “Smettila di pensare a ciò che credi sia meglio per me.”
Librò una mano in aria e tratteggiò davanti a sé un ponte cristallino: vi si arrampicò sopra, ma i suoi pensieri vagavano altrove, e poiché i suoi sentimenti sconclusionati dominavano la sua forza anche il ghiaccio che Elsa aveva costruito risultava troppo fragile per tollerare il peso dei suoi passi.
Uno scricchiolio minaccioso l’aveva messa in guardia, troppo tardi perché trovasse un altro ausilio.
Elsa era crollata sul suo ponte infranto ed era troppo lontana per tornare indietro. Un nodo di cristalli si era spezzettato sotto di lei: si sarebbe schiantata a terra, ne era certa.
Aveva chiuso istintivamente gli occhi quando il ghiaccio aveva ceduto, e li aveva poi riaperti quando gli schiaffi del vento le avevano stuzzicato la pelle: Jack le aveva salvato la vita, la teneva in braccio e volava in alto, guidato dal suo bastone magico.
-Jack!- Elsa si era stretta a lui, confusa dalla vertigine.
-Non posso nemmeno lasciarti sola, volevi diventare una frittata reale?- aveva scherzato, fingendo che nulla fosse accaduto.
Jack saltava sempre più in alto, si lasciava trascinare dalle spire di vento, e nel frattempo continuava a tenerla avvinta tra le braccia.
-Perdonami.- aveva sussurrato Elsa, stanca per la notte insonne e le emozioni contrastanti che le ingarbugliavano l’animo.
-Era da tanto che non ti portavo a fare un giretto per il cielo, vero? L’ultima volta è stata al Palazzo di Ghiaccio, se non sbaglio. Meglio delle vostre discese in slitta, no?
Elsa voleva dirgli che avrebbe preferito tornare indietro, lasciare la corona ad Anna e dedicarsi alla sua libertà e occuparsi di lui, e trovare un sistema per divenire anche lei uno spirito delle nevi, ma aveva preferito tacere per l’ennesima volta; era come se entrambi stessero edificando un muro per respingersi a vicenda.
Jack l’aveva riaccompagnata alla sua finestra. Elsa l’aveva scavalcata con un piccolo balzo, si era ricomposta in fretta e si era affacciata fuori: non poteva allontanarsi da lui senza salutarlo o quantomeno ringraziarlo, visto che l’aveva appena salvata da un tuffo drastico.
La tensione cominciava a divenire palpabile tra i due sovrani del gelo.
-Ti prego, Jack, non abbandonarmi. Io non voglio perderti.- aveva sobillato, con gli occhi lucidi e colmi di dispiacere per la tensione che alimentavano.
-Non è conveniente che una donna sposata passi del tempo con un altro, anche se è solo uno spirito dell’inverno.- aveva sentenziato brevemente Jack -Lo capisci questo? E non mi piace neppure il fatto che ti debba sposare con un principe che non ami. Non fare una cosa simile per me perché mi odierei. E forse trasformerei lui in una statua di ghiaccio, garantito!
-Ma tu non faresti del male a nessuno!- aveva sorriso Elsa.
-Forse per te sì. Non voglio un altro principe Hans, stavolta ti proteggerei ad ogni costo.
Proteggerla. L’avrebbe protetta. L’avrebbe aiutata, come già lo aveva fatto in passato. Jack era l’unico che l’aveva davvero salvata da se stessa.
-Grazie, Jack.
I loro occhi si erano scontrati così tante volte che ormai era facile leggersi dentro.
Incapaci di rispondersi, rimanevano a fissarsi brevemente. Non potevano accorgersi della finestra che lentamente si consumava di brina, né della corrente gelida che a spirali saliva verso l’alto.
Jack guardava Elsa senza fiatare, i suoi occhi cercavano una risposta in quelli azzurri della sua regina.
