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Autore: La Setta Aster    25/06/2014    2 recensioni
Vi è mai capitato, scrutando il cielo, di sentire dentro di voi la sensazione che altri occhi come i vostri siano puntati al firmamento in cerca di risposte? E se vi è capitato, avete provato a parlare con le stelle? Aster, una ragazza aliena di Neo Cydonia, e James, un giovane terrestre come voi, a distanza di anni luce hanno in comune un cuore sempre in fuga dal mondo, in direzione dell'universo.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
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La notte si stendeva sopra i grandi occhi neri, pupilla bianco quarzo della ragazza dalla pelle ambrata. Un cielo terso, infinito, nel quale lei amava perdersi, nelle sere d’estate, quando il firmamento era libero da nubi, nudo. Le piaceva lasciar annegare gli occhi e la fantasia in quei miliardi di vicine e lontane stelle. Immaginava di potersene andare da quel pianeta, e vagare per i sistemi, visitando mondi mai visti prima. Desiderava ardentemente abbandonare casa per girovagare a zonzo per la galassia. Voleva vivere la sua vita da ribelle, lontano da gente che le diceva cosa doveva fare e come farlo, per poi sputarle in faccia sentenze su sentenze, senza nemmeno sapere chi fosse lei veramente. Vedeva davanti a se una mensola senza premi, una strada senza ancora risultati, solo sogni. Se solo potessi dar prova del mio talento... facendo ciò che so fare meglio: ciò che amo fare. L’amaca aveva smesso di dondolare già da un pezzo. La ragazza se ne stava sdraiata su di essa, nuda, e con una mano si carezzava il corpo. La mano scivolò fino all’inguine. Ma gli occhi: Quegli occhi così profondi, come lo spazio, non si staccavano mai da una stella, quasi invisibile. Tentavano di mantenere il contatto visivo. La casa, poco distante dal campo dove la ragazza attendeva il sonno, si fece buia: la famiglia di lei stava per addormentarsi. Nonostante questo e nonostante la casa non fosse poi così vicina, lasciò dei leggeri gemiti, sempre più forti, prendere il posto dei sommessi sospiri che l’accompagnavano nelle sere solitarie. Quel momento era solo suo. E la notte lo rendeva libero, ma anche sicuro, e protetto. Da dietro l’albero al quale era ancorata l’amaca si vedeva una delle due lune del pianeta, la più grande, bianca come la neve e solcata da un lato in ombra, che metteva in risalto quello in luce. Sembrava voler dimostrare che non vi è mai una sola parte di luce o una sola parte di ombra. Di lì a poco, anche la compagna avrebbe fatto capolino dall’orizzonte, come un debole sole dalla fioca luce, stanco forse di illuminare tanta ipocrisia. Quella luna era detta ‘la luna ondeggiante’, in quanto, a intervalli di tre ore, sbirciava il mondo da ovest, per poi, un’ora circa più tardi, sparire. Questo moto era derivato dall’attrazione della luna più grande e quella del pianeta. La sfera bluastra che fluttuava di fianco alla ragazza trasmetteva una canzone proveniente da un lontano pianeta, intercettata dalle pattuglie extraplanetarie durante i controlli delle civiltà ‘giovani’. Aster era affascinata da quel pianeta, dalla sua civiltà, dalla sua storia. Le sarebbe piaciuto conoscere un cosiddetto ‘umano’. Amava la loro musica, la loro cultura, la loro arte. Era una civiltà perfetta, e prometteva di entrare a far parte di lì a pochi secoli delle civiltà progredite della galassia. Aster sperava di vedere quel giorno. Solo qualche secolo pensava io sono giovane, una ragazzina! Voltò lo sguardo verso est, e le parve di cadere di nuovo nella realtà da un sogno. A diversi chilometri si stendeva la città di Agora, uno dei principali spazioporti del pianeta Neo Cydonia. Un ricamo di luci – l’autostrada interplanetaria – rattoppava il cielo sopra Agora, delineando le rotte aeree. Due fili luminosi si alzavano solitari per poi perdersi fra le stelle; quelle erano le corsie che dal pianeta conducevano allo spazio: le corsie meta-planetarie. La ragazza amava immaginare le astronavi che trafficavano fra lo spazio ed i pianeti. Fantasticava su avventure meravigliose vissute da uomini e donne d’azione, pronte ad affrontare l’ignoto. Un giorno partirò su una di quelle astronavi, nella corsia meta-planetaria, diretta chissà dove nella galassia! Ci sono tante cose da vedere, tante civiltà da conoscere e scoprire! Vedrò esplosioni solari balenare nel nero, vedrò duplici stelle che orbitano insieme come luna e pianeta. E conoscerò gli umani, imparerò a suonare la chitarra. È una promessa, papà.

