hétérocromatine
{ finta gatta, finto insetto e frigo
aperto }
«Fammi
un po’ vedere. Sarebbero questi i tre cuginetti, eh?»
«Tecnicamente
sono i figli della cugina di una mia vecchia zia.»
«Ah-ha.
Il che li rende...?»
«Ospiti,
penso.»
«Ma
non parlano?»
«No,
che io sappia no.»
«Strano.
Ma, ehi, avranno dei nomi, no?»
«Il
tipaccio col muso da bulldog che li ha accompagnati me li ha detti,
ma...»
«Che
brutte facce! Scusami tanto, vecchio mio, saranno tuoi parenti e tutto quello
che vuoi, ma non hanno per niente un’aria raccomandabile.»
«Nemmeno
a me piacciono molto, però...»
«Il
piccoletto ha gli occhi di due colori diversi, hai visto?»
«Sì.
Gli ho chiesto se è un qualche tipo di malattia, ma non mi risponde.
Wikipedia dice che può dipendere da...»
«Brutte
facce, brutte facce davvero. Ehi, voi! Si può sapere perché
sghignazzate?»
«È
l’unica cosa che fanno, in realtà. Mi guardano e
sghignazzano.»
«Ehi,
voi!»
«Lascia
perdere, Jack.»
«Voi
tre! Ce l’avete un minimo di educazione o no? Lo sapete che vostro zio o cugino
o nipote o quel cavolo che è poteva pure fregarsene di tutto e lasciarvi
in mezzo a una strada, sì?»
«Lascia
perdere, Jack, davvero.»
«Solo
un po’ di disciplina, Oggy, ecco di cosa hai
bisogno per sistemare queste tre brutte facce...»
«Non
lo so, Jack. Il fatto è che sghignazzano e basta. Non parlano, mi
guardano e sghignazzano.»
«Umpf. Tre seccature. Come scarafaggi, in pratica.»
Il punto è che da allora, da
quindici anni a questa parte, la convivenza con Oggy
– lo zio, il cugino, il nipote o quel cavolo che è – non
è mai stata facile.
Oggy
è paffuto, rotondo, compiacente come un grosso gatto un po’
sformato. Ci sono molte cose che Joey trova disgustose nella sua presenza e
nella sua compagnia, pur ridotta al minimo perché lui, Marky e Dee Dee si sono risolti a
vivere barricati più o meno costantemente nella loro stanza – come
tre scarafaggi nel loro buco – uscendone soltanto per dare
l’assalto giornaliero al frigorifero e aver cura di sporcare per bene
ovunque lungo il passaggio. In tali circostanze Oggy
sbraita loro addosso, perde un po’ di quella sua aria da micione
bonaccione e arriva a elaborare minacce sempre più fantasiose ed
esilaranti, specie quando li insegue su e giù per le scale con un
ridicolo grembiulino addosso e uno stupido acchiappamosche in mano; ma questo non lo rende più interessante.
Anche se le hanno studiate tutte per
dargli fastidio il più possibile, anche se sono arrivati a indossare
vecchie giacche con le code, a gellarsi ciocche di
capelli come antenne e a sputacchiare versi insetteschi
al suo indirizzo, non è
interessante. Gli interventi occasionali di Jack non cambiano di molto le cose.
Farli impazzire è uno spasso, certo, ma presuppone che si continui a mal
sopportarsi a vicenda: a volte Joey vorrebbe chiedere a Oggy
se ne è consapevole, se ha capito che solo ridendogli in faccia loro
possono permettersi di continuare a stare da lui – e nonostante tutto lui
non vuole che se ne vadano, vero? Non avrebbe il cuore di lasciarli
in giro nel vasto mondo, neanche adesso che sono cresciuti e vaccinati, non con
quello stomachevole cuore di panna che si ritrova – ma ciò
equivarrebbe a spezzare un silenzio longevo e ostinato e perciò continua
a tacere. E a dargli fastidio.
Ora – e il punto è questo
– nonostante fargli perdere le staffe sia il costante ripetersi nel tempo
di un’esperienza impagabile, la convivenza con Oggy
non è mai stata facile. L’altro
punto sta nel fatto che Oggy, così
disgustosamente rotondo e sornione, ha una ragazza (e non una ragazza
qualsiasi, ma questo Joey non lo dice
neppure a se stesso).
«Trovo
profondamente maleducato il vostro modo di parlare dei ragazzi come se loro
neanche ci fossero.»
«Quelli
non sono dei ragazzi, sono dei parassiti.»
«Jack!»
«Perché,
mi sbaglio? Diglielo, Oggy. Anzi, no – guarda
tu stessa. Lo vedi? Se ne stanno lì a fissarci e sghignazzano. In che
altro modo vorresti parlare di loro, tu, eh?»
«Jack,
sei mostruoso. Diglielo, Oggy.»
«...»
«Oggy, se non tratti un po’ meglio i tuoi cugini giuro
che uscirò da quella porta per non farmi più vedere.»
«Ah!
L’hai sentita, Oggy? L’arma di tutte le
donne...»