E poi il viso pallido di Jack si era avvicinato al suo, e il bacio era scattato, senza che neppure i due avessero il tempo di comprendere fino a quale punto sarebbero stati disposti a spingersi.
Il vento diveniva più freddo, la stanza di Elsa si contagiava di ghiaccio e anche le pareti esterne del castello spandevano gelo.
Ma loro non provavano alcun freddo, anzi, per la prima volta sembrava avessero scoperto l’attrazione del calore. Bruciare era facile. Appena un tocco di labbra, una danza tra bocche, un morso maldestro.
Le bocche erano state costrette a separarsi quando il freddo che irrompeva intorno a loro era divenuto troppo pungente per poter essere dimenticato. Elsa e Jack avevano aperto gli occhi e si erano distaccati per scoprire di avere infittito i cristalli e i ghiacci che corredavano gli esterni del castello. Il cielo si era ingrigito e annunciava nuove tormente di neve, ed era tutto opera loro.
Opera di un bacio.
-Oh, no! I miei poteri! Non riesco a controllarli!- aveva esclamato Elsa, obbligandosi a tornare lucida.
Jack stringeva a sé il bastone con la testa bassa, come se già avesse cominciato a dominarsi.
-Vado... a spostare la tormenta... ciao!- l’aveva salutata brevemente e si era volatilizzato in fretta e furia.
Lei non poteva neppure concedersi il lusso di vederlo sgattaiolare via, perché il cuore le batteva all’impazzata, i suoi poteri dipendevano da quello perciò le conveniva calmarsi immediatamente.
-Controllati, controllati, prima ci riuscivi così bene!- ripeteva Elsa.
Contava fino a dieci, fino a venti, fino a trenta.
Ancora una volta. E un’altra ancora.
 Il turbine sembrava essere passato. Non poteva neppure accettare una riflessione su quello che era accaduto tra lei e Jack senza che si scatenasse una nuova tormenta, eppure non riusciva a non pensarci.
-Elsa!- Anna aveva appena bussato alla porta della sorella -Sei dentro? D’improvviso fa molto più freddo, sei stata tu per caso?
Elsa era corsa ad aprire la porta e si era lanciata sul grembo della sorella:
-Anna, è successa una cosa terribile, sto di nuovo perdendo il controllo!
-Come? Rilassati, passerà, ora sai dominare i tuoi poteri.- sorrideva Anna.
-Non potrò più vedere Jack, è troppo pericoloso! Lui l’ha capito ed è scappato via!
Anna aveva lanciato uno sguardo oltre la finestra: vedeva nuvoloni densi e scuri che si ammassavano lontano da loro, nei monti più remoti. Lì si era precipitato Jack Frost, portandosi dentro e fuori la tormenta di neve perché non potesse danneggiare nessuno. E a giudicare dalla potenza della tormenta anche il cuore di Jack sembrava essere ormai totalmente fuori controllo.
 
 
La notte dopo Elsa si era rimessa in marcia sulle tracce di Jack: si era confidata a lungo con Anna e lei, da inguaribile sognatrice, l’aveva spinta a cercarlo e parlargli lì dove le loro emozioni non potessero nuocere nessuno, dove tutto era cominciato: nel suo Palazzo di Ghiaccio disperso.
Elsa sapeva che lui si sarebbe sistemato lì. Aveva incaricato Anna di prendere il suo posto per un breve periodo e si era rifugiata nel suo angolo di libertà preferito, per aspettare lui.
Dopo due giorni spenti e inconcludenti, durante la notte , mentre Elsa passeggiava per il Palazzo tentando di prendere sonno, lo aveva rivisto. Esitava davanti al balcone, ma l’aveva individuata e non si sarebbe più potuto tirare indietro.
“Ciao!” si erano ripetuti nello stesso istante, e un “Come stai?” a due voci era seguito a quel dialogo che conteneva sempre le stesse parole.