Perso chissà dove nella galassia, il padre era stato imbarcato su una nave di soccorso diretta su una colonia, attaccata da una forma di vita predatrice autoctona. Tutto ciò che rimase di lui e del suo equipaggio fu la nave, malandata e dismessa, che ora era di proprietà della moglie, madre della ragazza che ora stava volando con l’immaginazione. Forse fu quel trauma a portare la bambina di allora alle fantasie perdute fra nebulose lontane e pianeti sconosciuti. Riprese a guardare le stelle, nell’ultimo sospiro di piacere dato dalla delicatezza delle sue stesse dita e da un pensiero che ormai da tempo la assillava: un umano. Sognava la Terra con disperata ossessione. Non poteva credere che la galassia fosse tutta lì, nei disastri che si sentivano negli ologiornali, nelle cattive notizie; voleva credere di poter incontrare una civiltà ancora pura, come quella degli umani. Tornò a concentrarsi su quella stella, una volta ritrovata, che – lo percepiva – doveva essere il sistema solare, o forse addirittura la Terra. Fissava, fissava, come se guardandola, essa potesse rispondere. Rivolse qualche pensiero, qualche parola, concedendosi a una fantasia infantile. C’è nessuno lassù? Qui Aster, da Neo Cydonia, alla ricerca di un occhio che come il mio cerca altri occhi puntati a questo telo nero tempestato di diamanti. Questo pensò, e nella testa della ragazza parve giungere un sospiro, una voce perduta nello spazio, giunta fino a lei come attraverso un oceano, a cavallo delle onde. Un altro cuore è diretto verso l’universo, alieno, com’è il tuo pianeta? Aster, da bambina, aveva un’immaginazione fuori dal comune. Lei era in grado di creare mondi e addirittura altre entità pensanti nella sua testa. Poteva intrattenere dialoghi con la sua stessa fantasia, senza prevedere le risposte che essa avrebbe dato. Pensava d’istinto, si potrebbe dire. Ma non riusciva più a farlo da quando aveva abbandonato la fanciullezza in favore della pubertà. Si sorprese grandemente nel sentire la sua fantasia risponderle ancora. Attribuì come causa di quella voce l’aver ceduto a pensieri infantili, come parlare ad una stella con la mente. Ma nonostante la razionalità che stava sempre più imponendosi in Aster, ella decise di arrendersi a quella speranza da bambina, di credere che dall’altra parte della galassia, qualcuno le avesse risposto. Sono sdraiata su un’amaca ormai ferma, la notte è limpida. Tu, misterioso compagno, cosa fai? Anche io sono sdraiato, anche io guardo le stelle, anche io penso a te.

In quel momento, Aster immaginò come sarebbe potuta nascere una storia d’amore con quel dialogo, probabilmente frutto della sua fantasia.

Una storia d’amore fra noi? A distanza di anni luce, dolce aliena, io ti amerei, poiché dal mio pianeta l’amore è fuggito perla paura.

La voce aveva sentito tutto? Doveva per forza trattarsi di qualche suo amico immaginario dell’infanzia. Si ricordò che da piccola faceva spesso quel gioco: si piazzava seduta sull’erba, a qualunque ora del giorno sebbene prediligesse la notte, e, parlando attraverso il microfono di una vecchia ricetrasmittente che le aveva portato l’amico del padre ora carcerato, parlava al cielo; parlava, parlava, e udiva le risposte del suo cuore. Ma stavolta volle credere che non si trattasse di un gioco.

Siamo nella stessa condizione, allora. Rispose Aster anche tu sei molto solo, laggiù?

Ora non più

Ora non più: anche lui ci credeva. Ma adesso era meglio riposare, o il test di guida aeronautica del giorno seguente sarebbe stato un disastro. Tanto andrà male comunque, sono una frana nelle guide.

Vorrei poterti dare una mano, io ho già la patente di guida.

Aveva sentito tutto il pensiero sulla giornata seguente.

Ah, già, voi umani guidate ancora i veicoli di Terra. Beh, non vi ci abituate, non dureranno.

Come sai che sono un umano? Siamo gli unici nell’universo, oltre a voi?

No, ma ho percepito dentro di me che sei umano.

Amica mia, ora riposa, e buona fortuna per domani.