«Stai
zitto, Jack.»
«A
loro non importa, Olivia, davvero. Non lo vedi? Ridono.»
«Oggy! Non dire stupidaggini! È ovvio che gli importa
– sono persone, non scarafaggi!»
È
ovvio che gli importa, ha detto lei quella volta, la prima
volta che si sono incontrati.
A Joey, a dirla tutta, non importa davvero. Si ritiene una
persona abbastanza intelligente da sapere che Oggy e
Jack, da bravi animali umanoidi di sesso maschile dalla relativamente minima
capacità di sforzarsi di pensare, rispondono agli impulsi in modo del
tutto automatico. Loro hanno dato di sé una pessima prima impressione, e
il loro ospite e il suo amichetto del cuore li considerano di conseguenza delle
pessime persone. E qui sta il bello – tutto ciò è voluto,
è sempre stato voluto.
Certo, al momento del loro arrivo
capitava a volte che Dee Dee e Marky
frignassero nel sonno; sentivano forte una mancanza che Joey quasi non
avvertiva, per il semplice motivo che l’aveva fatta sua già da
molto tempo. I suoi hanno sempre avuto paura di lui, di quei suoi strani occhi
di due colori. Saperli morti non è equivalso a perderli, perché
non li ha mai trovati davvero. Per Marky e Dee Dee è stato un po’ diverso. Uno ha iniziato a
ingozzarsi come se non ci fosse un domani, l’altro a farsi passare per
stupido quando stupido non è... Di certo, tuttavia, nessuno dei tre ha
mai sentito il bisogno di vivere felicemente in casa di un tizio cicciottello
che si sforzasse di trattarli bene come avrebbe trattato bene tre orfanelli
qualsiasi. E così si comportano di conseguenza. Sghignazzano, danno
fastidio e non gliene importa, e non c’è più neanche un
vero motivo.
È
ovvio che gli importa, ha detto lei però, e anche se
non è vero Joey non può fare a meno di rilevare la differenza, un
po’ come si rileva un cambiamento atmosferico (o forse in modo
leggermente differente).
«Non lo dico a Oggy
se tu mi dici il tuo nome.»
Joey sussulta. La voce di Olivia lo
sorprende nel mezzo di un’incursione notturna in cucina, in uno dei non
troppo rari momenti in cui, piuttosto che guidare il lavoro di squadra, ha
deciso di fare tutto da sé e sbafarsi i resti dell’arrosto della
cena senza dirlo agli altri – niente stupidate solidaristiche, grazie,
Dee Dee lo fa praticamente ogni notte e né lui
né Marky si sono mai ridotti a togliergli il
saluto.
Si volta circospetto per scoprire la sua
figura accoccolata al tavolo immerso nell’ombra. Non ha acceso le luci
– ormai si muove bene al buio, quasi come uno scarafaggio vero –
altrimenti si sarebbe accorto di lei prima di aprire il portello del frigo.
«Non lo dico a Oggy»
ripete Olivia, sorridendo, «se tu mi dici il tuo nome.»
Joey aggrotta le sopracciglia e la fissa
dal basso della sua statura ridotta, sfacciato. Lo sai il mio nome.
«Sì, so di sapere il tuo nome» continua lei come se avesse udito
distintamente il suo pensiero, «ma mi piacerebbe sentirlo dire da te. Mi
piacerebbe sentir dire qualsiasi cosa
da te. Ho aspettato apposta qui da sola che compariste – e anche se ora
sei solo anche tu, va bene lo stesso. Coraggio, parlami, prima che Oggy si svegli e s’immagini chissà che
cosa.»
Lei ridacchia e Joey si sente avvampare
– perché più che ascoltarla finora l’ha guardata e ha
constatato che lei di felino ha
qualcos’altro, ha la grazia, ha le forme morbide, ha gli occhi che ti
guardano fermissimi e arrivano in posti inaspettati.
Apre la bocca di riflesso e per un attimo
considera sul serio l’idea di parlarle: è un animale umanoide di
sesso maschile anche lui, in fondo, e si ritiene una persona abbastanza
intelligente da sapere che, anche se un giorno molto prossimo tutto il mondo
sarà in mano sua, ci sono certi impulsi cui neppure lui può fare
a meno di rispondere in modo del tutto automatico. Ma poi la richiude,
grugnisce, le dà le spalle e riprende il lavoro interrotto, abbuffandosi
di pollo freddo con lei che si ostina a essere così vicina.
Dalla penombra alle sue spalle si sente
arrivare nelle orecchie il sospiro di Olivia e quella serie di colpetti di lingua
contro i denti che esprimono il punto massimo della sua disapprovazione.
«Giusto. Immagino che sia molto
più divertente così come fate voi. Magari preferiresti se
anch’io ti guardassi come a un insetto...»
Il pollo ha un sapore più amaro
del previsto. Joey digrigna i denti, prima di deglutire e lanciarle
un’occhiataccia da sopra la spalla. Più
che altro non capisco perché non lo fai già.