-Dai, parla prima tu.- aveva tentennato Jack.
-No, prima tu.- insisteva Elsa.
-Va bene. Io... stavamo per combinare un pasticcio, vero?
-Ecco... è questo il punto. È meglio se parliamo in un posto sicuro e...
-Siamo in un posto sicuro, Elsa. Adesso dobbiamo parlare.
-Già. Parliamo.- la voce le si era bloccata su quell’ultima parola -Stiamo parlando, vero?
-E direi che siamo anche una frana!
-Non è vero, sono solamente io la frana!- aveva obiettato Elsa.
-Una frana che non sa cosa dire, magari. Sono più una frana io di te...
-Siamo... due frane allora!
-Due frane di ghiaccio, se non altro.- Jack aveva sorriso.
Elsa aveva scosso il capo.
Jack le aveva stretto le mani.
Elsa era avanzata di un passo verso di lui.
Jack aveva abbassato gli occhi.
Elsa gli aveva poggiato un dito sul mento.
-Non posso sposarmi, Jack.- aveva sussurrato.
In risposta Jack l’aveva avvinghiata a sé e di nuovo delle labbra timide avevano preso il sopravvento, per assumere il controllo su di lei, sul discorso che non sapeva prendere forma, su quelle labbra arrossate che cercavano continuamente un contatto spavaldo.
Se da un abbraccio tra due anime di freddo poteva scaturire tanto calore, allora forse anche il cielo poteva contenersi senza stravolgere di bufere il mondo. Ma forse serviva un minimo di esercizio.
Elsa e Jack non raschiavano più sul fondo della paura, perché la vita si concentrava negli amplessi degli istanti, e certi istanti sembravano grattare la pelle per far emergere il calore che dirompeva nelle vene, e loro non dovevano più temere le tempeste di neve che avrebbero fatto infuriare grazie al batticuore delle loro emozioni.
I baci correvano, si moltiplicavano, diventavano più furiosi, come furioso imperversava il delirio della neve al di fuori del Palazzo di Ghiaccio. Una nevicata colossale stava battendo i Monti Solitari, e non sarebbe terminata tanto presto.
Ma ormai loro erano al sicuro, potevano far esplodere i loro sentimenti e le loro emozioni, l’amore consumato laggiù non avrebbe potuto percuotere nessuno, meno che mai loro stessi. E se il freddo infieriva fuori dalle pareti del Palazzo e triplicava la sua azione, dettato dall’abbandono dell’autocontrollo, all’interno i due dominatori del ghiaccio si guardavano bruciare.
Lasciati andare, lasciati andare...
Fino a dove si sarebbero spinti? E se avessero distrutto tutto il regno per riuscire ad essere felici?
Lasciati andare, lasciati andare...
La potenza delle nevi vorticava più veloce, pronta ad avvolgere la terra desolata. Un alone di freddo avrebbe ricoperto per miglia e miglia le superfici del Nord.
Lasciati andare, lasciati andare...
Ma anche loro meritavano un briciolo di felicità. Anche loro esigevano di sentirsi completi.
Lasciati andare con me, Elsa.
Via le vesti azzurro cielo di Elsa, cosparse da uno spruzzo di cristalli. Via i semplici abiti di Jack. Persino il suo bastone era riposto in un angolo.
Via la paura, il timore, il controllo del potere. Erano due signori del ghiaccio ma insieme preferivano unirsi sulla scia del fuoco. Per plasmarsi e formarsi nuovamente, al sicuro tra cristalli e fiocchi di neve, col fischio di un vento bianco ad accompagnarli.
Erano entrambi esitanti, timidi, inesperti.
Erano responsabili perché regnavano sul freddo, eppure conservavano il cuore di due giovani con sentimenti ancora acerbi, come quelli di chi non sapeva bene come comportarsi e come scagliare la freccia dopo aver tirato la corda troppo a lungo.