Concluso quel delirante e bambinesco dialogo, che però coccolava come un bagno fresco in una giornata afosa, distolse lo sguardo, facendo cadere il contatto. Aster si rese conto di quanto le fosse stato naturale decidere di credere a quella conversazione con un umano. Era ancora un po’ fanciulla, in fondo, e di questo se ne compiacque a tal punto che comprese di non avere la minima intenzione di crescere, di diventare ‘matura’ e ‘responsabile’, non voleva diventare una ‘cittadina modello della comunità galattica’, voleva essere la pecora nera della famiglia, quella che non dava mai ascolto ai genitori, al costo di farsi male e fare da sola le proprie esperienze. Sì, la sua vita sarebbe stata quella: alla ricerca di voci rimbalzate fra le stelle, messaggi in bottiglia che si adagiano sulla sua spiaggia da chissà quale male, da chissà quale mano. Con la mente ancora lontana da Neo Cydonia, la ragazza dalla pelle color mogano si addormentò, cullata dalla dolcezza della speranza.

*

A diversi anni luce di distanza, ma non così tanti come sembrano, su un pianeta chiamato Terra, una favolosa biglia blu, un ragazzo di paese scrutava lo spazio dalla finestra di un abbaino, in cerca di risposte. Risposte alle mille domande che lo assillavano, ma ad una più di tutte andava cercando risposta: l’Uomo è solo nell’universo? Non si dava pace, non sopportava di credere a quello che dicevano tutti, che in quel grande infinito non ci fossero altri occhi alle stelle, altre speranze, amori, odi, delusioni… rifiutava di sentirsi così abbandonato. Anche perché, se era uno sconosciuto sul suo stesso mondo, dove sarebbe potuto essere ‘a casa’? Sentendo di guardare migliaia di vite diverse, sparpagliate nella galassia e pronte a suonare una chitarra insieme a lui, continuava a vagare con lo sguardo in una timida notte, che si nascondeva dietro stralci di nubi chiare, come la fanciulla nella mente del ragazzo copriva i seni e l’inguine con dei veli di seta. Avvicinò alla bocca una sigaretta, e ne trasse un profondo respiro, per poi sbuffare un nugolo di fumo nell’aria aperta. Poi si alzò in piedi sul letto sul quale era sdraiato e respirò l’aria un po’ più pulita, fresca, ma non frizzantina come quella di montagna. Fumare, non fumare... con tutto l’inquinamento che c’è fra Varese e Malpensa, la mia casa ne è intrisa. Non cambia nulla rifiutare le sigarette. Strade e hotel avevano divorato la maggior parte della natura di quel piccolo paese troppo poco tranquillo, oramai. Nel 2018 l’ambiente non era migliore degli anni addietro, ma solo peggiore. Al telegiornale erano sempre in agguato notizie pessime: nuovi cataclismi naturali, nuove vittime per le guerre, gente che muore di fame, una politica sempre più corrotta, e tante altre disgrazie che gravavano sul pianeta. Ogni tanto il ragazzo si divertiva ad immaginare maniere per sistemare i problemi del mondo. Ma sapeva bene che anche se ne avesse trovate sarebbero state inattuabili. Mi sembra che il genere umano stia correndo sempre più inevitabilmente verso la sua fine. Lo sento nelle notizie, lo vedo nella società. A volte mi vergogno io stesso di essere uno di loro. Gli esseri umani provano un piacere perverso nell’odiare. Ma io no. Perché io no? Io e miei amici preferiamo amare, e per questo ci chiamano ‘sfigati’. Ma chi siamo noi veramente? A volte mi sento un estraneo, come se non appartenessi a questo mondo, come se esso stesso mi volesse indicare l’uscita. Vorrei poter viaggiare per le stelle sulle astronavi di Guerre Stellari, incontrando civiltà meravigliose come quelle dei fumetti di fantascienza. Tra film, e canzoni, e i libri perdo il senso della realtà ma forse quelle sono le cose più reali in un mondo di falsità. Il giorno seguente sarebbe dovuto andare a scuola, e avrebbe passato quelle sei ore a sopportare i soliti insulti, a veder andare in modo disastroso anche l’ultima verifica di latino del quadrimestre, a subire l’indifferenza della ragazza che gli aveva rubato il cuore. Dopo due bocciature, sapeva bene che la scuola doveva essere il suo primo pensiero, ma non lo era; agli insulti c’era ormai abituato, ma a soffrire per l’indifferenza dell’amore non lo si è mai. Si sentiva anche un po’ stupido, a patire tanto per una ragazza, se pensava che nel mondo ci sono persone che muoiono, che al mattino sentono spari invece che il canto di un gallo, che hanno paura per un parente malato, che provano veramente un dolore inimmaginabile, ogni giorno. Ma non poteva farci niente: quegli occhi verdi, con striature marroni e venature azzurre lo avevano intrappolato nel loro sogno. Non aveva mai visto occhi così. Lei andava dicendo che è un difetto genetico. Ma quale difetto? I tuoi occhi sono bellissimi, come fai a non capirlo? Per di più, essendo giugno, l’aria salmastra del mare già s’intrufolava nelle narici degli studenti, e le belle ragazze iniziavano a scoprire le gambe affusolate, le sinuose braccia, e a volte anche i ventri dai fianchi sensuali. James Cervi non amava le ragazze con fisici secchi ed inconsistenti: lui amava le ragazze col fisico giusto, né troppo magre, né troppo grasse, con belle guance, le forme come Marylin Monroe, e anche i seni, che non guastavano mai. Insomma, rifiutava i canoni di bellezza dettati dalla televisione e dalla moda, in favore di ben più meravigliose idee di donna ideale, rubate a Prassitele, scultore greco autore della splendida Afrodite di Cnido, oppure a Skopas, altro eccelso scultore, che con la sua Menade Danzante ispirò l’arte erotica antica e moderna, quella che si basa sul desiderio, non sulla volgarità.