Olivia si alza e gli si avvicina. Si
ferma a un passo di distanza e lì si china a studiarlo per bene, posando
le mani sulle ginocchia – è più alta di lui di tutta una
testa, ovviamente, ma quando fa
così i loro sguardi sono esattamente allo stesso livello. Joey
s’irrigidisce e storce il naso, sgranocchiando un osso tra i denti
stretti. Di colpo, senza alcun nesso apparente, gli viene in mente di non aver
mai sghignazzato davanti a lei.
«A me i tuoi occhi piacciono»
spiega Olivia.
Di nuovo, come se avesse udito
distintamente il suo pensiero.
Joey sputa l’osso e si volta per
riporlo nel punto esatto in cui si trovava prima del breve processo di
scarnificazione. Oggy non avrà alcun motivo di
lamentarsi del disordine, stavolta, no? Chiude l’anta, passa intorno a
una Olivia di nuovo immersa nel buio e raggiunge la porta – qui si ferma,
ci pensa un po’ su, si volta ancora per lanciarle un’altra
occhiataccia.
«Joey» sussurra, o forse
sibila, non ne è sicuro.
Ma è sicuro che lei, lì nel
buio, stia sorridendo.
«Ragazzi, che noia, dobbiamo movimentare un po’ le cose.»
«Mettiamo il sapone nel latte di Oggy!»
«L’abbiamo già fatto venerdì
scorso. Ci servono nuove idee.»
«Va bene, allora nascondiamogli
tutte le scatolette di sardine.»
«Dee Dee,
tu vuoi solo una scusa per infilarti in cucina.»
«Beh, e se anche fosse?»
«Patetico. Joey, dacci una mano, le
idee migliori sono le tue. Joey?»
«Ehi, Joey?»
«Che ti prende? Adesso non parli
più nemmeno con noi?»
«...»
«Io dico che è innamorato, Marky.»
«Oh, ma che cosa adorabile!»
«A proposito di innamorati, e se ce
la prendessimo con Olivia per una volt–»
La
curiosità è forte, ma quando passa davanti alla porta stranamente
aperta della loro stanza e coglie l’immagine di Marky
e Dee Dee immusoniti (cosa sono quei segni sulle loro
facce? Impronte di schiaffoni?) e di Joey che, appollaiato a mo’ di
farfalla sul davanzale, spiaccica la fronte contro il vetro della finestra
– più o meno in direzione della casa di Olivia – Oggy si limita a fischiare piano, scrollare le spalle e
passare oltre.
Non
li capirà mai, quei tre. E ancora non sa di preciso neppure da cosa dipenda
quell’eterocromia di cui tanto si è preoccupato una mattina di
quindici anni fa.
Spazio
dell’autrice
Confesso che tutto ciò non
rispecchia minimamente ciò che mi ero promessa di scrivere. o__ò
Procediamo con ordine. Nel momento esatto
in cui ho scoperto questo gioiellino di gijinka mi
è venuta voglia di scrivere sui maledetti scarafaggi della mia infanzia
e non solo; l’umanizzazione mi dava anche modo di fangirlare
male sul mio headcanon non-tanto-assurdo circa la
vicinanza esclusiva tra Joey e Olivia (è un fatto innegabile questo, e
se andate su Wiki c’è scritto anche
lì che dei tre insettacci che Olivia si ostina a proteggere da Oggy è proprio Joey il suo preferito ♥
*per la contentezza cita Wiki nella shot*). Poi, e qui arriva il difficile, dovevo trovare una
giustificazione alla convivenza ‘forzata’ tra i tre scapestrati e Oggy il micione bonaccione. Mi sono inventata una parentela
alla lontana, un Oggy già adulto che prende in
casa con sé i tre orfanelli ancora bambini e se li tiene per ben
quindici anni (anche questo è un omaggio: è stato il periodo di
messa in onda francese della serie animata :D) nonostante loro, ben consapevoli
e abbastanza responsabili della pessima prima impressione che hanno avuto su
lui e Jack (il quale forse li liquida come ‘seccature’ fin troppo
in fretta, ma Jack è un po’ così, no? XD), si divertano a
rendergli la vita difficile.
Ed ecco, è qui che mi sono
distanziata da quello che volevo scrivere, perché nonostante questo
presupposto volutamente iroso, scontroso, malinconico i miei scarafaggi
umanizzati volevano ancora essere soprattutto comici – ma mi rendo conto
che questa fic è tutto fuorché comica.
Credo di aver giocato un po’ troppo con il mio contesto alternativo, e di
aver dato forse troppo peso all’eterocromia che fa sì che tutti
tranne Olivia guardino in particolare a Joey con sospetto – il mio amore
per i reietti e i ‘diversi’ mi porta pure dove non voglio andare,
ahimè. Se vi sembra che sia finita OOC, vi supplico di perdonarmi:
l’atmosfera semi-angst ha voluto parlare per me
e vi assicuro che non era nelle mie intenzioni.
Ma la storia è venuta
così, e così ve la lascio, perché in fondo ormai non
riesco a immaginarla diversamente. E comunque sia, Joey/Olivia = non rimpiango
niente. u///ù
Aya
~