Le mani di Jack avanzavano lente sulle curve morbide di Elsa, lei si lasciava cullare dalla temperatura che saliva intorno a loro mentre quella intorno al Palazzo si abbassava a dismisura; era come giocare sui due piatti della bilancia: più andavano oltre, più bruciavano insieme e più il ghiaccio e la tempesta strapazzavano il mondo fuori.
Eppure non dovevano temere nulla lì, anzi, pensavano solo, malgrado i piccoli movimenti e le prime coccole impacciate, a continuare e a sentirsi finalmente insieme, uniti.
 
 
La tempesta di neve aveva avvolto i monti per una settimana intera. A poco a poco Elsa e Jack, nonostante i primi tentativi disastrosi, stavano imparando a dominare le bufere anche se i loro sentimenti rimanevano in balia della passione.
-Elsa.
Jack aveva chiamato la sua regina, che si appuntava i capelli con una spilla di cristalli e studiava il cielo che tornava limpido dopo le tormente provocate dai loro momenti d’amore.
-Devo tornare a casa, Jack. Sono stata via troppo a lungo.- aveva spiegato brevemente.
-Quando potremo rivederci di nuovo?
-Ecco...- Elsa incespicava nei suoi pensieri -Se ci vedessimo a corte dovremmo avere molta più cautela, sai che quando siamo insieme facciamo esplodere le tormente.
-Quindi dovremmo incontrarci solo qui, nel Palazzo?
-Puoi venirmi a trovare quando vuoi a corte, ma... non devi toccarmi!- l’aveva avvisato Elsa.
-Ormai siamo diventati più bravi a controllare il nostro potere quando... non riusciamo a controllarci noi.- aveva bisbigliato con malizia Jack.
-Sì, ma è meglio non rischiare. Forse ci serve ancora un po’ di... pratica qui, nel Palazzo. Almeno nessuno si farebbe del male o morirebbe congelato.- sorrideva lei.
-D’accordo.- Jack le aveva fatto un buffetto sulla guancia -Mi sembra giusto, qui è cominciato tutto.
-Sai...- confessava Elsa -Credevo che avrei sempre odiato il mio potere e tutto ciò che mi ricordava i miei anni infelici. Era come un inferno per me, e invece adesso mi rendo conto che è l’unica cosa di cui non potrei mai fare a meno, perché ci sei tu che mi hai salvata, e se non avessi avuto questo potere non ci saremmo mai incontrati. Il ghiaccio è qualcosa che ci lega come la carne e il sangue.
Jack l’aveva stretta tra le braccia:
-Anch’io ho sempre visto il mio potere del ghiaccio come un simbolo della solitudine, ma non con te. Con te non posso farne a meno.- una pausa, e il dovere lo aveva richiamato -Credo sia tempo di spostare il freddo in Canada e Russia. Ma tornerò prestissimo.
-Mi mancherai.- Elsa premeva il viso contro il suo.
-Ma tornerò. Noi possiamo stare insieme, Elsa, ed essere una coppia come Anna e Kristoff. Siamo solo un pochino più pericolosi e dobbiamo fare attenzione a non devastare di gelo tutte le terre.
-Se non avessi avuto questo potere non ti avrei mai conosciuto, vero?
Jack l’aveva stretta a sé. Che importava che lui fosse un essere invisibile per tutti, quando poteva avere lei?
-Forse hai avuto questo potere perché io avevo bisogno di te. In fondo, ghiaccio chiama altro ghiaccio.
-Eppure solo quando sto con te non sento mai freddo.- aveva replicato Elsa con dolcezza.
-Beh, forse perché ghiaccio e ghiaccio insieme non danno lo stesso risultato.- aveva meditato lui -insieme forse diamo fuoco. Ci guardiamo bruciare. E non c’è cosa più bella al mondo.
 
 
   
 
Leggi le 23 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio / Vai alla pagina dell'autore: MusicDanceRomance