James Cervi, di padre italiano e madre americana, abitava in un paese troppo vicino all’aeroporto di Malpensa, che non aveva mai visto notti così buie e pulite da poter scorgere l’ incantevole via lattea, né, da quando avevano costruito nuove vie di connessione coi paesi vicini, strade tanto pacifiche da poterci camminare nel mezzo, stanchi, magari allegri dopo una bevuta con i veri amici in un locale blues poco affollato, e rigorosamente col naso in su, senza porre attenzione al cammino. Eppure, quella notte, qualche stella caparbia brillava abbastanza forte da permettere alla sua luce di vincere la coltre di inquinamento che soffocava quella parte di Terra. Jim prese a fissarne una in particolare; non sapeva perché proprio quella, ma gli parve che fosse lei stessa a chiedere la sua attenzione. E lui, in un attimo di smarrimento fantasioso, decise di concedergliela. Il ragazzo credette di sognare, quando nella sua testa risuonò una voce, forse femminile, indistinta come un’immagina vista attraverso un velo d’acqua increspata.

C’è nessuno lassù? Qui Aster, da Neo Cydonia, alla ricerca di un occhio che come il mio cerca altri occhi puntati a questo telo nero tempestato di diamanti.   

Questo Jim udì. Ma non poteva essere altro che il frutto della sua immaginazione, doveva essere così. Nonostante questa convinzione, si domandò perché non avrebbe dovuto inventarsi un amico extraterrestre col quale dialogare? Chi lo avrebbe potuto credere pazzo, se quelle parole restavano nella sua mente, dove ogni pensiero è sicuro, protetto, intimo? Così, rispose.

Un altro cuore è diretto verso l’universo, aliena, com’è il tuo pianeta?

Da quel momento, le menti e i cuori di James Cervi, uno sconosciuto sul pianeta terra divorato dalla sua età turbolenta, e quelli di Aster, estranea sul pianeta Neo Cydonia, si toccarono per la prima volta, preannunciando così un legame che supera gli anni luce, un sentimento più forte dei buchi neri, che a loro volta sono considerati la più devastante potenza dell’intero universo. James ancora non sapeva che la sua nuova amica immaginaria in realtà si chiamava Aster, e anche lei, come lui, lo aveva scambiato per una fantasia; che anche lei, come lui, era tormentata dal desiderio di evasione dal proprio mondo che non si accorge della sua presenza; che anche lei, come lui, si perdeva fra libri e film canzoni, nel tentativo di dimenticare il grigiore della realtà; che anche lei, come lui, tendeva gli occhi alle stelle.

Ben presto, conclusa la comunicazione, James fu colto dal sonno, che gli portò sogni dolcemente senza senso, ma con gli schizzi di colore dello spazio che correva oltre quella cornice, oltre quella finestra nel soffitto dell’abbaino di Via del Campo.



ANGOLO DEGLI AUTORI:
Per chi di voi segue la mia storia'I Racconti di Keras il Libro', in Aster troverà moltissime analogie, sebbene sia doveroso precisare che questo lavoro è di gran lunga precedente. Infatti, Aster nasce da un me stesso alle prese con la prima adolescenza. le tematiche che affronto sono le medesime, bene o male: il mondo visto attraverso gli occhi sognanti di un ragazzo o di una ragazza. Questo racconto, però, possiede anche il lato fantascientifico, che mi consente di dare sfogo alla mia passione per la notte. Questo, più di ogni altro particolare, mi preme di descrivere bene. quindi, se la mia storia vi ha lasciato qualcosa, e dopo averne letto questo primo capitolo vi è venuta voglia di guardare il cielo, non esitate a farlo.
_Hanck, de La Setta Krypteia
 
  
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